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2. Milano: l‟affermazione di una capitale declassata

2.4. La posterità del culto ambrosiano tra IX e X secolo

La campagna di valorizzazione dedicata alla figura di Ambrogio che aveva coinvolto nel culto il fratello del santo finì per inglobare anche la sorella maggiore del celebre vescovo milanese.145 A Marcellina lo stesso Ambrogio aveva dedicato una delle sue opere, il De virginibus, nella quale illustrava il modello di vita che tutte le vergini cristiane, come lei consacrate a Dio, avrebbero dovuto seguire.146 Lo stretto legame intrattenuto dal presule milanese con la sorella è, inoltre, testimoniato dalle tre lettere superstiti della corrispondenza intrattenuta tra i due e dalle lodi ad essa indirizzata nel primo libro del De excessu fratris dedicato a Satiro.

Un testo agiografico dedicato alla sorella di Ambrogio è tradito da cinque testimoni manoscritti tutti allestiti in un momento successivo all‘XI secolo.147 Il confronto tra la Vita Marcellinae (BHL 5223) e le agiografie carolinge relative ai suoi due fratelli (BHL 377d e BHL 7510) chiarisce la sua posteriorità rispetto ad entrambi. Il termine a quo per la compilazione di BHL 5223 è, così, costituito dal periodo in cui venne redatto il De vita et meritis, dunque approssimativamente nel corso del secondo quarto del IX secolo. La possibilità che la figura sacra femminile ritratta nel mosaico absidale di S. Ambrogio tra IX e X secolo sia da identificare con Marcellina indica ancora una volta la fondazione santambrosiana come il probabile centro di propulsione del culto dedicato alla santa vergine. Le parole del prologo inserito dall‘agiografo in apertura al testo appaiono anch‘esse convenire maggiormente ad una compilazione portata a termine in seno ad una comunità religiosa, o in ogni caso ad essa destinata. Il modello ascetico ripreso in BHL 5223, seppur in larga parte debitore del De virginibus, sembra, infatti, lasciar trasparire in controluce quel gruppo monastico ospitato presso la basilica ambrosiana al quale era stato affidato il compito di onorare e perpetuare la memoria cultuale legata ad Ambrogio. Le affinità tra l‘orgogliosa ideologia cittadina sottintesa al testo agiografico e le coloriture civiche di alcune opere composte a Milano tra X e XI secolo – il carmen pasquale dedicato all‘arcivescovo Tadone (860-868), il Liber Pontificalis milanese conosciuto sotto il nome di Libellus de situ civitatis Mediolani e la Passio Vitalis (BHL 8703) –148 suggeriscono di ricondurre allo stesso arco cronologico la compilazione dell‘agiografia di Marcellina.

145 Per una sintetica ma chiara presentazione della figura storica di Marcellina, vd. F.E.CONSOLINO, Tradizionalismo e

trasgressione nell‟élite senatoria romana, in Le trasformazioni delle élites in età tardoantica, R.LIZZI TESTA (a cura di), Roma, 2006, in particolare pp. 106-109.

146 AMBROSIUS MEDIOLANENSIS, De virginibus ad Marcellinam sororem suam libri tres, PL XVI, coll. 187-232. 147 Per la lista dei manoscritti vd. P.TOMEA, Ambrogio e i suoi fratelli cit., pp. 190-191.

148 Il Carmen de Pascha dedicato da Sedulio Scoto a Tadone è edito in MGH, Poetae Latini Aevi Carolini, III, n. 2, p. 233; per il Libellus de situ Mediolani si rimanda all‘imprescindibile P.TOMEA, Tradizione apostolica, pp. 334-431; per

L‘analisi condotta sul testo da Paolo Tomea suggerisce, poi, di datare la redazione del testo al periodo intercorrente tra gli ultimi decenni del IX secolo e la fine del X nel quale il culto della santa appare ormai consolidato nelle fonti liturgiche ambrosiane.

Si tratta dell‘ultimo slancio dato al culto dell‘eximius doctor milanese in epoca carolingia – e per contatto anche alle figure dei suoi fratelli – per il quale si possa con ragionevole certezza imputare la paternità al centro santambrosiano. Dalla seconda metà del X secolo, pur permanendo alcuni caratteri specifici dell‘agiografia carolingia come il marcato orgoglio cittadino, l‘attenzione tornerà a un filone agiografico i cui prodromi risalivano al tardo periodo longobardo ed erano stati momentaneamente accantonati durante il primo secolo carolingio. Con la compilazione del Libellus

de situ civitatis Mediolani – un vero e proprio Liber pontificalis relativo alla sede metropolitana

milanese – l‘attenzione veniva nuovamente rivolta alle origini della sede episcopale: la figura di Barnaba, assimilata agli apostoli benché non fosse appartenuto alla cerchia dei dodici discepoli di Cristo, si imponeva così come l‘anello mancante che ricongiungeva il primo episcopus Anatalone a una missione inequivocabilmente apostolica.149 Milano appare in ritardo, in questo sviluppo, rispetto ad altre città episcopali del Nord Italia, quali Pavia ed Aquileia che proprio durante il primo periodo carolingio affermarono, anche attraverso una produzione agiografica specificatamente dedicata, le proprie origini apostoliche.150 Le ragioni possono essere molteplici: certamente Milano fu il centro episcopale di area italica che seppe trarre maggior profitto dal cambio di potere ai vertici del regnum. Dal momento della discesa dei Longobardi il vescovo milanese aveva sperimentato un vero e proprio allontanamento dal cuore pulsante della costruzione politica longobarda: gli anni di esilio a Genova dei vertici della gerarchia ecclesiastica e il protrarsi della querelle tricapitolina ebbero ampie ripercussioni sul peso politico che il metropolita di Milano aveva fino ad allora esercitato sulle altre diocesi dell‘Italia settentrionale. Il rientro dell‘alto clero in città e la risoluzione dello scisma dei Tre Capitoli nel VII secolo non bastarono a rendere agli arcivescovi ambrosiani l‘antica posizione di prestigio e potere. In virtù del rapporto privilegiato intrattenuto con i sovrani, i presuli di Pavia erano nel frattempo riusciti a emanciparsi dalla giurisdizione milanese e le rimostranze dell‘arcivescovo Benedetto al pontefice romano Costantino rimasero inascoltate. Anche gli anni di Liutprando, che rappresentarono indubbiamente il momento di maggiore stabilità del

regnum e di concordia nei rapporti con la sede episcopale romana, appaiono caratterizzati a Milano la Passio Vitalis, leggendario padre dei martiri ambrosiani Gervasio e Protasio, vd. IDEM, L‟agiografia milanese nei

secoli XI e XII. Linee di tendenza e problemi, pp. 677-686.

149 P.TOMEA, Tradizione apostolica cit., pp. 334-441.

150 Sulla produzione agiografica dedicata alle figure di san Siro di Pavia e sant‘Ermagora di Aquileia si tornerà nei capitoli ad essi dedicati nel presente lavoro, vedi infra pp. 114-145, 164-180.

da un forte bisogno di affermare la propria posizione di eminenza rispetto alle altre città dell‘Italia longobarda. Il Versum de Mediolano si fa portavoce delle aspirazioni milanesi volte a ritrovare il proprio legame privilegiato con i sovrani e, con esso, il ruolo di prima cattedra metropolitana: la lode delle glorie religiose cittadine, incarnate nei santi che proteggono la città, unita alla celebrazione dell‘opulenza milanese e del rapporto personale tra il re Liutprando e l‘arcivescovo Teodoro è stata, a ragione, letta come l‘espressione delle aspirazioni milanesi alle quali non doveva essere estranea, come ben sottolinea Nicholas Everett,151 l‘acuta rivalità con la capitale del regno, Pavia. I desideri di affermazione di Milano restarono, però, delusi per tutta la durata della dominazione longobarda e solo l‘insediamento dei Franchi al potere cambiò, infine, le carte in tavola.

Si trattò, forse, di una scelta dettata dalla valutazione della compromissione della città pavese con la monarchia longobarda, o fu il risultato della resistenza opposta per quasi un anno all‘ingresso dei nuovi conquistatori, o ancora la conseguenza di altre strategie politiche impossibili da individuare a tanti secoli di distanza, tuttavia è innegabile l‘atteggiamento severo, sconfinato in quella che può essere definita una vera e propria «punizione»,152 tenuto da Carlo Magno nei confronti della capitale del regnum langobardorum. Al contrario, Milano, entrò immediatamente nelle grazie del nuovo sovrano e poté, infine, concretizzare le aspirazioni fin ad allora frustrate. Nel panorama dei territori del regno italico la città ambrosiana rappresenta indubbiamente l‘unico caso di rottura, almeno a livello di propaganda agiografica, con il passato longobardo. Le premesse lanciate tra VII e VIII secolo sono momentaneamente messe in sordina, mentre il nuovo programma di valorizzazione cultuale viene centrato sul santo più rappresentativo della storia cristiana di Milano, sant‘Ambrogio. La mancata valorizzazione della figura del celebre episcopus nei secoli longobardi fu, infine, ribaltata negli anni immediatamente successivi alla caduta di Pavia. In questa frattura risiede la maggiore divergenza tra il centro milanese e le altre sedi episcopali del regno italico: mentre la maggioranza dei vescovi optava per la continuità nelle proprie strategie agiografiche, a Milano si accantonavano momentaneamente le linee abbozzate durante il periodo longobardo insieme all‘interesse per il tema delle ‗origini‘ della cattedra cittadina. Certamente le categorie di «continuità» e «frattura» costituiscono dei parametri rigidi e riduttivi in un contesto religioso che è indubbiamente connotato dalla lenta evoluzione delle pratiche cultuali e liturgiche. Nella distinzione tra il piano degli usi liturgici locali, nei quali confluiva la tradizione sedimentata

151 N.EVERETT, The earliest recension cit., pp. 868-870.

152 Questa è la parola usata dai più eminenti studiosi di Pavia altomedievale, cfr. A.A.SETTIA, Pavia carolingia e

postcarolingia, in Storia di Pavia cit., II, pp.74-75; P.MAJOCCHI, Pavia città regia. Storia e memoria di una capitale altomedievale, Roma, 2008, pp. 39-44.

in secoli di storia cristiana, e il livello della propaganda politico-religiosa risiede, tuttavia, la specificità dello slancio agiografico che inaugura o conferma una certa pratica liturgica. Il messaggio propagandistico lanciato nei testi agiografici compilati a Milano nel primo secolo carolingio appare slegato da ogni rimando a un passato cittadino che non fosse il momento di massima affermazione della città come capitale dell‘impero romano. Tale periodo capitale della storia milanese era identificato negli anni che videro seduti sulla cattedra episcopale e sul trono imperiale rispettivamente Ambrogio e Teodosio. La campagna di rilancio del culto ambrosiano cambiò il volto stesso di Milano: la basilica ambrosiana, affiancata dal cenobio fondato dall‘arcivescovo Pietro al principio degli anni ottanta dell‘VIII secolo, divenne il centro religioso, culturale, memoriale e simbolico della città. Tra le sue mura circolavano e venivano copiati i manoscritti giunti dai territori d‘Oltralpe, qui venivano ospitati monaci provenienti dalle lontane terre d‘Irlanda, qui il metropolita Tommaso battezzava la figlia di Carlo Magno e, sempre al suo interno, erano sepolte le salme dei sovrani carolingi del regnum Italiae. La basilica divenne, così, il cuore pulsante di Milano carolingia oscurando la stessa sede dell‘episcopio, che pur fu protagonista di una decisa politica di valorizzazione a partire dagli anni di Angilberto I (822-823).

Il ruolo della componente franca è fondamentale per comprendere la svolta ambrosiana della politica cultuale milanese: l‘arcivescovo Tommaso, in carica fino al 783, sembra essere ancora legato alle strategie agiografiche che erano state portate avanti nell‘ultimo periodo longobardo, come proverebbe la sua paternità di un inno – purtroppo mutilo – dedicato al vescovo Calimero ricordato nel Versum de Mediolano e coprotagonista della leggenda bresciana relativa ai santi Faustino e Giovita, composta probabilmente in età longobarda.153 Se già negli anni di episcopato di Tommaso è possibile cogliere le tracce del futuro sodalizio tra Milano e i vertici carolingi, solo a partire dagli anni di episcopato del franco Pietro la campagna di valorizzazione politica e religiosa della città subisce una decisa accelerazione. In tale contesto, fortemente influenzato da personalità e sensibilità transalpine, non deve sorprendere la peculiarità del caso milanese: la stessa scelta di affiancare iconograficamente, nelle formelle dell‘altare di Wolvinio e in uno dei mosaici della basilica ambrosiana, anch‘esso databile all‘età carolingia, Ambrogio ed il santo patrono dei Franchi, Martino, contribuisce a chiarire il senso del programma agiografico perseguito dai metropoliti milanesi nel primo secolo di dominazione franca. Poiché la committenza del testo del De vita et

meritis deve essere ricondotta a un vescovo franco interessato a promuovere il proprio seggio

episcopale nell‘ampio panorama dell‘Impero carolingio, la scelta di scommettere su Ambrogio, santo la cui fama aveva da secoli valicato le Alpi, non ha nulla di sorprendente. I prelati franchi e

gli uomini di cultura che giunsero a Milano nella prima metà del IX secolo furono verosimilmente poco interessati alla valorizzazione dei santi locali della prima età cristiana il cui nome doveva essere loro completamente sconosciuto: la scelta del vir Dei da promuovere su una scala imperiale non poteva certo premiare Anatalone la cui biografia si perdeva in una nebulosa epoca apostolica priva di appigli storici e di una consolidata fama letteraria quale era invece il caso di Ambrogio. Il gusto dell‘agiografo del De vita et meritis per l‘ambientazione storica è d‘altro canto evidente. Inoltre il santo doctor milanese ben incarna l‘ideale del vescovo carismatico capace di relazionarsi su un pari livello con il massimo rappresentante del potere temporale: il rapporto privilegiato tra gli arcivescovi di Milano e i sovrani franchi si specchiava nell‘immagine della relazione esistita tra vescovo ed imperatore romano alla fine del IV secolo.

La consapevolezza del successo della politica dei sovrani carolingi nel proporre la città di Milano come il centro della memoria del regno d‘Italia si tradusse, sul piano agiografico, in una produzione letteraria poco connotata in senso competitivo. Mentre i testi compilati nelle altre sedes

regiae sono profondamente marcati dalla rivalità che le opponeva le une alle altre nel tentativo di

imporre la propria posizione nella gerarchia delle città del regno, l‘agiografia milanese appare poco interessata all‘affermazione sui centri concorrenti. Il rilancio della figura di Ambrogio, insieme alla proposizione del culto dei suoi fratelli, sono la coerente espressione di un‘affermazione politica consapevole: Milano si dimostrò, così, poco propensa al confronto con le città rivali rispetto alle quali nutriva la tranquilla certezza della propria superiorità.

Con la fine del sogno carolingio di unità dell‘Impero e con il precipitare delle vicende politiche del regno italico, conteso tra esponenti di un‘aristocrazia ormai radicata localmente e gli ultimi discendenti della famiglia di Carlo Magno, vennero a mancare le stesse basi della preminenza milanese orbata del suo speciale legame con la dinastia e, di conseguenza, del suo ruolo di centro della memoria del regno carolingio in Italia. Le febbrili azioni di Ansperto che si precipitò a Brescia per recuperare il corpo di Ludovico II e poterlo, così, seppellire nella basilica ambrosiana, e che incoronò Carlo il Calvo re d‘Italia a Pavia nell‘875 costituirono le ultime chiare azioni del metropolita milanese quale primo episcopus del regnum. I vescovi milanesi erano ormai scelti in seno alla società locale ed essi si trovavano ad agire in un orizzonte politico privo di un‘autorità centrale forte quale erano stati i sovrani carolingi dei primi tre quarti del IX secolo: in mancanza di un solido candidato all‘Impero la figura di Ambrogio, interlocutore privilegiato dell‘imperatore Teodosio, perdeva infatti il proprio valore propagandistico. Anche la contrazione di quei circuiti della cultura che avevano portato a Milano uomini, libri e idee può contribuire a spiegare il ripiegamento delle élites ecclesiastiche milanesi su quelle strategie agiografiche centrate sulla

memoria locale che non erano state ancora pienamente sviluppate. Così, nel disordinato panorama

dell‘ultima parte del IX secolo, e nei convulsi avvicendamenti al potere nel X, Milano rivolse nuovamente le proprie attenzioni alle origini del seggio episcopale cittadino: privata del sostegno carolingio, il metropolita milanese dovette riaffermare la propria autorità e la legittimazione del suo ruolo di guida delle diocesi del regno attraverso la dimostrazione dell‘antichità e del prestigio della cattedra locale, le cui radici vennero fatte affondare nella missione dell‘apostolo Barnaba. Dopo la ‗pausa carolingia‘, la propaganda agiografica ritornava a scommettere sul valore della continuità, del quale il Libellus de situ civitatis Mediolani, con i ritratti dedicati ai singoli episcopi cittadini che si erano succeduti sulla cattedra milanese, rappresentò indubbiamente la massima espressione.