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3. Sulle orme del modello milanese: il caso di Brescia carolingia

3.1. Dai Longobardi ai Franchi sotto il segno della continuità

Il processo di genesi della cattedra episcopale bresciana è indissolubilmente legato alla storia ecclesiastica della capitale imperiale, Milano, della quale Brixia fu la prima diocesi suffraganea.154 Le circostanze dell‘evangelizzazione e le vite dei primi vescovi bresciani sono avvolte dalla leggenda: il primo episcopus attestato è, infatti, Ursicino, il quinto a sedere sulla cattedra episcopale di Brescia, la cui firma è presente tra quelle dei sottoscrittori del concilio di Sardica nel 343.155 Le informazioni si fanno relativamente abbondanti solo per gli anni di episcopato del settimo vescovo bresciano. Alla sinodo di Aquileia presieduta da Ambrogio nel 381 la diocesi di Brescia è rappresentata da Filastrio,156 ecclesiastico profondamente coinvolto nella lotta contro le eresie che vide come protagonista, in quegli anni, il metropolita milanese impegnato nella sua campagna contro l‘arianesimo. Da quest‘esperienza nacque il trattato Diversarum hereseon liber nel quale

154 Il primo volume della serie dedicata alla storia di Brescia da Giovanni Treccani resta ancor oggi un riferimento ineludibile. Tra i numerosi e preziosi contributi qui riuniti si segnala in questa sede E.CATTANEO, La Chiesa bresciana delle origini, in Storia di Brescia, G. TRECCANI (diretta da), I, Brescia, 1963, pp. 343-359; G. PANAZZA, Le manifestazioni artistiche dal secolo IV all‟inizio del secolo VII, ibidem, pp. 363-391; G.P.BOGNETTI, La Brescia dei Goti e dei Longobardi, ibidem, pp. 395-446; IDEM, Brescia carolingia, ibidem, pp. 449-517; C.VIOLANTE, La Chiesa

bresciana nel Medioevo, ibidem, pp. 1001-1124; J.-CH.PICARD, Le souvenir des évêques, pp. 218-247, 433-440, 589- 597.

155 J.D.MANSI, Sacrorum Conciliorum, III, col. 39. 156 Ibidem, III, coll. 599-600.

Filastrio presentò sommariamente le numerose posizioni eterodosse presenti sia in ambito cristiano che ebraico.157 Proprio lo stretto rapporto con Ambrogio propiziò l‘incontro a Milano tra Filastrio ed Agostino, episodio ricordato dallo stesso vescovo di Ippona nella sua epistola diretta a Quodvultdeus.158 La fama del presule bresciano è sancita dal suo successore sul soglio episcopale cittadino: tra le opere di Gaudenzio è, infatti, presente un sermone dedicato a Filastrio – peraltro piuttosto generico – che fu pronunciato in occasione del quattordicesimo anniversario della sua morte.159 La storia religiosa bresciana è, poi, nuovamente avvolta nell‘oscurità per i tre secoli successivi all‘episcopato di Gaudenzio: le uniche attestazioni superstiti dimostrano la presenza del vescovo Ottaviano al concilio di Milano nel 451 e di quella di Deusdedit a Roma nel 680. Senza dubbio Brescia, suffraganea di Milano, si schierò a favore dei Tre Capitoli condannati a Costantinopoli ed è possibile che la fedeltà della sede episcopale bresciana alla posizione tricapitolina si sia protratta anche successivamente al trasferimento dell‘episcopato milanese a Genova in seguito alla discesa dei Longobardi. I rapporti tra Brescia e il metropolita attraversarono probabilmente un momento di tensione tra il 593 e il 594 nei mesi immediatamente successivi all‘elevazione di Costanzo (593-600) al seggio episcopale milanese: l‘attaccamento alla fede calcedonese dei vescovi italici provocò, infatti, la secessione di tre suffraganei del metropolita convinti dell‘adesione di Costanzo alla condanna dei Tre Capitoli. La traccia di tale opposizione è ancora visibile in alcune lettere del Registrum di Gregorio Magno.160 Tra i vescovi che misero in dubbio la difesa del credo calcedonese era probabilmente compreso il presule bresciano come sembrerebbe indicare l‘appello rivolto dal pontefice romano a Costanzo affinché desse soddisfazione – seppur non nelle modalità sollecitate dagli abitanti di Brescia – alla domanda di confermare la sua completa adesione alle posizioni dottrinarie affermate in occasione della sinodo di Calcedonia.161 La documentazione non permette di seguire gli sviluppi della vicenda, sebbene sia probabile che, grazie alla mediazione di Gregorio Magno, il metropolita milanese abbia potuto trattenere sotto la sua giurisdizione la diocesi di Brescia, in un momento in cui i disordini provocati dal dibattito tricapitolino e l‘esilio in cui era confinata a Genova la Chiesa di Milano provocarono la

157 FILASTRIUS, Diversarum hereseon liber, CCSL IX, ed. F.HEYTEN, Turnhout, 1957. 158 Augustinus Ipponensis, Epistola ad Quodvultdeum, PL XXXIII, p. 999.

159 GAUDENTIUS BRIXIENSIS, Tractatus, XXI, Sermo de vita et obitu beati Filastrii episcopi praedecessoris sui, ed. A. HOSTE, San Filastrio di Brescia, Delle varie eresie. San Gaudenzio di Brescia, Trattati, G.BANTERLE (introduzione, traduzione, note e indici di), Roma, 1991, pp. 480-485 [Scriptores circa Ambrosium, 2].

160 GREGORIUS I PAPA, Registrum, MGH Epistolae, I; lib. IV, n. 2, 3, 4, 37.

161 Ibidem, n. 37: Scriptis sanctitatis vestrae percursis, in gravi vos merore esse cognovimus, maxime propter episcopos

et cives Brixiae, qui vobis mandant, ut eis epistolam transmittatis, in qua iurare debeatis, vos tria capitula minime damnasse. […] Sed ne hi qui vobis (i.e. episcopi et cives Brixiae) ista scripserunt scandalizari videantur, transmittite eis epistolam, in qua sub anathematis interpositione fateamini, neque vos aliquid de fide Calcedonensis sinodi inminuere, neque eos qui inminuunt recipere, et quoscumque damnavit damnare, et quoscumque absolvit absolvere. Unde credo eis posse celerrime satisfieri.

scissione definitiva di alcuni suffraganei, tra i quali spicca la città di Como passata alla giurisdizione aquileiese.

Brescia, sede di un duca longobardo, diede i natali a Rotari (636-652) che, ripresa l‘iniziativa offensiva caratteristica dei primi anni dell‘insediamento nel territorio italico, annetté al regnum i territori bizantini della Liguria. Il contemporaneo rientro del metropolita a Milano fu certamente l‘occasione per il riallacciamento dei legami tra le due diocesi, tuttavia le lacune documentarie di cui soffre il periodo compreso tra il VII e l‘VIII secolo non permettono di osservare tale processo.

La storia religiosa di Brescia riacquista visibilità solo con la salita al trono di Desiderio, comes

stabuli di Astolfo (749-756) e successivamente inviato in qualità di dux in Tuscia.162 Sposo della bresciana Ansa, e probabilmente anch‘egli originario di Brescia, Desiderio fu beneficiario di un‘importante concessione di terre da parte di Astolfo che legò indissolubilmente il destino della città a quello degli ultimi sovrani longobardi. Molti dei beni bresciani della coppia regia andarono a costituire il patrimonio dei due prestigiosi monasteri da loro fondati, il primo al riparo delle mura cittadine, il secondo nel territorio della diocesi: si tratta del cenobio femminile di San Salvatore e della fondazione maschile di San Benedetto di Leno. Negli ultimi decenni di vita del regnum

langobardorum, Brescia si impose come un centro nevralgico della vita religiosa e politica del

regno: al chiostro di San Salvatore si legò l‘intera famiglia regia, come dimostra il diploma di conferma di beni concesso da Adelchi nel 772.163 Sottratto al controllo episcopale, San Salvatore aveva ricevuto nel 762 l‘esenzione dal papa Paolo I:164 fin dalla sua fondazione il monastero cittadino vide, così, sancita la propria indipendenza dalla Chiesa bresciana, mentre si legava indissolubilmente alla monarchia longobarda. Tale particolare condizione si perpetuò sotto i sovrani franchi, che scelsero in diverse occasioni di destinare alla vita monastica, o all‘educazione, al riparo delle mura claustrali di San Salvatore le proprie figlie. La rinascita benedettina, il cui culmine fu sancito nel primo periodo carolingio, aveva già subito una decisiva accelerazione grazie all‘attività di Petronace, il bresciano restauratore e rinnovatore dell‘antica fondazione di Montecassino. I legami tra Brescia e il monastero benedettino furono sanciti dallo scambio di reliquie: il braccio del martire bresciano san Faustino fu portato da Petronace a Montecassino, dove fu scambiato con l‘arto di san Benedetto inviato a Brescia.

La fioritura di Brescia durante l‘ultimo secolo longobardo (VIII secolo) coinvolse l‘intera città come dimostra lo slancio edilizio che interessò altri edifici religiosi cittadini, come la chiesa di San

162 Per un sintetico profilo di Desiderio vd. S.GASPARRI, I duchi longobardi, Roma, 1978, pp. 53-54 [Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Studi Storici, 109]

163 CDL, III/1, ed. C.BRÜHL, n. 44.

Pietro in Oliveto, probabilmente restaurata dal vescovo Ansoaldo, che qui scelse di farsi seppellire. Il clima di continuità tra il passato longobardo e il presente carolingio diede un altro frutto: gli scavi archeologici hanno infatti permesso di chiarire come l‘originaria basilica longobarda del monastero di San Salvatore sia stata ampliata proprio nei primi decenni del IX secolo in un monumentale edificio a tre navate degno del rango imperiale del cenobio femminile di Brescia.

Le premesse lanciate dall‘ultima coppia regia longobarda trovarono il loro compimento sotto la nuova dinastia al potere. La storia delle sepolture episcopali bresciane evidenzia l‘attenzione dedicata al rilancio delle glorie della Chiesa primitiva: il vescovo Cuniperto (..813..) fu sepolto presso le reliquie dei martiri bresciani Faustino e Giovita nella basilica di San Faustino ad

sanguinem posta fuori dalle mura cittadine, mentre a San Faustino Maggiore furono tumulati

Anfridio, Pietro e Ramperto (824/26-843/844). Ad Anfridio, che la tradizione ritiene proveniente da San Benedetto di Leno, deve essere ricondotta la prima traslazione delle reliquie dei martiri locali Faustino e Giovita, avvenuta intorno all‘816, dalla chiesa suburbana ad sanguinem alla basilica che fu a loro dedicata all‘interno della cinta muraria e che, pochi decenni dopo, sarà affiancata da un monastero per iniziativa di Ramperto. I legami tra l‘episcopato cittadino e i vertici franchi, così tipici del periodo carolingio, sono una realtà tangibile anche a Brescia: nell‘813 Anfridio fu, infatti, incaricato dal messo imperiale Adalardo di presiedere ad una permuta tra San Salvatore e Nonantola in virtù della sua conoscenza della realtà locale.165 Del suo successore Pietro non sono sopravvissute attestazione coeve, sebbene Cinzio Violante si interroghi sulla possibile identità tra

l‟archipresbyter Petrus, attestato nel documento dell‘813, e l‘omonimo vescovo detentore della

cattedra episcopale bresciana.

La storia ecclesiastica cittadina gode di grande visibilità dal momento della salita al soglio pontificale di Ramperto. A lungo gli storici si sono interrogati sulla sua origine longobarda o franca: tuttavia, l‘identificazione, nella documentazione coeva, del fratello Cuniperto, così come quella di tre nipoti dai nomi inequivocabilmente longobardi, ha permesso di risolvere l‘enigma.166 Ramperto appartenne a una nobile famiglia di Brescia, dotata di un importante patrimonio fondiario. E‘ possibile che Ramperto abbia potuto soggiornare presso una delle maggiori scuole di formazione per la classe dirigente politico-amministrativa dell‘impero carolingio, Reichenau, dove forse si ritirò al termine della sua vita, come vorrebbe la più tarda tradizione bresciana.167 È indubbio che il vescovo seppe allacciare stretti e proficui rapporti con il mondo franco: nel documento di

165 CDL, ed. G. PORRO LAMBERTENGHI, n. 88. Cfr. M.BETTELLI BERGAMASCHI, Ramperto vescovo di Brescia (sec. IX)

e la Historia de translatione beati Filastrii, «Ricerche storiche sulla Chiesa ambrosiana» V (1975), pp. 48-137.

166 CDL, ed. G. PORRO LAMBERTENGHI, n. 163.

167 A.BARONIO, Il monastero di San Faustino nel Medioevo, in San Faustino Maggiore di Brescia. Il monastero della

fondazione del monastero di San Faustino è menzionato come suo vassallo il nobile Liutfredo, figlio del conte Ugo di Tours. Allo stesso modo Wofloz, vescovo di Costanza, ebbe una buona considerazione della cultura e della sensibilità religiosa del presule bresciano, come traspare in una delle sue lettere: a Ramperto Wofloz affidò, infatti, un chierico della sua diocesi, peraltro già istruito, affinché completasse a Brescia la sua formazione e qui prendesse gli ordini, se ritenuto degno.168 La stima di cui godeva Ramperto è confermata anche dall‘incarico, che questi ricevette da Lotario, di condurre un‘inchiesta sui beni di San Salvatore, insieme al vescovo Adalgiso e agli abati Prando e Gisleramno, spezzando infine l‘isolamento di cui godeva il monastero nei confronti del presule locale.169 Appare evidente che in quegli anni Lotario stesse cercando di sottrarre allo stretto controllo imperiale i monasteri di San Salvatore e San Benedetto di Leno permettendo loro di scegliere autonomamente il proprio superiore. Sono, infatti, gli anni dell‘allontanamento di Lotario dal centro dell‘impero in seguito alla riconquista della legittimità, e quindi del trono, da parte di Ludovico il Pio che il figlio maggiore aveva costretto alla penitenza pubblica e alla destituzione nell‘833. Il rafforzamento dell‘autorità episcopale bresciana è un tratto distintivo degli anni di Ramperto: la fiducia di cui godeva presso i vertici politici del regno, combinata ad una decisa attività di rilancio delle istituzioni cittadine e dei culti locali, contribuirono ad imporre la Chiesa di Brescia sulla scena ecclesiastica del regnum Italiae. Al collegamento con le élites carolinge si aggiungeva un legame ancora più stretto con la sede metropolitana milanese retta in quegli anni dal franco Angilberto II (824-859): al proprio arcivescovo Ramperto chiese di confermare l‘atto di fondazione e la dotazione del cenobio di San Faustino Maggiore (841), che contrariamente a San Salvatore, veniva posto sotto il controllo dell‘episcopato.170 D‘altronde, l‘iniziativa di affiancare un monastero alla basilica che ospitava i corpi dei martiri più rappresentativi della città è certamente debitrice del modello milanese: un‘analoga decisione era, infatti, stata presa a Milano decenni prima dall‘arcivescovo Pietro che aveva voluto istituire una fondazione cenobitica presso la chiesa di Sant‘Ambrogio, dove il prestigioso doctor milanese riposava insieme ai martiri da lui ‗inventati‘. Non sorprende dunque che Angilberto II abbia rapidamente ratificato la decisione del vescovo bresciano, davanti a tutti i suffraganei della cattedra ambrosiana, in occasione della sinodo provinciale convocata dallo stesso arcivescovo l‘anno successivo (842).171 L‘accordo tra Ramperto e il suo metropolita permise inoltre al presule bresciano di avvalersi di due eminenti personalità del mondo franco che su invito di Angilberto II si occuparono della riorganizzazione ecclesiastica e

168 MGH Epistolae Karolini Aevi, III, pp. 322-323. 169 CDL, ed. G. PORRO LAMBERTENGHI, n.130. 170 CDL, ed. G. PORRO LAMBERTENGHI, n. 140. 171 MGH Concilia Aevi Karolini, II, n. 62, pp. 814-815.

della riforma monastica nella diocesi milanese. I monaci di Corbie, Ildemaro e Leudegario, probabilmente giunti in Italia al seguito di Lotario, portarono a Brescia una forte impronta culturale transalpina, così come si occuparono del disciplinamento delle istituzioni cenobitiche cittadine.172 I due fratres ex Frantie partibus advenientes sono, infatti, ricordati nel documento di fondazione di San Faustino Maggiore ed il loro nome fu, poi, inserito nel Liber Vitae di San Salvatore:173 si trattò, tuttavia, di un soggiorno di breve durata, poiché i due monaci furono richiamati da Angilberto II e trasferiti, già nel 844, al monastero di San Pietro di Civate con l‘incarico di organizzare la vita della comunità cenobitica qui residente. Ramperto si rivolse allora al vescovo di Bergamo Aganone ottenendo l‘invio di un altro monaco di origine transalpina, Maginardo, proveniente dal monastero di Reichenau, che fu incaricato di continuare l‘opera cominciata da Ildemaro e Leudegario. I legami tra il cenobio alamanno e Brescia furono indubbiamente stretti, come testimonia la presenza di alcuni monaci di San Faustino tra le notitiae inserite nel Liber fraternitatis augiensis.174

All‘attività di riorganizzazione delle istituzioni religiose cittadine Ramperto affiancò il deciso rilancio del culto dei santi locali: la fondazione di San Faustino Maggiore fu, così, l‘occasione nell‘843 per una nuova traslazione, seppur nelle mura della stessa chiesa, delle reliquie dei martiri locali Faustino e Giovita. Anni prima, nell‘838, lo stesso Ramperto aveva provveduto al trasferimento del corpo di san Filastrio, vescovo bresciano del IV secolo, dalla chiesa suburbana di S. Andrea alla cattedrale iemale di Santa Maria: l‘avvenimento fu l‘occasione per la successiva redazione, da parte di Ramperto, di un sermo dedicato alla commemorazione dell‘evento.

La documentazione non permette di chiarire il momento della morte o del ritiro di Ramperto dal suo officio di episcopus:175 il 14 ottobre dell‘844 sedeva, però, sul seggio episcopale cittadino Notingo, che in quel giorno provvedeva alla deposizione delle reliquie di san Callisto, ottenute a Roma, nella chiesa estiva di San Pietro.176 Notingo, che aveva già occupato il seggio episcopale di Vercelli ed era, poi, stato eletto vescovo di Verona, è un ecclesiastico germanico di origine monastica. Godeva dell‘amicizia di Rabano Mauro che gli dedicò l‘operetta circa l‘eresia di Gotescalco, così come fu stimato da Grimaldo, abate di San Gallo (841-872), che gli indirizzò il

Psalterium optimum glossatum che più tardi passò all‘imperatrice Angelberga. Legato al nuovo

172 CDL, ed. G. PORRO LAMBERTENGHI, n. 140, col. 246.

173 Der Memorial- und Liturgiecodex von San Salvatore / Santa Giulia in Brescia, ed. D.GEUENICH e U.LUDWIG, MGH Libri Memoriales et necrologia. Nova Series, IV, Hannover, 2000, pp. 66, 106, 192.

174 Confraternitates Augienses, ed. P.PIPER, MGH, Liber confraternitatum sancti Galli, Augiensis, Fabariensis, p. 277. 175 La tradizione locale colloca la sua morte all‘11 giugno dell‘844 (cfr. B.FAINO, Coelum Sanctae Brixianae Ecclesiae, Brescia, 1658, p. 28), tuttavia alcuni studi recenti suggeriscono la possibilità del ritiro di Ramperto a Reichenau, dove avrebbe trascorso l‘ultimo periodo della sua vita (cfr. U.LUDWIG, Il codice memoriale e liturgico di San Salvatore / Santa Giulia. Brescia e Reichenau, in Culto e storia in Santa Giulia, G.ANDENNA (a cura di), Brescia, 2001, pp. 111, 118, n. 100).

imperatore Ludovico II, Notingo si recò con lui a Roma nell‘850 per assistere all‘incoronazione e successivamente, nell‘853, fu incaricato di ricondurre all‘obbedienza il cardinale di San Marcello che rifiutava di sottomettersi al papa Leone IV (847-855). Agli stretti legami con la famiglia imperiale del regnum Italiae si aggiungono i rapporti con il carismatico duca del Friuli Everardo al quale nell‘854 Notingo donò la preziosa reliquia di san Callisto portata anni prima da Roma. Negli ultimi anni del suo episcopato il vescovo bresciano è sovente richiamato oltralpe per adempiere alle sue funzioni di missus imperiale, come nell‘855 ad Aibling e nell‘858, insieme a Everardo, a Ulm.177

Alla sinodo provinciale convocata a Milano dall‘arcivescovo Tadone, forse nell‘859, partecipò il neoeletto Antonio I, il cui periodo di episcopato si estese per più di quarant‘anni. Da quel momento, parallelamente all‘allentamento dei lacci che tenevano unito l‘impero di Carlo Magno, anche la Chiesa di Brescia e i suoi monasteri non furono più centri attivi della politica imperiale in Italia, e ciò malgrado la decisione di Ludovico II di porre il monastero di San Salvatore sotto il patronato della moglie Angelberga, che qui era stata educata.178 Antonio I tentò comunque di portare avanti la politica di valorizzazione edilizia delle fondazioni ecclesiastiche cittadine come testimonia la restaurazione e il decoro della cattedrale estiva di San Pietro dove il vescovo bresciano volle essere sepolto. Alla morte dell‘imperatore, Antonio I provvide al trasporto del suo corpo nella cattedrale di Santa Maria presso l‘altare di san Filastrio, dove avrebbe dovuto essere tumulato: l‘intervento fulmineo del metropolita milanese Ansperto privò, però, Brescia della salma prestigiosa che venne sepolta con tutti gli onori nella basilica ambrosiana. Le lotte per la successione all‘impero negli anni successivi alla morte di Ludovico II coinvolsero anche la città bresciana: le truppe di Carlo II, figlio minore di Ludovico il Germanico, giunto a Brescia per contrastare il trionfo dello zio Carlo il Calvo e preparare il terreno al proprio fratello Carlomanno, violarono le mura claustrali di San Salvatore prelevando il tesoro delle monache e quello di Angelberga ad esse destinato, commettendo il sacrilegio di usare i vasi sacri ad usus proprios.179 L‘anno successivo la fondazione monastica femminile subiva un ulteriore oltraggio: il conte Bosone di Vienna, rappresentante di Carlo il Calvo, rapiva la figlia di Ludovico II ed Angelberga qui rinchiusa.180 Antonio I poteva solo cercare di adattarsi alle circostanze: se nell‘877 sottoscriveva il testamento dell‘imperatrice, a fine maggio dello stesso anno sceglieva di raccogliere l‘invito del papa Giovanni VIII a presentarsi a Roma insieme ad Ansperto, e agli altri vescovi del regnum, convocati per assicurare al nuovo imperatore

177 Cfr. Die Urkunden Ludwigs des Deutschen, ed. P. KEHR, MGH Diplomata Regum Germaniae ex Stirpe

Karolinorum, I, n. 72, p. 101; Annales Fuldenses auctore Ruodolfo, MGH SRG in usum scholarum, VII, p. 48.

178 CDL, ed. G. PORRO LAMBERTENGHI, n. 245. 179 MGH Epistolae, VII, n. 43, pp. 41-42.

Carlo il Calvo l‘adesione dei presuli italici.181 La morte del nipote di Carlo Magno nello stesso 877 avrebbe tuttavia reso vano ogni tentativo di ricostituire l‘unità sempre più precaria dell‘impero.