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4. Pavia La „capitale punita'

4.3. Il periodo carolingio (fine VIII-IX secolo)

L'indiscussa supremazia di Pavia si incrinò nel 774 quando l'ultimo sovrano longobardo, Desiderio, aprì le porte della città a Carlo Magno. La resistenza opposta dalla città agli assedianti franchi e, più probabilmente, l'attaccamento di Pavia al proprio prestigioso passato di capitale del regno longobardo decretarono la sua declassazione rispetto a Milano, prediletta da Carlo Magno durante i suoi soggiorni in terra italica e ricordata nel testamento del sovrano franco, nel quale invece non trovò spazio Pavia. Mentre il monastero di Sant'Ambrogio riceveva, immediatamente dopo la sua nascita, un diploma di Carlo Magno, nessuna fondazione ecclesiastica pavese vide confermati i propri possessi per tutto l'ultimo quarto dell'VIII secolo.291

I termini della competizione tra Milano e Pavia si ribaltavano: la città perdeva il suo status di capitale e con esso i caratteri che la rendevano tale, come la presenza delle sepolture regie. È con ogni probabilità a Milano che fu sepolto nell'810 Pipino e qui, due anni dopo, veniva designato re del regnum langobardorum il suo figlio illegittimo, Bernardo.

Il ruolo subalterno di Pavia rispetto a Milano appare confermato anche dai dati offerti dallo studio della monetazione: l‘attività della zecca pavese fu ridotta, se non addirittura sospesa, mentre il conio delle monete regie veniva trasferito anch‘esso nell‘antica capitale romana.292 È pur vero che nel 799 Alcuino saluta Pavia con l‘epiteto di «civitas regalis» ed Erchemperto ricorda «Pipino

290 Liber Pontificalis, ed. L.DUCHESNE, I, p. 474. 291 MGH Dipl. Kar. I, n. 164, pp. 221-222.

292 Le emissioni del tremisse d‘oro di Carlo Magno offre un chiaro esempio della supremazia milanese : se per Milano si possono contare ventitre diverse coniazioni, solo una può essere ricondotta alla città di Pavia (vd. Corpus Nummorum

Italicorum, V, Lombardia, Roma, 1914, pp. 2-5 e ibidem, IV, Lombardia: Zecche minori, Roma, 1913, p. 466; cfr. A.

regnante in Ticino et Grimoaldo presidente in Benevento», così come non può essere trascurato che l‘unico capitolare noto di Pipino fu promulgato nel 787 a Pavia.293 La città rimase, dunque, una «sedes regia», ma perdeva il ruolo di centro di conservazione della memoria del regnum: il testimone era ora passato a Milano.

Assai poco documentata è la storia dell'episcopato pavese nella transizione tra dominazione longobarda e franca: solo alcuni dei vescovi ricordati nelle liste episcopali bassomedievali sono attestati nella documentazione coeva.294 Lo studioso inglese Donald Bullough è, tuttavia, riuscito a ricostruire il profilo di Pietro II, primo vescovo di età carolingia: la sua figura si rivela estremamente interessante per la valutazione del periodo di transizione della Chiesa pavese dalla dominazione longobarda a quella franca.

Pietro II è sicuramente vescovo di Pavia nel 785 (o al più tardi 787): in una lettera raccolta nel

Codex Carolinus, papa Adriano I (771-†795) fa riferimento al suo ruolo di missus per Carlo Magno.

Dunque nel decennio successivo alla conquista del regnum, sulla cattedra pavese, come peraltro in altre città episcopali del Nord Italia, sedeva un uomo di fiducia del sovrano franco.295 Convincente appare inoltre la proposta dello storico inglese di identificare Petrum reverentissimum et

sanctissimum fratrem, iam et coepiscopum nostrum, inviato nel 781 al papa Adriano affinché

ricevesse la consacrazione episcopale, con il vescovo di Pavia: Pietro II sarebbe dunque stato mandato a Roma proprio da Carlo Magno per essere unto dal pontefice romano, che accondiscese di buon grado alla richiesta e anzi pregò il sovrano franco di amplius exaltare colui che era stato ordinato dalla sede apostolica, sicuti mos antiquitus fuit. Ritorna ancora una volta il motivo dell'antichità della consacrazione romana dei presuli pavesi e della particolare condizione di eminenza del vescovo unto dal pontefice romano.296 Bullough propone inoltre, in maniera convincente, di riferire a Pietro II l'epitaffio detto 'di Teodoro' nel quale si ricorda la carriera del presule pavese che proprio grazie alla benevolenza di Carlo Magno poté rientrare a Pavia, dalla

293 Per il capitolare di Pipino, vd. MGH Capitularia regum Francorum, I, doc. 94, p. 198; sulle testimonianza di Alcuino e Erchemperto vd. ALCUINUS, Epistolae, ed. E.DÜMMLER, MGH Epistolae Carolini Aevi, II, n. 172, p. 285; ERCHEMPERTUS, Historia Langobardorum Beneventanorum, MGH SRLI, c. 6, p. 236.

294 Sui vescovi del tardo periodo longobardo e dei primi decenni di dominazione carolingia vd. D.A.BULLOUGH, I

vescovi di Pavia nei secoli ottavo e nono cit., pp. 317-328.

295 MGH Epistolae, III, n. 97, p. 648.

296 Vale la pena, nel caso presente, riportare l'intero paragrafo della lettera relativo alla consacrazione romana di Pietro:

Nectareas mellifluasque regalis excellentiae vestrae per harum transvectorem Petrum reverentissimum et sanctissimum fratrem, iam et coepiscopum nostrum, suscepimus syllabas; in quibus de eius ordinatione reperientes, ilico benigne voluntantis vestris mandatis, sicut soliti sumus, implevimus. Quem petimus pro amore beati Petri apostolorum principis, fautoris vestri, et nostra in vobis firma dilectione, in omnibus eum tuentes, amplius illum exaltare dignemini: sic enim decet ut qui ab apostolica sede ordinatus fuerit, omnibus in onore canonicae institutionis, sicuti mos antiquitus fuit, partibus illis praecellit (MGH Epistolae, III, n. 70, p. 600).

quale era stato allontanato e dove aveva precedentemente ricoperto la carica di arcidiacono.297 Pietro sarebbe dunque un pavese schieratosi con Carlo Magno, scelta di campo che gli permetterà di ottenere la cattedra episcopale cittadina e di rappresentare gli interessi del sovrano in qualità di

missus.

Se la città di Pavia appare nel suo complesso 'punita' da Carlo Magno nei decenni immediatamente successivi alla conquista, l'episcopato cittadino sembra al contrario aver goduto di buoni rapporti con il sovrano franco. Ancora una volta era la carta della continuità ad essere giocata:298 educato da Pietro I, vescovo a Pavia approssimativamente tra 720 e 740 e consanguineus del re longobardo Liutprando, Pietro II è reintegrato nella comunità ecclesiastica pavese, dopo essere stato condannato ad un ingiusto esilio, grazie all'intervento di Carlo Magno rex magnus

optimus et benignus.

Pochi anni dopo il sovrano franco si rivolgerà ancora una volta a papa Adriano I per ottenere la consacrazione di Waldo a pastor sanctae matris ecclesiae ticinensis.299 La carriera di Waldo, ecclesiastico d'oltralpe, era peraltro fortemente radicata sul suolo italico, dove si era mosso al servizio del monarca franco in qualità di baiolus atque praecipuus operator.300 Una carica che lo vedeva agire nel ruolo di principale agente del re, probabilmente sia in questioni secolari che religiose, e verosimilmente anche in quello di 'tutore' nei confronti del giovanissimo Pipino al quale era stato affidato il governo dell‘ex regnum langobardorum. Waldo, a differenza degli altri baiuli attestati nella documentazione, aveva ricevuto la sua prima educazione in terra anglosassone; nel 770 ricopriva la carica di diacono a San Gallo, dove lavorò in qualità di redattore delle carte del cenobio e di copista. Eletto abate presso il monastero alamanno, fu in seguito costretto dal vescovo di Costanza ad allontanarsene e a rifugiarsi a Reichenau, dove fu ordinato abate nel 786. La sua straordinaria carriera lo porterà a guadagnare nell'806 l'abbaziato della fondazione maggiormente legata alla dinastia carolingia, San Denis. L'episcopato di Waldo a Pavia sembra legato al periodo in cui questi ricopriva la carica di abate a Reichenau e, se prestiamo fede alla cinquecentesca cronaca di Gallus Ohem, l'ecclesiastico carolingio non fu mai consacrato vescovo da papa Adriano I.301 Il suo episcopato durò probabilmente una decina d'anni: l'allusione di Gallus Ohem alla moglie di Pipino lascerebbe pensare che intorno al 790, data alla quale può essere fatto risalire il matrimonio

297 MGH Poetae Latini Aevi Carolini, I, p. 101-102.

298 Cfr. F.E.CONSOLINO, La poesia epigrafica a Pavia longobarda nell'VIII secolo, in Storia di Pavia, II, pp. 175-176. 299 E.MUNDING, Königsbrief Karls der Grosse an Papst Hadrian über abt-bischof Waldo von Reichenau-Pavia, Lipsia, 1920, p. 3 [Texte und Arbeiten herausgegeben durch die Erzabtei Beuron, 1° serie, 6].

300 La carriera di Waldo è efficacemente presentata in D. A. BULLOUGH, 'Baiuli' in the Caroligian 'regnum

Langobardorum' and the career of Abbot Waldo († 813), «The English Historical Review» LXXVII (1962), pp. 625-

637.

del giovane sovrano franco, Waldo era ancora vescovo di Pavia. Agli anni novanta dell'VIII secolo risale in ogni caso il suo ritorno oltralpe e la carica di baiulus presso Pipino venne affidata al laico Rotchildo.

La storia episcopale pavese è a questo punto caratterizzata, ancora una volta, da un vuoto documentario che investe pressoché tutta la prima metà del IX secolo. Al silenzio delle fonti si aggiunge una certa reticenza della comunità scientifica ad occuparsi della storia ecclesiastica cittadina durante il primo periodo carolingio: dei due vescovi successori a Waldo – che non è menzionato in nessun catalogo episcopale pavese forse a causa della mancata consacrazione papale – non si è conservato niente di più che il nudo nome, Giovanni e Sebastiano. L‘unica menzione relativa a quegli anni è estranea alla città ticinese: in due manoscritti contenenti la registrazione degli atti della sinodo romana dell‘826 è, infatti, possibile leggere il nome di Sebastiano episcopus

Ticinensis tra i partecipanti ai lavori conciliari.302

Il silenzio delle fonti relative alla cattedra episcopale pavese, per tutta la prima metà del IX secolo, è tuttavia sorprendente, poiché al secondo quarto del IX secolo deve essere ricondotto il ritorno alla visibilità della città nella documentazione coeva. La 'punizione pavese' fu, infatti, sollevata da Lotario I che dall'830 risedette nella città e che, in diverse occasioni, beneficiò le istituzioni ecclesiastiche cittadine.303 Già nell‘825 nell‘azione di riforma del sistema scolastico del

regnum, Pavia ritrovava la propria posizione egemone.304 Il bacino di attrazione della città comprendeva i centri più importanti dell‘Italia nord-occidentale: da Milano, Brescia, Lodi, Bergamo, Novara, Vercelli, Tortona, Acqui, Genova, Asti e Como gli studenti erano diretti verso Pavia, dove dimorava il magister irlandese Dungal, uomo dell‘entourage dei sovrani carolingi residente probabilmente nel monastero di San Pietro in Cielo d‘Oro. Il distretto di affluenza decretato dal capitolare non aveva rivali: Pavia emerge nettamente come il maggiore centro

302 Concilium romanum, MGH Concilia, II/2, p. 562. L‘identificazione dell‘episcopus Sebastiano con il presule pavese è registrata solo in due manoscritti (il codice fiorentino Laur. Aedil. 82 e un codex Guelferbytanus inter

Blankenburgenses 130, appartenente alla Chiesa di Augusta, entrambi allestiti nel X secolo). Peraltro la presenza del

vescovo pavese è sorprendente in un contesto in cui sono solo i presuli delle diocesi dell‘Italia centrale ad avere partecipato al concilio. Se il documento suscita qualche perplessità sulla partecipazione di Sebastiano alla sinodo, potrebbe, invece, considerarsi un indizio probante l‘accostamento proposto, nel X secolo, tra Sebastiano e l‘episcopato ticinese: nell‘incertezza dell‘identificazione (il manoscritto più antico contenente gli atti del concilio, Vat. Lat. 1342, riporta una versione evidentemente corrotta, «Sebastianus episcopus Burense»), i copisti, evidentemente informati della presenza a Pavia di un Sebastiano vescovo negli anni in cui fu convocata la sinodo, proposero l‘accostamento tra il nome che trovavano registrato negli atti della sinodo e il detentore della cattedra episcopale pavese. La relativa prossimità temporale, un secolo di scarto, tra il concilio e l‘allestimento dei due codici, induce a prestar fede all‘identificazione suggerita dagli atti: è verosimile, dunque, che un Sebastiano sedesse sulla cattedra ticinese negli anni venti del IX secolo.

303 Sul governo di Lotario I in Italia vd. J.JARNUT, Ludwig der Fromme, Lothar und das Regnum Italiae, in P.GODMAN andR.COLLINS (a cura di), Charlemagne‟s Heir: New Perspectives on the Reign of Louis The Pious, Oxford, 1990, pp. 349-362.

304 MGH Capitularia regum Francorum, I, pp. 326-327: primum in Papia conveniant ad Dungallum de Mediolano, de

scolastico del regnum. Non è chiaro se la schola pavese, identificata nel capitolare con il suo esponente di punta, coinvolgesse anche l'antica scuola episcopale o se, al contrario, il riferimento interessasse esclusivamente la schola diretta dal teologo carolingio. L‘egemonia culturale di

Ticinum fu riconosciuta a spese della stessa Milano rivelando quanto il figlio di Ludovico il Pio, da

pochi anni presente stabilmente sul suolo italico, avesse deciso di puntare su Pavia. La dedica di un

carmen di Walafrido Strabone (†849) ad un non altrimenti identificato Gotabertus italicus,

promettente giovane ticinese al quale il precettore di Carlo il Calvo augura di uguagliare la fama di Cicerone, lascia intravedere l'importanza di Pavia quale centro di studi dell'Italia settentrionale in grado di offrire un'alta e qualificata formazione a giovani che, grazie alla cultura acquisita, avrebbero potuto rivaleggiare con i giganti dell'antichità.305 Aldo Settia suggerisce che la sede dell'insegnamento potrebbe essere stata collocata presso il palazzo regio, piuttosto che all'interno delle mura claustrali del monastero di San Pietro in Cielo d'Oro: la menzione specifica del cenobio pavese nei Gesta Karoli Magni di Notkero Balbulo potrebbe semplicemente significare che il

magister inviato a Pavia da Carlo Magno ebbe in beneficio il monastero, ma non necessariamente

avrebbe dovuto risiedere tra le sua mura e qui insediare la sua scuola.306 La presenza sul suolo italico di intellettuali di formazione transalpina non si limitò all'invio di un solitario maestro irlandese: il lascito di libri donati al monastero di Bobbio da Dungal attesta la presenza di una nutrita schiera di scribi educati oltralpe, o quanto meno formati alla scrittura in un ambiente fortemente marcato dalle norme paleografiche e dalle tecniche codicologiche tipiche dell'Ile-de- France.307 Pavia fu certamente al centro di una rete di relazioni, il cui fulcro era indubbiamente il

magister irlandese Dungal, che permise l'approdo nella città padana di codici redatti in carolina

presso il monastero regio di Saint-Denis. Su questi esemplari si formò tutta una generazione di

scriptores pavesi, i cui risultati possono essere apprezzati non solo nei codices compilati

localmente, ma anche nelle sottoscrizioni ai documenti pubblici e privati redatti nei decenni immediatamente successivi.

Al periodo pavese di Dungal, con ogni probabilità all‘827, va inoltre ricondotta la commissione imperiale dei Responsa contra perversas Claudii Taurinensi episcopi sententias, redatti su diretta

305 MGH Poetae Latini Aevi Carolini, II, pp. 386-387.

306 Cfr. NOTKERUS BALBULUS, Gesta Karoli Magni imperatoris, ed. H.F.HAEFELE, pp. 2-3 (cfr. A.A.SETTIA, Pavia

carolingia cit., pp. 113-114).

307 Per un'analisi autorevole ed approfondita del corpus di manoscritti legati al magister irlandese vd. M.FERRARI, In

Papia conveniant ad Dungalum cit.; J.VEZIN, Observations sur l'origine des manuscripts légués par Dungal à Bobbio, cit. Per una presentazione sintetica della produzione libraria in area pavese, vd. E.CAU e M.A.CASAGRANDE MAZZOLI, Cultura e scrittura a Pavia (secoli V-X), in Storia di Pavia, II, in particolare sull'epoca di Dungal pp. 192-200.

domanda di Ludovico il Pio e Lotario I.308 Dungal, insieme a Giona d‘Orleans, fu il portavoce della risoluta reazione carolingia all‘eresia iconoclastica che, dopo aver conquistato l‘Oriente bizantino, aveva trovato in Occidente il sostegno dell‘energico Claudio, vescovo di Torino. Nel suo

Apologeticum atque rescriptum Claudii Taurinensis adversus Theutmirum abbatem, il presule

torinese, probabilmente originario della Spagna, aveva infatti criticato apertamente, tacciandole di essere pratiche superstiziose, la venerazione delle immagini dei santi così come il culto deputato a corpi morti ed oggetti inanimati.309 La riflessione teologica di Dungal, mirata a confutare la linea di pensiero di Claudio, non poteva non influenzare l‘entourage pavese di alumni e collaboratori, transalpini e italici, che si formarono sotto la sua direzione: i leitmotiv della posizione anti- iconoclastica di Dungal riecheggiano, infatti, nella seconda agiografia dedicata al vescovo ticinese Siro, la Translatio sancti Syri. Sulla questione si tornerà a tempo debito.

Al ritrovato ruolo egemone nel campo culturale si unì ben presto la leadership politica: dall‘832 all‘840 Lotario I risedette con una certa continuità a Pavia e a quegli anni risalgono un capitolare e numerosi diplomi emessi «in Papia civitate in palatio regio».310

Il favore accordato da Lotario alla città pavese si tradusse in un‘intensa campagna di appoggio alle fondazioni ecclesiastiche cittadine: il monastero femminile di Santa Maria Teodote riuscì a ottenere ben quattro diplomi, mentre alla figlia Gisla fu concessa l‘abbazia «della Regina».311 Il rilancio della città di Pavia passò anche attraverso la valorizzazione del culto del protovescovo pavese Siro le cui reliquie furono trasferite dalla chiesa extramuranea dedicata ai santi Gervasio e Protasio alla basilica di Santo Stefano all‘interno delle mura cittadine.312 Alla stessa temperie si riconduce la fondazione del monastero di Santa Maria e San Martino fuori dalla porta Palatina.

Se è evidente il ruolo giocato dal monarca nel rilancio della città, più oscuro appare l‘apporto dei vertici ecclesiastici pavesi. Nulla si sa del vescovo Donumdei che avrebbe promosso la traslazione delle spoglie di san Siro: la stessa datazione del suo episcopato è controversa, così come la risoluzione del problema della sua identità. Nessun vescovo con questo nome è, infatti, ricordato nelle più tarde liste episcopali della città, rendendo estremamente ardua la collocazione nel tempo

308 Per la recente edizione del trattato di Dungal, accompagnata da un‘esauriente presentazione della personalità e dell‘opera del monaco irlandese, vd. DUNGAL, Responsa contra Claudium, ed. P.ZANNA, Responsa contra Claudium. A Controversy on Holy Images cit.

309 Dell‘Apologeticum di Claudio si sono conservati solo alcuni frammenti, mentre l‘opera originariamente indirizzata dal vescovo di Torino all‘abate Teodemiro doveva essere molto più imponente (cfr. Apologeticum atque rescriptum

Claudii episcopi adversus Theutmirum abbatem, ed. P.ZANNA, pp. 274-291).

310 MGH Lotharii I et Lotharii II Diplomata, MGH Dipl. Kar., III, n. 22, 24, 26, 27, 28, 33, 34, 37, 38, 39, 41. 311 MGH Lotharii I et Lotharii II Diplomata, MGH Dipl. Kar., III, n. 12, 22, 38, 59, 115.

312 Sulla valorizzazione del culto di Siro vd. A.M.ORSELLI, La città medievale e il suo santo patrono. (Ancora una

volta) Il “campione” pavese‟, in EADEM, L‟Immaginario religioso della città medievale, Ravenna, 1985, pp. 245- 327.L‘azione traslazionale è all‘origine del racconto agiografico, la Translatio sancti Syri (BHL 7978), di cui sarà questione più avanti.

della translatio.313 Alba Maria Orselli suggerisce di collocare gli anni di Adeodato tra l‘829/30 e l‘840/41, ammettendo tuttavia che ad oggi non è possibile fornire una prova definitiva a conferma di questa ipotesi.314

Le vicissitudini dell‘impero avevano ormai portato Lotario fuori dai confini del regnum e fu suo figlio, Ludovico II (†875) a raccogliere l‘eredità italica e ad impiantarsi stabilmente nella penisola. Pur attratto verso Roma ed il sud, che lo videro impegnato in ripetute campagne belliche, il primo imperatore italico sembra considerare Pavia quale sede del suo governo: nella città erano, infatti, convocate le assemblee le cui decisioni, organizzate nei capitolari, erano estese a tutto il regno. Come il padre, Ludovico II fece dono alla propria moglie del monastero «della Regina» e continuò la politica di appoggio nei confronti di Santa Maria Teodote, che nel 871 otteneva il permesso di fortificarsi.315 Con gli anni di regno di Ludovico coincide anche la documentata sintonia tra sovrano e vescovo pavese: Liutardo, attestato tra 841 e 864, fu in stretti rapporti con i monarchi carolingi e al suo episcopato possono essere ricondotte le origini del patrimonio vescovile pavese.316

Con la morte di Ludovico II nel 875 iniziava per il Nord Italia un periodo di grandi disordini che avrebbe visto succedersi sul trono imperiale gli ultimi esponenti della famiglia carolingia: allo stesso modo, la città di Pavia ospitò i diversi pretendenti all‘impero e prese anch‘essa attivamente parte ai tumultuosi eventi che segnarono la fine dell‘età carolingia in Italia.