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Biopolitica affermativa

Nel documento Biopolitica e libertà in Michel Foucault (pagine 91-97)

P ENSARE UNA BIOPOLITICA AFFERMATIVA

4.1. Biopolitica affermativa

1. L’analisi del paradigma biopolitico ci ha permesso di rilevarne l’estensione generalizzata e il funzionamento tecnologico. La medicalizzazione, che costituisce il suo nucleo essenziale, è diventata, secondo Foucault, senza esterno, perché niente è capace di resisterle. Nemmeno l’anti- medicina, che programmaticamente le si oppone, può fare a meno di utilizzare la medesima forma di razionalità della medicina ufficiale. Le resistenze sembrano votate alla eterna auto-referenzialità. La prospettiva di una medicalizzazione indefinita conduce Foucault a mettere in luce soltanto gli esiti tanatologici della biopolitica, il suo potere di morte.

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, le forme della resistenza che è possibile rinvenire nei testi di Foucault sono essenzialmente quelle di un corpo che risponde come “organismo” al potere disciplinare, ed un “popolo” o una “plebe”, moltitudine indisciplinata, che al biopotere oppone la propria forza di inerzia. Esse corrispondono ai due poli del biopotere analizzati da Foucault: il corpo come forma di resistenza di fronte ad un anatomo-potere; la plebe che resiste e talvolta blocca e rovescia la presa dei controlli massivi. A queste due fondamentali forme di resistenza, immanenti al campo biopolitico, occorre aggiungerne una terza, che appare nella

Volonté de savoir soltanto sullo sfondo, senza venire richiamata ed analizzata esplicitamente. Al

dispositivo di sessualità, sembra infatti che si opponga una non ben precisata “arte erotica”. Richiamiamo brevemente i passaggi in questione. Foucault afferma che «Nell’arte erotica la verità è estratta dal piacere stesso, considerato come pratica e raccolto come esperienza; non è in relazione ad una legge assoluta del lecito e del proibito, non è affatto facendo riferimento ad un criterio di utilità che il piacere viene preso in considerazione; ma, è innanzitutto rispetto a se stesso che deve esser conosciuto come piacere, dunque secondo la sua intensità, la sua qualità specifica, la sua

durata, le sue riverberazioni nel corpo e nell’anima. Meglio ancora: questo sapere deve essere riversato successivamente nella pratica sessuale stessa, per agire su di essa come dall’interno ed amplificarne gli effetti... Gli effetti di quest’arte magistrale, ben più generosi di quanto non lo farebbe supporre l’aridità delle sue ricette, devono trasfigurare colui sul quale fa cadere i suoi privilegi: padronanza assoluta del corpo, godimento unico, dimenticanza del tempo e dei suoi limiti, elisir di lunga vita, esilio della morte e delle sue minacce»205. Foucault conclude questa descrizione

dell’arte erotica affermando che essa, conosciuta nelle società occidentali antiche (Greci e Romani), cinesi giapponesi e arabo-musulmane, a partire dall’affermazione del cattolicesimo è stata investita da un processo di ininterrotta regressione, fino ad essere esercitata oggi soltanto da pochi individui e in ambiti ristretti. Quando, concludendo questo primo volume della Histoire de la sexualité, Foucault fa allusione ad «un’altra economia dei corpi e dei piaceri» - in cui il dispositivo di sessualità, e con esso tutti i controlli del biopotere, sarebbero resi inefficaci -, è proprio all’arte erotica che sta facendo riferimento come istanza capace di neutralizzare il controllo biopolitico. Qui però, come dicevamo, il tema viene soltanto presentato, senza essere sottoposto a verifica. Esso rimarrà, almeno fino al 1980, lettera morta, per poi essere ripreso e rielaborato in una prospettiva unitaria. Per il momento limitiamoci a constatare che La volonté de savoir costituisce un crocevia in cui si sovrappongono due strategie di liberazione possibile, l’arte erotica – intesa come rapporto a sé e soggettivazione -, e la vitalità della vita.

Se adesso ripensiamo la materialità del corpo e della plebe, considerandole figure della “vita” - di un “diritto” alla vita rivendicato dallo stesso Foucault nella sua veste enigmatica e allo stesso tempo evocativa -, e tentiamo di inserirle in un orizzonte concettuale più vasto, sarà forse possibile individuare una nuova chiave di lettura del paradigma biopolitico, che dischiuda altre possibilità per le resistenze. La questione della vita: è questo il punto di vista obbligato dal quale ripensare la biopolitica di Foucault al fine di individuare una dinamica capace di prescindere dai suoi esiti mortiferi.

2. È giunto allora il momento di porre il problema della biopolitica in termini affermativi. Questo proposito sottende una domanda essenziale, che è la seguente: quali possibilità ci sono, per il biopotere, di prescindere dagli esiti mortiferi che lo hanno caratterizzato nel corso del XX secolo, e quali soluzioni capaci di aprire contro di esso lo spazio per una biopolitica affermativa? A Roberto Esposito va sicuramente il merito di aver impostato i termini per un’analisi affermativa della biopolitica foucaultiana. Egli ha sostenuto che la costruzione della problematica biopolitica compiuta da Foucault è viziata da una aporia e da un’indecisione interna che non ne permettono uno

sviluppo lineare. Foucault ci offre differenti soluzioni possibili ai dilemmi della biopolitica contemporanea, senza però mai prendere partito in modo univoco per una di esse, in ciò rimanendo fedele al proprio ideale di teorico “negativo”. Per coloro i quali intendono avventurarsi sugli stessi sentieri, non rimane che esplorare e continuare il percorso da lui avviato, in maniera autonoma, cercando di completare i quadri teorici che Foucault nei suoi testi ha soltanto indicato. Secondo Esposito, la politica contemporanea ha messo in rilievo una “doppia tendenza”, già individuata da Foucault nel corso degli anni ’70: «da un lato una crescente sovrapposizione tra l’ambito della politica, o del diritto, e quello della vita, dall’altro un’implicazione altrettanto stretta, che sembra derivarne, nei confronti della morte. È esattamente il tragico paradosso sul quale Michel Foucault, in una serie di scritti risalenti alla metà degli anni settanta, si era interrogato: perché, almeno fino ad oggi, una politica della vita minaccia sempre di rovesciarsi in opera di morte? Credo si possa affermare – continua Esposito -, senza disconoscere la straordinaria potenza analitica del suo lavoro, che Foucault non abbia mai fornito una risposta esauriente a tale interrogativo – o meglio che abbia sempre esitato tra risposte diverse, a loro volta tributarie di differenti modi di impostare la questione da lui stesso sollevata. Le opposte interpretazioni della biopolitica – l’una radicalmente negativa e l’altra addirittura euforica – che oggi tengono il campo non fanno che assolutizzare, divaricandole, le due opzioni ermeneutiche tra le quali Foucault non si risolse mai a compiere una scelta di fondo»206.

Esposito dunque, attraverso una attenta analisi degli scritti di Foucault, ha sostenuto la necessità di continuare il lavoro teorico compiuto da Foucault, articolandolo però insieme alla riflessione di altri autori, che, operanti nel medesimo contesto culturale francese del dopoguerra, hanno analizzato in maniera più profonda il legame tra vita, società e politica. Egli sostiene che oggi «non è ormai concepibile altra politica che una politica della vita, nel senso oggettivo e soggettivo del termine. Ma proprio in merito al rapporto tra soggetto e oggetto della politica torna a riaffacciarsi la divaricazione interpretativa cui prima si alludeva: cosa vuol dire, come intendere, il governo politico della vita? Nel senso che la vita governa la politica o in quello che la politica governa la vita? Si tratta di un governo della o sulla vita? È la stessa alternativa concettuale che si può esprimere attraverso la biforcazione lessicale tra i termini, altre volte usati indifferentemente, di

206 R. Esposito, Bíos, cit., p. XII. Esposito qui si riferisce ai due paradigmi influenti sui quali si è orientato il dibattito

attuale sulla biopolitica, quello offerto da Agamben (Homo sacer) e quello elaborato da Hardt-Negri (Impero). Queste due prospettive, pur interessanti, hanno l’inconveniente di presentarsi come elaborazioni creative del pensiero di Foucault. Si tratta di due interpretazioni nel senso più radicale del termine, in quanto mettono in tensione i concetti di Foucault estendendoli anche ad ambiti che egli stesso non aveva mai affrontato nelle sue ricerche storiche (Agamben applica il paradigma biopolitico al “campo” di concentramento nazista, Negri all’ambito del lavoro “post-moderno”), e rischiando, in questo modo, di fraintenderne la portata ermeneutica. Poiché nel presente lavoro ci proponiamo di studiare l’elaborazione teorica dei concetti di Foucault da un punto di vista interno al suo pensiero (cercando di individuare le soluzioni più coerenti con il suo svolgimento rispetto all’enigma costituito dalla biopolitica contemporanea), non ne faremo uso, privilegiando invece le ricerche di Esposito che si presentano più coerenti rispetto ai lavori del filosofo francese.

“biopolitica” e di “biopotere” – intendendo con il primo una politica in nome della vita e con il secondo una vita sottomessa al comando della politica»207.

Ci sembra che sia proprio questo il problema di fondo da cui oggi dobbiamo ripartire per interrogare il testo di Foucault, alla ricerca di uno spiraglio, di una possibile via di fuga, capace di prescindere dagli esiti tanatologici con cui appare inevitabilmente scontrarsi il suo pensiero: «Qual è l’effetto della biopolitica? A questo punto la risposta dell’autore sembra divaricarsi in due direzioni divergenti che chiamano in causa altre due nozioni, fin dall’inizio implicate nel concetto di bíos, ma situate agli estremi della sua estensione semantica: quella di soggettivazione e quella di

morte. Entrambe – rispetto alla vita – costituiscono più che due possibilità. Sono allo stesso tempo

la sua forma e il suo sfondo, la sua origine e la sua destinazione. Ma in ogni caso secondo una divergenza che sembra non ammettere mediazioni: o l’una o l’altra. O la biopolitica produce soggettività o produce morte. O rende soggetto il proprio oggetto o lo oggettiva definitivamente. O è politica della vita o sulla vita»208. Foucault, secondo Esposito, rimane impigliato in un’aporia che

non consente in alcun modo di risolvere, a partire dai testi stessi, la fondamentale indecidibilità del paradigma biopolitico. Esso si manifesta come il potere di produrre e allo stesso tempo di distruggere i soggetti sui quali si esercita. Da una parte la biopolitica protegge e cura la vita degli individui, dall’altra, la espone continuamente al rischio dell’annientamento. La salute del corpo biologico è pagata al prezzo della morte di una parte di esso, attraverso una logica che appare pericolosamente vicina all’eugenetica messa in atto nei regimi totalitari del Novecento. Le questioni poste da Esposito ci sembrano fondamentali, in quanto sintetizzano il percorso di ricerca affrontato da Foucault mettendone in luce il lato problematico, e definendo al contempo le coordinate per ogni nuova lettura del suo pensiero. Per Esposito è fondamentale pensare una “biopolitica affermativa”, «una politica non più sulla, ma della, vita»209.

Nelle pagine che seguono cercheremo di mettere in luce alcuni aspetti “affermativi” della biopolitica, per poi tornare, al termine del capitolo, a confrontarci con i rilievi mossi da Esposito, al fine di valutarli criticamente. La questione della biopolitica “affermativa” rappresenta secondo noi il punto di vista fondamentale attraverso cui interrogare le pagine di Foucault. Soltanto una volta che saranno individuati gli elementi per una risposta possibile, saremo allora in grado di definire in maniera univoca il porsi della problematica della libertà all’interno della sua riflessione.

207 Ivi, p. 5. Nelle pagine precedenti (capitoli II e III) non abbiamo insistito, come fa Esposito, sulla sostanziale

eterogeneità dei termini “biopotere” e “biopolitica”, in quanto si tratta di una caratterizzazione che non appare altrettanto marcata negli scritti di Foucault.

208 Ivi, p. 25. 209 Ivi, p. XVI.

3. Per chiunque voglia porre la questione della biopolitica affermativa, vi è un punto di partenza quasi obbligato, costituito dal quinto capitolo della Volonté de savoir. Qui Foucault enuncia in maniera pregnante ed allusiva al tempo stesso, i caratteri della vita pensata come istanza capace di contrapporsi alla biopolitica e alla sua oggettivazione:

Se possiamo chiamare “bio-storia” le pressioni attraverso le quali i movimenti della vita ed i processi della storia interferiscono gli uni con gli altri, bisognerà parlare di “bio-politica” per designare quel che fa entrare la vita ed i suoi meccanismi nel campo dei calcoli espliciti e fa del potere- sapere un agente di trasformazione della vita umana; questo non significa che la vita sia stata integrata in modo esaustivo a delle tecniche che la dominano e la gestiscono; essa sfugge loro senza posa... Se il problema dell’uomo è stato posto nella sua specificità di vivente e nulla sua specificità rispetto ai viventi, la ragione va cercata nel nuovo tipo di rapporto fra la storia e la vita: in questa duplice posizione della vita, che la mette contemporaneamente all’esterno della storia, come suo limite biologico, e all’interno della storicità umana, penetrata dalle sue tecniche di sapere e di potere.210

Il quinto postulato dell’analitica del potere consiste, come abbiamo visto, nell’individuazione delle resistenze sullo stesso piano di immanenza in cui si attuano le relazioni di potere, all’interno cioè del suo campo materiale di esercizio. Esso definisce il campo della resistenza come coestensivo all’azione del potere: «là dove c’è potere c’è resistenza e che tuttavia, o piuttosto proprio per questo, essa non è mai in posizione di esteriorità rispetto al potere. Bisogna dire che si è necessariamente “dentro” il potere, che non gli si “sfugge”, che non c’è, rispetto ad esso, un’esteriorità assoluta»211.

L’analisi dello statuto delle resistenze deve quindi ripartire dalla Volonté de savoir. Se il potere si fa bio-potere, contro di esso insorgeranno spontaneamente delle “bio-resistenze” e delle “bio-libertà”. È nella vita, nel suo movimento, che, in ultima analisi, devono essere individuate le forme del contro-potere. Ma che cosa intende Foucault quando parla della vita “resistente”? Quale ne è il concetto? La vita detiene un duplice statuto, che la pone, da una parte, come “limite biologico” all’avanzata dei biopoteri, e, dall’altra, come oggetto pieno di “storicità”, cioè come un elemento che si sviluppa già-da-sempre in una relazione determinata con il sapere-potere biopolitico. Ancora una volta ci troviamo di fronte a quella “indecidibilità” sullo statuto della vita rilevata da Esposito. Foucault marca ancora più a fondo questa antinomia affermando che:

Contro questo potere ancora nuovo nel XIX secolo, le forze che resistono si sono appoggiate proprio su quello ch’esso investe – cioè sulla vita e sull’uomo in quanto essere vivente. Dal secolo scorso le grandi lotte che

210 VS, p. 188, corsivo nostro. 211 VS, pp. 125-126.

mettono in questione il sistema generale di potere non si fanno più in nome di un ritorno agli antichi diritti, e in funzione del sogno millenario di un ciclo dei tempi e di un’età dell’oro. Non si aspetta più l’imperatore dei poveri, né il regno degli ultimi giorni, e nemmeno soltanto il ristabilimento di giustizie ritenute ancestrali; quel che si rivendica e serve da obiettivo è la vita, intesa come bisogni fondamentali, essenza concreta dell’uomo, realizzazione delle sue virtualità, pienezza del possibile. Poco importa che si tratti o no di utopie; abbiamo a che fare qui con un processo reale di lotta; la vita come oggetto politico è stata in un certo qual modo presa alla lettera e capovolta contro il sistema che cominciava a controllarla. È la vita, molto più del diritto, che è diventata allora la posta in gioco delle lotte politiche, anche se queste si formulano attraverso affermazioni di diritto. Il “diritto” alla vita, al corpo, alla salute, alla felicità, alla soddisfazione dei bisogni, il “diritto” a ritrovare, al di là di tutte le oppressioni o “alienazioni”, quel che si è e tutto quel che si può essere, questo “diritto” così incomprensibile per il sistema giuridico classico, è stata la replica politica a tutte queste nuove procedure di potere che, a loro volta, non partecipano del diritto tradizionale della sovranità.212

L’enigmatico “diritto” alla vita al quale fa appello Foucault come istanza capace di contrastare il biopotere sul suo stesso terreno, rimane indefinito e sfumato nei suoi contorni, tanto che non è possibile darne una definizione che non risulti allusiva e costitutivamente aperta. Ciò che è certo, è che questo diritto non dev’essere inteso in una cornice “riformista”, perché non si tratta di un diritto nel senso classico del termine. Esso non si prefigge, nei fatti, una modifica del sistema vigente, quanto la sua radicale destituzione. Non serve a nulla cercare di integrare la razionalità politica che presiede al funzionamento del biopotere continuando però a fare uso dei suoi stessi concetti, ma bisogna abbandonarla del tutto. Occorre dare alle forme di resistenza una diversa “teoria”, capace di mettere in moto una differente “logica” della resistenza, accantonando al contempo i modelli concettuali ereditati dalla tradizione.

Dai testi citati, in seconda battuta, emerge un’indicazione tattica importante: il bio-diritto deve integrarsi ad una “lotta” contro il biopotere, deve diventare cioè tattica di resistenza giocata sui corpi degli individui stessi. L’elemento della lotta rinvia ad una modalità generale di resistenza che è quella fondata nel modello della “battaglia” e della “guerra”, che Foucault analizza proprio nel corso del 1976. Nel prossimo capitolo torneremo su questo punto, cercando di evidenziare il doppio legame che sembra tenere la modellizzazione teorica del potere e l’individuazione delle forme di resistenza.

Per il momento limitiamoci a constatare, come fa correttamente Esposito, una “mancata, o insufficiente, elaborazione concettuale” del concetto di “vita” «che, per quanto descritto analiticamente nelle sue nervature storico-istituzionali, economiche, sociali, produttive, resta,

tuttavia, poco problematizzato in ordine al suo statuto epistemologico. Cos’è, nella sua essenza, la vita? E, prima ancora, la vita ha un’essenza – uno statuto riconoscibile e descrivibile fuori dalla relazione con le altre vite e con ciò che non è vita? Esiste una semplice vita – una vita nuda – o essa risulta fin dall’inizio formata, messa in forma, da qualcosa che la spinge oltre se stessa?»213. Gli

interrogativi di Esposito sono importanti, in quanto è proprio sul terreno della “vita”, della sua definizione e della sua conoscenza, che si gioca la partita tra il biopotere e le forze che resistono. Se non riusciamo a dare uno statuto univoco al concetto di vita non potremmo nemmeno dare un nome ed una forma a quelle resistenze, processi di liberazione e pratiche di liberta, che nascono e si sviluppano a partire da essa.

Se ciò che resiste al biopotere è la vita, se vi è un “vitalismo”, un’ontologia vitalista, alla base del pensiero di Foucault, allora vi dev’essere anche una libertà della vita. Deleuze ha colto perfettamente questo nesso, soprattutto nelle sue conseguenze per la teoria del soggetto. La forma di libertà che si delinea a partire dall’ontologia vitalista non è infatti in alcun modo una libertà- soggetto. Ciò che resiste è semmai il sostrato biologico a partire da cui prende forma la soggettività stessa. Si tratta dell’uomo non in quanto coscienza, ma come “individualità biologica”, singolarità somatica. Deleuze nota che «Quando, però, il potere assume come oggetto o obiettivo la vita, la resistenza al potere fa già appello alla vita e la rivolge contro il potere... La vita diviene resistenza al potere quando il potere assume ad oggetto la vita... Quando il potere diventa biopotere la resistenza diventa potere della vita, potere-vitale». Egli conclude il proprio intervento chiedendosi se non vi sia «un certo vitalismo al culmine del pensiero di Foucault»214. Nei paragrafi che seguono

cercheremo di mettere alla prova questa ipotesi, se cioè sia credibile ed efficace una libertà della

vita contro la logica del biopotere. La prima forma di libertà che dovremmo definire è quindi una

libertà della vita in quanto inscritta in un individuo concreto, un vivente. Questa analisi dovrà evidenziare come il concetto di libertà di cui Foucault fa uso sia declinato preliminarmente nel senso di una libertà pre-personale e pre-individuale, considerata come condizione per ogni forma singolare di libertà “individuata”. È la vita stessa che si esprime nel soggetto, e attraverso il

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