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Tecnica e vita

Nel documento Biopolitica e libertà in Michel Foucault (pagine 135-145)

P ENSARE UNA BIOPOLITICA AFFERMATIVA

4.6. Tecnica e vita

1. Nella riflessione di Canguilhem è presente una linea tematica che ci sembra fondamentale, e che si rivolge all’analisi della relazione istituita tra tecnica e vita. La problematica del rapporto tra questi due termini sorge in Canguilhem a partire da testi minori, ed è in tutte le occasioni correlata al problema della prospettiva di normalizzazione. Questo nesso è di importanza centrale per lo sviluppo del nostro lavoro. Se, infatti, il biopotere viene inteso correttamente come tecnica di normalizzazione della vita (tecnologie politiche degli individui), occorre considerare sullo stesso livello anche l’altro termine del rapporto, la vita appunto, nelle sue reazioni specifiche. Se è valida

la regola di immanenza, la resistenza, quando diventa resistenza della vita, deve fare riferimento a sua volta ad una tecnica, per espandersi e contrastare la presa del biopotere. Soltanto se la vita, che per definizione resiste, si allea alla tecnica, al fine di accrescere la propria potenza, potrà invertire la relazione di potere, aprendo lo spazio della libertà.

In un paragrafo precedente abbiamo commentato la conclusione delle Notes sulla filosofia biologica, in cui Canguilhem sosteneva il valore del pensiero di Bergson nell’aver posto le basi per una “organologia generale”, una “filosofia biologica del macchinismo” che utilizzi le macchine come organi della vita. Questo comporta «la reiscrizione dei meccanismi nell’organizzazione vivente», così da «Rimettere il meccanismo al suo posto nella vita e per la vita»334. In questi testi, la

tecnica viene pensata come subordinata alla vita, inscritta in essa come un suo prolungamento, “organo” della vita funzionale alla sua massima espansione. Abbiamo quindi un rovesciamento rispetto alla prospettiva della normalizzazione, in cui era il vivente ad essere al servizio dell’apparato di produzione. Reinscrivere la tecnica nella vita significa potenziare la vita stessa, renderla più forte e più sicura, espandendola nei suoi limiti.

In Il normale e il patologico Canguilhem afferma chiaramente che «Ogni tecnica umana, ivi compresa quella della vita, è iscritta nella vita, vale a dire in una attività di informazione e di assimilazione della materia. Non è perché la tecnica umana è normativa che la tecnica vitale è giudicata tale per empatia. È perché la vita è attività di informazione e assimilazione che essa è la radice di ogni attività tecnica»335. In questo scritto, tuttavia, egli non sviluppa fino in fondo le sue

posizioni.

Il testo più completo per l’analisi del nesso tra tecnica e vita, soltanto abbozzata negli scritti precedenti336, è il saggio intitolato Machine et organisme, che abbiamo avuto occasione di citare nel

334 G. Canguilhem, Note sur la situation faite en France à la philosophie biologique, cit., p. 332. 335 G. Canguilhem, Il normale e il patologico, cit., pp. 99-100.

336 Su questo tema si vedano anche G. Canguilhem, Descartes et la techinique, in “Travaux du IXème Congrès

International de Philosophie”, 1937, pp. 77-85 e Id., Milieu et Normes de l’Homme au Travail, in “Cahiers Internationaux de Sociologie”, Paris, Éditions du Seuil, 1947, pp. 120-136.

capitolo terzo a proposito della normalizzazione disciplinare. In questo articolo, che riproduce il testo di una conferenza tenuta nel 1946-‘47 presso il Collège Philosophique di Parigi, Canguilhem prende in esame i due modelli teorici, al fine di constatare l’irriducibilità del fatto vitale al modello meccanico, questo perché «Un organismo ha dunque più latitudine d’azione che una macchina»337.

Canguilhem continua la sua analisi sostenendo che, in generale, «ci si faccia un’illusione pensando di espellere la finalità dall’organismo attraverso l’assimilazione di quest’ultimo ad una composizione di automatismi tanto complessi quanto si vuole. Finché la costruzione della macchina non sarà una funzione della macchina stessa, finché la totalità dell’organismo non sarà equivalente alla somma delle parti che un’analisi vi scopre una volta che sia dato, potrà apparire legittimo considerare l’anteriorità dell’organizzazione biologica come una delle condizioni necessarie dell’esistenza e del senso delle costruzioni meccaniche. Dal punto di vista filosofico, importa meno spiegare la macchina che comprenderla. E comprenderla, è iscriverla nella storia umana iscrivendo la storia umana nella vita, senza tuttavia misconoscere l’apparizione con l’uomo di una cultura irriducibile alla semplice natura»338. Abbiamo visto che dal punto di vista di Canguilhem ogni

essere vivente, e in misura preponderante proprio l’uomo, ha la capacità di modificare il proprio ambiente vitale. Ma in queste pagine Canguilhem propone un’interpretazione originale dei dispositivi tecnici considerandoli come organi della specie umana. Egli pone quindi le basi per una “filosofia della tecnica” che ricomprenda i meccanismi all’interno della vita stessa, che diventa così la forma a priori di ogni manifestazione umana. La vita è pensata come pura anteriorità. La tecnica non viene in questo modo contrapposta dialetticamente alla vita. Essa ne è l’organo, svolgendo un ruolo costitutivo e collaborando alla sopravvivenza della vita stessa. La tecnica, potremmo dire, viene “incorporata” e fatta funzionare in correlazione ai fenomeni organici, per regolarli e dirigerli. Attraverso citazioni da Espinas e Schopenhauer, Canguilhem fa riferimento ad una “teoria della proiezione organica” in grado di superare il dualismo cartesiano: «i primi attrezzi (outils) non sono che il prolungamento degli organi umani in movimento»339. Qui Canguilhem sembra definire il

campo d’indagine di una antropologia filosofica. Egli nota infatti che «In Francia, sono gli etnografi che sono i più vicini, al momento attuale, alla costituzione di una filosofia della tecnica di cui i filosofi si sono disinteressati, in quanto attenti soprattutto alla filosofia delle scienze. Al contrario, gli etnografi sono stati attenti soprattutto al rapporto tra la produzione dei primi attrezzi, dei primi dispositivi d’azione sulla natura e l’attività organica stessa»340. Si tratta dunque, secondo

Canguilhem, di costituire una filosofia biologica della tecnica341. L’inversione del rapporto

337 G. Canguilhem, Machine et organisme, cit., p. 151. 338 Ivi, pp. 154-155.

339 Ivi, p. 158. 340 Ivi, p. 157. 341 Ivi, p. 158.

funzionale macchina-organismo permette di considerare il processo di adattamento della macchina alla norma umana di cui diventa una funzione, in una dinamica esattamente inversa a quella dei dispositivi disciplinari descritti da Foucault. La filosofia biologica di Canguilhem intende mettere in evidenza «l’uomo in continuità con la vita attraverso la tecnica»342. Egli pensa la tecnica e la

conoscenza umana come “norme” della vita funzionali alla sua espansione.

2. Questa nuova prospettiva sulla tecnica si riflette in una specifica riflessione sulla conoscenza umana. “La conoscenza della vita” è un tema ricorrente nella filosofia di Canguilhem, ed ha dato il titolo alla prima raccolta dei suoi saggi, pubblicata nel 1952. Nel testo che introduce questa raccolta,

La pensée et le vivant, Canguilhem riflette, da un punto di vista epistemologico, la relazione istituita

tra il sapere e la vita. L’operazione conoscitiva, da questo punto di vista, non possiede alcun senso privilegiato o “fondamentale” che essa trovi racchiuso a priori in se stessa. Il senso le deriva soltanto dalla funzione che è capace di ricoprire in rapporto ad un elemento più essenziale, costituito dalla vita: «non viviamo di sapere» - afferma Canguilhem. Tra la vita e la conoscenza non vi è alcun conflitto fondamentale, ma quest’ultima, al pari delle invenzioni tecniche, non dev’essere compresa se non come prolungamento e come organo della vita. Anche in questo caso la filosofia biologica di Canguilhem si muove nel tentativo di abbattere il dualismo metafisico per pensare la pluralità e l’articolazione degli elementi tra loro opposti. Egli dà una definizione pragmatica del pensiero: «Il pensiero non è nient’altro che il distacco dell’uomo e del mondo che permette l’indietreggiamento (recul), l’interrogazione, il dubbio (pensare è pesare, ecc.) davanti all’ostacolo sorto. La conoscenza consiste concretamente nella ricerca della sicurezza per riduzione di ostacoli, nella costruzione di teorie d’assimilazione. Essa è dunque un metodo generale per la risoluzione

diretta o indiretta delle tensioni tra l’uomo e l’ambiente»343. Vi è dunque l’assimilazione esplicita

tra conoscenza e norma di vita. La conoscenza funziona concretamente come regola di vita, poiché garantisce la riattivazione dei principi razionali che organizzano e regolano il funzionamento vitale stesso. «La conoscenza è figlia della paura», dice Canguilhem, perché essa assolve prima di tutto la funzione di dispositivo di sicurezza nei confronti dei pericoli generati dall’ambiente esterno. Nonostante la sua originaria funzione difensiva, la conoscenza conserva un potenziale di innovazione separato dal particolare punto di vista che l’ha generata, e, in questo secondo senso “affermativo”, la conoscenza può custodire un potenziale di libertà: «Se la conoscenza è figlia della paura è per la dominazione e l’organizzazione dell’esperienza umana, per la libertà della vita»344. La

riflessione razionale non assume dunque una posizione sovrastrutturale nei confronti della vitalità

342 Ivi, p. 164.

343 G. Canguilhem, La pensée et le vivant, in Id., La connaissance de la vie, cit., p. 12, corsivo nostro. 344 Ivi, p. 14.

biologica, ma, al contrario, il pensiero agisce come uno stimolante della vita, esponendola a sempre nuove configurazioni. Il pensiero diventa così operatore di libertà, garantendo quella sicurezza che, sola, permette il superamento delle condizioni iniziali per dare luogo ad un divenire di forma in forma, ad una erranza345, che costituisce la più autentica forma di libertà.

Nel 1966 Canguilhem pubblica negli Études d’histoire et de philosophie des sciences, un nuovo testo su questo argomento, che compare in una sezione intitolata, significativamente, La

nouvelle connaissance de la vie. Il testo di cui stiamo parlando si intitola Le concept et la vie, e può

essere considerato come l’indicatore di una ri-problematizzazione delle posizioni sostenute nel 1952, riesaminate alla luce delle scoperte della biologia contemporanea, prima fra tutte quella di Wattson e Crick nel campo della biologia molecolare. Questo secondo momento della riflessione di Canguilhem è caratterizzato da un déplacement essenziale, costituto dall’abbandono dello schema di Bergson nell’analisi della relazione tra vita e pensiero, schema che era stato alla base della problematizzazione originaria. Nel saggio Le concept et la vie Canguilhem rimette in discussione il suo assunto iniziale, prendendo le distanze dal riferimento a Bergson e ripensando alcuni passi di Aristotele e di Hegel. Ma andiamo con ordine. Il problema di partenza è lo stesso del 1952: «Interrogarsi sui rapporti del concetto e della vita, è, se non si specifica ulteriormente, impegnarsi a trattare almeno due questioni, a seconda che per vita si intenda l’organizzazione universale della materia, ciò che Brachet chiamava “la creazione delle forme”, oppure l’esperienza di un vivente singolare, l’uomo, coscienza della vita. Per vita, si può intendere il participio presente o il participio passato del verbo vivere, il vivente e il vissuto. La seconda accezione è, secondo me, comandata dalla prima, che è più fondamentale. È soltanto nel senso in cui la vita è la forma e il potere del vivente che io vorrei trattare dei rapporti del concetto e della vita»346. Il problema centrale, secondo

Canguilhem, è di capire come il concetto possa offrirci un accesso privilegiato alla vita, ovvero quale funzione vitale esso è in grado di assolvere. Egli oppone quindi due modelli interpretativi, quello di Bergson, da lui stesso utilizzato nello scritto del 1952, e un modello derivato dalla lettura incrociata di Hegel e di Aristotele.

Canguilhem descrive la propria posizione in questi termini: «Il concetto è, nella filosofia di Bergson, la conclusione di una tattica della vita nella sua relazione con l’ambiente. Il concetto e l’attrezzo sono delle mediazioni tra l’organismo ed il suo ambiente»347. Bergson, e con lui il primo

345 Foucault definisce Canguilhem il “filosofo dell’errore” (cfr. Introduction par Michel Foucault, cit.), in quanto ha

pensato la conoscenza come un’attività subordinata al superamento degli ostacoli epistemologici. In questo modo, rompendo ogni barriera tra conoscenza e vita, la vita stessa può essere definita come quella realtà capace di “errare”. Se diamo credito alla concettualizzazione della biologia molecolare, l’errore si radica, materialmente, nella trasmissione dell’informazione genetica.

346 G. Canguilhem, Le concept et la vie, in Id., Études d’histoire et de philosophie des sciences, cit., p. 335. 347 Ivi, p. 348.

Canguilhem, concepiscono l’attività del pensiero esattamente come qualsiasi altra attività umana, senza assegnare ad esso un ruolo principale. «Il lavoro è l’organizzazione della materia attraverso la vita, l’applicazione della vita all’ostacolo della materia. Il lavoro della vita, è senza dubbio un lavoro nel senso anti-tecnologico, ma non vi è infine in Bergson un taglio tra il lavoro anti- tecnologico e il lavoro propriamente tecnologico che è quello dell’uomo che utilizza degli attrezzi per attaccare l’ambiente. La somiglianza per specificazione si prolunga nell’invenzione umana del concetto che fa il paio con l’invenzione umana dell’attrezzo: concetto e attrezzo sono l’uno e l’altro delle mediazioni»348. Il concetto dunque, come mediazione tra la vita e l’ambiente, è radicato nella

vita, in quanto suo prolungamento, al pari di un utensile, ed acquista un significato umano ed un valore pratico soltanto in relazione alla sua fungibilità per scopi determinati349.

348 Ivi, p. 353.

349 I motivi per cui Canguilhem abbandona questa prima posizione sono determinati dagli sviluppi contemporanei delle scienze della vita, ed in particolare dalla scoperta della struttura del DNA, avvenuta nel 1954. Questi dati mettono in crisi il modello-Bergson, in quanto appaiono come la dimostrazione sperimentale della tesi fisico-chimica che sostiene la materialità inerente alla vita stessa. La genetica viene allora definita come «una scienza anti-bergsoniana... che rende conto della formazione delle forme viventi attraverso la presenza, nella materia, di ciò che oggi chiamiamo un’informazione, per la quale il concetto ci fornisce, se vi è bisogno di dirlo, un miglior modello del fatto dell’ispirazione» (Id., Le concept et la vie, cit., p. 339). Si tratta ora, per Canguilhem, di individuare altri punti di riferimento filosofici che possano consentire una diversa comprensione dei fenomeni vitali, sempre in accordo con i risultati sperimentali ottenuti dalle scienze della vita. La seconda posizione di Canguilhem può dunque essere sintetizzata nella frase: “la vita è concetto”. In questo caso non ci troviamo più di fronte ad uno scarto essenziale tra la vita e il concetto, in cui il secondo viene concepito come un prodotto e un derivato della vita, una sua norma, ma abbiamo, al contrario, una completa identificazione dei due termini. Vita e concetto sono, questa volta, identificati in maniera totale. Canguilhem afferma che se dovessimo individuare un autore che più di altri ha scorto questa relazione essenziale non è dalla parte di Bergson che dovremmo guardare, ma da quella di Hegel: «Nella Fenomenologia dello

spirito così come nella metafisica di Jena o la Propedeutica di Nuremberg, il concetto e la vita sono identificati. “La

vita, dice Hegel, è l’unità immediata del concetto alla sua realtà, senza che il concetto vi si distingua”. La vita, dice ancora, è un automovimento di realizzazione secondo un triplice processo...: la strutturazione dell’individuo stesso; la sua autoconservazione riguardante la sua natura inorganica; la conservazione della specie» (ivi, p. 345). La biologia contemporanea riscopre la teoria dell’informazione, e, nel suo linguaggio, risulta più facilmente assimilabile alla concezione della vita sostenuta da Hegel rispetto a quella di Bergson: «la biologia contemporanea ha cambiato anche di linguaggio. Essa ha cessato di utilizzare il linguaggio e i concetti della meccanica, della fisica e della chimica classiche, linguaggio a base di concetti più o meno direttamente formati su dei modelli geometrici. Essa utilizza ora il linguaggio della teoria del linguaggio e quello della teoria delle comunicazioni. Messaggio, informazione, programma, codice, istruzione, decodificazione, questi sono i nuovi concetti della conoscenza della vita» (ivi, p. 360), in un “ritorno all’aristotelismo” che somiglia ad una rivincita dello spazio sulla durata bergsoniana. Bergson in questo testo viene criticato per non aver saputo cogliere il dinamismo del concetto, rendendolo invece oggetto di un sospetto permanente perché accusato di “fissare” il divenire in forme e, per questo stesso motivo, di contrastarlo riducendone il movimento. La teoria genetica ha dimostrato che «c’è nel vivente un logos, iscritto, conservato e trasmesso. La vita fa da sempre senza scrittura, molto prima della scrittura e senza rapporto con la scrittura, quello che l’umanità ha cercato attraverso il disegno, l’incisione e la stampa, cioè, la trasmissione di messaggi. Ed ormai, la conoscenza della vita non somiglia più ad un ritratto della vita, ciò che poteva essere quando la conoscenza della vita era descrizione e classificazione delle specie. Essa non somiglia all’architettura o alla meccanica, così com’era quando era semplicemente anatomia e fisiologia macroscopica. Ma essa somiglia alla grammatica, alla semantica e alla sintassi. Per comprendere la vita, occorre intraprendere, prima di leggerlo, la decrittazione del messaggio della vita» (ivi, p. 362). Le Blanc (La vie

humaine, cit.) ha commentato ampiamente questa divaricazione interpretativa che attraversa alcuni testi di Canguilhem

giungendo a sostenere che quest’ultimo, nella sua posizione finale, fa della vita un “soggetto” di informazione. Aristotele ed Hegel inscrivono il logos nella vita. Si profila allora un passaggio essenziale, in quanto la normatività della vita, il logos umano, non costituisce più il suo senso ultimo, ma sorge in riferimento ad un dato più fondamentale, costituito dal logos inscritto nella vita stessa: «Mentre La connaissance de la vie designa nel 1955 in tutto e per tutto una conoscenza nella vita (la conoscenza è una strategia del vivente umano) che una conoscenza attraverso la vita (la vita si dispiega nella conoscenza come si dispiega per il vivente umano nell’attività tecnica), “La nouvelle connaissance de la vie”, composta di un solo articolo “Le concept et la vie”, cerca di specificare che cos’è la vita in se stessa. Non è la

Occorre adesso affrontare alcune considerazioni che ci permetteranno di confrontare a queste posizioni di Canguilhem quelle sostenute da Foucault a proposito della pratica della storia del pensiero.

3. Nell’Introduzione all’edizione americana del Normale e il patologico, Foucault fa esplicito riferimento ai due scritti di Canguilhem che abbiamo citato nel paragrafo precedente. In questo testo egli dimostra di conoscere molto bene gli argomenti di Canguilhem, i quali, riuniti, formano quella che Foucault definisce una “filosofia del concetto”. Canguilhem, dice Foucault, ha posto in modo singolare «la questione filosofica della conoscenza»350 chiedendosi «che ne è del concetto nella

vita»351. Egli riconosce l’originalità della riflessione di Canguilhem nel non aver contrapposto in

modo frontale i due termini.

In questo testo però Foucault sembra recepire soltanto le posizioni espresse da Canguilhem nel 1952, depurandole da ogni residuo di bergsonismo: «Formare dei concetti, è un modo di vivere e non di uccidere la vita; è un modo di vivere in piena mobilità e non di immobilizzare la vita; è manifestare, tra questi miliardi di viventi che informano il loro ambiente e si informano a partire da lui, un’innovazione che si giudicherà come si vuole, infima o considerevole: un tipo molto particolare di informazione»352. In queste righe Foucault sembra rendere conto della distanza che lo

separa, assieme a Canguilhem, da Bergson, sottolineando l’importanza del perpetuo déplacement rispetto a se stesso costituto dall’attività del vivente. L’uomo, così come gli animali e i vegetali, non cessa di raccogliere informazioni dall’ambiente e di scambiarle con la propria informazione, determinata dalla somma dei suoi bisogni e delle sue esigenze. L’informazione dà forma ad una

conoscenza ad essere l’oggetto d’investigazione che la vita, compresa correttamente, permette di ricomprendere, ma la vita della quale un certo stato di conoscenza deve permettere l’apprensione. Non si tratta più di andare dalla vita alla conoscenza ma dalla conoscenza alla vita. Questo movimento di inversione corrisponde ad un importante rinnovamento filosofico: la riflessione non radica più il concetto nella vita ma identifica il concetto alla vita. Questa identificazione presuppone una caratterizzazione della vita del tutto diversa. La vita non è più soltanto creazione. Essa è ora significazione» (ivi, pp. 240-241). La vita diviene soggetto delle proprie operazioni essenziali a partire da un codice inscritto in essa e che costituisce la sua possibilità più autentica, la sua determinazione essenziale. Notiamo, di sfuggita, che questa definizione non è esente dall’influenza di un certo “stoicismo”, poiché ogni essere umano viene considerato

Nel documento Biopolitica e libertà in Michel Foucault (pagine 135-145)