• Non ci sono risultati.

Perché i Greci?: la questione del soggetto

Nel documento Biopolitica e libertà in Michel Foucault (pagine 192-196)

T ECNICA DI VITA E PRATICHE DI LIBERTÀ

6.2. Perché i Greci?: la questione del soggetto

1. É difficile non leggere nelle pagine dell’ultimo volume della Histoire de la sexualité (dedicato al tardo stoicismo) un’ammirazione entusiasta, un sincero trasporto. Nel saggio stoico, così come è presentato da pensatori quali Seneca, Marco Aurelio, Plutarco o Epitteto, Foucault intravede quegli elementi stilistici, etici e critici che definiscono un modello di pratica di libertà in atto. Nel tardo stoicismo Foucault ritrova anche un’attenzione particolare per l’elemento pratico del sapere, la problematizzazione di etiche dell’azione. La filosofia è intesa come tecnica di vita (technē tou

bíou), fondata sull’esercizio (askēsis). Il sapere assume una forma etopoietica. La valorizzazione di

questi testi da parte di Foucault ha il senso di fornire le coordinate per un nuovo accesso alla questione di una soggettività non-cartesiana488. La problematizzazione dell’etica greca che conclude

487 HS, p. 241, corsivo nostro. Oggi, secondo Foucault, staremmo attraversando una fase di “crisi” della soggettivazione

simile a quella vissuta dagli uomini del periodo ellenistico e romano (SS, p. 117). A conferma dell’indirizzo politico assunto dalla riflessione sulla saggezza antica si vedano anche le interviste L’éthique du souci de soi comme pratique de

la liberté, (DE, II, pp. 1541-1542), in cui Foucault afferma «mi piacerebbe ritornare su problemi più contemporanei, per

cercare di vedere quello che si può fare di tutto ciò nella problematica politica attuale» e À propos de la généalogie de

l’éthique: un aperçu du travail en cours, (DE, II, p. 1205): «Ebbene, mi chiedo se il nostro problema oggi non sia in

qualche modo simile al loro».

488 Nell’intervista, rilasciata nel 1978 durante un soggiorno in Giappone, dal titolo La scène de la philosophie, Foucault

elogia Nietzsche per essere stato «uno dei rari che abbiano posto il problema del soggetto in termini non cartesiani. Egli ha cercato – continua Foucault – di vedere come la concezione occidentale del soggetto fosse una concezione dopotutto molto limitata, e questo non poteva servire da fondamento incondizionato di ogni pensiero... E questa dissoluzione della soggettività europea, della soggettività rigida (contraignante) che ci ha imposto la nostra cultura a partire dal XIX secolo, è qui ancora, io credo, una delle poste in gioco delle lotte attuali» (DE, II, p. 592). Dello stesso tenore era stato il giudizio espresso dieci anni prima da Canguilhem sullo stesso Foucault: «Il cogito moderno non è più il possesso intuitivo dell’identità all’interno del pensare del pensiero pensante il proprio essere, ma “l’interrogazione continuamente ripresa al fine di sapere come il pensiero possa abitare al di fuori di sé e sia tuttavia vicinissimo a se medesimo, come esso possa essere sotto le specie del non-pensante”. In Le nouvel ésprit scientifique, Gaston Bachelard aveva iniziato a liberare dalle nuove teorie fisiche le norme di una epistemologia non-cartesiana... Che Foucault si trovi nella medesima scia o meno, poco importa: egli estende l’obbligo del non-cartesianesimo, del non-kantismo fino alla riflessione filosofica» (G. Canguilhem, Morte dell’uomo o estinzione del cogito?, in M. Foucault, Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1967, p. 435).

l’itinerario di Foucault si caratterizza come la ricerca di un nuovo tipo di soggettività, costruita secondo altre regole rispetto a quelle (coercitive) che hanno caratterizzato il pastorato cristiano, e, per questa via, l’intero ordine politico moderno.

2. La concezione greca della soggettività appare in effetti radicalmente differente rispetto a quella cristiana. Il pastorato ha legato a filo doppio, se così si può dire, potere e individuazione, tanto che solamente al suo interno è potuta sorgere e convalidarsi l’idea del soggetto trascendentale. Soggetto e potere sono, nella società moderna (e almeno a partire dall’età classica – Cartesio) legati in un solo dispositivo. Risolvere il nodo gordiano del potere significa, conseguentemente, definire nuove forme di soggettività. Il potere moderno ha infatti bisogno di soggetti: le sue tecnologie sono rivolte all’attività di assoggettamento dei corpi e delle anime, e alla produzione della soggettività più idonea a perpetuarne i meccanismi. Senza soggetti “assoggettati” esso cessa di funzionare.

La forma della soggettività, così com’è stata definita dal pensiero filosofico e politico moderno, è radicata nella concezione cartesiana del soggetto trascendentale489. È per questo motivo

che Foucault, nel corso del 1982, circoscrive il “momento cartesiano” come elemento centrale in una storia della verità: «La ragione di fondo per la quale il precetto della cura di sé è stato dimenticato, la ragione in forza della quale il posto occupato da tale principio nella cultura antica per circa un millennio è stato cancellato, mi sembra possa essere identificata con un’espressione che so essere pessima, e che pertanto utilizzo a titolo puramente convenzionale, ovvero il “momento cartesiano”. Tale “momento cartesiano” (locuzione che impiego con tutte le cautele del caso) mi sembra abbia funzionato in due maniere: da un lato, riqualificando filosoficamente lo gnōthi

seauton (conosci te stesso), e dall’altro, al contrario, squalificando l’epimeleia heautou (la cura di

sé)»490. A partire dalla concezione cartesiana, utilizzata come indicatore teorico di un movimento

che ha origine molto più indietro (con il potere pastorale491), i rapporti tra soggettività e verità si 489 Bisogna notare che prima di analizzare l’alternativa greca Foucault aveva tentato di percorrere altre strade alla ricerca di ascetismi di tipo non-cristiano. In particolare egli si era interessato al buddismo zen, praticato in occasione del suo viaggio in Giappone del 1978, e soprattutto della “spiritualità politica” dei rivoluzionari in Iran, durante il “réportages di idee” tenuto per “Il corriere della sera” nel 1979 (ora riuniti in M. Foucault: Taccuino persiano – a cura di R. Guolo e P. Panza -, Milano, Guerini e Associati, 1998). Per un’analisi dettagliata di questo tema si veda O. Marzocca, Rivolte spirituali e pastori al governo: Foucault in Iran, in Id., Perché il governo, cit., pp. 113-138. In tutto questo Foucault non ha però scorto nulla di paragonabile all’ascesi antica.

490 HS, p. 15.

491 Foucault afferma che «La dissociazione aveva incominciato infatti a essere effettuata, e un cuneo era stato collocato

tra i due elementi, ormai da molto tempo. Ma dove bisogna cercare quel cuneo... forse dal lato della scienza? Niente affatto. Dovremmo piuttosto, cercarlo dalla parte della teologia. La teologia – quella che per l’appunto potrà fondarsi su Aristotele... e che con San Tommaso, la scolastica e così via, occuperà il posto a tutti noto nel pensiero occidentale – proponendosi come riflessione razionale destinata, a partire dal cristianesimo naturalmente, a fondare una fede con una vocazione a sua volta universale, istituiva al contempo il principio di un soggetto conoscente in generale, un soggetto cioè che trovava in Dio il suo modello, il suo punto di compimento assoluto, il suo più alto grado di perfezione,e al tempo stesso il suo creatore e proprio per questo il suo modello. La corrispondenza tra un Dio onnisciente e dei soggetti tutti capaci di conoscere, beninteso grazie alla fede, è indubbiamente uno degli elementi principali che [hanno] fatto sì che il pensiero occidentale, e in particolare quello filosofico – o le principali forme di riflessione – si siano come

sono modificati profondamente. «Credo insomma – continua Foucault – che l’età moderna della storia della verità sia iniziata solo a partire dal momento in cui quel che consente di avere accesso alla verità è diventata la conoscenza stessa, ed essa sola. A partire, cioè, dal momento in cui il filosofo (o lo scienziato, o anche solo chi cerca la verità), è diventato capace di riconoscere la verità, e ha potuto avere accesso ad essa, in se stesso, e in virtù dei suoi soli atti di conoscenza, senza che da lui si esiga più nient’altro, ovvero senza che il suo essere di soggetto debba essere modificato o alterato in alcun modo»492.

Il soggetto trascendentale, che caratterizza la filosofia moderna da Cartesio ad Hegel, si oppone, nelle sue modalità essenziali, al soggetto di “spiritualità” che caratterizza invece il pensiero antico. Il rapporto tra soggettività e verità qui si sviluppa diversamente, secondo differenti assi teorici. Per “spiritualità” Foucault intende «la ricerca, la pratica e l’esperienza per mezzo delle quali il soggetto opera su se stesso le trasformazioni necessarie per avere accesso alla verità. Definiremo insomma “spiritualità” – afferma Foucault - l’insieme di quelle ricerche, di quelle pratiche e di quelle esperienze che potranno essere costituite dalle purificazioni, le ascesi, le rinunce, le conversioni dello sguardo, le modificazioni d’esistenza, e così via, che non tanto per la conoscenza, bensì per il soggetto, per il suo stesso essere di soggetto, rappresentano il prezzo da pagare per avere accesso alla verità»493. Secondo il pensiero antico, dall’età classica al tardo stoicismo, il

soggetto non è un dato trascendentale già costituito nella sua pienezza, ma è sempre il risultato di un processo fatto di rinunce, di ascesi, di esercizi costanti, che Foucault definisce come un movimento perpetuo di “soggettivazione”. Esso può essere compreso come il risultato di uno sforzo di concentrazione e di puntualizzazione dell’Io. Data la sua origine processuale, dinamica, il soggetto non viene mai pensato, durante gli otto secoli della cultura antica, come un dato elementare in stato di quiete, ma, al contrario, viene concepito come l’elemento dominante una molteplicità di forze di tipo somatico e psichico. Queste forze mettono continuamente a rischio l’identità dell’individuo, che può definirsi nei suoi contorni soltanto attraverso una costante attività di dominio di sé (enkrateia).

Foucault caratterizza le due concezioni del soggetto – quella cartesiana e quella antica - come derivate da due differenti interpretazioni dei principi socratici fondamentali dello gnōti

seauton e dell’epimeleia heautou, affermando che il secondo (epimeleia) è stato storicamente

ricoperto dal primo. La posta in gioco delle analisi sull’antichità greca e romana è dunque costituita dalla questione della soggettività.

svincolate, affrancate, separate dalle condizioni di spiritualità che le avevano fino a quel momento accompagnate, e di cui il principio dell’epimeleia heautou costituiva la formulazione più generale» (HS, p. 28).

492 HS, p. 16. 493 HS, p. 16.

3. Ma come veniva concepito il soggetto nell’antichità? In che modo dev’essere pensato il soggetto della cura? In realtà, come abbiamo anticipato, presso i Greci non esiste qualcosa come il “soggetto”494. Il sé, di cui parla costantemente Foucault negli ultimi scritti, non corrisponde,

evidentemente, al “soggetto”. Il Sé si costituisce come la forma variabile che scaturisce da un certo equilibrio, transitorio e mutevole, delle forze che lo compongono. Queste forze sono le forze della vita, dell’individualità biologica dalla quale si distacca individuandosi; L. Daddabbo ha sottolineato che «Il sé, allora, non è l’io, o un qualsiasi altro rifugio interiore di una identità che si sente minacciata. È piuttosto la linea di contatto e di trasformazione tra alcune forze: energie corporee, impulsi vitali, attitudini e spontaneità singolari, modelli e imperativi del potere, insiemi di pratiche, costrizioni esterne diventate alla fine capacità proprie. Ciò significa che non esiste un sé neutro, che veleggia sopra gli eventi, ma vi sono forme del sé relative a tempi, luoghi e stati di forze... il sé non corrisponde all’interiorità, alla coscienza o alla sostanza. Non è ciò che si trova dietro o al fondo di tutte le esperienze, governandone lo svolgimento; al contrario, è ciò che viene completamente esposto. In secondo luogo, il sé è oggetto di costituzione e di trasformazioni»495.

Pierre Hadot ha mostrato, in un importantissimo lavoro relativo alla figura di Marco Aurelio, che l’imperatore romano, filosofo stoico dell’età imperiale, aveva una percezione di quello che noi definiremmo la “soggettività” dispiegata in termini di molteplicità. Quello che la tradizione filosofica post-cartesiana ha definito “soggetto” è in realtà pensato come un fascio di forze sottomesse ad un principio gerarchico, che deve riuscire ad imporre il proprio rapporto di dominazione. Marco Aurelio pensa la soggettività come costituita in una serie di cerchi concentrici, passibile di differenti livelli di coscienza, soggetta a graduazioni. Il livello più alto viene denominato, conformemente alla dottrina stoica di Epitteto, hégemonikon, il principio direttivo. Hadot afferma che «Lo stoico delimita, dunque, un centro di autonomia: l’anima in opposizione al corpo, il principio direttivo (hégemonikon) in opposizione al resto dell’anima, ed è all’interno di questo principio direttivo che si trovano la libertà e il vero io»496. Esso è concepito come un

frammento della Ragione universale, destinata a governare quel sostrato passionale che altrimenti prenderebbe il sopravvento, togliendo al soggetto la padronanza di sé. Marco Aurelio non pensava il “principio direttivo” come soggetto trascendentale (Io); l’hégemonikon è un elemento che partecipa

494 «Non credo che si debba ricostituire un’esperienza del soggetto, laddove non ha trovato nessuna formulazione. Sto

molto più vicino alle cose. E, poiché nessun pensatore greco ha mai trovato una definizione del soggetto, non l’ha neanche mai cercata, direi, molto semplicemente, che non vi è soggetto. Il che non significa che i Greci non si siano sforzati di definire le condizioni in cui può essere data un’esperienza che non è quella del soggetto, ma quella dell’individuo, nella misura in cui cerca di costituirsi come padrone di sé. L’Antichità classica non ha problematizzato la costituzione di sé come soggetto; viceversa, a partire dal Cristianesimo, la morale è stata confiscata dalla teoria del soggetto. Ora, mi sembra che oggi non sia più soddisfacente un’esperienza morale incentrata essenzialmente sul soggetto. In questo senso, alcune questioni si pongono a noi negli stessi termini in cui si ponevano nell’Antichità» (M. Foucault, Le retour de la morale, DE, II, p. 1525).

495 L. Daddabbo, Inizi, cit., pp. 80 e 82.

dell’universale. Esso non può essere definito come una proprietà del soggetto, in quanto necessita di essere conquistato al prezzo di un duro lavoro su di sé.

La spiritualità caratterizza quindi una modalità del soggetto alla quale non corrisponde, in maniera immediata, la verità dell’Io. Per rendersi idoneo all’atto conoscitivo, il soggetto deve compiere delle operazioni sul proprio sé (purificazione, conversione, autocontrollo). È l’ēthos stesso ad essere messo in gioco attraverso l’ascesi dell’individuo che persegue il proprio perfezionamento, e a garantire la trasformazione interiore, che, sola, concede di accedere al vero. La verità non è oggetto di pura contemplazione, ma necessita di essere fatta propria, interiorizzandola affinché produca degli “effetti di ritorno” nel soggetto, plasmandone la soggettività. Vedremo nei prossimi paragrafi come l’obiettivo dell’ascesi sia indicato dagli autori del periodo ellenistico- romano con il termine “paraskeuē”, un equipaggiamento di discorsi veri che vengono assimilati “fisicamente”.

Nel documento Biopolitica e libertà in Michel Foucault (pagine 192-196)