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Il vitalismo di Bichat

Nel documento Biopolitica e libertà in Michel Foucault (pagine 97-108)

P ENSARE UNA BIOPOLITICA AFFERMATIVA

4.2. Il vitalismo di Bichat

1. Per comprendere quale concetto di vita “resistente” sia sotteso all’analisi foucaultiana dobbiamo ora rivolgerci allo studio di un altro testo di Foucault, la Naissance de la clinique, che segna il suo

213 Esposito, Bíos, cit., p. 39.

ingresso nel dibattito sulla “filosofia biologica”, che proprio in quegli anni stava conoscendo una fase di rinnovamento. Naissance de la clinique segna un’ulteriore tappa di avvicinamento di Foucault al lavoro che in quegli anni stava svolgendo Georges Canguilhem sugli stessi temi. Il volume esce infatti nella collana “Galien” diretta dallo stesso Canguilhem per la Presses Universitaires de France, nel 1963215.

In questo testo Foucault dedica un capitolo centrale all’analisi della posizione vitalistica sostenuta da Bichat alla fine del XVIII secolo, che è stata letta, a ragione, come l’adesione ad una certa concezione della vita da parte di Foucault.

La figura di Bichat è un punto di riferimento fondamentale per il pensiero del vitalismo, in quanto nelle sue Recherches physiologiques sur la vie et la mort, ne ha fornito una delle definizioni più famose. Proprio nell’articolo primo si legge quell’espressione lapidaria che gli ha dato la celebrità: «La vita è l’insieme delle funzioni che resistono alla morte». E Bichat continua specificando che «Tale è in effetti il modo di esistenza dei corpi viventi, che tutto ciò che li circonda tende a distruggerli. I corpi inorganici agiscono su di essi senza posa; essi stessi esercitano gli uni sugli altri un’azione continua; presto essi soccomberebbero se non possedessero al loro interno un principio permanente di reazione. Questo principio è quello della vita; sconosciuto nella sua natura esso non può essere percepito che nei suoi fenomeni; ora, il più generale di questi fenomeni è questa alternativa abituale di azione da parte dei corpi esterni, e di reazione da parte del corpo vivente, alternativa le cui proporzioni variano secondo l’età... La misura della vita è dunque, in generale, la differenza esistente tra lo sforzo delle potenze esteriori, e quello della resistenza interna. L’eccesso dell’uno annuncia la sua debolezza; la predominanza dell’altro è l’indizio della sua forza»216. In Naissance de la clinique, come vedremo fra poco, Foucault propone un’attenta

analisi del vitalismo di Bichat, finendo per contestarne l’appartenenza stessa a questa categoria filosofica.

Soffermiamoci adesso per un momento sul vitalismo, il quale, inteso come categoria del pensiero, gode indubbiamente di cattiva stampa. Ciò è dovuto principalmente al fatto che non si caratterizza come una teoria unitaria, e non ha generato rapporti di scuola. Le posizioni vitaliste sono in effetti le più varie, e spesso sono state accusate di esaltare un’ideologia regressiva e reazionaria, che confina con l’animismo e lo spiritualismo. La concezione vitalistica della vita è stata descritta come un modo di pensare con lo sguardo rivolto al passato piuttosto che agli sviluppi

215 D. Eribon (Michel Foucault, cit., p. 198) specifica però che «Non fu Canguilhem a commissionare il libro, come

talvolta è stato scritto: “Io non ho mai ‘commissionato’ niente a Foucault” dichiara [Canguilhem]. “Una volta terminato, Foucault me lo ha proposto”». Il testo di Eribon è essenziale per ricostruire gli aspetti dell’amicizia più che ventennale che ha unito Foucault a Canguilhem, in quanto è basato su testimonianze dirette dello stesso Canguilhem raccolte in diversi incontri. Lo storico delle scienze ha seguito fin dall’inizio il percorso filosofico di Foucault, essendone stato nel 1961 relatore della tesi di dottorato intitolata Folie et déraison, poi divenuta Histoire de la folie nell’età classica (cfr. M. Foucault, Préface a Folie et déraison, DE, I, p. 195).

della scienza moderna, che sembrano contraddirne la pertinenza. In realtà, se è vero che il vitalismo ha continuato a far riferimento alla medicina antica (Aristotele, Ippocrate e Galeno), esso si è caratterizzato storicamente non come opposizione alla scienza tout court, quanto piuttosto verso una particolare visione di essa, il meccanicismo cartesiano. L’obiettivo polemico dei diversi vitalismi, pur nella loro differenza teorica, è sempre lo stesso: la teoria dell’animale-macchina. Il vitalismo si presenta quindi come una forma di reazione alla meccanizzazione della vita, alla sua riduzione a leggi di tipo fisico-chimico; l’appello ad una forza vitale è sintomo di una resistenza ai modelli concettuali dominanti, che finiscono per reificare l’individuo. Nella Présentation alle Recherches

physiologiques sur la vie et la mort, André Pichot definisce i limiti del vitalismo: «Il vitalismo non

è una teoria unitaria e strettamente definita, ma ha due caratteristiche fondamentali. Innanzitutto, è limitato nel tempo: comincia alla fine del XVII secolo e si esaurisce nella seconda metà del XIX secolo. In secondo luogo, esso afferma chiaramente che il principio vitale, al quale ha ricorso, è irriducibile ai principi fisici, che è loro opposto, e che deve combattere l’effetto distruttore che essi sono supposti avere sull’essere vivente»217. La figura di Bichat è fondamentale per il pensiero

vitalista in quanto egli è stato il grande ordinatore della materia, colui che ha definito nel modo più coerente il funzionamento vitalistico della vita. Pichot sostiene che «Comparata a quelle di Bordeu e di Barthez, la tesi di Bichat è di una grande chiarezza, tanto nella sua concezione che nella maniera in cui è presentata. Vi è manifestamente in lui una volontà di costruire una fisiologia strutturata e sistematica»218. Bichat suddivide la prima parte dell’opera, dedicata ai fenomeni della

vita, in dieci articoli suddivisi a loro volta in paragrafi, trattandone analiticamente tutti gli aspetti caratteristici. Confrontato con la tradizione vitalistica di Stahl, Hoffmann, Barthez o Bordeu, il lavoro di Bichat appare immediatamente rivoluzionario, in quanto dà un’organizzazione chiara ad una materia che difficilmente l’aveva trovata in precedenza. Nonostante il valore organizzativo, Pichot nota che «Bichat non pone il principio vitale come un’entità definita... Egli non cerca di precisare la natura profonda di queste proprietà vitali»219.

La storia del vitalismo “classico” si conclude nella seconda metà del XIX secolo con la figura di Claude Bernard, il fondatore della medicina sperimentale. Egli si pone programmaticamente in netta opposizione nei confronti del vitalismo, intendendo ridurre i fenomeni vitali alle loro sole cause materiali. Attraverso la teoria della costanza dell’ “ambiente interiore”220

Bernard è infatti convinto di aver superato il vitalismo di Bichat. La sua presa di posizione

217 A. Pichot, Presentation a X. Bichat, Recherches physiologiques sur la vie et la mort, p. 10. Dello stesso autore si

veda anche la monumentale Histoire de la notion de vie, Paris, Gallimard, 1993.

218 Ivi, p. 27. 219 Ivi, p. 28.

220 Claude Bernard, attraverso la teoria dell’ambiente interiore, rivoluziona gli studi sui fenomeni vitali. Attraverso le

regolazioni rese possibili dall’ambiente interiore, il corpo vivente preserva se stesso dalla corruzione, contrastando i fenomeni di mortificazione rilevati da Bichat e rigenerando continuamente se stesso.

programmatica sembra tuttavia destinata alla ineffettualità, in quanto egli risulta incapace di eliminare dal proprio sistema un riferimento ad una non ben definita “forza evolutiva metafisica”221

che impedisce di considerare la sua impresa come del tutto estranea a tendenze vitalistiche. Il suo principio fondamentale, enunciato nella seconda parte dell’Introduction à l’étude de la médecine

expérimentale, nella sua semplicità, porrà le basi per un diverso tipo di vitalismo222: «la vita, è la

creazione» - dice Claude Bernard. E continua specificando che «ciò che appartiene essenzialmente

al dominio della vita e che non appartiene né alla chimica, né alla fisica, né a nessun altra cosa, è l’idea direttrice di questa evoluzione vitale. In ogni germe vivente, vi è una idea creatrice che si sviluppa e si manifesta attraverso l’organizzazione. Durante tutta la sua durata, l’essere vivente resta sotto l’influenza di questa stessa forza vitale creatrice e la morte giunge quando essa non può più realizzarsi... È sempre questa stessa idea vitale che conserva l’essere, ricostituendo le parti viventi disorganizzate dall’esercizio o distrutte dagli accidenti e dalle malattie»223.

Foucault quindi, valorizzando il vitalismo di Bichat, compie una scelta filosofica importante. Bichat è stato capace di creare una nuova definizione per il fenomeno vitale a partire da ciò che gli si oppone e lo determina nel suo sviluppo: «A partire da Bichat, il fenomeno patologico viene percepito sullo sfondo della vita, trovandosi così legato alle forme concrete e obbligate ch’essa assume in un’individualità organica. La vita, coi suoi margini finiti e definiti di variazione, svolgerà nell’anatomia patologica il ruolo che aveva in nosologia la nozione lata di natura: essa è lo sfondo inesauribile ma chiuso in cui la malattia attinge le ordinate risorse dei suoi disordini»224. Con Bichat

la vita comincia ad essere pensata come lo sfondo dei suoi epifenomeni, uno sfondo “chiuso” e determinante. L’esperienza dell’uomo malato diventa oggetto privilegiato di analisi, in quanto

221 «In effetti, l’organismo creato è una macchina che funziona necessariamente in virtù delle proprietà fisico-chimiche

dei suoi elementi costituenti. Noi distinguiamo oggi tre ordini di proprietà manifeste nei fenomeni degli esseri viventi: proprietà fisiche, proprietà chimiche e proprietà vitali» (C. Bernard, Introduction à l’étude de la médecine

expérimentale, Paris, Flammarion, 1984, p. 173).

222 Cfr. G. Canguilhem, Claude Bernard et Bichat, in Id., Études d’histoire et de philosophie des sciences, Paris, Vrin,

1994, pp. 156-162. In questo scritto Canguilhem si propone di «determinare i veri rapporti di affinità e di distinzione tra l’idea di vita secondo Claude Bernard e l’idea di vita secondo Bichat» (Ivi, p. 157). Canguilhem sottolinea gli elementi di continuità che collegano le rispettive opere scientifiche.

223 C. Bernard, Introduction à l’étude de la médecine expérimentale, cit., pp. 173-174. Egli continua specificando che

«Quest’ultima denominazione di proprietà vitali non è, essa stessa, che provvisoria; poiché noi chiamiamo vitali le proprietà organiche che non abbiamo ancora potuto ridurre a delle considerazioni fisico-chimiche; ma è indubbio che ci si arriverà un giorno. Di modo che ciò che caratterizza la macchina vivente, non è la natura delle sue proprietà fisico- chimiche, per quanto complesse possano essere, ma proprio la creazione, di questa macchina che si sviluppa sotto i nostri occhi nelle condizioni che le sono proprie e secondo un’idea definita che esprime la natura dell’essere vivente e l’essenza stessa della vita» (ivi, p. 174). Per quanto Bernard si sforzi di trattare gli esseri viventi come “macchine viventi” (ivi, p. 168) e “animali-macchina” (ivi, p. 166) egli non può fare a meno di ricorrere ad una forza spirituale dell’ordine dell’ “idea”. Pichot ha osservato che «assai curiosamente, rispetto alla leggenda, Claude Bernard era largamente vitalista. Anche se egli ha detto e ripetuto che non era né “vitalista” né “materialista” (sono le sue stesse parole), egli era nei fatti l’uno e l’altro». (A. Pichot, Présentation a X. Bichat, cit., p. 48).

capace di far vedere – nel senso concreto della parola visto che ci troviamo nel campo dell’anatomia patologica – i limiti del soggetto, ciò che continuamente ne minaccia l’identità con se stesso.

2. Se queste premesse sono corrette, l’opera di Foucault deve trovare il proprio contesto in un clima di rinascita del vitalismo che ha attraversato il panorama filosofico e scientifico francese a cavallo della seconda guerra mondiale. Canguilhem in questa operazione di riscoperta del vitalismo ha svolto un ruolo essenziale. Nello scritto del 1946 intitolato Aspects du vitalisme egli sostiene l’esigenza di comprendere le scoperte della biologia da un punto di vista filosofico. Il neo-vitalismo si presenta perciò in primo luogo come la necessità epistemologica di ricomprendere, da un punto di vista della storia del pensiero, le scoperte della biologia contemporanea, creando concetti alla sua altezza. In questo senso, i lavori interdisciplinari compiuti da Kurt Goldstein nei primi anni ’30 hanno aperto una via. Ma, in una seconda accezione, il “vitalismo” di Canguilhem non si giustifica esclusivamente per mezzo delle scoperte scientifiche, e come una forma di riflessione après coup rispetto ad esse. Il vitalismo è una morale più che una teoria. Canguilhem sostiene la necessità “morale” del vitalismo, inteso come modo di pensare e di vivere. Nei vari movimenti di rinascita delle concezioni vitalistiche egli non coglie quell’elemento comune che può essere trasmesso all’interno di una corrente di pensiero, quanto piuttosto un atteggiamento di fondo capace di

stimolare il pensiero stesso: «il vitalismo traduce una esigenza permanente della vita nel vivente,

l’identità con se stessa della vita immanente al vivente»225. Ciò comporta «Che il vitalismo sia

un’esigenza piuttosto che un metodo e forse una morale più che una teoria»226. Canguilhem è il

primo ad intravedere nella posizione vitalistica una diversa etica della vita fondata su una certa intuizione di essa, che scaturisce dal rifiuto di un mondo razionalizzato e normalizzato.

Il vitalismo infatti sorge come un contraccolpo, attivato dagli sviluppi della società moderna, intesa come spazio di massificazione e di controllo razionale della vita: «Le rinascite del vitalismo traducono forse in modo discontinuo la diffidenza permanente della vita davanti alla meccanizzazione della vita. È la vita che cerca di rimettere il meccanismo al suo posto nella vita. In definitiva, l’interpretazione dialettica dei fenomeni biologici che difendono i filosofi marxisti è giustificata, ma essa è giustificata da quello che c’è nella vita di ribelle alla sua meccanizzazione. Se la dialettica in biologia è giustificabile è perché c’è nella vita ciò che ha suscitato il vitalismo, sotto forma di esigenza più che di dottrina, e ciò che ne spiega la vitalità, cioè la sua propria spontaneità, ciò che Claude Bernard esprimeva dicendo: la vita è la creazione»227. Il “vitalismo” di Canguilhem

si ricollega ad un concetto di vita intesa come spontaneità, creazione, pura attività. Egli critica le

225 G. Canguilhem, Aspects du vitalisme, in Id., La connaissance de la vie, cit., p. 109. 226 Ivi, p. 111.

concezioni del vitalismo “classico”, come quello di Bichat, di peccare di eccessiva modestia, per non aver spinto le proprie conclusioni abbastanza lontano228. La vita e il vivente, secondo questa

concezione del vitalismo “attivo”, sono per essenza creatori, in quanto dotati di una specifica forza vitale che è, in ogni senso, primigenia.

Se, durante l’analisi della biopolitica, Foucault sembra assegnare un ruolo prioritario al condizionamento dell’ambiente sui soggetti (i dispositivi di sicurezza si configurano come tecnologie “ambientali”), in Canguilhem il problema si pone esattamente nei termini inversi. Nello scritto Le vivant et son milieu Canguilhem prende decisamente partito per le posizioni di Kurt Goldstein229, affermando che «caratteristica del vivente, è di farsi il suo ambiente, di comporsi il suo

ambiente... Tra il vivente e l’ambiente, il rapporto si stabilisce come un dibattito in cui il vivente apporta le sue norme proprie di valutazione delle situazioni, in cui domina l’ambiente, e se lo accomoda»230. L’individualità vivente si caratterizza per essere portatrice di una certa “norma” di

vita peculiare. Ogni organismo possiede infatti un “andamento” (allure) vitale originale, una forza di relazione con l’ambiente circostante in grado di imporsi su di esso. La forza normativa del vivente ha quindi la possibilità, secondo Canguilhem, di opporsi e dare una forma all’ambiente, contrastando la sua azione normalizzante. Per questi motivi egli auspica una comprensione allargata del fenomeno vitale, che tenga conto della sua natura dinamica: «La biologia deve dunque considerare innanzitutto il vivente come un essere significativo, e l’individualità, non come un oggetto, ma come un carattere nell’ordine dei valori. Vivere è irradiare, è organizzare l’ambiente a partire da un centro di referenza»231. Canguilhem trae dunque fino in fondo le conseguenze del

ragionamento di Claude Bernard, rilette mediante l’apporto della filosofia biologica di Goldstein: l’individualità biologica si fa il suo ambiente.

3. Le posizioni espresse da Foucault in Naissance de la clinique entrano a pieno titolo in questo dibattito sul vitalismo aperto da Canguilhem, e ne costituiscono una parziale risposta. Nel capitolo precedente abbiamo fatto riferimento ad una lettera inviata a Canguilhem nel 1965, nella quale

228 Canguilhem afferma che «Se l’originalità del biologico dev’essere rivendicata è come l’originalità di un regno sul

tutto dell’esperienza e non su degli isolotti nell’esperienza. In definitiva, il vitalismo classico non peccherebbe, paradossalmente, che di troppa modestia, per la sua reticenza ad universalizzare la sua concezione dell’esperienza. Quando si riconosce l’originalità della vita, si deve “comprendere” la materia nella vita e la scienza della materia, che è la scienza stessa, nell’attività del vivente» (Id., Aspects du vitalisme, cit., p. 122).

229 K. Goldstein, Der Aufbau des Organismus: Einfuhrung in die Biologie unter besonderer Berucksichtigung der

Erfahrungen am kranken Menschen, Nijhoff, Haag, 1934 (trad. fr.: La structure de l’organisme: introduction à la

biologie à partir de la pathologie humaine, Paris, Gallimard, 1951). Kurt Goldstein (1878-1965) è considerato un

pioniere della moderna neuropsicologia. Neurologo e psichiatra, ha insegnato neurologia presso l’Università di Berlino fino al 1933, anno in cui è costretto ad emigrare, per trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti a partire dal 1935. La sua opera principale, La struttura dell’organismo, ha influenzato in maniera duratura il dibattito sulla teoria della

Gestalt.

230 G. Canguilhem, Le vivant et son milieu, in Id., La connaissance de la vie, cit., pp. 184 e 187. 231 Ivi, p. 188.

Foucault affermava: «Il mio lavoro in fondo porta la sua impronta. Non saprei dirle con precisione come, né esattamente dove, né in che spunto metodologico; lei deve però rendersi conto che anche e soprattutto le mie “controposizioni” (per esempio sul vitalismo) sono possibili soltanto grazie al lavoro svolto da lei, dal quadro analitico che lei ha introdotto, da quella “eidetica epistemologica” che lei ha inventato. In effetti la Clinica e ciò che segue vengono proprio da lì e forse vi sono interamente compresi». Questa testimonianza, fornitaci dallo stesso Foucault, ci indica la via da seguire. Naissance de la clinique si pone infatti in dialogo con le ricerche di Canguilhem. Le “controposizioni” sostenute da Foucault sono riassunte in alcuni paragrafi, e sembrano contestare l’appartenenza di Bichat alla corrente vitalistica:

Ci sarebbe molto da dire sul “vitalismo” di Bichat. È vero che, cercando di individuare il carattere singolare del fenomeno vivente, Bichat annetteva alla sua specificità il rischio della malattia; un corpo semplicemente fisico non può deviare dal suo tipo naturale. Ma ciò non impedisce che l’analisi della malattia non possa farsi che dal punto di vista della morte, della morte cui la vita resiste per definizione. Bichat ha relativizzato il concetto di morte, togliendola a quell’assoluto in cui appariva come un evento insecabile, decisivo ed irrecuperabile: l’ha volatilizzato e distribuito nella vita, sotto forma di morti in dettaglio, morti parziali, progressive e così lente a concludersi oltre la morte stessa. Ma proprio per questo veniva a costituire una struttura essenziale del pensiero e della percezione medica; ciò a cui la vita s’oppone e ciò a cui si espone, ciò rispetto a cui è vivente opposizione, dunque vita; ciò rispetto a cui è analiticamente esposta, dunque vera... L’irriducibilità del vivente al meccanico o al chimico è solo secondaria rispetto al legame fondamentale tra la vita e la morte. Il vitalismo appare sullo sfondo di questo “mortalismo”.232

Bichat è elogiato in quanto ha pensato a fondo la storicità della vita, il suo essere perennemente attraversata da processi di degradazione e di “mortificazione”, contro cui combatte. L’originalità di Bichat sta nell’aver chiesto conto alla morte della vita, di avere cioè interrogato la vita a partire da quel limite costituente che è la sua possibilità più autentica. I processi vitali, secondo Bichat, sono altamente discontinui in quanto in ogni centimetro della nostra pelle, in ogni organo e in ogni cellula si gioca continuamente una partita mortale tra l’organico e l’inorganico, tra la vita e i processi di mortificazione che la mettono a rischio. Egli ha descritto questa dinamica con i termini del conflitto, in quanto la vita può apparire soltanto all’interno di un più generale processo di “mortificazione”. Per questo motivo, secondo Foucault, la definizione di Bichat costituisce un

Nel documento Biopolitica e libertà in Michel Foucault (pagine 97-108)