• Non ci sono risultati.

Entrambe le espressioni consumer vulnerability e disadvantaged consumer, per quanto possano sembrare di ampio respiro, in realtà si muovono comunque entro un ambito ristretto: quello della società affluente. Considerano cioè le persone che affrontano delle condizioni di mercato peggiori, ma sempre comunque all’interno di economie di mercato sviluppate.

Per questo motivo è importante considerare anche il concetto di Bottom of the Pyramid, o Base of the Pyramid, il quale fa ovviamente riferimento all’idea di società piramidale. Birtchnell (2013) afferma che nel XIX sec. la nozione di società piramidale è stata criticata ed accantonata, in quanto suggeriva un’omogeneità tra coloro che si trovavano

alla base. Come se fossero tutti uniformemente mediocri, mentre coloro che erano in cima sembravano essere tutti uniformemente eccezionali.

Tuttavia il concetto è stato ripreso in ambito economico-aziendale dagli anni 2000 in poi, soprattutto grazie all’opera di Prahalad del 2004 “The fortune at the bottom of the pyramid: Eradicating poverty through profits”. Egli ha messo in luce quella grossa fetta di popolazione mondiale che vive sotto la soglia di povertà e denunciato l’abitudine del capitalismo di trascurare queste persone.

In questo caso la definizione è più semplice rispetto ai concetti visti in precedenza: il World Resource Institute (2007) ha definito Bottom of the Pyramid (BoP) quell’insieme di persone che hanno meno di $3.000 come potere d’acquisto annuale locale. Altri considerano invece coloro che vivono con meno di $2 al giorno (Martin e Hill 2011), altri ancora utilizzano soglie diverse, ma in ogni caso si tratta di una misurazione netta e basata su un’unica variabile: il reddito.

Si capisce subito la differenza con i concetti di svantaggio e vulnerabilità, poiché essi utilizzano definizioni più qualitative e che quindi comprendono, oltre ai casi di povertà, anche quelli di disabilità, discriminazione, anzianità, etc.. La nozione di BoP tuttavia, anche se più stringente concettualmente, in un certo senso è più ampia: secondo il World Resource Institute nel 2007 comprendeva 4 miliardi di persone.

Mentre Andreasen, da una parte e Baker Gentry e Rittenburg, dall’altra, si riferivano a coloro che sono in una posizione di inferiorità all’interno di un mercato sviluppato, il concetto di BoP percorre trasversalmente tutte le nazioni, incidendo in maniera maggiore su alcune. Non è una misura di povertà relativa, cioè definita in base al confronto con lo standard della società in cui ci si trova, ma invece una misura assoluta, che mette a confronto tutti i consumatori del mondo.

Prahalad nel 2004 ha sollevato l’attenzione su questo enorme mercato dimenticato e ha affermato che se si riuscisse ad inserire nell’economia di mercato anche questa parte della popolazione se ne otterrebbe un grande vantaggio, sia in termini di sviluppo per questi ultimi che in termini di profitto per le aziende che potrebbero servire un nuovo grande mercato.

Tuttavia egli si rende conto che questo processo è tutt’altro che semplice e che se in molti paesi in via di sviluppo non si è ancora costituita un’economia di mercato vera e propria, le ragioni sono radicate nella cultura e negli usi del popolo e pertanto difficili da

“Il capitalismo può funzionare nei paesi in via di sviluppo; ad ogni modo, sotto i vincoli istituzionali, demografici ed economici in molti paesi poveri, c’è bisogno di soluzioni

creative perché si possa generare valore.”12

(Carden 2008, tradotto)

Questa è dunque secondo Prahalad la sfida che le economie avanzate devono porsi, ovvero tentare, attraverso dei nuovi meccanismi di mercato, di elevare la situazione economica di coloro che si trovano alla base della piramide. Egli parla di “capitalismo inclusivo”.

Birtchnell (2013) riconduce i primi tentativi del mercato di puntare al BoP al XIX sec., quando l’Impero Inglese comprendeva anche l’India. Egli afferma che molti in Inghilterra si sentivano responsabili per le condizioni di vita di questo paese, dove la maggior parte della popolazione viveva in povertà anche a causa delle leggi imposte dalla religione. Il problema etico arriva proprio a questo punto: è giusto che le imprese puntino a questi mercati dimenticati in modo da inserirli nell’economia mondiale e da migliorare le condizioni delle persone che ne fanno parte? O invece questa pratica rischia di essere solo un ultimo modo che i venditori hanno per sfruttare i consumatori che hanno meno potere sul mercato?

È un punto discusso anche in ambito di disadvantaged consumer ed in particolare Pechmann et. al (2011) affermano che definire come target i consumatori a rischio, creando quindi una combinazione di prodotto, prezzo, posizionamento e promozione specifica, può avere conseguenze sia positive che negative. Tra quelle negative annoverano scelte più limitate per i consumatori, sensazioni di esclusione dal mercato, alienazione e stigmatizzazione.

12 Testo originale: “Capitalism can work in developing countries; however, under the institutional, demographic and economic constraints in many poor countries, creative solutions are required before value can be created.”

È chiaro quindi che generare conoscenza rispetto a tutti i consumatori svantaggiati, vulnerabili o alla base della piramide non basti. Per elevare queste persone dalla propria condizione sono necessari degli interventi oculati e molto delicati, nonché creativi. In ambito di vulnerabilità addirittura Baker, Gentry e Rittenburg (2005) si chiedono se fare in modo che i consumatori vulnerabili prendano consapevolezza della propria condizione sia un bene o un male. Se da una parte potrebbe aiutarli a capire i propri diritti, dall’altra essere definiti vulnerabili potrebbe ferirli ancora di più e quindi renderli ancor più vulnerabili.

Due importanti strade devono dunque essere percorse dal punto di vista accademico in merito alle categorie di consumatori viste fin ora. La prima dovrebbe indagare e approfondire le abitudini di consumo che si sviluppano in queste condizioni di ristrettezza, dato che tutto il resto della letteratura invece si è basata su quelle della società affluente.

La seconda strada dovrebbe cercare di proporre misure attraverso cui elevare questi consumatori, mettendo in luce quelle pratiche che vengono già applicate. Ad esempio Prahalad (2004) cita il caso della Grameen Bank di Muhammad Yunus che ha sviluppato una nuova forma di prestito, il microcredito, proprio per aiutare le persone più povere a migliorare la propria condizione (Carden 2008).

Questo è sicuramente un esempio di una pratica creativa ed efficace da cui i policy maker potrebbero prendere spunto.

È opportuno specificare, tuttavia, che in questo elaborato verrà percorsa più che altro la prima strada, ovvero quella conoscitiva che punta a capire come le persone che vivono in situazioni di ristrettezza si relazionino col mercato, come ne vengano danneggiate e quali siano le strategie che mettono in atto per combattere questa loro condizione.