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Un meccanismo che può sembrare simile al caso di esclusione dal consumo è la fuga volontaria dei consumatori dal mercato. Parliamo dunque di filosofie come quelle della voluntary simplicity, dell’eco-consumerismo, del green consumption e del downsizing, per esempio.

I consumatori che aderiscono a queste linee di pensiero hanno in comune il fatto che rifuggono il mercato e la sua logica tutta imperniata sugli oggetti e sul materialismo e cercano invece di ridurre i beni in loro possesso e di semplificare i loro acquisti, spesso in un’ottica anche ambientalista. Vedono la loro società come dominata dai beni di consumo e cercano di sottrarsi a questo dominio.

Arnould (2007) si interroga sul vero potere (agency) detenuto ed esercitato dai consumatori in queste manifestazioni di volontà e sulla loro effettiva capacità di fuggire dal mercato.

I consumatori stanno veramente trovando un modo di agire al di fuori del mercato o piuttosto stanno creando stili di consumo diversi, ma sempre all’interno delle leggi del mercato?

Il punto di partenza della riflessione di Arnould (2007) è il pensiero marxista, che incoraggiava i lavoratori a fuggire da un mercato capitalistico che si appropriava ingiustamente del plusvalore da loro stessi prodotto. La critica a questo punto di vista si racchiude in una domanda: c’è davvero nella nostra società la possibilità di una azione autonoma dei consumatori? Ovvero i consumatori sono davvero capaci di azioni al di fuori degli schemi del mercato?

Arnould (2007) riporta varie teorie a che avallano o smentiscono questa ipotesi. Alcune accolgono ottimisticamente l’idea di un consumo che avviene al di fuori del mercato (Firat e Venkatesh 1995), di consumatori che compiono micro-azioni di emancipazione (De Certeau 1984) ed infine dell’altruistica ed affettiva pratica del regalo (Belk e Coon 1993).

D’altra parte però la pratica del regalo è essa stessa una forma di consumo (Illouz 1997) e Baudrillard (1970/1998) riteneva impossibile un’azione autonoma del consumatore, infatti secondo lui i beni di consumo sono uno strumento che le persone usano soprattutto come mezzo di differenziazione. Se queste fuggono dal consumo e dal mercato lo fanno ancora una volta per differenziarsi e dunque stanno in realtà agendo all’interno delle logiche del mercato stesso.

La stessa agency dei consumatori, Arnould (2007) sottolinea, è un ruolo istituzionale di cui la società li investe. È un potere conferito agli individui dalla struttura socio- economica in cui vivono e non può pertanto fornire una via di fuga da essa poiché, infondo, senza una struttura tale non esisterebbe quello stesso potere.

Sembra dunque che più i consumatori tentino di allontanarsi dalla quasi demonizzata entità del mercato capitalistico, più ne rimangano invece invischiati.

Il motivo è da ricercare in quello che Marx (1887) definisce “feticismo delle merci”. Nel momento dello scambio tra due beni di consumo sembra esserci una relazione tra questi due, in realtà essi nascondono il loro collegamento con la persona che li ha generati, così la vera relazione non è quella tra i due oggetti quanto quella tra le persone che stanno dietro ad essi. Allo stesso modo il mercato,

sia esso inteso come entità, struttura, strumento di scambio o insieme di beni, per quanto sembri qualcosa di oggettivo, materiale ed esterno è in realtà una produzione dell’uomo. È opportuno quindi ricordare questo legame tra le persone e il mercato, poiché in quest’ottica esso cessa di essere un’entità aliena e soverchiante.

Arnould (2007) in particolare ci ricorda che il consumo è in realtà una riappropriazione. Sarebbe a dire che dato che i beni provengono dalle persone, il mercato è un mezzo attraverso il quale gli individui si possono riappropriare di cose provenienti dagli individui stessi.

La fuga dal mercato e la sua demonizzazione è ancora più contraddittoria se si pensa che in realtà il mercato capitalistico di oggi è fortemente consumer driven. Eppure, Arnould (2007) ammette, “molti gruppi sono consumatori molto meno di altri”8 e sono dunque

meno rappresentati negli interessi globali di consumo. Egli si riferisce qui a dei veri casi di esclusione dal consumo, involontari dunque.

Qui abbiamo già una prima forte distinzione tra quella che si potrebbe chiamare “forced simplicity”, contrapposta alla voluntary simplicity: in quella che viene comunemente considerata come la società affluente, il mercato cerca di seguire i diversi desideri dei consumatori e tra questi c’è anche il desiderio di fuggire dal mercato, dal consumo e dalla materialità. Diverso è invece il caso di quelle persone o quelle comunità che si trovano in partenza escluse dal mercato o da certi suoi ambiti e i cui interessi non sono quindi rappresentati nel mercato stesso.

Baudrillard (1970/1998) inoltre fa notare come la voluntary simplicity sia infondo un consumo di lusso, poiché richiede denaro e tempo a disposizione; ciò si mette ovviamente in contrapposizione con le logiche dell’esclusione dal consumo.

L’esempio che Arnould (2007) adduce è quello dell’economia di Zinder, città nella Repubblica Nigeriana. A causa dell’analfabetismo, dell’incapacità di maneggiare i numeri e dalla quasi completa mancanza di risorse economiche, gli abitanti di questa città sono esclusi dal mercato globale e non hanno quindi accesso alla maggior parte dei beni di consumo circolanti in esso.

Qui ancor più si possono vedere le caratteristiche di differenziazione tra la deprivazione forzata e quella volontaria.

L’abisso che sta in mezzo a queste due realtà è piuttosto lampante e vede contrapposti individui che aspirano ai beni di sussistenza con altri che fuggono dall’abbondanza. La differenza fondamentale sta nella possibilità o meno di una scelta, dunque del possesso o meno di un certo livello di controllo sui beni consumati e le rispettive quantità.

Mentre gli abitanti di Zinder sono esclusi in blocco da quasi tutti i beni di consumo, i seguaci della voluntary simplicity o delle altre pratiche di consumo simili possono infatti selezionare arbitrariamente di quali beni deprivarsi e quali invece mantenere.

Potrebbero anche decidere per un periodo di interrompere questa privazione e poi dopo ricominciare, per esempio.

Inoltre rimangono comunque immersi in una società che offre servizi al pubblico di cui possono continuare ad usufruire (es.: scuole, ospedali, trasporti pubblici, ecc.).

Per concludere, sebbene la volontà sia quella di vivere una situazione di deprivazione, credo sia logico ritenere che le forze biologiche e istintive che spingono per la

sopravvivenza impediscano alle persone di deprivarsi fino a scendere al di sotto del livello di sussistenza.

Questo di per sé basta a rendere impensabile un paragone tra il caso dell’economia di Zinder e quello invece di persone che ricercano la semplicità all’interno di un’economia affluente.

2.2.! I diversi approcci teorici per la definizione dei casi di esclusione