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4.3.! Film sulle differenze etniche: analisi tematica L’amore e le relazioni social

La prima tematica che spicca in tutti e quattro i film è quella dell’amore con un personaggio italiano. Vesna (Vesna va veloce, C. Mazzacurati, Italia 1996) ha una relazione con Antonio, Kawaku (Pummarò, M. Placido, Italia 1990) si innamora dell’insegnante Eleonora, Irena (La sconosciuta, G. Tornatore, Italia/Francia 2006) aveva una storia con un uomo del sud ed infine Li (Io sono li, A. Segre, Italia/Francia 2011) vive un amore proibito con Bepi.

In tutti e quattro i film il protagonista si innamora di una persona italiana, tutte e quattro le volte è ricambiato e tutte e quattro le volte la relazione non va in porto.

Kawaku ed Eleonora vengono continuamente insultati dalla comunità veronese per il loro rapporto e alla fine la situazione sarà così insostenibile che Kawaku pur di non vedere più Eleonora soffrire partirà.

Anche per Li il problema principale è la discriminazione. Sebbene tra lei e Bepi ci siano state solo tenere carezze, la comunità chioggiana non accetta la cosa e vengono messe in giro voci che Li voglia sposare Bepi per prendere i suoi averi. I capi di Li quando si accorgono del fatto che il suo comportamento sta mettendo in cattiva luce tutta la comunità cinese (cosa che purtroppo avviene davvero) le impediscono di vedere Bepi

In La sconosciuta Irena, sebbene sia una prostituta e subisca di continuo abusi sessuali da parte del suo capo Muffa, si innamora di un uomo che la ama a sua volta. Purtroppo però lo troverà morto in una discarica, sicuramente per volere di Muffa.

Infine Vesna viene allontanata da Antonio perché trovata senza documenti, ma anche quando riuscirà a scappare dalla polizia e a rimanere in Italia non tornerà da Antonio. La storia d’amore in questo ultimo film è un po’ diversa dalle altre. I sentimenti di Antonio sono palesi, mentre quelli di Vesna sono difficili da decifrare. Antonio non capirà mai se lei lo ama davvero perché non è l’amore il primo obiettivo di Vesna, ma la libertà. Ed è una libertà intesa come consumo e ricchezza:

“Devo andare per la mia strada. Quelli che ti vogliono bene vorrebbero tenerti sempre con sé e alla fine ti fanno soffrire. Io

penso invece che soltanto la malattia e la morte devono far soffrire. E la miseria.”

(Vesna va veloce, C. Mazzacurati, Italia 1996)

Vesna è venuta in Italia per poter consumare di più e meglio e il lavoro di prostituta, per quando criticato da Antonio, glielo consente. Lei sa che lui vorrebbe tenerla con sé e farle fare la vita che fa lui, ma lei ha altri piani. Preferisce andare a Milano e continuare a prostituirsi (cosa che la mette visibilmente a disagio) piuttosto che rimanere con Antonio, sebbene probabilmente provi dei sentimenti per lui.

La fine della loro relazione è data dunque da una decisione di Vesna, lei aveva un sogno specifico e non voleva permettere all’amore di impedirglielo.

Dal punto di vista della regia, questo contrasto serve a far capire al pubblico quanto fosse forte il suo sogno, se era disposta a fare un lavoro che odiava e a mettere da parte l’amore per inseguirlo.

Ma per quanto riguarda gli altri film? Perché quelle storie d’amore devono finire male? Una possibile spiegazione è che i registi vogliano far capire che una persona immigrata è sempre in qualche modo svantaggiata. Nessuno dei tre film finisce bene per il protagonista. Irena scopre che quella che pensava essere sua figlia in realtà non lo è e che tutti gli sforzi che ha fatto sono serviti a portare a termine un piano basato su di una menzogna.

Quando Kawaku finalmente riesce a trovare il fratello che cercava dall’inizio del film, questi è morto.

Quando Li, una volta ricongiunta con suo figlio, torna a Chioggia a cercare Bepi, anche questi è morto.

Se questi film devono servire per smuovere qualcosa nell’animo dello spettatore, per far emergere un problema sociale (quello dell’immigrazione e della discriminazione correlata) allora non possono finire bene, altrimenti gli spettatori penserebbero che il problema è risolto e che tutte le difficoltà e le ingiustizie che hanno visto finiscono con il lieto fine del film. Invece no. L’autore vuole lasciare aperta la ferita, senza ricucirla, in modo che continui a bruciare anche quando il film finisce. Le problematiche degli stranieri in Italia devono rimanere impresse nella mente dello spettatore.

Uno dei vincoli che le persone immigrate incontrano riguarda proprio le relazioni sociali. Non solo per quanto riguarda le storie d’amore che finiscono male per tutti, ma anche a proposito di parenti e amici.

Vesna è costretta a separarsi da Marina, la sua amica e da suo fratello di 6 anni.

Kawaku invece cerca suo fratello, che è costretto a scappare da ogni luogo perché si comporta in modo ribelle, rispetto a quello che ci si aspetterebbe da una persona di colore. Irena è stata costretta a separarsi da tutti i suoi figli, soprattutto dall’ultima alla quale teneva particolarmente.

Li infine è lontana da suo padre e da suo figlio, che ha dovuto lasciare in Cina.

Gli affetti sono dunque una prima grande area di esclusione che le persone straniere sperimentano. Anche se non si tratta di una vera e propria esclusione dal consumo questo tema è molto importante per capire la condizione delle persone straniere in Italia ed è molto importante anche a livello cinematografico per fare breccia nel cuore degli spettatori. L’amore di una madre verso il figlio, l’amore fraterno e l’amore per il proprio partner sono emozioni che tutti sperimentano e possono capire. È un importante ricerca di un punto di contatto per far sì che lo spettatore si immedesimi nella persona straniera.

La lingua

Anche la lingua è una tematica ricorrente nei film, tranne La sconosciuta. Irena infatti è arrivata in Italia da molto tempo e, sebbene le resti sempre un accento, non si sente quasi

mai parlare in ucraino, se non una volta col suo fidanzato del passato e quando canta a Tea la ninna nanna.

In Vesna va veloce invece si sente subito parlare in ceco, quando lei e l’amica Marina arrivano a Trieste per fare compere. Poi però, una volta che Vesna perde il pullman e rimane in Italia, il ceco scompare del tutto. Ci sono due discrepanze fondamentali: primo Vesna parla benissimo l’italiano, pur non essendo mai stata in Italia prima.

Viene detto nel film che lei ha studiato italiano a scuola ma ha una proprietà di linguaggio troppo articolata per il livello di conoscenza della lingua che dovrebbe avere.

Ancor più rilevante, lei scrive le lettere alla sua amica Marina in Italiano.

Si può dire quindi che se da una parte l’accento di Vesna è stato mantenuto per lasciarle addosso il marchio di straniera, dall’altra tutti i problemi linguistici sono stati semplicemente dimenticati e qui dunque possiamo riscontrare una certa negligenza della regia.

In Pummarò ed Io sono li, invece, vengono fatte notare le varie sfaccettature del problema linguistico.

Nel primo film anzitutto si sottolinea come ogni paese africano abbia una lingua diversa ed infatti capita che tra personaggi di colore nel film si parli in inglese. Inoltre viene fatta notare bene la differenza tra l’accento campano, quello romano e quello veronese. Kawaku conosce l’italiano ma qui è stata prestata più attenzione, lui non ha la proprietà di linguaggio che ha Vesna. Inoltre viene fatto vedere che conosce anche l’inglese, un primo tentativo di scoperchiare uno stereotipo sulle persone di colore, ovvero che mancano di cultura. Il tema verrà ripreso più avanti.

Ad ogni modo Kawaku riesce sempre a farsi intendere e quindi si può dire che non abbia un vero problema linguistico, salvo quando lo ferma la polizia tedesca o quando due ragazzi di colore parlano nella lingua del loro paese per non farsi capire da lui.

Nel film Io sono li invece la lingua appare come un problema più serio. Anzitutto va detto che per i primi dieci minuti di film si sente parlare solo ed esclusivamente cinese, perché Li vive e lavora solo con persone cinesi e manda lettere al figlio sempre in cinese. Quando arriva a Chioggia si trova per la prima volta a dover parlare italiano e infatti ha problemi con la lingua. Tanto più che non deve parlare solo italiano ma chioggiano, un dialetto che viene sottotitolato per tutto il film, esattamente come il cinese.

I problemi di Li con la lingua sono subito evidenti al bar: quando le insegnano a fare lo Spritz lei commenta che è difficile pronunciare la parola “Spritz” e il suo capo le dice che non serve che lo pronunci, basta che lo capisca.

Si vede dunque anche una certa noncuranza da parte sua, il quale non ha interesse che Li impari l’italiano, vuole solo che sia in grado di lavorare al bar.

In un’altra scena Li cerca di riscuotere i “ciodi”, ovvero i debiti dei vari uomini che frequentano il bar. Questi approfittano della sua incapacità di cogliere le ironie in italiano per deriderla mettendola in una situazione molto imbarazzante.

Col tempo però Li impara la lingua e questo va di pari passo con un miglioramento delle sue relazioni sociali al bar. Viene fatto esplicitamente notare comunque che lei impara non proprio l’italiano, ma il dialetto.

Proprio durante questo periodo più roseo per Li, si vede una scena dove lei e il “cinese” (così veniva chiamato il suo capo al bar) parlano nella loro lingua e gli altri si guardano ma non li capiscono. Si percepisce in questa scena quasi un’inversione dei ruoli, poiché generalmente Li al bar era sola ed era lei quella messa nella condizione di non capire. Stavolta invece tocca ai chioggiani questa sensazione e questo serve forse a fargli capire un po’ di più cosa vive Li tutti i giorni e a farli immedesimare un po’ in lei.

Ultimo punto importante per quanto riguarda la lingua in Io sono li: quando il figlio di Li viene in Italia chiede alla madre come si fa ad imparare l’italiano e lei gli dice che lo manderà a scuola. È interessante perché rimanda al concetto dell’acculturazione visto nel paragrafo 1.4.; per il figlio di Li la cultura italiana è qualcosa da ammirare e pertanto non vede l’ora di poterne fare parte.

Avrebbe potuto benissimo non interessarsi ad imparare la lingua e vivere segregato nella comunità cinese come faceva Li all’inizio del film.

Per tirare le fila di quanto detto rispetto alla lingua, sicuramente i registi si rendono conto del fatto che sia un importante tematica quando si parla di immigrazione, forse però non così semplice da trasporre su pellicola, dato il fatto che gli spettatori del film non possono capire tutte le lingue e dato il fatto che se l’immigrato parlasse solo la propria lingua d’origine non potrebbe interagire con la società italiana che ha intorno.

In Pummarò ed Io sono li, però si cerca di dare rilevanza al tema, anche se solo nel secondo film si ha un assaggio della stigmatizzazione che una persona straniera può subire per il fatto di non conoscere l’italiano.