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Fino a questo punto sono state presentate le varie prospettive con le quali si possono approcciare i consumatori che vivono una qualche forma anche parziale di esclusione dal consumo. Come già accennato, la diversità di questi approcci è un elemento di ricchezza e perciò nessun concetto verrà accantonato. Piuttosto il tentativo che si fa in questo paragrafo è quello di fornire un quadro unico e sintetico nel quale si possano ritrovare contributi provenienti da tutti i filoni e che al contempo sia utile come base per l’analisi che seguirà.

Abbiamo visto come la definizione di disadvantaged consumer di Andreasen (1975) basasse l’identificazione dei consumatori in difficoltà su delle classi ben definite di persone (es. minoranze razziali, anziani, etc.) e come altri approcci che tentino di uscire da questo metodo, seppur abbiano il merito di mostrare nuovi lati del fenomeno, falliscano nel determinare in senso pratico quali siano i consumatori in difficoltà e per i quali valga la pena di studiare i comportamenti di consumo.

Per questo motivo anche lo schema concettuale qui presentato si baserà su una classificazione per “categorie di consumatori”.

Tuttavia è stato già notato come le categorie individuate da Andreasen (1975) possano essere riduttive. Anzitutto perché considerano soltanto i consumatori svantaggiati degli Stati Uniti. Prahalad (2004) ha invece aperto lo scenario a livello mondiale con il concetto di Bottom of the Pyramid e questa è una direzione che anche il framework qui elaborato seguirà.

Inoltre nella concezione di Andreasen (1975) mancano alcune categorie, poiché, come egli stesso affermava, nel corso dei decenni la povertà è cambiata e di pari passo è cambiata anche la concezione di consumatore svantaggiato (Andreasen 1993). Dunque il focus deve essere esteso anche a nuove categorie di consumatori che in precedenza non venivano considerate.

Infine l’ultima correzione da fare al concetto di disadvantaged consumer è che esso considera quasi esclusivamente fattori di carattere permanente. Baker, Gentry e Rittenburg (2005) invece hanno avuto il merito di estendere l’attenzione anche a quelle barriere al consumo che sono solo di carattere transitorio.

Essi hanno riportato tra i fattori di vulnerabilità anche gli stati psicosociali degli individui, tuttavia questi non verranno considerati nel nuovo schema concettuale poiché non costituiscono una categoria a sé stante, eccetto per quei casi di disturbi psichici patologici che invece verranno inclusi nel nuovo framework.

Le variabili che Baker, Gentry e Rittenburg (2005) includono in questo concetto (il concetto di sé, la percezione sociale dell’apparenza, lo stato socioeconomico, le capacità percepite, la disponibilità di risorse, la cultura, la paura di essere vittimizzati, lo stato di salute percepito e l’isolamento sociale) sono fattori presenti in tutti i soggetti, anche se con livelli diversi, e costituiscono dunque una guida per capire come il consumatore reagisca al mercato e ad un eventuale svantaggio, ma non sono determinanti di un tipo di ostacolo che egli deve affrontare costantemente. In questo senso non costituiscono una vera e propria categoria di consumatori svantaggiati, vulnerabili o esclusi dal mercato. Il nuovo framework comprenderà anche in modo specifico il caso delle Total Control Institution, le quali seppur accennate negli altri approcci non vengono prese in considerazione in modo così determinato e specifico.

Vengono lasciate da parte invece le nozioni di restriction e constraint. Come già detto in precedenza, un framework basato sulle categorie di consumatori e non su i limiti che affrontano, infatti, risulta più efficace nell’identificare quali siano i veri consumatori che si possono trovare in difficoltà nel mercato.

Ad ogni modo, anche se non direttamente visibili nello schema concettuale, le nozioni di restrizione e vincolo sono intimamente legate con la tematica che si analizza. Le differenti categorie di consumatori identificate come svantaggiate, vulnerabili o escluse dal mercato, si caratterizzano proprio per il fatto di essere affette da delle restrizioni al consumo e si differenziano tra loro proprio per la natura e la provenienza di queste restrizioni.

In Figura 13 è possibile dunque vedere il nuovo framework elaborato.

Anzitutto esso è diviso per il carattere permanente o transitorio della condizione del consumatore che lo porta ad essere svantaggiato, vulnerabile o escluso dal mercato. Va specificato anche che tutte le condizioni presentate sono suscettibili di sovrapposizioni, ovvero un consumatore potrebbe sperimentarne più di una contemporaneamente.

La prima variabile considerata è l’età del consumatore. È noto infatti come sia i consumatori più anziani che quelli più giovani non abbiano piene capacità per confrontarsi col mercato. Da entrambi i lati ci sono infatti problemi sia cognitivi che di mobilità per i quali spesso questi soggetti sono dipendenti da altre persone. La differenza tra le due situazioni però, sta nel fatto che le persone anziane sono nella fase finale della vita e dunque non usciranno mai dalla condizione di svantaggio in cui si trovano. I bambini, al contrario, non vivono il passaggio verso la condizione di svantaggio, ma vivono invece la transizione ad una fase di pieno accesso alle possibilità del mercato (a meno che non siano presenti altri vincoli). Per questo motivo le due categorie sono considerate una permanente ed una transitoria.

Seguono le donne poiché effettivamente in alcuni paesi, e soprattutto in alcune culture, le loro libertà di agire e decidere vengono limitate dall’autorità di un uomo. Nei paesi occidentali, sebbene ormai non esista più una distinzione di genere così forte, le donne sono ancora svantaggiate rispetto agli uomini in alcuni campi (si pensi per esempio alle differenze retributive).

In alcuni specifici paesi e/o in alcune comunità invece i ruoli si invertono e sono gli uomini a subire delle limitazioni da parte delle donne.

Il terzo caso è presentato da tutti gli appartenenti alla comunità LGBT. Il vincolo che ostacola queste persone è quasi unicamente di origine sociale: si tratta di discriminazione. A parte questo fattore infatti essi sarebbero persone pienamente capaci di affrontare il mercato.

Il fatto che la discriminazione da sola possa costituire motivo di tanta sofferenza e un ostacolo così grande fa capire che arma pericolosa possa essere e quanto dunque siano importanti gli sforzi per debellarla.

Anche parlando di minoranze etniche il problema fondamentale rimane la discriminazione. È da precisare la differenza che c’è tra persona immigrata e persona appartenente ad una minoranza etnica. Il primo termine indica un soggetto che si sia trasferito in un paese diverso da quello di origine (dunque anche per esempio un francese che si trasferisca in Italia). Le minoranze etniche invece sono gruppi culturali all’interno di uno stato che però sono in minoranza in percentuale rispetto all’etnia dominante del paese.

Come si potrà capire, i casi in cui le due situazioni convivono in una stessa persona sono molti, ma l’una non è condizione né necessaria né sufficiente per l’altra.

Quello che interessa maggiormente ai fini di questo elaborato è il fatto che la condizione di immigrato e di appartenente ad una minoranza etnica portano ciascuna conseguenze diverse.

L’immigrato avrà problemi per il fatto che si trova in una comunità nuova e che non conosce, che parla un’altra lingua (anche se questo aspetto viene inserito tra le cause transitorie), che avrà anche problemi di carattere burocratico e così via.

Il problema principale della persona appartenente a minoranza etnica invece è quello di poter subire discriminazioni.

In entrambi i casi comunque si parla di un soggetto che ha una cultura diversa da quella della maggior parte della comunità in cui vive, dunque una difficoltà comune può essere quella di non trovare nel mercato i prodotti usuali della propria cultura.

Il caso che è stato definito come appartenenza ad una certa cultura o religione può sembrare simile, ma in realtà qui ci si riferisce ad un tipo di restrizione diversa. Essa non genera dal fatto che il soggetto appartiene ad una cultura differente da quella delle persone intorno a lui, quanto piuttosto dal fatto che ogni cultura e/o religione impone dei limiti a certi consumi, che gli appartenenti ad esse ne siano consci o meno.

Si pensi al caso della finanza islamica presentato al paragrafo 1.3. o alla questione del consumo di carne di certi animali alla quale si è accennato sempre nello stesso paragrafo. Si noti come in entrambi questi casi ci si riferisce alla cultura dominante del paese e non alle minoranze etniche.

Religione e cultura forniscono dei codici di comportamento per coloro che ne fanno parte e questi possono avere anche la forma di limitazioni al consumo, dunque a seconda della religione o della cultura di appartenenza ogni individuo sarà soggetto a imposizioni diverse.

Dal punto di vista invece transitorio, un problema culturale può risiedere nelle difficoltà che si hanno con la lingua. I due casi differenti sono l’analfabetismo, ovvero il non saper leggere e scrivere neanche nella propria lingua madre, e il non parlare e comprendere perfettamente la lingua della comunità in cui ci si trova, ovvero avere una lingua madre diversa. Anche queste due situazioni ovviamente possono coincidere.

In particolare l’analfabeta, posto che sappia parlare e comprendere oralmente la lingua della comunità in cui vive, avrà problemi più che altro con i testi scritti (si pensi alla capacità di leggere un volantino pubblicitario oppure un’etichetta).

Il soggetto che ha difficoltà in generale con la lingua invece non potrà comprendere sia comunicazioni verbali che scritte e non sarà neanche in grado di esprimersi perfettamente. Queste condizioni sono state considerate tuttavia transitorie poiché attraverso l’apprendimento questi vincoli potrebbero essere rimossi.

Un’altra grande categoria di consumatori che affrontano forti barriere al consumo sono le persone disabili. Si riprende una distinzione fatta da Pavia e Mason (2012) che evidenzia come tipi di disabilità diverse abbiano conseguenze diverse, ovvero disabilità fisiche, cognitive o comportamentali; casi in cui il soggetto abbia una mobilità limitata o meno; casi in cui la disabilità sia visibile all’esterno o meno; infine casi in cui il soggetto sia conscio o meno della sua disabilità. Tutte queste variabili modificano le limitazioni al consumo del soggetto ed il modo con cui egli può farvi fronte.

Accanto a questo caso c’è quello di malattie incurabili (ad esempio malattie congenite o terminali) e di lesioni alla persona (per esempio la perdita di un arto).

Qui i casi sono così molteplici e variegati che non si possono stabilire a priori le difficoltà che il consumatore incontrerà sul mercato, ma esse devono essere analizzate caso per caso.

Le malattie però possono anche essere transitorie e tra queste viene considerata anche la dipendenza da certe sostanze (es. sigarette, alcool, sostanze stupefacenti) o attività (es. il gioco d’azzardo).

Anche una semplice febbre o un raffreddore rientrano nella categoria, poiché lo stato di ottundimento e di spossatezza ad esse collegato potrebbe di per sé costituire una difficoltà nell’affrontare il mercato. Magari il soggetto non può compiere certi acquisti perché deve

rimanere a casa o magari invece li compie ma in modo frettoloso e poco attento proprio perché in questa condizione di confusione e stanchezza.

Il caso successivo è quello dei membri delle Total Control Institution, i quali possono farne parte soltanto per un periodo (es. carcerati con condanne a termine, persone che lavorano sulle navi e a volte anche pazienti psichiatrici) oppure fino al termine della vita (es. condanne di ergastolo, istituzioni di tipo religioso, case di cura per anziani).

La differenza tra i due casi risiede nella speranza per il soggetto di poter un giorno uscire dall’istituzione e nel periodo di post-istituzionalizzazione che dovrà affrontare.

Tra i casi di TCI transitori sono compresi anche gli assistenti o badanti. Alcuni articoli infatti (Piacentini, Hibbert e Hogg 2014; Hunter-Jones 2011) annoverano anche queste figure tra i consumatori vulnerabili. Se ci si pensa, dopotutto, un badante a tempo pieno deve rispettare certi orari e certe attività a seconda delle esigenze della persona a cui è affiancato e questo costituisce una forma di controllo sulla sua vita, seppure non proveniente da un’istituzione vera e propria.

Il caso seguente si riferisce alle condizioni ambientali/spaziali, economiche, politiche e legali del paese in cui risiede il consumatore. Lo stato in cui si vive può infatti costituire di per sé una limitazione al consumo per tutti gli aspetti sopraccitati.

Condizioni ambientali come per esempio il clima possono impedire il consumo di certi prodotti alimentari, la lontananza invece da certe economie potrebbe impedire l’importazione dei prodotti da loro commerciati a causa di troppo elevati costi di trasporto. Il quadro politico e legale del paese potrebbe impedire certi consumi o addirittura si potrebbe avere il caso di economie pianificate come quelle socialiste. Infine la condizione economica in sé del paese determina la ricchezza dei suoi cittadini e lo sviluppo dei mercati. Si pensi ad esempio al caso particolare dell’economia di Zinder descritta da Arnould (2007) e di cui si è parlato nel paragrafo 2.1.-Fuga dal mercato. In quella città in pratica non esisteva un mercato e dunque le possibilità di consumo dei suoi abitanti erano ridotte all’osso, mentre più una società è economicamente sviluppata e più i suoi abitanti avranno numerose e varie possibilità di scelta.

Il caso di povertà assoluta di cui si è parlato nel paragrafo 2.2.-Restrictions and constraints è compreso in questa categoria. Sono le caratteristiche del paese infatti a determinare il livello della ricchezza media dei suoi cittadini.

Il caso della povertà relativa, invece, ovvero una condizione di minor reddito rispetto alla media della società in cui si vive, viene considerata una condizione transitoria poiché, a meno che non esistano altri vincoli, dovrebbe essere possibile per il consumatore migliorare la sua condizione e portarsi al pari delle altre persone nella società.

Una condizione ambientale che però è transitoria si può ritrovare nei casi di disaster recovery, come vengono definiti in letteratura. Si parla di quelle zone colpite da disastri naturali quali terremoti, tsunami o altro, nelle quali gli abitanti sopravvissuti si trovano a dover cercare di ricostruire letteralmente la propria vita. Tra i molti dissidi che devono affrontare uno è proprio quello di trovarsi in un ambiente dove il mercato non esiste più e dove la grandissima maggior parte dei propri beni (se non tutti) gli è stata portata via. L’ultimo caso della tabella ha solo un lato transitorio e non esiste il suo corrispettivo permanente. Si tratta degli stati emotivi, o meglio di quella categoria di consumatori che in un dato momento sta affrontando una situazione particolare che incide fortemente sul proprio stato psichico. Questa categoria riprende esattamente il concetto di “stati individuali” identificato da Baker, Gentry e Rittenburg (2005) come fattore di vulnerabilità. In letteratura è stato indagato in particolare il caso di consumatori che soffrono per la morte di una persona amata (vedi ad es. Gentry, Kennedy e Hill 1995a e 1995b) ma si può considerare qualsiasi problema familiare o personale, come ad esempio il divorzio dei genitori o la perdita del posto di lavoro.

Questi descritti (e riportati in Figura 13) sono tutti i casi di svantaggio o vulnerabilità nel consumo che si sono riusciti a trarre dalla letteratura. Il framework cerca e spera di essere esauriente, ma ulteriori ricerche potrebbero indagare e scovare eventuali categorie di consumatori sulle quali non è ancora stata posta l’attenzione.

Ad ogni modo lo schema sarà la base per l’analisi a seguire e data la grande diversità dei casi in esso inclusi, verranno selezionate alcune categorie specifiche che saranno approfondite, nella speranza che successivi studi si concentrino su quelle qui tralasciate.