• Non ci sono risultati.

Buja e Osoppo

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 110-114)

I CONFINI DEL DISTRETTO

TAVOLA 8. Nella cartina è indicata la linea di confine tra il distretto gemonese e quello di Montenârs,

5. Buja e Osoppo

Verso mezzogiorno il distretto di Gemona confinava con quello di Buja, una comunità costituita da un insieme di piccoli villaggi situati sull’omonimo colle. Le rispettive giurisdizioni erano separate dal fiume Ledra e più precisamente, all’inizio del secolo XVI, un mulino costituiva il termine confinario tra i due distretti. La macchina idraulica era situata sul lato orografico destro del fiume, sulla sponda verso Gemona, nel tratto in cui il corso d’acqua aveva un andamento da nord-est a sud-ovest. L’esatta posizione del mulino, soprattutto per la complessità morfologica del territorio in questa zona, non è esattamente individuabile. Prima di questa segnalazione, reperita negli atti del già citato processo tra Gemona e Artegna del 1528, non sono stati rintracciati documenti di età medioevale che indichino i termini delle rispettive iurisdictiones.70 Il territorio a nord di Buja era caratterizzato da ampie zone paludose prodotte dalle risorgive del fiume Ledra. L’individuazione di una esatta linea di confine sopra una porzione di territorio poco sfruttata e con un assetto pedologico instabile era perciò di difficilissima determinazione.

Come Artegna anche la comunità di Buja era un insediamento di antica origine. Con molta probabilità un fortilizio era attivo in zona già in epoca romana anche se il primo documento che nomina Buja risale al secolo VIII e riguarda la pieve di San Lorenzo. L’istituzione ecclesiastica è

69

Nella sentenza arbitrale del 1528 viene inoltre regolato l’uso di un territorio chiamato nei documenti Vuarba. Questa zona, situata verosimilmente oltre l’Orvenco verso Artegna, era usata in maniera comunitaria dai due abitati. Si trattava di un uso promiscuo del territorio, nella stessa maniera segnalata tra Gemona e Venzone. La giurisdizione di questa zona spettava ad Artegna ma era concesso ai gemonesi accedere con i loro animali per il pascolo. Gli uomini di Gemona non potevano però fare né legna né fieno. Dal sobborgo di Godo una via chiamata ai giorni nostri Vuarbe si diparte verso l’Orvenco. Con molta probabilità era la strada che conduceva a questo pascolo. Nel 1532 il comune di Artegna chiese al Luogotenenete l’annullamento della sentenza del 1528: forse questa concessione non era stata molto gradita agli artegnesi. L’intera sentenza promulgata nel 1528 è pubblicata in appendice del saggio di BALDISSERA, Artegna, pp. 229-236.

70 Il mulino all’inizio del ‘500 apparteneneva al gemonese Antonio Fantoni ed era chiamato anche Pizapan. BALDISSERA, Artegna, pp. 229-236. È molto probabile che il fiume Ledra segnasse nei secoli medioevali il confine tra i due distretti. Il suo percorso che cinge la collina di Buja si presta bene ad essere riconosciuto come limite. Ad ogni modo non esistono a mia conoscenza documenti di età medioevale che indichino un confine certo tra le giurisdizioni di Gemona e Buja.

infatti segnalata in un diploma emanato da Carlo Magno nel 792.71 I villaggi con il castello e la chiesa furono successivamente donati al patriarca Rodoaldo dall’imperatore Ottone II, formando insieme ad altri insediamenti in regione i primi possedimenti dei principi ecclesiastici aquileiesi.72 Nei secoli tardo medievali il castello di Buja e la sua giurisdizione furono infeudati dai patriarchi a varie famiglie castellane. Come abbiamo già detto nel 1349 il patriarca Bertrando incorporò la gastaldia di Buja e quella di Artegna alla città di Gemona.73

Nonostante una tradizionale influenza gemonese nel distretto buiese – molte istituzioni di Gemona ed eminenti famiglie possedevano beni immobili sul colle di Buja74 – nel 1375 il patriarca Marquardo, forse come conseguenza della poca attenzione profusa dalla città nell’amministrazione di queste terre, oppure come contropartita per un accordo politico, vendette il castello e i villaggi di Buja a Francesco Savorgnan. La nobile famiglia castellana mantenne il possesso di questo distretto fino al 1797.75 La conseguenza dell’acquisto fu che un ramo della famiglia Savorgnan divenne titolare sia dei villaggi di Buja che della comunità di Osoppo, il centro abitato che confinava con Gemona verso ponente e che era soggetto alla consorteria dal 1328. Dopo questa data la gran parte del limite meridionale e tutto il confine orientale del distretto gemonese venivano a dunque contatto con i possedimenti della potente famiglia castellana.

La prima causa giudiziaria in materia di confini tra Gemona e Buja risale al 1440. Antecedentemente a questa data non viene segnalata dalle fonti nessuna tensione in merito a dispute territoriali. Un unico anche se intenso accenno a divergenze si ha nel 1381, quando, in seguito ad alcuni lavori ritenuti non regolamentari le autorità pubbliche di Gemona chiesero a Federico Savorgnan di distruggere alcune roste costruite sul fiume Ledra. La questione, dopo alcune ispezioni e un evidente ritardo da parte di Federico nel comandare la demolizione si concluse comunque nell’aprile di quell’anno.76

71

JOPPI, Il castello, p. 7. Pietro Menis nel suo contributo sulla pieve di Buja sostiene che la chiesa matrice è ricordata per la prima volta in un diploma di Carlo Magno risalente all’801. MENIS, La Pieve, p. 5

72 ELLERO, Buja. PASCHINI, Storia, pp 198-199.

73 PASCHINI, Storia, p. 487. Le famiglie alle quali fu consessa dal patriarca la gastaldia e il castello di Buja furono: i Villalta, i Varmo, i Colloredo, gli Arcano, ed i Di Prampero.

74 Il convento francescano di Sant’Antonio a Gemona possedeva una vigna a Buja che veniva coltivata direttamente dai frati. Anche se l’andamento della rendita era piuttosto discontinuo, in alcune annate la resa era piuttosto elevata. Nel 1391, nel 1396 e nel 1404 i religiosi ricavarono più di 30 conzi di vino da questa proprietà, che doveva necessariamente essere piuttosto estesa. MINIATI,Il registro, pp.40-42.

75 DAVIDE, Legge, pp. 18-25.

76 La documentazione che ci è pervenuta non permette di individuare il punto esatto nel quale le roste furono costruite. Con molta probabilità queste opere di difesa deviavano, in caso di piena, le acque del Ledra nel territorio della iurisdictio gemonese, compromettendo, forse in alcuni punti, la viabilità sulla strada internazionale. Non si spiegherebbe altrimenti perché alla conclusione della vicenda alcuni ambasciatori di Venzone vennero a visionare le roste del fiume. Il consiglio comunale di Gemona, nel gennaio del 1381, dopo aver chiesto la rimozione delle difese, sembra non fidarsi della parola data dal Savorgnan. All’interno del quaderno dei massari vengono per due volte pagati degli individui che furono inviati a verificare se il lavoro era stato portato a termine. ACG, Massari, b. 410, ff. 8r e 11v, 9 marzo 1381 e 1 aprile 1381.

A differenza delle altre aree contermini, il territorio che separava Gemona da Buja – e allo stesso modo quello che divideva Gemona da Osoppo – era costituito quasi esclusivamente da un’estesa zona pianeggiante, nominata nei documenti Campo o Campanea campi. Si trattava, come abbiamo visto, di una vasta pianura con un assetto pedologico piuttosto complesso. Il Campo era costituito da prati, piccoli boschi, zone ghiaiose e paludi. Le frequenti esondazioni del Tagliamento e dei suoi tributari, provenienti dai monti ad oriente, non favorivano la messa a coltura delle terre migliori, limitando la presenza umana nella zona.77 La piana si estendeva inoltre verso sud-ovest, incuneandosi tra le colline dove sorgevano le comunità di Buja e Osoppo e terminava alla base dei rilievi morenici nei pressi di Cimano. Proprio in questa zona nel 1440 maturarono i fatti che portarono all’unica vertenza di età mediovale tra Buja e Gemona riguardante l’assetto confinario. Se un tratto del confine tra le due comunità era con molta probabilità segnato dal fiume Ledra, ad ovest di Buja lo stesso corso d’acqua, che cingeva la collina deviando poi verso sud, non costituiva più un limite certo e condiviso.78

Il giorno di San Giorgio (23 aprile) del 1440 quattro uomini di Buja aggredirono tres armentarios comunis Glemone, i quali con i loro animali pascolavano in campanea dicta Chiamp in certis pratis.79 Le autorità comunali della città in seguito ai fatti – che comportarono per i pastori gemonesi anche la sottrazione di capi di abbigliamento e armi, un certo grado di violenza fisica e l’allontanamento forzato dal pascolo – decisero di rivolgersi al luogotenente veneziano per avere giustizia. Gemona sosteneva infatti, nella vertenza attivata come conseguenza di questa azione, di essere in possesso da tempo immemorabile del territorio dove era avvenuta l’aggressione.

Dagli atti del processo attivato immediatamente dopo la lite, si intuisce che i pastori e gli armenti gemonesi pascolavano nella località detta sot glu povulg, una zona non ben identificata ad est di Saletto, sopra Tomba, nei pressi di alcuni alberi di pioppo: Comugna que est sub tres populos circa foveas pratorum. Questa porzione di territorio, oggi di difficile identificazione per la scarsità di riferimenti toponomastici nella zona, si trovava nella parte sud-occidentale del Campo ed era ritenuta dagli uomini di Buja come appartenente a privati abitanti dell’omonima comunità. Nelle deposizioni, i teste di parte non gemonese interrogati per far luce sulla questione, sostenevano infatti che alcuni prati appartenenti ai buiesi erano situati in quei luoghi. Questi terreni confinavano

77 Con il termine Campo si identificava un’area piuttosto estesa percorsa da numerose vie di comunicazione. Come abbiamo visto anche la strada internazionale che metteva in comunicazione i porti di Latisana e Portogruaro alle terre tedesche passava per il Campo. Alla fine di marzo del 1349 e il 28 di marzo del 1357 le autorità gemonesi pignorarono alcuni animali appartenenti a genti carniche che pascolavano nella piana. Le mandrie erano probabilmente dirette altrove, ma brucavano sopra i terreni comunali gemonesi. ACG, Massari, b. 401, f. 18r, 22 marzo 1348; b. 405, f. 11r, 28 marzo 1357.

78 Negli statuti di Buja, approvati nel 1371 alla presenza del capitano di Gemona, erano contenute norme che regolavano lo sfalcio del fieno nel Campo. All’interno di queste rubriche non erano però specificati i limiti confinari dove valeva questo diritto. JOPPI, Il castello, p. 25.

79

Gli aggressori, tutti abitanti della comunità di Buja, erano: Nicolaum Denelati, Antonium Comicij e Nicolaum e Geronimum, fratres filios Juliani del Guerz omnes de Buja. ACG, Causa Gemona-Osoppo, b. 726.

a loro volta con delle terre comunali di Gemona. La lite esplose perché i gemonesi non avevano portato al pascolo i propri animali nelle comugne, ma su prati privati appartenenti ad alcuni uomini di Buja, i quali, in quel periodo dell’anno, erano tra l’altro interdetti. Sembra infatti che fosse consentito portare gli animali al pascolo sopra i prati privati non recintati solo in alcuni periodi dell’anno, regolamentati da un pubblico bando.80 Anche se uno dei motori della lite era da ricercarsi con molta probabilità nelle conseguenze di una devastante esondazione del Tagliamento, che in quell’anno modificò pesantemente l’assetto pedologico della zona, causando sicuramente confusione nella delimitazione dei terreni, la vertenza giudiziaria che prese forma in seguito a questo episodio sollevò, come vedremo, ben altre questioni che covavano probabilmente da alcuni anni.

80

Le norme statutarie di Buja e di Gemona non chiariscono la questione del pascolo sopra i prati privati. È presumibile che i terreni non recintati, anche se appartenenti a privati, nel tempo in cui il pascolo non era bandito dovevano sopportare il libero brucare di greggi e armenti. In tutto il Friuli di solito dall’11 novembre (San Martino) al 23 aprile (San Giorgio) non c’erano restrizioni di pascolo. Venezia abolì il libero pascolo invernale sopra i terreni coltivati alla fine del Settecento. L’aggressione degli uomini di Buja era avvenuta quindi nell’ultima giornata del permesso. PERUSINI, Vita pastorale, p. 285.

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 110-114)