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Le zone coltivate

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 128-131)

PAESAGGIO AGRARIO ED ECONOMIA DEL MONTE

1. Le zone coltivate

Nonostante l’importanza che avevano le attività commerciali, il peso dell’economia che era basata sulle coltivazioni e soprattutto sullo sfruttamento del territorio non era per la comunità gemonese di poco conto. La città doveva però affrontare, in merito alle terre coltivabili, le problematiche connesse con un territorio complesso, formato da un lato da zone dall’assetto tipicamente alpino e dall’altro da aree situate nella piana alluvionale le quali, come si è detto, erano fortemente legate al regime delle acque del Tagliamento. La dimensione del distretto giurisdizionale della città, se paragonata a quella degli altri centri urbani regionali era piuttosto estesa, ma nonostante Gemona vantasse il controllo diretto su un’area abbastanza ampia, le zone dove le attività agricole avvenivano in modo regolare durante l’anno si limitavano a una fascia territoriale decisamente circoscritta.1 Gran parte della superficie orientale della iurisdictio era infatti montuosa e caratterizzata da rilievi che in alcuni casi superavano abbondantemente i mille metri. I piccoli avvallamenti situati tra i monti erano perlopiù coperti da boschi o prati e, in linea generale, queste zone si presentavano di difficile sfruttamento per le intrinseche caratteristiche morfologiche del territorio e per le difficoltà connesse con il raggiungimento dei luoghi: i versanti dei rilievi erano infatti spesso scoscesi e in alcuni casi franosi. All’opposto l’area a ponente, seppure caratterizzata da un’estesa superficie pianeggiante, scontava però un assetto del territorio che si presentava nella parte settentrionale in gran parte ghiaioso, mentre via via che si procedeva verso meridione l’eccesso d’acqua proveniente dalle risorgive rendeva, come abbiamo visto, vaste aree simili a una palude. Nel 1436, ad esempio, il camerario dell’ospedale di San Michele registrò la motivazione della mancata riscossione di un censo assiso sopra un prato situato nel Campo. Il funzionario

1 La città di Gemona estendeva la propria autorità sopra un territorio piuttosto vasto. Se si confronta la distanza tra il centro di Udine e il limite settentrionale della sua iurisdictio, con la distanza che separa i Rivoli Bianchi da Gemona, emerge immediatamente una notevole differenza. L’estensione del distretto udinese verso nord era di circa due chilometri in direzione di Chiavris, mentre la iurisdictio gemonese si protraeva per più di cinque chilometri prima di raggiungere il confine con Venzone. BALDISSERA, Il diploma, p. 123.

dell’ospizio scriveva nel suo registro: Lu prat si è in Champ è sogleriat per lu Tagliement e non vul pagar.2

Le caratteristiche del territorio distrettuale limitavano di conseguenza l’area agraria alla fascia mediana, situata sulla mezzacosta montuosa. All’interno del distretto la porzione di territorio che si trovava compresa tra il “monte” e il piano era quindi quella maggiormente sfruttata dal punto di vista agricolo. In questa fascia, compresa tra un’altitudine che variava tra i 200 ei 350 metri s.l.m., dove tra l’altro sorgeva la città e dove transitava l’antica strada commerciale, una buona parte delle terre era intensamente dedicata ai coltivi. Quest’area, che non superava in alcuni punti la larghezza di due-tre chilometri, seguiva nel territorio una direttrice che da nord-ovest tendeva verso sud-est coprendo in senso latitudinale quasi tutta l’estensione della superficie distrettuale. Agli estremi opposti, cioè verso i rilievi e in direzione del Campo, l’intervento dell’uomo era minimo e si limitava eventualmente a sfruttare le risorse naturali del territorio.

Le indicazioni toponomastiche contenute all’interno dei quaderni dei massari e quelle reperite dalle più antiche fonti di produzione privata evidenziano proprio questo assetto del paesaggio, mettendo in luce come le zone adibite più intensamente a coltura si estendessero principalmente nell’area a sud della città e nella fascia mediana del conoide sul quale era situato il centro urbano. Come vedremo meglio in seguito, le estensioni agricole degradavano poi verso nord, fino ai colles de Glemona. All’interno di questa fascia di territorio la continuità delle aree agrarie era in alcune occasioni interrotta da zone boschive o da incolti, i quali frammentavano la superficie dedicata ai coltivi.

All’interno del distretto la superficie dedicata esclusivamente alle coltivazioni era dunque abbastanza scarsa. Nel corso dei secoli tardomedioevali le fonti segnalano una progressiva espansione delle terre messe a coltura, le quali seguiranno delle precise direttrici di sviluppo sul territorio. Nonostante però una continua espansione, il distretto gemonese era segnato da poche estensioni coltivate sia rispetto al numero di abitanti che vi risiedevano sia, come già detto, nei confronti della superficie totale sulla quale la città estendeva la propria autorità.

Dal complesso delle indicazioni utilizzabili sul piano topografico si ricava la significativa insistenza sulla messa a coltura di alcune aree, comprese all’interno della fascia agraria. Le prime evidenze documentarie – le quali fanno riferimento alla fine del secolo XIII, inizio XIV – segnalano una concentrazione delle pertinenze agrarie nella zona meridionale rispetto al centro urbano. L’area dalla forma vagamente triangolare delimitata da un lato da Maniaglia e Sornico con alla base il torrente Orvenco, e dall’altro dalla zona di Marzars e Paludo con al vertice il “sobborgo” di Godo, appare all’inizio del secolo XIV già intensamente sfruttata e con un assetto del paesaggio agrario

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ACG, San Michele, b. 1441. «Il prato che è situato nel Campo è coperto di ghiaia a causa del Tagliamento e [il censuario] non vuole pagare».

cristallizzato da tempo. In particolare l’area di Godo e tutta la zona a sud-ovest della città, la quale beneficiava dei naturali ripari dai venti freddi del nord forniti dalle pendici meridionali del colle del castello e da quelli occidentali del monte Glemina, fu probabilmente la porzione di territorio che per prima venne interessata da un insediamento a carattere agricolo nel distretto gemonese.3 La zona di Godo, situata ai margini della mezzacosta montuosa, era ricca d’acqua e prossima al piano più fertile e più agevolmente coltivabile nel distretto, situato a sud della città nei pressi della parte finale della roggia. Oltre questo luogo i toponimi di Marzas e di Piovega individuavano aree coltivate che, nonostante fossero situate ai margini del Campo, erano sufficientemente al riparo dall’irruenza delle acque. Queste zone rappresentavano la massima estensione dei coltivi al di fuori della fascia agraria situata sulla mezzacosta montuosa.

3 Il Mor sostiene che in quest’area, durante l’età longobarda, stazionò un piccolo contingente di Goti. Dalla presenza stabile di queste genti derivò il nome del luogo. La zona di Godo fu nell’Alto Medioevo una delle prime porzioni di territorio, all’interno del distretto, ad essere abitata con continuità. MOR, Momenti, p. 9

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 128-131)