• Non ci sono risultati.

Nella cartina è indicata la linea di confine tra il distretto gemonese e quello venzonese

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 96-102)

I CONFINI DEL DISTRETTO

TAVOLA 6. Nella cartina è indicata la linea di confine tra il distretto gemonese e quello venzonese

Da est verso ovest la linea di confine delle due giurisdizioni, dopo il verdetto del 1444, seguiva partendo dalla forcella dei Musi, l’alveo del torrente Venzonassa per deviare ad un certo momento verso la cima del Monte Ledis. E’ specificato infatti negli atti che tutte le terre a settentrione del rilievo, in direzione della chiesetta di Sant’Antonio, dovevano essere di pertinenza venzonese. E’ presumibile quindi che la cresta del Ledis, che scende verso il rivo, costituisse il limite confinario. Il

35 Era ammesso dai giuristi medioevali esercitare alcuni diritti nei territori di un’altra comunità come, ad esempio, falciare fieno o pascolare, pur non vantando sopra tali spazi alcun tipo di giurisdizione. MARCHETTI, De iure, pp. 9-12.

rio Crassignis poi, che nasce ai piedi della cima del monte Ledis e le cui acque (quando ci sono) sprofondano spesso nelle ghiaie dei Rivoli Bianchi, segnava fino a valle il confine tra le due giurisdizioni.

In generale c’era la tendenza ad utilizzare elementi naturali per identificare le rispettive pertinenze. Le creste montuose e le cime, alte e in genere rocciose, e i corsi d’acqua di una certa portata non interferivano con gli utilizzi concreti del territorio ed erano palesemente visibili e identificabili, contribuendo quindi a separare, anche geograficamente, i due ambiti. Come accadrà per l’identificazione dei limiti distrettuali con l’abitato di Artegna, e in una certa misura anche con Buja, i fiumi e i torrenti, posti al confine di due territori, rappresentavano in qualche modo la materializzazione più evidente di un confine “naturale”. Le sentenze quattrocentesche – oltre a provvedere all’identificazione di un limite confinario preciso – avevano avuto infatti il merito di delineare con più esattezza i contorni dei luoghi indicati dai testimoni nelle varie vertenze. Zone come i Rivoli Bianchi o il bosco di Ledis trovavano così adesso una più esatta collocazione spaziale, che permetteva di inserirle all’interno dell’una o dell’altra giurisdizione.36

Le sentenze avevano inoltre stabilito di porre numerosi segni confinari, specialmente in prossimità delle zone vallive, dove i riferimenti offerti dalla natura erano meno espliciti e di più difficile lettura. Nel 1436 e poi nuovamente con il verdetto del 1444, Raffaele Pergonesi, capitano di Udine, venne infatti incaricato dal Luogotenente veneziano di supervisionare la realizzazione e il corretto posizionamento di questi marchi sul territorio. Inoltre nel giugno del 1437, probabilmente come conseguenza del verdetto emanato nell’anno precedente, fu il Luogotenente stesso che raggiunse Gemona per verificare l’esatta collocazione dei termini confinari posizionati sopra i Rivoli Bianchi.37 Nei luoghi più significativi della linea di confine furono dunque collocati dei pietroni con scolpite delle croci, i quali vennero sistemati anche nelle zone dove gli usi di sfruttamento erano collettivi imponendo l’individuzione e la fissazione di segni che delimitassero le pertinenze. La sella di Santa Agnese, ad esempio, era un territorio ambito, la cui giurisdizione, come abbiamo visto, era dopo il 1367 pienamente gemonese, anche se era ammessa per i diritti di pascolo la presenza dei venzonesi. Nel 1444 furono scolpite delle croci sopra dei massi posti nei pressi della sella in direzione di Gemona. Questi segni erano il limite imposto ai pastori di Venzone. Nonostante l’individuazione, a partire dagli anni ’30 del secolo XV, di limiti sempre più precisi, le tensioni tra le due comunità si placarono solamente dopo la sentenza del 1444. Gemona e Venzone continuarono infatti a rivendicare porzioni di territorio malgrado i procedimenti giudiziari

36 Nel verdetto del 1436 sono ben esplicitati i limiti dell’area chiamata bosco di Ledis. Per questa si intendeva tutto il territorio compreso tra la Forca di Ledis e quella dei Musi con il limite settentrionale dato dal rio Venzonassa. L’area apparteneva quindi alla piena giurisdizione gemonese.

in corso. Anche durante lo svolgimento delle cause, alla fine degli anni ’30 del Quattrocento, non si fermarono sconfinamenti e tensioni. I primi giorni di giugno del 1437, ad esempio, immediatamente dopo la partenza del Luogotenente da Gemona, le autorità cittadine lamentavano il pascolo di alcuni cavalli venzonesi sopra un territorio soggetto alla loro giurisdizione.38

È probabile che solo dopo il verdetto del 1444 la questione confinaria tra i due abitati venisse in parte risolta: non si segnalano infatti per l’epoca medioevale altre cause giudiziari. Il puntuale lavoro svolto e l’autorevolezza dell’autorità veneziana avevano imposto, dopo l’emanazione dell’ultimo verdetto, un’accettazione incondizionata dei termini confinari per un lungo periodo. La questione non era però definitivamente risolta. Il 28 settembre 1493, il Luogotenente veneziano, forse stufo della plurisecolare lite, di fronte a nuove proteste e nuovi appelli riguardanti i confini tra Venzone e Gemona dichiarerà di essere incompetente in materia. La contrapposizione tra le due comunità esploderà infatti di nuovo e in maniera intensa in epoca moderna, dopo più di un secolo, con l’attivazione di un nuovo processo che ridiscuterà i limiti confinari tra le due comunità, non modificando però l’estensione delle giurisdizioni in maniera significativa.39

2. Tarcento

Il distretto giurisdizionale gemonese confinava quindi per quasi tutta la sua estensione settentrionale con Venzone. Nell’estremo margine nord orientale, per una breve porzione di territorio, la comunità contermine era però Tarcento, la cui iurisdictio si estendeva sulla valle del Torre e sui piccoli insediamenti situati verso le montagne. La complessità del territorio ed i rilievi piuttosto elevati che dividevano le due giurisdizioni (monte Quarnan – monte Chiampon) non diedero spazio ad attriti rilevanti in merito ai confini. Non esistono per l’età medioevale arbitrati o procedimenti giudiziari che videssero coinvolte la città di Gemona e le comunità facenti parte del distretto tarcentino. Il più importante passaggio tra i monti che metteva in contatto questi due distretti era la forcella dei Musi. Il luogo, situato al limite orientale della val Venzonassa, era un punto d’incontro tra i distretti di Gemona, Venzone e Tarcento. Le genti sclaboniche, insediate nella parte settentrionale del distretto tarcentino, sfruttavano in alcune occasioni questo passaggio tra i rilievi per entrare nella val Venzonassa ed usufruire illegalmente dei pascoli al suo interno. Per gli uomini di Coia, Samardenchia, Zomearis, Stella, Malasameria, Cesariis e degli altri insediamenti situati nella valle del Torre, le attività di allevamento rappresentavano infatti una risorsa fondamentale: diti poveri

38 ACG, Massari, b. 444, f. 28r, 7, 11 e 12 giugno 1437.

39

Attualmente i limiti del territorio comunale tra i due abitati seguono in buona parte i confini prodotti in età medioevale.

homeni e comuni, quali de altro non viveno che de bestiame per habitar ne le montagne.40 Le difficoltà dell’area tarcentina a sostenere una pesante attività di pastorizia produceva alle volte sconfinamenti nella Val Venzonassa in territori che, come abbiamo visto, appartenevano a Gemona e a Venzone. La tensione, che presumibilmente perdurava da tempo, esplose nel 1485 e fu risolta dagli uomini di Venzone nel segno della rappresaglia. Daniel Pusan di Venzone, assieme ad alcuni compaesani, nel luglio di quell’anno ferì infatti un pastore tarcentino e pignorò numerose capre che si trovavano a pascolare illegalmente nella valle, in una zona boscosa detta Val Scura, situata “inter Furchas de Musiz et de Ledis, citra Venzonasiam versus Glemonam”. Fu aperto sull’accaduto un processo giudiziario che doveva definire i termini di responsabilità in criminalibus.41 Ad ogni modo il teatro dei fatti era un magnum nemus situato a sud del torrente Venzonassa, in giurisdizione gemonese, dove gli uomini di Venzone vantavano diritti di pascolo. La vicenda testimonia semplicemente una certa frequenza nell’abuso da parte dei tarcentini, i quali, con molta probabilità, sconfinavano anche a nord del corso d’acqua. Il Pusan dopo aver pignorato gli animali li condusse dal capitano di Gemona, l’ufficiale incaricato di far rispettare la giustizia nel distretto gemonese. E’ presumibile che questi sconfinamenti avvenissero con una certa regolarità solo dopo la metà del Quattrocento. Superati gli esiti della guerra tra gli ultimi patriarchi e la repubblica veneziana la ripresa demica impose una maggior pressione sul territorio. Nei luoghi dove la disponibiltà di risorse era contenuta le frizioni e gli sconfinamenti divennero quindi inevitabili.42

3. Montenârs

A sud-est di Gemona, a circa quattro chilometri dalla città, è situato il territorio di Montenârs. Questo distretto, caratterizzato da piccoli nuclei abitati di scarsa consistenza demica, si estendeva sotto le pendici meridionali del monte Cuarnan.43 Verso la fine del Duecento la famiglia castellana dei di Prampero era la titolare della iurisdictio nella zona, avendo acquistato il castello di Ravistagno e la giurisdizione di Montenârs nel 1287 da tal Girardino di Cividale.44 A partire dalla

40 ACG, b. 889, Copia processus formati contra Danielem Pusan de Venzono super querella certorum comunium iurisdictionis Tarcenti.

41 I fatti vengono descritti in un processo giudiziario attivato dal tribunale del luogotenente ad Udine, a seguito di un libello d’accusa presentato da Giacomo e Cristoforo di Castello, titolari della giurisdizione tarcentina. Dopo l’attivazione della giustizia veneziana furono interrogati numerosi testimoni di entrambe le parti. La sentenza sull’accaduto non è però reperibile. ACG, b. 889, Copia processus formati contra Danielem Pusan de Venzono super querella certorum comunium iurisdictionis Tarcenti.

42

ZACCHIGNA, La società, pp. 123-125. MINIATI, Daniele, pp. 44-56.

43 Il nome Montenârs deriva dal latino “montanarius”, cioè “colui che abita in montagna”. FRAU, Dizionario, p. 82.

44 Prima dell’acquisto da parte della famiglia di Prampero, il castello di Ravistagno e la giurisdizione di Montenârs furono soggetti a molti individui. Attorno alla metà del Duecento Ermanno di Clama e il figlio Egerlamo detenevano una parte del castello e dei diritti sul distretto. Nel 1275 la rocca era stata acquistata dalla famiglia dei Varmo. Poi, come abbiamo visto, entrò a far parte del patrimonio dei di Prampero. Secondo lo Joppi il castello di Ravistagno, che si

seconda metà del secolo XIV il castello con la giurisdizione e altri beni nel territorio andarono però divisi, permutati e alle volte venduti a persone estranee alla consorteria. Nel 1364, ad esempio, la terza parte del fortilizio fu acquistata da esponenti delle famiglie gemonesi dei Brugnis e dei de la Massaria.45

Le influenze di Gemona erano tradizionalmente molto forti nel territorio di Montenârs anche se le comunità montenaresi vantavano legami principalmente con Artegna a cui gli insediamenti si connettevano geograficamente mediante la valle dell'Orvenco. â46 Con il controllo nel 1349 della gastaldia di Artegna da parte di Gemona si era però creata e rafforzata la dipendenza di Montenârs dalla città. I villaggi della zona gravitavano comunque sotto l’aspetto economico attorno al mercato gemonese, da cui dipendevano per l’acquisto di molti beni di prima necessità.

Nel 1373 l’approvazione degli statuti di Montenrs avvenne alla presenza del capitano di Gemona, al quale fu formalmente richiesto di giudicare in città i reati più gravi che si consumavano nel territorio delle comunità montenaresi.47 Lo stretto rapporto tra Gemona e Montenârs e la dipendenza e la soggezione di quest’ultima nei confronti della città non produssero nei secoli medioevali rilevanti tensioni né vertenze in materia di confini. Sono segnalati negli anni ‘50 del Trecento alcuni attriti che però non sfociarono mai in procedimenti legali.48

La prima causa giudiziaria tra Gemona e Montenârs in merito alla delimitazione dei limiti distrettuali avvenne nel 1523 e nacque da un duplice sequestro di animali. Come conseguenza di un pignoramento di pecore da parte gemonese, gli uomini di Montenârs per evidente ritorsione, sequestrarono diciotto capi di bestiame di proprietà di alcuni notabili cittadini che pascolavano nei pressi di un bosco sul monte Cuarnan. Venne attivato, come conseguenza dei fatti, un processo giudiziario che muoveva con l’intento di definire un più esatto e certo limite confinario. Prima di questa data, al di là del Rio Petri come riferimento certo e tradizionalmente riconosciuto, il confine

trova sulla sponda destra del torrente Orvenco tra Gemona ed Artegna, alla fine del Trecento era per la maggior parte in rovina. Carnia, p. 225.

45 Nel corso del primo Quattrocento la giurisdizione di Montenârs fu ulteriormente frazionata. La famiglia Brugni vendette nel 1404 la sua parte ad esponenti delle famiglie dei Cramis, dei Fantoni e dei Pinta. Successivamente i di Prampero ricostituirono una titolarietà unica del distretto. JOPPI, Statuti. A partire dal Trecento sono segnalati investimenti – soprattutto di carattere fondiario – fatti da famiglie gemonesi nel territorio di Montenârs.

46 Le chiese del distretto di Montenârs dipendevano dalla pieve di Artegna.

47

JOPPI, Statuti. CESCHIA, Montenârs.

48 In alcune zone il confine tra Gemona e Montenârs doveva essere piuttosto confuso. Negli anni ’50 del Trecento, all’interno dei registri dei massari del comune di Gemona, vengono, in alcuni casi, annotate delle spese sostenute per finanziare azioni di controllo o ritorsione contro gli abitanti di Montenârs. Il 26 luglio e il 18 agosto del 1355, ad esempio, un compenso venne erogato agli uomini che avevano bruciato il fieno dei montenaresi e il 20 giugno del 1356, sette uomini furono pagati per prendere alcuni animali appartenenti ai pastori di Montenârs, i quali brucavano super pascuo Comunis. Queste questioni, come già detto, non produssero nessun procedimento giudiziario, sembra infatti che le divergenze siano state risolte senza l’intervento di nessuna un’autorità esterna. Il 3 luglio del 1357 Gemona dette una licenza ai montenaresi di poter pascolare sopra un pascolo comunale della città. ACG, Massari, b. 403, f. 28r, 26 agosto 1355 e f. 19v, 18 agosto 1355; b. 405, f. 20v, 20 giugno 1357 e f. 24r, 3 luglio 1357.

tra Gemona e Montenàrs, soprattutto nei territori montani, era con molta probabilità piuttosto approssimativo e tramandato oralmente da generazione a generazione.49

Il confine del distretto gemonese, partendo da nord-est, era quindi delimitato dal torrente Venzonassa. Una volta toccata la forcella dei Musi il limite piegava verso sud, seguendo poi in direzione di ponente la catena montuosa fino quasi al monte Cjampon. Un confine preciso e certo in queste zone impervie e difficilmente raggiungibili non era ovviamente né segnato né individuato. La delimitazione delle giurisdizioni seguiva poi – come si evince dal processo del 1523 – il rio della Panaria fino al suo congiungimento con il torrente Vedronza. Dalla sorgente di questo rivo veniva toccata la cima del monte Cuarnan proseguendo poi lungo il corso del rio Petri, che era il tradizionale limite tra Gemona e Montenârs. Raggiunta la vecchia strada internazionale tra Maniaglia e Sornico, la quale superava il torrente, il limite che era indicato, come vedremo, da sassi e croci ripiegava poi verso ovest seguendo il torrente Orvenco, che divideva la iurisdictio di Gemona da quella di Artegna.

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 96-102)