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Gemona e le strade alpine

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 36-45)

TERRITORIO E VIABILITÀ

1. Gemona e le strade alpine

Nel Medioevo le strade commerciali che scendevano dalle terre tedesche in direzione dell’Italia nord-orientale erano sostanzialmente tre: le prime due, dopo aver superato i rilievi rispettivamente al passo di Monte Croce e alla sella di Camporosso si congiungevano prima di transitare per Gemona e il suo distretto; la terza via invece, percorreva l’alta valle dell’Isonzo e poi quella del Natisone e scendeva in Italia passando per Cividale.1 Tutti e tre i percorsi avevano fatto parte della rete stradale romana, il cui tracciato, come è noto, continuò a essere utilizzato fino a gran parte dell’età Moderna. Anche se l’emergere di nuovi rapporti economici e un diverso sviluppo nell’assetto insediativo sollecitarono, in alcuni casi, l’utilizzo di nuove strade o modificarono il percorso delle vecchie, nei secoli medievali la rete stradale di respiro internazionale dovette identificarsi, soprattutto nelle zone di montagna, sempre con quella romana.2 Fin dall’età classica la vicinanza delle Alpi al mare e la comodità dei valichi aveva favorito in Friuli la costruzione di grandi strade consolari, le quali percorrevano le vallate alpine collegando il grande centro commerciale e portuale di Aquileia con l’entroterra del Norico.3 Nel tardo Medioevo questi percorsi viari, mai del tutto interrotti dopo il declino di Roma, rimasero le uniche direttrici che permettevano di superare agevolmente le montagne, snodandosi attraverso le poche valli fluviali che in regione mantenevano un andamento perpendicolare rispetto alla linea dell’arco alpino. In Friuli la maggior parte delle catene montuose e dei solchi vallivi sono infatti disposti in senso longitudinale, favorendo i collegamenti da oriente verso occidente piuttosto che quelli in senso opposto.

Come abbiamo appena detto, a Gemona confluivano dunque due delle tre più importanti strade che consentivano di superare i rilievi con una certa facilità. Le montagne venivano oltrepassate attraverso i percorsi che valicavano due passi: da un lato quello di Monte Croce, posto più ad occidente, e dall’altro la sella di Camporosso, situata in val Canale. Il primo di questi due percorsi

1 PASCHINI, Le vie commerciali, pp. 123-135. DEGRASSI, Dai monti, pp. 161-187.

2

STERPOS, La route, p. 5.

scendeva in Italia seguendo il corso del torrente But, toccava Tolmezzo e si immetteva poi nella seconda strada che, dopo aver superato la sella di Camporosso, proveniva invece dalla val Canale e dal Canal del Ferro. Nei pressi dell’attuale località di Carnia, dove il Fella confluisce nel Tagliamento, le due strade si congiungevano puntando quindi verso sud. Dopo aver superato l’abitato di Venzone e prima di salire verso la sella di Sant’Agnese il percorso entrava nel distretto gemonese. A partire dall’area dove oggi è situato l’abitato di Carnia un’unica grande strada puntava dunque da settentrione verso Gemona, raccogliendo il traffico dei due itinerari che dalla valle del Gail avevano superato i rilievi attraverso i passi sopra indicati.

TAVOLA 1.Il sistema viario internazionale a nord del distretto gemonese.4

4 Ho deciso di utilizzare il termine “sistema viario internazionale” per indicare i percorsi commerciali che collegavano le regioni del centro Europa con quelle dell’Italia nord orientale, con la consapevolezza che questa espressione, utilizzata in un contesto di storia medievale, può essere forse anacronostica.

In questa strada confluiva anche il traffico proveniente da un altro percorso, decisamente secondario, ma che permetteva anch’esso l’attraversamento dell’arco alpino. Nei pressi di Tolmezzo scendeva, unendosi alla strada che proveniva da Monte Croce, un itinerario che dal Tirolo, attraverso San Candido, Auronzo e Ampezzo, raggiungeva la zona pedemontana italiana. Questo percorso, la cui importanza nella rete viaria alpina sarà nei secoli medioevali del tutto sussidiario, non verrà mai interessato dai grandi flussi di transito commerciale, ad eccezione di alcuni particolari momenti, nei quali, come vedremo, situazioni contingenti faranno si che i transiti di uomini e merci si sposteranno su questo itinerario.5

Fino al secolo XIII il passo di Monte Croce sostenne la maggior parte dei transiti tra l’Italia nord-orientale e i paesi d’Oltralpe, dal momento che, assieme al Brennero, era l’unica vera e propria strada percorribile con i carri.6 Il secondo percorso, quello che seguiva il Canal del Ferro e la valle del Fella, fu pochissimo praticato fino al secolo XI. Questo itinerario, nominato nei documenti come via per Canales o per Clusas, acquistò sempre più importanza solo a partire dal Duecento, ma cominciò a essere utilizzato con regolarirà probabilmente già nel secolo XII.7 E’ presumibile che il maggior uso di questa via fosse solo in parte determinato da un generalizzato incremento dei traffici, i quali, come è noto, interessarono tutta l’Europa nei secoli successivi al Mille, ma è invece probabile che l’utilizzo intenso di questa strada fu in un certo senso anche la conseguenza di una ripresa dello sfruttamento delle coltivazioni minerarie nell’area carinziana e austriaca. Nel corso del secolo XII vennero infatti attivati dei commerci che vedevano i mercanti transalpini scambiare metalli e argento a fronte di derrate alimentari e merci pregiate provenienti dal lontano oriente.8 Gran parte di queste merci, dopo aver transitato per Gemona, seguivano, per raggiungere le terre tedesche, la via attraverso il Canal del Ferro, che fu così chiamato probabilmente per le grandi quantità di metalli che vi scendevano da nord.9

A differenza della strada che attraversava il passo di Monte Croce, la quale costeggiava il torrente But sempre sul lato orografico sinistro, il percorso che scendeva dalla sella di Camporosso,

5 C’era inoltre un’altra via che permetteva di superare agevolmente le Alpi orientali, ed era quella che seguiva l’ampia valle del torrente Vipacco. Attraverso un percorso che puntava verso oriente si snodava l’itinerario ricordato da Paolo Diacono come la “porta d’Italia”. DEGRASSI, Frontiere, pp. 195-220.

6 PASCHINI, La storia, pp. 177-178. DEGRASSI, Attraversando, pp. 13-32.

7 A questa altezza cronologica la scarsità di fonti non permette di individuare con certezza l’intensità dei flussi commerciali che seguivano le strade attraverso le Alpi orientali. Verso la metà del secolo XII gli scambi di beni tra le zone ultramontane e l’Italia doveva comunque aver già assunto un’intensità notevole. Nel 1149 l’imperatore Corrado III, su sollecitazione dei canonici di Salisburgo, ammonì infatti il patriarca di Aquileia in merito ad alcuni dazi, che erano stati imposti agli ecclesiastici per il transito dei beni e dei prodotti ricavati dai loro possedimenti in territorio patriarchino. La tassa doveva infatti essere pagata esclusivamente dai mercanti che svolgevano questa attività professionalmente. A partire dal secolo XII venne infatti istituita una muda patriarcale alla Chiusa – l’attuale Chiusaforte – la quale nella prima metà del secolo successivo costituì uno dei principali cespiti d’introito dello stato patriarchino. PASCHINI P., Notizie storiche, p. 19 e p. 59. D. DEGRASSI, Attraversando, pp. 23-24

8 DEGRASSI, Dai monti, p. 169.

9

ZAHN, I castelli, p. 2. E’ presumibile che nella valle del Fella ci siano stati anche banchi superficiali di ossido di ferro idrato oggi esauriti. Guida della Carnia,p. 118.

per le caratteristiche morfologiche del territorio, era costretto a superare il corso del Fella in più punti. Altri ostacoli erano costituiti da canaloni franosi e pericolose strettoie, ostacoli questi che, in assenza di costanti lavori di riassetto e manutenzione rendevano difficoltoso e inviso l’itinerario. La difficoltà ad organizzare un’efficace manutenzione di ponti, necessari sia per superare il Fella che i torrenti laterali e l’assenza di opere di consolidamento del percorso, penalizzarono per molti secoli questo itinerario. Come abbiamo visto, solo nel corso del secolo XII questa strada ritornerà a essere transitabile con sicurezza in qualsiasi stagione dell’anno. Verso la fine del Duecento o i primi decenni del Trecento l’itinerario della Val Canale diverrà percorribile anche con i carri, agevolando notevolmente il transito del traffico commerciale: la sella di Camporosso si trova infatti a un’altitudine minore rispetto al passo di Monte Croce.10

A partire dal secolo XIV l’itinerario utilizzato con maggior frequenza per attraversare le Alpi orientali sarà quindi quello che passava per il Canal del Ferro e per la val Canale. Questo percorso, rispetto agli altri, non era eccessivamente impervio (la sella di Camporosso si trova infatti ad un’altitudine di metri 816 s.l.m. a differenza del passo di Monte Croce che è situato ad un’altezza di metri 1360, mentre il valico del Predil si trova a metri 1156), ed era costellato da villaggi dove i viandanti potevano trovare cibo, alloggio e assistenza. La via che seguiva la valle del But continuò a essere sempre adoperata, ma forse in misura più ridotta rispetto al passato, mentre l’itinerario del Predil, con termine a Cividale, divenne assolutamente secondario.11

Il percorso che costeggiava la valle del Natisone veniva di norma scelto se si presentavano dei seri impedimenti sulle altre due vie.12 La comunità di Cividale tentò, in alcune occasioni, di incrementare i traffici su questo percorso, stringendo specifici accordi commerciali con il duca d’Austria o con il vescovo di Bamberga. Vennero date garanzie sulla sicurezza dell’itinerario e un rigoroso impegno nella riscossione di un pedaggio modesto ciò nonostante i transiti su questa strada non furono mai elevati. Al di là delle maggiori difficoltà di percorrenza presentate da quest’ultimo itinerario rispetto alle altre strade, la rivalità mossa dalle comunità che già beneficiavano dei vantaggi provenienti dai traffici commerciali limitò i tentativi di un ulteriore sviluppo di questa direttrice ultramontana. Fin dal secolo XII la politica patriarcale fu inoltre quella di assecondare i

10 DEGRASSI, Attraversando, p. 25.

11 Il percorso che per attraversare le Alpi seguiva la valle del Natisone partendo da Cividale, era dei tre il più disagiato ed il più lungo. Già nell’età classica la via che percorreva la valle del Natisone risultava secondaria rispetto ad altre due. L’itinerario non era inoltre interamente percorribile con i carri ma soltanto con gli animali da soma. DEGRASSI, Le strade, p. 59. DEGRASSI, Dai monti, p. 177.

12 L’utilizzo di questa strada da parte dei mercanti che gestivano il commercio internazionale era generalmente legato a problematiche che limitavano o rendevano insicuro il traffico commerciale sopra gli altri itinerari. Attorno agli anni ’30 del Trecento, ad esempio, una vertenza tra Gemona e Villaco compromise la praticabilità delle vie attraverso la sella di Camporosso e quella di Monte Croce, favorendo quindi la deviazione del traffico attraverso Cividale ed il passo Predil. Una volta che la contesa fu risolta i flussi commerciali ripresero ad utilizzare le prime due strade, le quali, come abbiamo detto, presentavano tempi di percorrenza più contenuti. PASCHINI, Notizie storiche, pp. 76-78. DEGRASSI, Dai monti, p. 176. TUCCI, La strada, p. 352.

commerci che transitavano naturalmente attraverso il Canale del Ferro e la valle del But, itinerari favoriti dalla maggior facilità di percorrenza.

Gli amministratori della comunità di Gemona, che da sempre erano molto attenti allo stato e alla praticabilità delle direttrici di traffico alpino in regione, contrastarono sempre con forza i vari tentativi di apertura o di incremento dei traffici su direttrici diverse da quelle che transitavano per la città o sui percorsi nei quali gli operatori di Gemona venivano estromessi dagli affari. Quando si profilavano all’orizzonte notizie riguardanti accordi commerciali stipulati da altre comunità che escludevano Gemona dall’intercettazione di un flusso commerciale, i provvedimenti presi dalla città erano sempre perentori e immediati. Così avvenne, ad esempio, il 29 giugno del 1399, quando il Consiglio Maggiore della città venne convocato in gran fretta in seguito al sopraggiungere di informazioni che confermavano l’attivazione di lavori messi in atto per migliorare la percorribilità della strada del Natisone.13 Nei registri delle spese del Comune, dopo la decisione presa dal governo cittadino in merito alla faccenda, sono annotate le uscite di cassa effettuate per far fronte alla questione. In prima battuta le autorità pubbliche inviarono alcune spie a Cividale, con l’obbiettivo di confermare la fondatezza della notizia e di raccogliere informazioni sulla praticabilità della strada. In secondo luogo, contemporaneamente all’attività di spionaggio, una rappresentanza della città fu mandata a Malborghetto per organizzare un incontro con il vescovo di Bamberga, Alberto, signore territoriale nelle adiacenti zone ultramontane.14 Come per altri tentativi avvenuti in passato, il progetto di deviare il grande traffico internazionale attraverso la via per il passo del Predil ebbe per Cividale un esito fallimentare. Solo dopo la seconda metà del secolo XV il flusso commerciale iniziò ad essere più intenso lungo questo itinerario, drenando progressivamente transiti alla via per il Canal del Ferro.15 Ad ogni modo, come abbiamo detto, nei secoli medievali la strada attraverso la valle del Natisone resterà del tutto sussidiaria rispetto agli altri due itinerari. Questo percorso manterrà comunque sempre una certa vitalità, soprattutto perché era un valido raccordo con le strade verso oriente e verso Lubiana.16

La strada nella quale confluivano gli itinerari che scendevano dai monti a nord di Gemona costituiva quindi il principale collegamento tra le regioni d’Oltralpe e l’Italia nordorientale. Il percorso, dopo aver superato la città si divideva nuovamente in più strade, le quali, dopo alcuni chilometri a sud, si aprivano a ventaglio verso le più importanti località regionali e i porti adriatici. Idealmente l’abitato di Gemona era quindi il punto di raccordo dei principali itinerari che salivano dalla pianura con quelli che permettevano di superare i rilievi.17

13 ACG, Delibere, b. 24, f. 39r, 29 giugno 1399.

14 DI MANZANO, Annali del Friuli, p. 141.

15 L. MORASSI, 1420-1797, p. 5.

16

DEGRASSI, Dai monti, p. 177.

I benefici economici che derivavano dai servizi offerti ai mercanti e ai viaggiatori, e che coinvolgevano i maggiori centri pedemontani toccati da una delle vie commerciali, portarono all’attivazione di forme di concorrenza rivolte ad accappararsi il traffico ultramontano. Questa rivalità non contrapponeva solamente le comunità attraversate da uno degli itinerari mercantili rispetto a quelle situate lungo un altro percorso, ma molto più spesso, vedeva confrontarsi gli abitati che si trovavano nei pressi della stessa via. La più importante concorrente di Gemona in merito all’intercettazione dei flussi di traffico che scendevano dagli itinerari montani fu nei secoli tardo medievali la cittadina di Venzone, anche se questo abitato iniziò a proporsi come alternativa alla città solamente a partire dal pieno Duecento. Anche le comunità di San Daniele e di Tolmezzo – la prima può essere considerata la più antica rivale di Gemona – ebbero, in alcuni momenti, delle contrapposizioni intense con la città, ma la loro concorrenza commerciale era decisamente più flebile.18 A partire dalla metà del secolo XIII, come vedremo, la cittadina di Venzone, situata a circa 10 chilometri a nord di Gemona prima del bivio che permetteva di imboccare una delle due vie alpine, era senza dubbio il maggior competitore con la città nella funzione di terminale del traffico commerciale ultramontano.19

Molte volte le contrapposizioni tra le comunità erano però pilotate da interessi politici di più ampio respiro, che si inserivano nei rapporti tra i vari centri abitati. In altri casi invece, le comunità lottavano tra loro semplicemente per tutelare e ribadire gli interessi economici legati alla possibilità di tenere un mercato, o muovevano semplicemente da ragioni connesse con i servizi svolti dai propri cittadini e inerenti i transiti commerciali. Venzone, ad esempio, fu soggetta per più di un secolo rispettivamente ai conti di Gorizia, ai duchi di Carinzia e ai duchi d’Austria, i quali misero in atto una politica che interferiva pesantemente con il potere patriarchino e con il suo controllo sopra i

18 L’abitato di S. Daniele, che tra l’altro era stato beneficiato di un privilegio di mercato prima di quello concesso a Gemona, entrava ciclicamente in contrapposizione con la città in merito all’intercettazione del flusso mercantile proveniente da settentrione. Anche se molto spostato cronologicamente verso il secolo XV, è interessante riportare i fatti accaduti nella primavera del 1404. L’ 11 aprile di quell’anno, l’amministrazione comunale gemonese fu portata a conoscenza dell’improprio pedaggio che la comunità di San Daniele riscuoteva sulle merci che percorrevano la strada commerciale diretta dalle terre tedesche ai porti di Latisana e Portogruaro. Questa esazione, che si sommava a tutte le altre corresponsioni richieste durante il tragitto, creava ovviamente un danno al flusso commerciale. I mercanti, consapevoli infatti di questa nuova tassa, per pagare di meno avrebbero potuto seguire un itinerario diverso per attraversare i rilievi. Inoltre, con questa iniziativa, la comunità di San Daniele si metteva in concorrenza con la città di Gemona, la quale era beneficiata dal patriarca di un privilegio che autorizzava la riscossione di una piccola tassa e imponeva la sosta obbligatoria per le merci. Le autorità gemonesi in seguito a questo fatto inviarono quattro boni viri dal principe ecclesiastico, con lo scopo di risolvere la situazione. Quattro giorni dopo l’incontro, probabilmente per l’inasprirsi della questione, fu deliberato dai Consigli cittadini la chiusura della strada che da nord, attraverso la piana sottostante a Gemona, passava per S. Daniele. Il 25 aprile successivo furono mandati anche degli ambasciatori a Venezia con l’obbiettivo di informare i mercanti della chiusura della strada attraverso l’abitato. Ai viaggiatori era consigliato seguire un altro itinerario per arrivare a Gemona. La contrapposizione tra le due comunità, nonostante l’intervento delle massime autorità politiche, non si risolse però in breve tempo. Sembra anzi che la questione si procrastinasse fino a tutta l’estate del 1404. Il 5 agosto l’amministrazione gemonese inviò infatti nell’abitato di Hospitale alcuni uomini con l’ordine di chiudere nuovamente la strada attraverso la piana e San Daniele. ACG, Delibere, b. 28, ff. 11v, 12v, 14r, 28v, 11 aprile 1404, del 15 aprile 1404, del 24 aprile 1404 e del 5 agosto 1404.

transiti ultramontani.20 Il potenziamento di Venzone, favorito nella prima metà del secolo XIII dai Mels e poi voluto dai conti di Gorizia come alternativa a Gemona – città tradizionalmente vicina al principe ecclesiatico – non fece altro che alimentare una lotta tra i due centri abitati per il controllo dei flussi di traffico, la quale si trascinerà, indipendentemente dai rapporti tra il patriarca e i goriziani, per tutto il tardo medioevo e proseguirà poi fino all’età moderna.21

A partire dal secolo XIII, il tessuto economico di tutta una serie di centri pedemontani friulani era ormai dipendente dai transiti di viaggiatori e mercanti. L’eventuale perdita di un privilegio commerciale o la diminuzione del flusso mercantile che interessava normalmente un abitato avrebbe potuto comprometterne in maniera importante la prosperità.22

A partire dalla seconda metà del secolo XII i flussi di traffico commerciale provenienti da oltralpe si orientarono quasi esclusivamente verso Venezia, città che ormai si stava configurando come il principale porto dell’alto Adriatico. La città lagunare divenne progressivamente, nel tardo Medioevo, il terminale dove confluiva il flusso mercantile proveniente da un lato dall’Europa

20 I conti di Gorizia, titolari di una serie di domini molto ampi ma con poca continuità territoriale, nel corso del secolo XIII misero in atto una politica che mirava ad esercitare un controllo sui tratti stradali che dalla montagna raggiungevano il mare. Avvalendosi della loro autorità su Venzone, Codroipo, Belgrado e Latisana, consolidarono una direttrice che dal monte Croce puntava fino all’Adriatico. Questo percorso sottraeva traffico alle strade controllate dal patriarca e costituiva un modo per affermare la sovranità su tutto il territorio interessato. Il luogo centrale di questo itinerario era rappresentato da Venzone, che già prima del controllo esercitato da parte del conte di Gorizia era in lotta con le autorità patriarcali per beneficiare delle opportunità offerte dai transiti commerciali. All’opposto la direttrice privilegiata dal principe ecclesiastico era quella che da Gemona scendeva verso Portogruaro. Come vedremo lo sviluppo dell’abitato gemonese avvenne infatti sempre sotto la protezione del patriarca. PASCHINI, Notizie, pp. 58-90. PASCHINI, Un patto, pp. 231-234. PASCHINI, Storia, p. 363. DEGRASSI, Dai monti, pp. 180-181. DEGRASSI, Attraversando, pp. 22-27.

21

MORASSI, 1420-1797, pp. 22-27.

22 Tra la seconda metà del Duecento e la fine del Trecento scoppiarono continuamente liti tra Venzone e Gemona in

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 36-45)