PAESAGGIO AGRARIO ED ECONOMIA DEL MONTE
TAVOLA 5. Nella cartina sono indicate le zone del distretto gemonese coltivate con maggior intensità
5. I pascoli e l’allevamento
Superata dunque l’area del distretto caratterizzata da appezzamenti agrari recintati, il paesaggio veniva progressivamente contrassegnato da prati, da zone boschive o da incolti. La maggior concentrazione di aree prative si riscontrava a sud-ovest della città, oltre la tavella, attorno alla zona di Paludo e di Cjaneit, e a ponente, al di là della roggia, in varie porzioni del Campo. L’elevata attestazione di prati in queste aree era determinata dalle intrinseche necessità dei terreni prativi i quali, per caratteristica, avevano bisogno di un suolo possibilmente umido e facilmente irrigabile.
72 BAROZZI, Gemona, p. 67
73
ZACCHIGNA, Area, p. 117.
74 Questa consuetudine pone serie difficoltà a chi vuole indagare i tipi di colture praticate nel distretto. Le analisi fatte nelle pagine precedenti hanno dovuto utilizzare fonti “laterali” per individuare quali erano le piantate effettuate nei radicamenti fondiari gemonesi. Come è stato appena detto gran parte dei censi riscossi nei possedimenti fondiari erano pagati esclusivamente in moneta, a differenza di altre zone regionali dove il dovuto era evaso in natura e quindi i prodotti coltivati risultano, nei documenti, più facilmente identificabili.
75 Item recepi de Sur det Vezi de Artigna per lui mas chi lasa Zulian Jacomin lire IIII de denari et I spatula. ACG, San Michele, b. 1423, affitti riscossi.Item recepi di Parìs di Buga per lu so mas ch-el sta ponet in la deta vila lire VII dnr. e dnr. XVIIII. Quaderni gemonesi, 1, p. 82. Item recepi dy Buiat dy Artegna per un so mas ponet in la deta villa per lo lechat dy Façin det Vignut dy Glamona libr. dnr. VIIII. F. Quaderni gemonesi, 3, p. 167. Questa consuetudine non caratterizzava però il patrimonio di tutte le grandi istituzioni gemonesi. I censi riscossi sopra i mansi del convento francescano di Sant’Antonio erano sostanzialmente pagati tutti in natura, con accanto una piccola somma di denaro, come era in uso in regione. Forse la tipologia di pagamento variava a seconda di quando si era formato il patrimonio dell’istituzione e da quanto tempo e a che condizioni il bene era entrato nell’asse patrimoniale dell’ente.
Nel Campo i prati erano infatti concentrati o nei pressi di una fonte (prato sub fonte de Campo) o nell’area meridionale della piana, la quale, come abbiamo visto, era caratterizzata da numerose risorgive che davano vita al fiume Ledra.76 In linea generale in tutte le zone ai margini della tavella è attestata la presenza di terreni privati adibiti esclusivamente a prato i quali, come le ampie zone boschive, potevano, alle volte, intervallarsi e frapporsi alle braide e ai baiarzi. Anche nell’area montana alcuni nomina loci testimoniano la presenza di estesi prati situati soprattutto nei pressi del monte Cuarnan.77 Di solito i prati umidi coltivati erano riservati all’alimentazione delle mandrie e si trovavano in zone prossime ai pascoli comunali. Nei pressi dell’abitato di Hospitale è attestata, ad esempio, la presenza di un prato situato apud pratum Hospitalis et apud pascum comunis e pure all’estremo opposto del distretto, vicino al torrente Orvenco, si segnala una grande estensione prativa che confinava con i pascoli comunali di Vuarba.78 Dai prati coltivati si ricavava ovviamente del fieno, che era il prodotto dell’erba tagliata ad uno stadio vegetativo ben preciso, di solito durante la fioritura.79
Le fonti a nostra disposizione segnalano, come già detto, un gran numero di prati nel Campo. A partire dalla fine del Trecento, le estensioni prative nella piana appaiono sempre più numerose, segnalando forse la vendita da parte delle autorità comunali di alcune porzioni di pascolo comunitario. Il foraggio ricavato dai prati era di solito venduto in città e provvedeva all’alimentazione degli animali racchiusi nelle stalle nei mesi invernali: l’ospedale di San Michele acquistava, ad esempio, abitualmente fieno per sfamare i suoi armenti.80 L’importante consistenza delle aree prative nelle pertinenze gemonesi sembra essere confermata dalla notevole incidenza nelle fonti delle attrezzature per la fienagione.81 Il proprietario di un prato al di là del fieno raccolto poteva inoltre portare al pascolo, sopra questi appezzamenti, solo gli animali che voleva, non essendo quindi dipendente o vincolato dalle regole che regimentavano lo sfruttamento dei pascoli comunitari.
Il paesaggio agrario gemonese tendeva dunque ad organizzarsi in settori – nel limite delle caratteristiche del territorio – concentrici in base all’intensità di lavoro, la quale era decrescente
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APG, Legati a favore della pieve, 190 bis. b. 1431, 1329 «…prato sub fonte de Campo…», 1351 «…prato in Cjaneit iuxta pascum comunis…», 1323 «…prato cum venchiareto in Paludo…». ASU, ANA, b. 2220/8, 12 ottobre 1299, «…pratum scitum in Cjaneit…», 10 giugno «…duobus pratum sciti in Campo Ydrie…». Per Campo Ydrie si intendeva la zona della piana prossima alle risorgive e al fiume Ledra.
77
Raccolta, p. 13.
78 ACG, San Michele, b. 1449, 1447, «… prat lu qual si clama prat di Vuarba e prat che confina donga lu sora det prat…». La zona di Vuarba, come abbiamo visto, era un’area adibita a pascolo comunale la quale poteva essere sfruttata sia dai vicini di Gemona che da quelli di Artegna.
79
Normalmente nel corso di un’annata le erbe venivano tagliate tre volte per ottenere fieno: una volta in maggio, una in agosto e una in settembre. In ogni caso i tre tagli erano legati all’umidità del terreno e alla possibilità di un’irrigazione regolare.
80 Item alo di sora script spendey soldi VIIII per un fas di fien per lis vachis dela ospedal chi io comperay dun di Montenars. ACG, San Michele, b. 1449, 24 marzo 1447.
rispetto alla distanza dalle zone abitate. Oltre le mura cittadine erano collocati gli orti e le vigne, poi le braide, i baiarzi e i broili, infine i prati, le terre incolte, i pascoli e i boschi, di norma utilizzati in maniera comunitaria dai vicini di Gemona, cioè dai cittadini residenti in città. I limiti di questi settori non erano chiaramente né rigidi né distinti, in vari radicamenti fondiari si compenetravano prati, boschi, orti, vigne e zone incolte, ma in linea generale vigeva questa organizzazione del paesaggio caratteristica anche del territorio adiacente ad altri centri urbani.
L’assoluta prevalenza di braide e fondi chiusi situati, come abbiamo visto, nella tavella della città, indica la grande diffusione di una tipologia agraria che era in stretta connessione con le esigenze del pascolo. L’allevamento rappresentava in ambito gemonese un’importante risorsa praticata in maniera intensa. La città non solo consumava una grande quantità di carne – tra la metà di luglio e la festa di San Michele (29 settembre) del 1403, Leonardo Senis, che lavorava al macello comunale, uccise circa 500 castrati – ma un consistente numero di animali da tiro veniva allevato sulle terre del distretto per poi essere venduto o utilizzato nelle carovane che superavano i passi alpini.82
Se la disponibilità di terra adatta alla coltura dei cereali panificabili era scarsa, e il clima non consentiva abbondanti raccolti, ampie aree all’interno della iurisdictio, sia nelle impervie valli montane che nel Campo, erano invece utilizzate quasi esclusivamente per il sostentamento degli animali. Al di là della tavella, tra le zone boschive, gli incolti e le superfici prative appartenenti ai privati, esistevano ampie aree adibite a pascolo e sfruttate in maniera comunitaria. Queste zone, soggette alle autorità pubbliche, entravano a far parte delle terre comunali ed erano utilizzate da tutti i vicini gemonesi secondo regole e tempi dettati dalla consuetudine. È attestata la presenza di pascoli comunali in tutte le direzioni attorno alla città. I pastori gemonesi conducevano gli animali a nord, sulla sella di Santa Agnese e in val Venzonassa, ad est, ai piedi del monte Cuarnan e all’apice del conoide sul quale era edificata la città, a sud, sulle alture nei pressi del confine con Montenars e Artegna e in alcune zone adiacenti al torrente Orvenco (Vuarba), e ad ovest, in varie zone del Campo, sia nei pressi del confine con Buia sia a contatto con la giurisdizione di Osoppo. In alcuni momenti gli animali venivano condotti anche fino al letto del Tagliamento per abbeverarsi.83
Nonostante le ampie distese prative e i numerosi pascoli comunali situati nel distretto, all’interno degli statuti cittadini i capitoli dedicati in maniera esclusiva alla regolamentazione e all’organizzazione dello sfruttamento di queste aree erano piuttosto scarsi. Gli unici riferimenti alla questione provenivano dai capitoli 101 e 103, e riguardavano una generica raccomandazione in merito allo sfalcio d’erba e a un divieto nella cessione a un forestiero del proprio settore di sfalcio. In particolare la rubrica 101 dava disposizione che nessuno falciasse l’erba nel pascolo comunale
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ACG, Massari, b. 423, f. 17v, spese di ottobre 1403.
finchè il permesso non fosse stato reso noto con un pubblico proclama: al trasgressore era comminata una multa di 40 denari. Il divieto era esteso sopra tutti i pascoli comunali ad eccezione di quelli compresi all’interno dei confini del monte Cumieli.84
Il capitolo 103, intitolato specificatamente “Disposizioni sul pascolo”, stabiliva invece che nessun vicino potesse cedere ad un forestiero il settore di sfalcio assegnato nel periodo nel quale era consentito falciare. Inoltre disponeva che nessuno potesse usufruire di più di un settore di sfalcio alla volta, a fronte di una pena di 40 denari. Lo stesso capitolo stabiliva inoltre che non si potesse procedere alla sfalciatura in quella parte delle terre comunali dove essa era consentita, se non nel periodo stabilito dal Comune di anno in anno.85
Al di là di queste specifiche disposizioni sullo sfalcio d’erba, le quali rimandavano a seguire con attenzione le regole dettate dalle autorità pubbliche, gli statuti non chiarivano assolutamente i modi e i tempi di assegnazione delle aree adibite a pascolo comunale. All’interno della raccolta statutaria del 1381, non era previsto nemmeno un funzionario che avesse il compito di regolare lo sfruttamento dei pascoli e dei boschi montani. Nonostante gli statuti cittadini non trattassero la questione in maniera diretta è certo che erano le autorità pubbliche da un lato a organizzare lo sfruttamento delle estese aree distrettuali dedicate al pascolo e dall’altro a indicare i tempi nei quali era permesso su un determinato terreno falciare e raccogliere l’erba.
Di norma infatti tra marzo e aprile veniva realizzata ed esposta nei pressi della loggia comunale una tabula pascui. Si trattava di una grossa tabella nella quale erano probabilmente riportati i vari settori di pascolo e di sfalcio e le rispettive assegnazioni ai vicini gemonesi. Con molta probabilità la tabula pascui era il risultato delle decisioni prese dal Consiglio d’Arengo, nel quale veniva pianificata una razionale organizzazione delle aree a pascolo; successivamente, dopo l’avallo da parte del Consiglio Maggiore o di quello Minore, veniva data disposizione al massaro di esporre la tabella con i nomi e i settori. Prima della realizzazione della tavola veniva inoltre decisa la data dalla quale si poteva sfalciare sulle terre pubbliche: tutto questo era di norma reso pubblico da un precone prima della pubblicazione della tabula.
Non ci è pervenuto nessun verbale che riporti i nomi delle aree a pascolo, i tempi dello sfalcio e la corrispettiva assegnazione dei settori. Le uniche indicazioni della tabula pascui provengono dai registri dei massari e indicano le spese sostenute per la realizzazione e l’esposizione pubblica della grande tabella. Il primo di marzo del 1355, ad esempio, il massaro Enrico Baldassi diede quattro denari ad un certo Violin, il quale fecit foramina tabule pascui (bucò in pratica la tavola), e successivamente il funzionario sborsò altri 11 denari e mezzo per far fare i clavellos ad dictam
84
ACG, Statuti, b. 1, cap. 101.
tabulam, probabilmente con lo scopo di appenderla al muro della loggia.86 Anche in altri registri dei conti del comune, tra le spese sostenute nei mesi primaverili, spesso sono indicati gli esborsi per rendere pubblica la tavola. Il 4 aprile del 1349, ad esempio, il massaro annota: emi quattuor asides trium passum ad aptandum loziam et ad faciendum tabulam pascui.87
Se mettiamo a confronto le norme contenute all’interno degli statuti della città di Gemona, riguardanti i modi e i tempi con i quali era consentito falciare e sfruttare i pascoli comunali, con quelle trascritte negli statuti pubblicati nella vicina comunità di Buja, traspare una netta differenza di organizzazione. Come è stato già detto, al di là dei due capitoli che trattavano la regolamentazione sullo sfalcio, nessun’altra disposizione era contenuta nella raccolta di norme di produzione gemonese. In merito invece alla comunità di Buja, l’accesso ai pascoli comunali era severamente regolato da norme statutarie soprattutto per quanto riguarda l’aspetto temporale. In primo luogo, venivano distinti i prati dove si effettuavano due tagli di fieno (primum fenum e altivolum) nei quali erano banditi i pastori dal giorno di San Giorgio (23 aprile) fino alla raccolta dell’ultima erba, cioè San Luca (18 ottobre). In secondo luogo, erano individuati i prati nei quali non si prevedeva un secondo taglio e in questo caso il divieto di pascolo iniziava dal giorno di Santa Maria di Malotul (12 maggio). Nei prati situati nel Campo era vietato inoltre falciare fino alla data di San Lorenzo (10 agosto). Alcune norme intervenivano anche sulla tipologia di animali che potevano essere condotti sopra i terreni comunitari: un capitolo stabiliva infatti che si potevano far pascolare pecore e castrati sopra i pascoli comunali solo con l’autorizzazione del massaro, riservando quindi quelle terre prevalentemente ai bovini.88
Queste rigide disposizioni, le quali nel Gemonese erano probabilmente indicate nella tabula pascui, intendevano forse contemperare alle esigenze, talora contrastanti, della pastorizia e dell’allevamento brado con quelle legate alla stabulazione. Questa era praticata soprattutto nella stagione invernale ed era intimamente connessa con la necessità di predisporre riserve di foraggio. La netta differenza tra le due comunità, nella regolamentazione dello sfruttamento dei pascoli comunali, può essere poi spiegata sotto due punti di vista. In prima battuta la città di Gemona aveva a disposizione, come già detto, un’ampia estensione di terre che potevano essere dedicate esclusivamente al pascolo e alla fienagione, dunque non fu probabilmente mai sentita la necessità di normare in maniera rigida le antiche consuetudini. In secondo luogo l’assenza di regole scritte in merito ai tempi e ai modi di sfruttamento, permetteva ai consigli cittadini di aver maggior libertà e flessibilità nell’organizzazione delle terre comunali.
86 ACG, Massari, b. 403, f. 10r, primo marzo 1355.
87
ACG, Massari, b. 401, f. 20r, 4 aprile 1349.
Le zone adibite all’esclusiva alimentazione animale circondavano, come già detto, da tutte le direzioni la tavella della città. I prati privati erano di norma più vicini al centro abitato mentre le aree delegate a uso collettivo risultavano essere più distanti. All’interno delle zone pascolative esistevano ovviamente delle sostanziali differenze nei terreni. Anche se le fonti non segnalano delle diversità tra i pascoli comunali è certo che c’erano delle aree più adatte a certi animali piuttosto che ad altri. Le zone settentrionali del Campo erano, ad esempio, delegate quasi esclusivamente al pascolo di animali poco esigenti, perché troppo asciutte e ghiaiose, mentre alcuni luoghi a ridosso dei monti erano invece più indicati alla fienagione o al pascolo di bestiame “grosso”.
Nelle fonti i pascoli comunali vengono raramente identificati con nomi precisi. Di solito all’interno di macroaree riconosciute nei documenti e situate ai margini della tavella alcune zone erano riservate al pascolo e alla fienagione. Gli uomini dell’epoca avevano una piena e completa conoscenza dei luoghi, ma probabilmente, ancora in età tardo medioevale, alcune zone specifiche e riconosciute come pascoli, non avevano assunto un nome proprio. All’interno dei registri dei massari il funzionario identificava molto spesso i pascoli indicandoli come situati nel Campo o in montibus, ma senza fornire indicazioni precise in merito all’esatto sito dove erano collocati. In molte occasioni l’amministrazione comunale incaricava alcuni individui di andare in montibus in pascuo per controllare se erat fenum factum, ma nei quaderni non viene identificato nessuno specifico pascolo né gli aventuali settori di sfalcio. Anche quando si profilava un pericolo nel distretto, e quindi veniva pagato qualcuno per andare nel Campo a portare la notizia ai pastori, le fonti pubbliche non nominano nessuno specifico pascolo. Il 27 giugno del 1380 furono inviati due uomini in Campum a notificare agli armentarii di condurre in salvo le iuvencas per l’arrivo di un esercito di Ungari.89 Nemmeno in questo caso vengono però segnalati specifici luoghi della piana dove gli animali erano condotti.
Nei registri del Comune non vengono dunque mai date indicazioni topografiche precise. Gli unici riferimenti che identificano con una certa accuratezza le aree a vocazione pascolativa nel Campo provengono di norma dalla documentazione privata. Nel 1449, ad esempio, in seguito all’accensione di un livello sopra un prato situato nella piana viene identificato, nell’atto notarile redatto in seguito alla questione, il pascolo gemonese chiamato pascum demidio.90
In alcune occasioni, all’interno della documentazione pubblica, un’area pascolativa era però distinta dalle altre per una sua specifica vocazione nello sfruttamento. Nel 1393, ad esempio, veniva
89 ACG, Massari, b. 409, f. 26r, 27 giugno 1380. Il 29 agosto del 1357 il massaro scrive: “Item dedi Mansaguto qui ivit ad faciendum retrahere armenta ipso die propter gentes domini regis. Denari 4”. ACG, Massari, b. 404, f. 11v, 29 agosto 1357. I pastori che custodivano gli animali nel Campo furono richiamati anche il 6 ottobre dello stesso anno.
90 ASU, ANA, b. 2242/32, 1 aprile 1449 «… prato scito in Campo subter populos versus Osopium subter pascum Glemone nominatur pascum demidio…». Probabilmente questo pascolo faceva parte delle terre contese tra Gemona e la comunità di Osoppo. Il riferimento ai pioppi ritorna spesso nelle testimonianze registrate all’interno degli atti processuali redatti nella lite giudiziaria esaminata nel capitolo precedente.
comminata una multa a tal Nicolaus Scotellarius, il quale aveva falciato dell’erba super montibus equorum, dove per “Mont”, come è noto, non si intende in questo caso semplicemente un’elevazione orografica, ma bensì un’area montana predisposta allo sfruttamento bosco-pascolativo.91 Anche in altre occasioni le fonti nominano un pascuum equorum, che svariate volte veniva dato specificatamente in affitto.92 Doveva trattarsi di un’area ampia, collocata a ridosso dei rilievi e particolarmente adatta al pascolo brado degli equini. All’interno di questa zona il foraggio doveva essere abbondante perché i cavalli, come si sa, sono animali molto esigenti dal punto di vista alimentare.
Ad ogni modo le fonti confermano la presenza di pascoli comunali nel Campo, super prato di Chiamparies, in collibus de Glemona, in Rovoreto, nei pressi della villa di Hospitale, in monte de Vuiarç, sul monte Cumieli, sulla sella di Sant’Agnese, sopra Pradielis, in Vuarba, nell’area di Ledis e nei pressi del monte Cuarnan.
Nelle zone sottostanti alla cima del monte Ledis, all’imboccatura della val Venzonassa, erano stati edificati anche degli stavoli – dimore temporanee poste a livello intermedio tra abitati ed alpeggi – nei quali venivano condotti gli animali per la monticazione. In questi luoghi erano di norma accompagnati dei bovini, i quali potevano alimentarsi anche nelle aree boschive. È presumibile che alcuni di questi stavoli fossero utilizzati in comune con gli uomini di Venzone. La consuetudine nell’utilizzo, all’interno della Val Venzonassa, di casere in maniera comunitaria tra i due abitati è attestato fino all’età contemporanea.93
Di solito l’allevamento era organizzato per fasi stagionali e per fasce altimetriche. Nei mesi invernali gli animali venivano mantenuti nei centri abitati e tra aprile e maggio erano fatti sostare negli stavoli, in seguito, fino a settembre – anche in base alla quota in cui si trovavano i pascoli – gli armenti rimanevano nelle malghe per poi ridiscendere a valle dopo un’ulteriore sosta negli stavoli.94 Spesso nei registri dei massari veniva annotata la riscossione di una somma di denaro per l’affitto degli stabula in Ledis. Nel 1391 uno di questi stavoli fu concesso a privati per la modica cifra di 12 denari.95
Le autorità comunali avevano, in effetti, una certa autonomia nella gestione delle terre collettive e potevano decidere, secondo esigenze che variavano di anno in anno, a chi e a quali