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Il percorso della strada commerciale nelle immediate vicinanze di Gemona

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 46-53)

TERRITORIO E VIABILITÀ

TAVOLA 2. Il percorso della strada commerciale nelle immediate vicinanze di Gemona

Il nome di Sant’Agnese, dato al luogo che rendeva relativamente agevole il passaggio tra i colles de Glemona, derivava probabilmente dalla chiesetta costruita sulla sella e dedicata a quella santa. L’edificio era situato a circa due chilometri e mezzo da Gemona, a 400 metri s.l.m.. Presso la costruzione sorgeva un monastero femminile, che seguiva molto probabilmente la regola benedettina. Il più antico documento che nomina l’istituzione risale al 1249, ma è molto probabile che il monastero fosse attivo già da alcuni secoli, forse addirittura da prima del Mille.31 Oltre a svolgere le sue funzioni spirituali, il cenobio garantiva, in certa misura, alcune forme di assistenza a viaggiatori e mercanti. La salita per raggiungere la sella dal fondovalle, anche se non era lunga, si presentava infatti, come già detto, piuttosto ripida e richiedeva un discreto dispendio di energia. Il luogo nel quale era stato costruito il cenobio, divenne man mano che aumentava l’intensità del traffico commerciale, sempre più importante all’interno del territorio amministrato dalla comunità di Gemona. Gran parte del traffico mercantile proveniente da nord doveva necessariamente transitare attraverso la sella, la quale era anche il punto di partenza per i numerosi sentieri che permettevano di raggiungere gli alpeggi per il bestiame in quota. La centralità della zona e le implicazioni strategiche derivanti da un completo controllo di questo luogo erano evidenti alle autorità pubbliche gemonesi. Verso la fine del secolo XII, sopra un contrafforte roccioso vicino al passaggio tra i colli, fu infatti edificato anche un piccolo fortilizio, conosciuto come il castello di Grossemberg. La costruzione, voluta dal conte del Tirolo Enrico, come conseguenza di un accordo commerciale stipulato con il patriarca Godofredo, ebbe però vita breve: fu infatti distrutta dai cittadini gemonesi attorno al 1210.32 Con molta probabilità le autorità comunali non gradivano l’ingerenza di un elemento esterno in un luogo così importante per la viabilità dell’area. Dalla sommità della costruzione era infatti facilmente controllabile sia il passaggio attraverso la sella di Sant’Agnese che il sottostante letto del Tagliamento.33

Nei primi decenni del secolo XIII, l’intensificarsi dei traffici commerciali e il netto delinearsi del ruolo di Gemona come terminale dei traffici ultramontani, portò probabilmente le autorità

31 MARCHETTI, Accenni, pp. 12-14. Il primo riferimento alla chiesa di Santa Agnese è contenuto nel rotolo delle entrate della Camerae Ecclesiae Glemonae. Nel registro tal Gabriel Rufus lascia in donazione alla chiesa nel 1240 2 denari pro luminarie. VENUTI, Gleseutis, p. 371.

32 Il patriarca aveva dato in feudo ad Enrico conte del Tirolo la metà della muda di Gemona nel 1184. PASCHINI, Storia, p. 280.

33 Il castello di Grossemberg sorgeva su un colle roccioso chiamato Colombaro, situato a quota 485 metri s.l.m.. Questo contrafforte roccioso si trovava a ponente del monte Cumieli fra questo rilievo ed il monte Ciamparis. Dal colle si dominava con facilità da un lato la valle del Tagliamento e dall’altro la strada che transitava per la sella di Santa Agnese. La vita del fortilizio fu, come già detto, estremamente breve: Valentino Baldissera propone la nascita della costruzione militare nel 1190 e la sua distruzione nel 1210. L’edificazione del castello avvenne per volontà di Enrico conte del Tirolo, il quale nel 1184 aveva stretto un accordo commerciale con il patriarca Gotofredo. Il conte compartecipava assieme al principe ecclesiastico ai proventi ricavati dalle mude sopra i traffici commerciali che si esigevano a Gemona. Con molta probabilità per assicurarsi un controllo diretto sulla strada commerciale Enrico costruì il castello. Successivamente i gemonesi per salvaguardare i loro diritti e l’esclusività dei proventi derivanti dal transito delle merci, con il tacito consenso del patriarca Volchero, distrussero il fortilizio ridimensionardo l’ingerenza del nobile d’oltralpe. BALDISSERA, Il castello. Carnia, pp. 192-193.

comunali a ripristinare il più agevole percorso che costeggiava il Tagliamento, utilizzato, come già detto, in epoca romana. L’intento era quello di rendere l’itinerario stradale più semplice e meno faticoso possibile, per favorire i transiti internazionali. Nella documentazione superstite non resta traccia né del momento nel quale la strada a valle fu nuovamente resa praticabile né della tipologia dei lavori che servirono a mettere in sicurezza questo percorso, ma è probabile che all’attivazione del segmento stradale adiacente al fiume, sia da collegarsi la fondazione dell’ospedale di Santo Spirito, avvenuta presumibilmente nel 1213.34 La creazione di luoghi di ricovero e assistenza sul percorso rendeva più appetibile la scelta di una direttrice stradale rispetto a un’altra. Uno dei motivi, ad esempio, dello scarso uso della strada che seguiva la valle del Natisone era proprio la rarità dei luoghi di sosta.35

L’ospedale di Santo Spirito fu edificato in una zona che, in virtù della sua posizione, era intimamente connessa con l’attivazione del segmento stradale che evitava la sella di Santa Agnese. Il percorso che scendeva dalle colline e che era diretto a Gemona non transitava infatti per il luogo dove fu costruito l’ospedale, il quale era stato fabbricato a circa un chilometro verso oriente, in prossimità dello stretto passaggio tra i rilievi e il Tagliamento. L’edificazione dell’ospedale in quella zona implicava quindi l’attivazione e la messa in sicurezza del percorso adiacente al fiume. A seguito dell’apertura (o riapertura) di questo nuovo tracciato, la strada commerciale proveniente da nord, dopo aver superato Venzone e aver oltrepassato i Rivoli Bianchi, piegava leggermente verso ponente. Nella direzione opposta si dirigeva invece il percorso che portava verso le colline. L’itinerario entrava quindi nella strettoia delimitata da un lato dal letto del Tagliamento e dall’altro dalle scoscese pendici dei colli. Questo luogo era di norma conosciuto come Laveras (Lauris, Lapere), probabilmente perché nella zona erano ancora visibili dei lastroni di pietra che costituivano il selciato della strada romana.36 Superato questo punto, il percorso raggiungeva l’ospedale.

I lavori messi in essere per rendere agibile questo segmento stradale furono, con molta probabilità, imponenti. La costruzione di terrapieni e argini, eretti con lo scopo di controllare le piene del fiume e lo scavo sul lato della collina, necessario ad allargare il percorso, furono opere che richiesero tempo e una consistente disponibilità economica.37 In questo particolare punto le acque del Tagliamento si infrangono infatti con forza sulla base delle colline. Probabilmente per completare i lavori furono attivati più cantieri nel corso del Duecento: all’inizio del secolo il

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BALDISSERA, L'ospedale di S. Maria, p. 4.

35 DEGRASSI, Dai monti, p. 174.

36 TESSITORI, I Rivoli, p. 275. Ancora oggi sono visibili, coperte da cespugli e arbusti, le pietre che formavano il selciato della strada romana.

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Lo scavo al lato della collina non corrisponde naturalmente a quello attualmente visibile e per il quale passa la strada statale.

segmento stradale fu aperto solo precariamente al transito, attraverso un passaggio sulla mezzacosta del versante collinare, successivamente, dopo la messa in opera di alcuni solidi sistemi di difesa dalle piene, il percorso, che transitava quasi a livello del fiume, fu reso adatto a sostenere il grande traffico internazionale. L’edificazione degli argini sul Tagliamento da un lato e le barriere sul versante della collina dall’altro, facevano assomigliare in alcuni punti questo segmento stradale a un ponte.38 Con la realizzazione definitiva del percorso, alcuni passaggi nel terreno dovevano essere infatti superati con dei veri e propri cavalcavia, fatti di legno e pietra. Nei documenti questo tratto stradale viene infatti spesso chiamato il pons laverarum, e in un atto del 1355 il “ponte” è esattamente collocato, tra le lapere presso l’ospedale di Santo Spirito.39 Nel quaderno tenuto nel 1380 dal massaro Mathiussius – in quell’anno amministratore della contabilità del Comune – viene annotata il 21 luglio la spesa per la riparazione del ponte laverarum, danneggiato con molta probabilità in seguito a uno straripamento del Tagliamento.40 I lavori effettuati per rendere percorribile questo tratto stradale entreranno a far parte, come vedremo, di un insieme di opere ingegneristiche sul territorio intraprese nel primo Duecento dalla comunità di Gemona, le quali modificheranno notevolmente la viabilità nella zona.

La deviazione della strada a valle ridusse inevitabilmente il transito per la sella di Sant’Agnese ma non lo interruppe del tutto. In primo luogo, il percorso adiacente al fiume non era, nonostante le opere di difesa, mai del tutto sicuro: il 19 novembre 1314, ad esempio, la strada per i laperis ed i Rivoli Bianchi fu distrutta dall’acqua. Oltre a ciò, i prati di Sant’Agnese e i boschi limitrofi venivano abitualmente sfruttati dagli uomini di Gemona sia come zone di pascolo che come luoghi per la raccolta del legname. La sella era anche la base di partenza, come già detto, per alcuni sentieri che conducevano verso oriente, tra i monti, dove gli armenti venivano condotti nei mesi estivi. Il percorso per Santa Agnese, a partire dalla metà del Duecento, sostenne però sempre meno il grande traffico commerciale, che utilizzava questo tracciato solamente quando l’itinerario a valle era interrotto. La strada attraverso le colline si trasformò così, in breve tempo, in un percorso secondario, battuto soprattutto da boscaioli, cacciatori e mandrie di animali che salivano verso gli alpeggi. Nel giugno del 1359, in seguito al degrado della vecchia strada della sella, l’amministrazione comunale gemonese procedette all’attivazione dei lavori per la realizzazione di

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Nel 1369, in una seduta del Consiglio comunale vengono ricordate: «le roste sopra l’Ospedale dal Pontuccio fino al colle d’Angro»: BALDISSERA, L'ospedale di S. Maria, p. 9.

39 Nel 1355 Enrico Raspone fu mandato dal Duca d’Austria a prendere possesso a suo nome di Venzone. Il capitano, dopo esser entrato nella cittadina a suon di trombe, si recò al confine tra il distretto di Venzone e quello di Gemona nei pressi dell’ospedale e sopra il ponte di pietra verso il Tagliamento piantò la bandiera del duca e fece accendere un falò sul ponte stesso. L’intento dell’ufficiale venzonese era quello di ribadire i limiti confinari che, come vedremo, saranno oggetto di una lunghissima contesa tra le due comunità. Al di là di questo aspetto, il tratto della strada internazionale che costeggiava il Tagliamento viene anche in questo caso indicato come un ponte. BALDISSERA, L'ospedale di S. Maria, p. 9.

una stratam novam per Sanctam Agnetem.41 Nel giro di poco tempo il nuovo percorso fu, con molta probabilità, completato, poiché nei documenti non emergono altre evidenze in merito a lavori riferibili a questa zona. È presumibile che, in seguito al progressivo abbandono dell’itinerario commerciale per i colli, tutta l’area della sella di Santa Agnese abbia però perso, a partire dalla metà del Duecento, di importanza. Probabilmente nel pieno Trecento la vecchia strada che un tempo aveva sostenuto tutto il traffico era ormai impraticabile.

Al declino del monastero di S. Agnese corrispose infatti un progressivo sviluppo e un arricchimento dell’ospedale di S. Spirito. Nel corso del Duecento l’ospedale accumulò un cospicuo patrimonio, frutto di elargizioni e legati testamentari. Le autorità gemonesi ne favorirono il prosperare, vista la sua collocazione strategica. Verso la fine del secolo XIII anche un piccolo borgo era sorto nelle vicinanze dell’ospedale, tanto che nel 1285 nell’area viene identificata una Villa Hospitalis.42

All’opposto, il monastero di S. Agnese, a partire dalla seconda metà del Duecento conobbe un lento declino. Alla perdita di importanza della sella era seguito l’isolamento del cenobio, che fu definitivamente abbandonato tra la fine del secolo XIII e la prima metà del secolo XIV.43 Già nel 1249 il comune di Gemona aveva donato alle sorelle converse di Santa Agnese la proprietà del terreno adiacente al monastero, evidenziando con questa azione la perdita d’interesse per il controllo diretto dell’area. Nel 1277 le religiose acquistarono una vigna all’interno del perimetro murato della città, adiacente a una costruzione che possedevano ab antiquo.44 L’investimento fatto nel nucleo cittadino rappresentava con molta probabilità la volontà di trasferire l’ente religioso nel centro abitato. Il progressivo isolamento e l’impoverimento dell’istituzione è definitivamente testimoniato da una supplica inviata dalle religiose al patriarca Bertrando di Saint Geniès: al principe ecclesiastico veniva infatti chiesto di intervenire in aiuto dell’istituzione. In seguito all’interessamento della massima autorità religiosa in regione il monastero fu esonerato dal pagamento dei dazi e degli altri tributi dovuti alle autorità cittadine. Nonostante l’attivazione di questo provvedimento, alla fine del Duecento il declino del cenobio era praticamente innarrestabile. Con molta probabilità tra la fine del secolo XIII e l’inizio del XIV le ultime monache si insediarono a Gemona nei pressi della cerchia muraria a nord della città, addottando la regola di santa Chiara e successivamente confluendo nel locale convento delle clarisse.45 Nel 1478, in seguito a una

41 ACG, Massari, b. 406, f. 10r, 16 giugno 1359.

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BALDISSERA, L'ospedale di S. Maria, p. 5. Come conseguenza di alcuni ritrovamenti archeologici si pensa che nella zona di Ospedaletto (Hospitale) ci fosse stato un insediamento in età romana. L’abitato fu probabilmente abbandonato nel primo Medioevo.

43 VENUTI, Gleseutis, p. 371.

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MARCHETTI, Accenni, pp. 21-22.

ricognizione affettuata da alcuni ufficiali del comune, le autorità cittadine vennero informate che la struttura sulla sella di Santa Agnese era in procinto di crollare.46

La nuova strada commerciale proveniente da nord, dopo aver superato l’abitato di Hospitale, si divideva sostanzialmente in due percorsi. Il primo risaliva lentamente il versante montuoso puntando verso la città, il secondo si inoltrava invece nella piana sottostante, chiamata Campo o Campanea Campi, evitando così il centro urbano. Il borgo di Hospitale era in verità collegato a Gemona da più di una strada (vie ad Hospitalem), ma l’itinerario più frequentato, quello cioè interessato dai transiti mercantili, attraversava l’area chiamata di Calpargis a levante del colle omonimo, superava il piccolo ponte sul torrente Drendesima e dopo una leggera salita giungeva nel centro urbano.47 Fin dal Trecento la zona adiacente alla strada, compresa tra il colle e la città (il percorso non raggiungeva i due chilometri), era intensamente coltivata e caratterizzata da numerosi appezzamenti di terreno recintato. Ai piedi del rilievo, oltre ad alcuni prati, è attestata la presenza di numerose braide (braida iuxta montem de Calpargis iuxta Drandesinam).48 Dall’ospedale di Santo Spirito al centro cittadino la strada copriva un dolce dislivello di 100 metri..

Il secondo itinerario, dopo aver lasciato il villaggio di Hospitale, puntava direttamente verso sud e si inoltrava nel Campo. Questa estesa zona pianeggiante dalla forma triangolare, si estendeva tra le propaggini delle Prealpi Giulie a est, il Tagliamento e il colle di Osoppo ad ovest e la cerchia delle più recenti colline moreniche a sud.49 Il vertice di quest’area può essere ritenuto il luogo dove era stato edificato l’ospedale di Santo Spirito. La quasi totalità del Campo era nel Medioevo generalmente poco abitata e solo marginalmente sfruttata. La piana, che era suddivisa tra le giurisdizioni di Gemona, Buja, Osoppo e Artegna era infatti caratterizzata da un assetto pedologico complesso e instabile. In alcune occasioni nelle fonti, alcune aree del Campo vengono definite come campus Buye o campus Osopii. Questa denominazione rispecchia probabilmente l’antico significato, per cui con campo si intendeva semplicemente pianura o piana.

La zona settentrionale del Campo era caratterizzata da estese zone di vegetazione arbustiva e da un terreno particolarmente ghiaioso: risultato dei trascinamenti di materiale durante le ricorrenti esondazioni del Tagliamento. La parte meridionale era invece silicea e in gran parte paludosa,

46 Gli edifici del monastero crollarono definitivamente durante il terremoto del 1511. PIÇUL, San Roc, p. 179.

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Il colle di Calpargis (Cjamparis) è un modesto rilievo (327 s.l.m.) situato nei pressi dell’ospedale. Con questo nome veniva indicata anche tutta l’area circostante.

48 Numerosi sono i riferimenti che ci indicano, a partire dal secolo XIV, la presenza di braide nei pressi del colle di Calpargis. E’probabile però che questa zona iniziasse ad essere intensamente sfruttata solo verso la fine del Duecento dopo il consolidamento del villaggio di Hospitale. APG, Legati a favore della pieve, 190 bis. b. 1431, 1340 «…braida in Calpardis iuxta Drandesinam», «…braida in Calparis iuxta Vuegluem et iuxta Brandesinam». ACG, S. Michele, b. 1449, 1447, «… braida in Galpargis». APG, Sezione X, Istrumenti e legati, perg. n. 43, 1320, «… campo scito in Gemona in Galpargis».

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Nella zona meridionale la piana di Osoppo Gemona è chiusa dalle dolci colline dell’anfiteatro Tilaventino, le quali si estendono su circa 220 chilometri quadrati. MONEGATO, L’anfiteatro, p. 82. MICELLI, Il Campo.

contraddistinta da numerose risorgive che davano origine al fiume Ledra e ad altri rivi minori.50 Le colline moreniche sulle quali sono edificati gli abitati di Buja, con i loro strati inclinati e impermeabili, arrestano infatti le acque del Tagliamento assorbite per infiltrazione dalle ghiaie della zona settentrionale e le obbligano a ritornare in superficie. Nell’area meridionale della piana la vegetazione era inoltre decisamente più abbondante: attorno ai prati, adibiti a pascolo comunitario, si alternavano i “venchiareti”, boschi di salici anch’essi sfruttati a lungo durante tutto il Medioevo.51 La strada che penetrava nel Campo tagliava da nord a sud la piana, mantenendo una direzione che puntava verso sud, sud-ovest. Man mano che il percorso si inoltrava nel pianoro la distanza da Gemona aumentava. La città era infatti situata a levante rispetto al percorso, sopra un conoide dalla caratteristica forma a “ventaglio” incastonato tra i monti Cuarnan e Cjampon. L’altitudine media nella piana è di poco inferiore ai 200 metri s.l.m., mentre Gemona era stata costruita a quasi 300 metri s.l.m.. La strada, una volta addentratasi nella piana passava tra Osoppo e Buja e transitava successivamente a levante della zona conosciuta come Saletto.52 Dopo aver superato tramite un guado il Tagliamentuzzo, un piccolo rivo che può con molta probabilità essere identificato con il Riu Stuart di Camp che compare nei documenti, e dopo aver oltrepassato il fiume Ledra, nel punto dove oggi c’è il ponte della statale 463, il percorso usciva quindi dal Campo puntando verso San Daniele.53 Se l’intenzione era quella di oltrepassare il Tagliamento la direzione era quella verso Ragogna e il guado di Villuzza.

50 Il fiume Ledra nasce nel luogo chiamato San Biagio, una zona situata a poca distanza da Gemona ai piedi del monte Glemina. BAROZZI, Gemona, p. 12 e p. 67. Prima di entrare nella piana una cospicua perdita sotterranea di acqua proveniente dal Tagliamento penetra nel materasso ghiaioso del Campo, dando vita successivamente a numerose risorgive che sono drenate principalmente dal fiume Ledra. SGOBINO, Il campo, p. 15.

51 Mobilia et stabilia, p. 34.

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All’interno degli atti di un procedimento giudiziario attivato negli anni ’40 del Quattrocento e riguardante la delimitazione confinaria tra gli abitati di Gemona e Osoppo si intuisce che la zona chiamata Salettum era situata oltre la strada internazionale in direzione di Osoppo. ACG, Causa Gemona-Osoppo, b. 726.

53 E’ presumibile che il Tagliamentuzzo possa essere indentificato con il Rio Stuart di Camp, così chiamato per il suo andamento sinuoso. All’inizio del secolo XV la strada commerciale superava questo corso d’acqua grazie ad un ponte. ACG, Massari, b. 425, f. 15r, spese di gennaio 1406.

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 46-53)