LA CITTÀ DI PIETRA
4. La terza cerchia murata
La conservazione dei registri dei massari, il cui più antico quaderno risale al 1349, permette di indagare con più precisione, a differenza di quanto fatto in precedenza con gli altri due perimetri difensivi, i tempi e i modi con i quali quest’ultima cerchia muraria fu edificata. In primo luogo appare evidente come le opere pubbliche di questo tipo fossero un continuo cantiere, anche quando sembravano in apparenza finite. All’interno dei quaderni appare chiaro come negli anni ’50 del Trecento, contemporaneamente alle prime opere per l’edificazione della terza cerchia murata, alcune maestranze fossero ancora occupate a lavorare attorno al secondo perimetro, anche se questo era stato già totalmente eretto. Nello specifico le risorse pubbliche erano in quegli anni in parte dedicate al completamento del fossato attorno alle vecchie mura, alla costruzione di alcuni ponti nei pressi delle porte e impiegate per effettuare alcune modifiche nell’assetto delle aperture nello sbarramento.
A partire dalla primavera del 1355 e fino al 1360, le autorità comunali disposero vari risarcimenti a privati per l’acquisto dei terreni sopra i quali era stato deciso di scavare il fossato. Si trattava di modesti fazzoletti di terra, sopra i quali erano state costruite delle case o erano state impiantate delle colture orticole. Alcuni di questi terreni erano probabilmente già coltivati prima dell’inizio dei lavori della costruzione della seconda cerchia murata.47 Il nuovo fossato interessava varie zone esterne della città, principalmente situate nell’area a meridione dell’insediamento. Se la terza cerchia muraria era tutta proiettata, come abbiamo detto, verso nord, il nuovo fossato aveva lo scopo di rendere più efficienti le vecchie difese nella zona a sud della città. I lavori di scavo iniziarono probabilmente nel 1343, dopo la visita di patriarca Bertrando, ma procedettero a singhiozzo. Nel 1349 il massaro disponeva di sistemare il pontem de Goti cum assidibus et fossato, e nel 1356, forse per il completamento dell’opera in zona, il ponte fu nuovamente riadattato.48
Le autorità pubbliche nello stesso periodo decisero anche di iniziare la costruzione del nuovo muro. Nel 1356 fu stipulato un patto con tale Julianus, probabilmente un maestro muratore, il quale secondo l’accordo doveva innalzare un nuovo sbarramento nella zona orientale dell’insediamento. Il
47
«…Dedi a Dominico Payerini pro suo orto posito in fossato…» ACG, Massari, b. 405, ff. 27r-30r, spese di agosto 1358. ACG, Massari, b. 404, f. 13v, spese di aprile 1355 e f. 41r, spese di marzo 1356.
48 ACG, Massari, b. 401, f. 19v, 28 marzo 1349. I primi giorni di marzo del 1356 fu ingaggiato magister Paulus, lui e i suoi manovali laboraverunt XV diebus Comuni ad scalas et domum Comunis et ad pontem de Got et ad pontem Leonardi Guintusini. Per questi lavori ricevette 2 marche di denari più 10 denari. ACG, Massari, b. 403, f. 42v, spese di marzo 1356.
nuovo muro doveva essere eretto a partire da una non ben definita porta di Stalis e raggiungere il luogo identificato come ad transtallum.49 Come abbiamo visto, nell’elenco delle porte riportato nel 1346, non viene nominata nessuna porta di Stalis. È quindi presumibile che a cavallo tra gli anni ’40 e gli anni ’50 del Trecento, nei pressi dell’attuale via Zuccola, sia stato aperto un nuovo varco nel secondo perimetro murato, oppure la zona fu interessata da alcuni lavori di ampliamento del perimetro difensivo. Parallelamente a questi lavori fu probabilmente aperto il nuovo accesso alla città. Forse antecedentemente al 1356 lo sbarramento orientale della seconda cinta muraria che percorreva grosso modo via dei Conti fu spostato, verso levante. Lungo questo muro fu quindi creata una nuova apertura chiamata per l’appunto porta di Stalis. Questo accesso, aveva la funzione di mettere direttamente in collegamento le zone del quartiere di Stalis con il centro cittadino. Doveva trattarsi di un varco secondario, dalle dimensioni piuttosto ridotte tanto che successivamente, quando venivano nominati i custodi delle porte, a nessuno veniva affidata la sorveglianza della porta di Stalis. La poca attenzione dimostrata a questo accesso era probabilmente determinata anche dalla sua posizione, quasi a ridosso della parete del Glemine, la quale rendeva poco probabile un’intrusione non gradita da questo lato delle mura.
Il muro commissionato a Julianus era forse la continuazione dello sbarramento sul quale fu aperta la nuova porta: secondo il progetto il recinto, doveva avere un’altezza di due passi, comprese le fondamenta, cioè quasi tre metri e mezzo.50 La raccolta di pietre ordinata dal massaro il 20 giugno del 1355, attorno alla porta Grideule, indica forse che alcuni lavori di modifica nel perimetro orientale della seconda cerchia muraria – quella più prossima al monte Glemina – erano già stati effettuati negli anni immediatamente precedenti.51 I lavori commissionati a Julianus nel 1356 fanno quindi parte delle prime opere dedicate alla costruzione della terza cerchia murata.
L’edificazione di questo nuovo tratto delle mura procedette in ogni caso molto lentamente. Uno dei maggiori problemi era sicuramente determinato dal reperimento delle pietre. Sempre nel 1356, ad esempio, le autorità comunali deliberarono di multare con 20 denari tale Nichulo, il quale non aveva trasportato le lapides ad murum comunis come promesso.52 Come vedremo tra poco, il reperimento delle pietre sarà uno dei maggiori problemi che le autorità comunali dovranno affrontare nella costruzione del terzo recinto. La dilatazione dei tempi nell’edificazione del muro, può essere in parte imputata anche alle difficoltà causate dal trasporto e dal reperimento dei massi.
49
CONTESSI, Le porte, p. 94.
50 Un passo da fabbrica corrisponde a metri 1,7024 e si divide in 5 piedi. L’esatta altezza del muro era quindi di metri 3,4048. PERUSINI, Vita, p. 248.
51 Come già detto non sono pervenuti fino a noi i registri dei massari dei primi anni ’50 del Trecento. È quindi impossibile capire se alcuni lavori alle mura fossero stati fatti in quel periodo.
Ad ogni modo con alterna intensità, a partire dal 1356, alcuni capitoli di spesa nei vari bilanci comunali sono sempre dedicati alla costruzione del nuovo recinto. Nella documentazione traspare un’evidente superficialità nella pianificazione dei lavori, i quali venivano probabilmente eseguiti solamente quando le autorità pubbliche avevano una certa disponibilità economica. Ancora nel 1384, il muro che Julianus aveva iniziato a costruire e il cui tracciato doveva puntare verso nord non era stato forse del tutto completato. In quell’anno infatti le autorità comunali dirottarono i proventi derivanti dall’appalto del dazio delle buciarum (cioè delle bozze, bottiglie) per il completamento dei lavori al muro in Stalis.53
Il primo cantiere messo in opera nella costruzione della terza cerchia muraria interessò quindi innanzitutto l’area a levante della città. È presumibile, che nell’intenzione delle autorità comunali, il nuovo muro non avesse un’esclusiva funzione difensiva contro eserciti nemici, ma il suo scopo fosse soprattutto quello di proteggere l’insediamento dalle catastrofi naturali. In effetti, se la funzione principale del nuovo recinto era quella di proteggere l’insediamento da un contingente armato ostile è molto probabile che le zone interessate per prime dai lavori sarebbero state quelle più esposte ad un assalto, quindi le aree rivolte verso ponente e verso settentrione. Invece, come abbiamo visto, i primi lavori iniziarono dalle zone a levante della seconda cerchia murata, con un andamento del nuovo muro che puntava decisamente verso est, nord-est. Abbiamo inoltre osservato come fin dalla prima cerchia il perimetro murato di levante proteggesse l’insediamento anche dalle piene che scendevano dai monti e in particolare da quelle del torrente Grideole. L’importante espansione dell’abitato gemonese, avvenuta tra la seconda metà del Duecento e il Trecento, aveva spostato il centro della città sempre più verso nord, sul conoide. Le costruzioni più recenti venivano infatti via via edificate nelle zone più centrali dell’immenso deposito ghiaioso, incastonato fra i contrafforti montuosi del Cuarnan e del Cjampon. Questo cono di deiezione sopra il quale si stava costruendo la Gemona trecentesca era il frutto, come abbiamo detto, del continuo accumulo di ghiaia operato dal torrente Vegliato alla fine del suo tratto montano. È molto probabile che il corso del rivo interessava in momenti alterni tutto l’apice del conoide creando, nei periodi di piena, dei seri problemi alle zone settentrionali dell’insediamento, quelle da poco edificate. Nel caso quindi di un’improvvisa piena del torrente Vegliato, tutte le abitazioni situate fuori dal perimetro murato verso settentrione potevano essere colpitre da un’ondata di acqua e fango. Forse per mettere al riparo queste nuove aree insediative, i primi lavori della terza cerchia muraria iniziarono da levante procedendo poi verso settentrione.
53 Bucia, bocia: bottiglia, recipiente usato anche per la misura di mezzo boccale. PICCINI, Lessico, p. 109. Questo dazio faceva riferimento ad una misura di capacità dei liquidi. Molto probabilmente bisognava pagare una certa somma di denaro per l’utilizzo del corretto recipiente adatto a contenere le bevande in vendita. In parecchie occasioni questo dazio era infatti associato a quello del vino. L’importo per il quale era venduto il dazio buciarum era comunque considerevole, se paragonato agli altri dazi dati in appalto nella città. ACG, Massari, b. 413, f. 32r, 2 febbraio 1385.
I pericoli e i danni che poteva generare il torrente Vegliato erano probabilmente evidenti alle autorità pubbliche. In effetti l’andamento che fu dato al nuovo muro è indicativo della funzione che lo sbarramento aveva in realtà. L’area a levante della seconda cerchia murata, quella grosso modo occupata ora dalla parte più alta di via Comitât Universitât Furlane, fu lambita dal nuovo recinto costruito con un andamento decisamente particolare. Il tracciato del perimetro oltre ad inglobare, come già detto, una parte del quartiere di Stalis, aveva uno sviluppo rivolto verso il monte e un andamento a cuneo in direzione del culmine del conoide. In pratica le mura verso levante assumevano una forma triangolare, il cui apice puntava diritto verso il corso del torrente Vegliato. Lo sbarramento in pietra, unito allo scavo di un fossato alla base delle mura, era dunque in grado di far defluire le acque nelle due direzioni opposte, proteggendo così l’abitato dalle piene.54
Contemporaneamente alla costruzione dello sbarramento nella zona di Stalis, la documentazione conferma che notevoli risorse erano state spese anche per lo scavo di un fossato. Come abbiamo visto, nel corso della seconda metà degli anni ’50 del Trecento, furono realizzati numerosi fossati, i quali vennero in parte realizzati nei pressi della vecchia cinta murata. È molto probabile che anche nella zona a levante dell’insediamento, quella interessata dalla costruzione del nuovo muro, fosse stato scavato un fossato. Nell’aprile del 1355 la documentazione indica la realizzazione di un fossato superiore.55 Ancora nel 1360, le autorità pubbliche espropiavano terreni per la costruzione di un fossatum. Il 25 giugno di quell’anno, sotto la loggia del Comune, furono date 5 marche di denari aquileiesi a tale Gnese relicte olim Miturluzi di Gemona per la vendita forzosa di una casa e di un terreno aratorio. Questo esproprio era stato eseguito per permettere lo scavo di un fossato che interessava la zona superiore della città.56 Ad ogni modo nell’autunno del 1384 lo scavo nella zona di Stalis doveva essere già stato completato. L’8 ottobre di quell’anno venne infatti disposto di tagliare alcuni alberi che si trovavano nei pressi della fovea communis in Stalis.57
I lavori per la realizzazione della terza cerchia muraria iniziarono ad essere sempre più intensi a partire dagli anni ’80 del Trecento. Con molta probabilità i limiti difensivi della Gemona dell’epoca vennero a galla in seguito all’assedio subito dalla città nei primi mesi del 1381. Un esercito di circa 800 cavalieri e 1500 fanti, comandato da Giovanni di Colloredo, mosse contro Gemona a seguito della contrastata elezione del patriarca Filippo di Alençon. Questo contingente armato, dopo aver devastato la tavella e bloccato il flusso commerciale sulla strada internazionale, circondò la città.
54
SGOBINO, Il cono, pp. 45-50.
55 ACG, Massari, b. 403, f. 13v, spese di aprile 1355.
56 ASU, ANA, b. 2234/5, 25 giugno 1360. Questo atto notarile venne rogato alla presenza del capitano della città, del massaro e di alcuni rappresentanti del Consiglio Maggiore e di quello Minore. Nel documento, il notaio specifica che lo scopo dell’esproprio avveniva in funzione delle fortificazione in costruzione nella terra di Gemona.
Dopo circa un mese di assedio le autorità comunali, temendo l’imminente saccheggio della città, trovarono un accordo con gli aggressori e si arresero al nemico.58
Negli anni precedenti a questo evento bellico la costruzione del nuovo muro interessò, come abbiamo detto, soprattutto la parte a levante dell’insediamento. Tuttavia negli anni ’60 del Trecento, anche in alcune zone a nord del centro abitato furono attivati dei cantieri. Al tempo dell’assedio del 1381 tutta l’area a settentrione del secondo perimetro difensivo doveva essere stata in balia degli assalitori, ma una parte del muro che interessava la zona delle attuali via Cella e via dei Cappuccini era già stata in parte completata. All’interno dei quaderni dei massari, l’8 giugno del 1366, è annotata infatti una voce di spesa inerente all’edificazione di una torre, di una nuova porta chiamata di Sant’Agnese e di una parte del muro situato nella zona prossima all’incrocio tra le attuali via Scugelârs e via dei Capuccini.59 Inoltre già alla fine degli anni ’50 è nominata anche un’altra nuova porta che in quegli anni doveva essere in fase di costruzione, la quale era detta di Santa Chiara o della Cella.60 Questo accesso alla città si trovava nella parte finale di via Cella, prima che questa strada si immetta in via Drendesima. A partire dagli anni ‘60 il perimetro difensivo iniziava quindi a cingere timidamente la zona settentrionale dell’abitato, partendo probabilmente dalle aree dove si decise di edificare le porte.
Ad ogni modo solo a partire dal 1382 i lavori del nuovo muro iniziarono ad essere più intensi. Come abbiamo già detto i cantieri venivano attivati quando c’era una concreta disponibilità economica, senza però rispettare una pianificazione generale dell’opera. La terza cerchia di mura venne infatti edificata per lotti, i quali non seguivano un ordine né tantomeno una continuità spaziale nella costruzione. Non è detto cioè che accanto ad una parte di muro completata iniziassero i lavori di un nuovo lotto, ma anzi questo poteva benissimo essere attivato in una zona non ancora interessata da nessun cantiere. È inoltre probabile che prima della costruzione del muro vero e proprio fossero edificati dei piccoli capisaldi, alla base dei quali venivano fatte le porte. Gli accessi alla città erano infatti le opere più complicate da erigere: bisognava livellare il terreno e scegliere con cura il luogo nel quale progettare un varco. Solo successivamente all’edificazione delle porte il muro le collegava una all’altra. La documentazione sembra infatti confermare che prima venivano costruite le porte, poi il muro vero e proprio e infine si procedeva all’edificazione delle torri, le
58 Gran parte del contingente militare che assediava Gemona era composto da udinesi. L’attrito nasceva dall’appoggio che la città pedemontana aveva dato al cardinale d’Alençon, il quale era inviso a gran parte delle comunità regionali. BAROZZI, Gemona, pp. 30-31. Nel 1381 venne assunto dal comune di Gemona un magister de coracis, cioè un fabbricante di armature. Dopo un mese di prova, le autorità comunali stipularono con il professionista un contratto, che prevedeva un compenso annuale di 52 lire di soldi e l’assegnazione di una casa e di una bottega. Con molta probabilità questo artigiano, che di nome faceva Polo, fabbricò alcune delle armature utilizzate dai soldati gemonesi durante l’assedio. ACG, Massari, b. 410, f. 56v, spese di gennaio 1382.
59 CONTESSI, Le porte, p. 66 e p. 95.
60 Nel 1366 la documentazione riferisce di un ponte di Santa Chiara, il quale permetteva probabilmente di superare il fossato scavato oltre la porta e nel 1371 venne ufficialmente nominato un custode della porta. CONTESSI, Le porte, p. 79.
quali erano erette sopra le porte o in particolari punti dello sbarramento che erano ritenuti più fragili.
Il 6 maggio del 1382, dopo poco più di vent’anni dall’apparizione nei documenti della porta di S. Chiara, iniziarono infatti i lavori per la costruzione della torre omonima.61 Il 13 ottobre, probabilmente per problemi legati al trasporto delle pietre, le autorità pubbliche fecero pressioni ai possessori di carri di prestare servizio per la costruzione della torre mentre l’anno successivo, come conseguenza dell’edificazione dell’opera difensiva, si procedette a un rifacimento della porta.62 A questa altezza cronologica parte del muro del perimetro settentrionale era infatti già stato in parte edificato. Pochi anni dopo, nel 1388, venne inoltre programmato lo scavo di un fossato nella zona occidentale dell’insediamento e la documentazione per la prima volta nomina un altro nuovo accesso, detto porta degli Asini o di San Francesco. Questo varco era situato in via Sant’Antonio, nei pressi del convento francescano dedicato al santo portoghese.
La costruzione del perimetro difensivo continuò senza sosta negli anni ’80, subendo, come già detto, un’accelerazione negli anni ’90 del secolo XIV. La necessità di completare il muro nel minor tempo possibile muoveva dalla sempre maggior incertezza del quadro politico regionale. I lavori si scontravano però con alcuni grossi problemi di difficile soluzione: il reperimento dei fondi, la scarsità di pietre adatte all’opera e la poca disponibiltà dei carradori nel trasporto dei massi. Per far fronte alla questione le autorità comunali accesero dei prestiti, con i quali pagarono la manodopera e reperirono un maggior numero di pietre. Fu coinvolta nella costruzione del muro anche la comunità di Artegna la quale, come già detto, era soggetta a Gemona. Nello specifico fu imposto a questo villaggio di fornire manodopera e condurre 200 carri di pietre, ma nel 1393 questa richiesta era ancora disattesa. Nel quaderno dei massari di quell’anno, sono infatti registrate le spese per l’invio di alcuni ambasciatori nel villaggio con lo scopo di sollecitare la consegna dei massi.63 Le pesanti e insistenti richieste di Gemona per la costruzione del muro, anche in termini di forza lavoro, furono probabilmente una delle cause che innescarono la rivolta che scoppiò ad Artegna nel 1396 contro la soggezione a Gemona.64
Nel distretto gemonese le pietre venivano di norma reperite nell’alveo dei torrenti e soprattutto nella parte alta del conoide morenico sul quale era stata edificata la città: in questa zona il torrente Vegliato aveva infatti trasportato una grandissima quantità di pietrame e ghiaia. Un altro luogo dal
61
ACG, Massari, b. 411, f. 13v, 6 maggio 1382. Il massaro in questa data annota una prima spesa di una marca di denari per l’acquisto di due carri di calzina e per lo stipendio di alcuni operai. Nei giorni successivi si possono seguire altre spese dedicate alla costruzione della torre.
62 ACG, Delibere, b. 11, f. 26r, 13 ottobre 1382. CONTESSI, Le porte, p. 80.
63
ACG, Massari, b. 420, f. 15v, 20 maggio 1393.
quale erano prelevati i massi era il monte Glemina. Nel 1405, ad esempio, tale Stefano Constantini trasportò delle pietre in città provenienti proprio da questo monte.65
Nei pressi dei torrenti presenti nel distretto veniva anche reperita la sabbia, dalla quale unita all’acqua alla calce e ad altre sostanze si ricavava la malta, utilizzata come cementante nella costruzione delle torri e del muro. Uno dei luoghi dove la comunità si approvvigionava con maggior frequenza di sabbia era il greto del torrente Vegliato.66 Nel 1397 venne inoltre messa in opera una fornace per la calce situata vicino al rio Orvenco, che si avvaleva delle pietre reperite nell’alveo del torrente. Per produrre la calce le pietre furono cotte nella fornace per 8 giorni e 7 notti.67
I lavori per la costruzione del muro erano comunemente diretti da alcuni magistri. Si trattava di capimastri e di carpentieri ai quali era riconosciuta una specifica competenza professionale. Di norma le autorità comunali appaltavano un lotto del muro a uno di questi professionisti, il quale coordinava vari lavoranti nell’esecuzione dell’opera. I capimastri e gli operai erano di solito tutti