• Non ci sono risultati.

Nella cartina è indicata l’area dei colles de Glemona, situata a nord della città

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 83-96)

I CONFINI DEL DISTRETTO

TAVOLA 5. Nella cartina è indicata l’area dei colles de Glemona, situata a nord della città

In questo specifico caso la lite, non riguardava la definizione complessiva delle rispettive pertinenze tra Gemona e Venzone, ma verteva su due luoghi adiacenti, che erano indubbiamente centrali all’interno del potenziale offerto dal territorio: (e colline chiamate di Gemona, dove si trovavano i resti del fortilizio di Grossemberg e il pianoro dei Rivoli Bianchi. Il contenzionso che si era aperto, e che come vedremo aveva prodotto il documento sopracitato, esplodeva dopo anni di tensioni che ruotavano in prima battuta attorno all’integrità del districtus giurisdizionale di Gemona. Nella registrazione delle deposizioni della parte gemonese viene infatti più volte ricordato un prolungato e

reiterato illegittimo sfruttamento delle zone in questione da parte dei venzonesi. Per entrambe le comunità era evidentemente importante il controllo di questa porzione di territorio economicamente ricca e produttiva (basti ricordare la silva magna que erat in dictis collibus) o, come nel caso dei Rivoli Bianchi, si voleva confermare la piena acquisizione di zone strategiche dal punto di vista degli spostamenti commerciali.7

Nel documento redatto nel 1252 dal notaio Blasi, i testi, che per la maggior parte non provenivano da nessuna delle due comunità interessate nella lite, giurarono sopra le sacre scritture le loro deposizioni, alla presenza di importanti personalità come Giovanni di Cuccagna ed Enrico di Villalta, uomini appartenenti alla nobiltà castellana ed evidentemente dotati di autorevolezza nella lite. Le persone chiamate a testimoniare erano individui che per varie ragioni conoscevano bene le porzioni di territorio interessate dalla contesa: si trattava di individui rispettabili, mediamente avanti con l’età e appartenenti in alcuni casi anche al notabilato delle località di provenienza. All’interno di alcune dichiarazioni emerge come l’area interessata dalle tensioni era da lungo tempo (oltre quarant’anni) soggetta esclusivamente alla città di Gemona. Inoltre molti testi confermarono la frequente litigiosità e i continui pignoramenti di animali che avvenivano in queste zone: tal magister Cono de Artegna raccontò infatti di aver visto arrivare un giorno un gran numero di uomini di Gemona nei pressi dei colli, sopra l’ospedale di Santo Spirito, e immediatemente dopo fugendo illos de Venzono currerunt usque ad Rivum Album.8

Alcuni luoghi compresi nell’area contesa, oltre ad essere sfruttati abitualmente come zone da pascolo, erano noti perchè particolarmente ricchi di legname. I boschi che circondavano il castello di Grozumberg erano di norma sfruttati dai gemonesi, come racconta Marcum de Cavacio, ancora prima dell’edificazione della costruzione militare. Con molta probabilità la felice ubicazione di questa selva, situata qualche chilometro a ponente della strada internazionale – quando questa transitava ancora per la sella di Santa Agnese – agevolava il trasporto del legname in città. In questi luoghi non erano solo gli appartenenti alla comunità di Gemona che roncabat silvam ad utilitatem suam, ma anche gli uomini di Venzone e pure quelli di Osoppo erano stati visti tagliare legna.9 Nella prima metà del Duecento lo sfruttamento intenso dell’area aveva però lasciato il segno: molti testimoni lamentano infatti, con decisa convinzione, l’esiguità della superficie boscosa rimasta. Tutti i testi ricordano inoltre che un tempo la silva erat magna, mentre al momento della

7 Come abbiamo già detto la strada internazionale passava attraverso i Rivoli Bianchi.

8 ACG, Pergamene, b. 1643, perg. n. 38.

9

Negli statuti di Gemona pubblicati negli anni ’80 del Trecento è segnalata l’attività di una segheria situata nei pressi dell’Ospedale di Santo Spirito. Anche se il riferimento è posteriore di oltre un secolo rispetto al periodo nel quale avvennero le liti trattate sopra, è presumibile che le attività legate al legno fossero praticate in zona già dal primo ‘200. Una parte del legname trattato nella segheria proveniva molto probabilmente dai boschi in questione. Poco distante dall’ospedale era inoltre presente un approdo per le zattere che trasportavano il legname lungo il Tagliamento. Passaggi, p. 177.

registrazione delle deposizioni le potenzialità di sfruttamento erano decisamente più contenute.10 La lite tra le comunità era forse scoppiata anche per un visibile deterioramento del manto boschivo, situazione che mise in allarme le autorità pubbliche della città. La confusione in merito all’appartenenza dell’area e l’incertezza sulle modalità di sfruttamento della stessa fecero il resto. Queste porzioni di territorio situate al limite settentrionale del distretto gemonese, erano comunque già state interessate in passato da dispute giudiziarie. Non possediamo, come già detto, nessun altro documento antecedente a quello del 1252 che descriva o certifichi liti tra Gemona e Venzone, tuttavia un uomo di Osoppo, interrogato come testimone, ricorda come il patriarca Volchero (1204–1218), avesse deliberato in merito ai confini tra i due abitati. A Venzone, dice, spettava solamente la giurisdizione sopra la zona chiamata dei Rivoli Bianchi e nient’altro.

Ad ogni modo la vertenza del 1252, con la relativa certificazione delle deposizioni dei teste, non risolse definitivamente la questione. Come è stato già ricordato la sentenza che attribuiva definitivamente le zone interessate ad una comunità o all’altra è andata persa, quindi è inopportuno azzardare ipotesi. È certo però che negli anni successivi questi luoghi, ed anche altri territori contermini, saranno nuovamente oggetto di contrapposizioni tra le due comunità, segno evidente che la questione non era stata affatto risolta. Dopo quasi tre anni le liti tra Gemona e Venzone erano infatti ancora oggetto di un atto ufficiale: in quest’occasione la zona interessata dalla disputa sarà quella di S. Agnese.11

La sella di S. Agnese, che è situata a ponente del monte Cumieli, era intensamente sfruttata soprattutto per i suoi abbondanti pascoli. Il 6 maggio 1255, all’interno di un documento, le autorità gemonesi raccolsero nuovamente le deposizioni di alcuni testimoni, le quali dovevano comprovare l’appartenenza dell’area alle terre comunali della città.12 Gli uomini interrogati dalle magistrature cittadine sostenevano infatti la iuresdictio gemonese sopra quella zona, ma segnalavano contemporaneamente in maniera quasi corale uno sfruttamento promiscuo tra le due comunità di questa porzione di territorio. Nel momento della stesura dell’atto, al posto di un antico e consuetudinario uso dei pascoli che avveniva in pace et quiete, i testi indicavano invece ripetuti episodi che mettevano in luce tensioni, aggressioni e rivendicazioni sull’utilizzo esclusivo della zona da parte di uno dei due centri abitati.

I due atti duecenteschi segnalati sopra e relativi a dispute sui limiti confinari tra Gemona e Venzone, si inserivano in un momento particolarmente significativo nella storia dei rapporti tra le

10

Sembra che una parte del bosco sia stata distrutta da Enrico conte del Tirolo, come rappresaglia contro i gemonesi per la demolizione del castello di Grossemberg.

11 Nel documento la zona è chiamata monte di Santa Agnese. Nell’area alpina si indicava di norma con mont un territorio che poteva essere sfruttato in maniera comunitaria da tutti gli abitanti di un insediamento. MOR, L’ambiente, p. 176.

due comunità. Le problematiche incentrate sull’uso del territorio entravano a far parte di una contrapposizione tra gli abitati che andava ben oltre la sola definizione di un confine certo tra le giurisdizioni. La rivalità e le frizioni tra Gemona e Venzone nascevano infatti, come è stato già detto, da una concorrenza commerciale che si faceva nel corso del secolo XIII sempre più intensa e violenta. Le liti per lo sfruttamento di un’area erano quindi solo uno degli elementi di una contrapposizione che aveva sicuramente come motore anche l’intercettazzione dei flussi di traffico commerciale.

Fin dalla prima metà del Duecento il borgo venzonese cominciò ad affermarsi come tappa strategica sulla strada che collegava l’Italia nord-orientale con le terre tedesche. L’abitato, governato dalla famiglia Mels, entrò progressivamente in concorrenza e in attrito con la vicina Gemona. L’attivazione a Venzone di un mercato e di tutta una serie di servizi per i traffici – osti ed albergatori, artigiani legati alle necessità dei commerci, uomini di fatica disposti a mettersi al servizio dei mercanti per superare i passi alpini – portò le due comunità ad uno scontro frontale. Gemona, a differenza di Venzone, vantava privilegi antichi, soprattutto inerenti allo sfruttamento dei flussi commerciali e al principio del secolo XIII, quando la futura rivale era ancora un modesto ed ininfluente borgo, si presentava già fortemente sviluppata tanto dal punto di vista urbanistico quanto da quello istituzionale, economico e sociale.13 Venzone in effetti non poteva competere con la sua vicina: era demograficamente più fragile, di più recente fondazione, e soprattutto non vantava quelle concessioni patriarchine (il niederlech e la possibilità di tenere un mercato riconosciuto) che costituivano un elemento centrale per legare la propria economia ai traffici commerciali.14 Numerosi furono infatti gli appelli e le esortazioni fatte dai Patriarchi – a partire dalla metà del Duecento e su sollecitazione gemonese – riguardo al carattere del tutto illegale delle attività venzonesi.15

Nel 1254, come conseguenza di alcune pressioni politiche messe in atto da Gemona, il patriarca Gregorio di Montelongo ordinava a Glizoio di Mels e agli uomini di Venzone di sospendere l’attività del mercato che aveva luogo nella cittadina. Il principe ecclesiastico vietava di vendere nell’abitato vari prodotti all’ingrosso: era concesso ai venzonesi il solo commercio di pane, vino e ferri di cavallo. Nessuna merce doveva poi passare per la Chiusa e Tolmezzo, diretta verso le terre

13 I primi documenti che indicano Venzone come una località con un certo peso demico risalgono ai primi anni del Duecento. Gemona oltre ad essere menzionata come “Comune” nell’ultimo ventennio del XII secolo, era invece già ricordata come castello fortificato da Paolo Diacono nel 611. Guida delle Prealpi, p. 366. MOR, Momenti, pp. 9-15.

14 La nascita del mercato venzonese era stata infatti una scelta arbitraria di Glizoio di Mels, che aveva probabilmente approfittato del disorientamento generale nella Patria in seguito alla morte del patriarca Bertoldo di Merania. PASCHINI, Notizie, p. 67.

15

Molti patriarchi al momento della propria nomina emanarono provvedimenti in merito all’illegalità del mercato venzonese. Gemona era infatti sempre attiva a sollecitare tali disposizioni.

tedesche, senza il sigillo del capitano di Gemona. In questo modo i mercanti non potevano più fare a meno di accedere alla città.

Queste disposizioni dettate dal patriarca – anche se è presumibile che in molte circostanze fossero disattese – rappresentavano un forte limite per lo sviluppo di Venzone, incrementando, in una certa misura, la rivalità nei confronti di Gemona. È probabile che le tensioni e le rivendicazioni d’appartenenza della sella di Santa Agnese, le quali portarono alla produzione del documento del maggio del 1255, non fossero altro che una reazione al provvedimento patriarcale emanato l’anno precedente. Inoltre è presumibile che l’insoddisfazione da parte venzonese per il risultato della vertenza relativa ai colles de Glemona e Grozumberg e in merito all’appartenza della zona detta dei Rivoli Bianchi, ebbe come conseguenza un incessante antagonismo che alimentò un clima di forte contrapposizione.

Venzone si trovava quindi in una situazione alquanto precaria per il suo sviluppo e per la sua sopravvivenza. Era una cittadina in mano ad una consorteria nobiliare non troppo influente nel contesto dei rapporti di forza operanti nello stato patriarchino, a differenza di Gemona che era all’opposto un libero comune dipendente invece direttamente dai Patriarchi. Venzone non aveva inoltre le risorse né le possibilità di poter raggiungere un certo grado di autonomia. La chiesa dedicata a Sant’Andrea dipendeva addirittura dalla pieve gemonese – segno che forse un tempo l’abitato era direttamente soggetto a Gemona – ma soprattutto la cittadina non costituiva per il principe ecclesiastico una fonte diretta di reddito e di controllo del territorio.16

Da qui prese le mosse una lunga contesa destinata ad assumere spesso il carattere della contrapposizione violenta (assedi, scontri armati, boicottaggi), soprattutto perché Venzone, consapevole della sua fragilità politica, cercò inevitabilmente appoggi ed aiuti esterni al Patriarcato. A partire dal 1288, dopo la fine della supremazia della famiglia Mels, per alterni periodi la cittadina fu soggetta o comunque entrò nell’orbita di controllo dei duchi di Carinzia, dei conti di Gorizia e dei duchi d’Austria.17 Dopo un momentaneo rientro sotto il controllo del potere patriarchino, nel 1336 Bertrando assediò e conquistò l’insediamento che era difeso dalle truppe del conte di Gorizia,

16 La principale chiesa di Venzone, dedicata per l’appunto a S. Andrea, non costituiva una parrocchia a se stante dipendendo dalla chiesa madre di Gemona. Solitamente i limiti di uno specifico territorio parrocchiale corrispondevano con quelli della comunità civile, fornendo in caso di disputa una solida base per dirimere le liti. In questo caso la dipendenza dalla pieve gemonese rendeva ancora più complessa la situazione confinaria tra le due comunità. L’organizzazione ecclesiastica di norma contribuiva alla formazione e alla salvaguardia dei confini. LE BRAS, La chiesa, p. 69.

17 Non possediamo fonti che permettono di capire le ragioni che portarono alla vendita di Venzone da parte dei Mels. Sappiamo solamente che morto Glizoio suo figlio Guglielmo cedette immediatamente la cittadina ad Alberto conte di Gorizia. Glizoio aveva stipulato fin dal 1261 accordi con i conti per il commercio sulla direttrice Venzone-Latisana. Probabilmente Guglielmo, a fronte della forte ostilità dimostrata da Gemona e dal patriarca Raimondo della Torre, decise di liberarsi dell’abitato offrendolo a chi aveva forti interessi legati alle possibilità economiche del borgo. Agli inizi del secolo XIV, Guglielmo ottenne dal patriarca Ottobono de’ Razzi l’autorizzazione a costruire un nuovo castello sul colle di Colloredo. DEGRASSI, Il castello, pp. 21-24.

l’appoggio e la tutela da parte di elementi esterni ebbe definitivamente termine il 28 settembre 1365: in quella giornata infatti quattro delegati della cittadina si presentarono a Udine dinanzi al vicedomino generale del patriarcato Francesco Savorgnan, chiedendo perdono e grazia e “professando di rinunciare ai giuramenti prestati ai duchi d’Austria ed a qualunque altro”.18 Dopo la morte di Rodolfo IV duca d’Austria, i venzonesi si trovarono senza il loro maggior sostegno. Temendo di perdere i privilegi concessi poco meno di trent’anni prima dal Patriarca Bertrando – il prelato aveva finalmente concesso un mercato settimanale alla cittadina, dopo averla sottratta con la forza delle armi al conte di Gorizia ed aveva collocato la riscossione della muda a Venzone mentre prima l’esazione aveva luogo a Tolmezzo e alla Chiusa – i venzonesi prestarono il solenne giuramento di fedeltà. Dal 1336 al 1352 la cittadina fu infatti ricondotta sotto l’orbita patriarchina per poi passare fino alla metà degli anni ’60 del Trecento, come abbiamo visto, sotto il controllo dei duchi d’Austria.

I venzonesi, grazie a questa avveduta mossa politica, mantennero i privilegi concessi da Bertrando. Alla comunitas era imposta solamente la distruzione del castello presente all’interno delle mura, mentre la nomina del capitano della cittadina doveva essere avallata dall’autorità patriarchina. Da questo momento in poi Venzone sarà, fino alla fine dello Stato Patriarchino, una cittadina soggetta al potere dei principi ecclesiastici.

Ad esclusione delle vertenze in merito al tracciato confinario segnalate negli anni ’50 del Duecento non risultano, fino ad oltre la metà del secolo XIV, altri atti o documenti che evidenzino liti in materia di confini tra Gemona e Venzone. Nella prima metà del Trecento sono segnalate alcune contrapposizioni legate all’intercettazione dei flussi commerciali, ma la questione connessa al tracciato confinario sembra cristallizzata. Forse la documentazione è andata banalmente persa, ma ad ogni modo la situazione, come abbiamo segnalato e come vedremo poco oltre, era tutt’altro che risolta. È anche presumibile che la differente appartenenza “statale” dei due centri abitati non permettesse di giungere ad un compromesso efficace. Fra le due terre, prima del 1365, come si è visto, difficilmente si sarebbe trovato un accordo, vista la cronica conflittualità riguardante i servizi offerti ai mercanti.19

Le liti ripresero infatti nel 1366, dopo meno di un anno dal rientro di Venzone sotto la giurisdizione patriarcale. Nell’ottobre il comune di Gemona inviò una lettera di protesta indirizzata al patriarca Marquardo, ai suoi ufficiali e al suo vicario, in merito a certi lavori intrapresi dai

18 PASCHINI, Storia,. p. 162.

19

Nel 1355 tale dominus Enrico Raspone fu mandato dal duca d’Austria a Venzone. Il funzionario, che aveva il titolo di capitano, si presentò nei pressi del confine della iurisdictio venzonese, sulla pubblica strada a sud dei Rivoli Bianchi, dove il percorso si restringe tra le colline ed il Tagliamento. Con suoni di trombe annunciò la sua presenza e accese successivamente un fuoco come segno indicativo del limite confinario tra le due comunità, il quale era, come abbiamo visto, tutt’altro che certo. La conseguenza di questo gesto era la tacita acquisizione da parte di Venzone della zona detta dei Rivoli Bianchi. BALDISSERA, Canonica, p. 10.

venzonesi sopra alcune zone, le quali, a detta della città, appartenenevano alla sua giurisdizione. I territori interessati dall’intervento venzonese erano sempre gli stessi: le colline a nord dell’ospedale di Santo Spirito e la zona chiamata dei Rivoli Bianchi. Gli uomini di Venzone avevano iniziato a effettuare – soprattutto sopra i Rivoli Bianchi – un’intensa manutenzione della viabilità che era stata con molta probabilità danneggiata dalle piene del Tagliamento o da quelle dei rivi tributari. Gemona temeva che questi lavori pregiudicassero la sua giurisdizione sopra quei luoghi.20

La possibilità dell’acquisizione della iurisdictio su una porzione di territorio attraverso la protrazione dell’uso dello stesso era infatti possibile. In un momento nel quale la definizione dei limiti confinari non era né certa né certificata, il reiterato sfruttamento di una zona o la presa in carico di lavori sulla stessa consolidavano nella memoria collettiva l’appartenenza di questo territorio alla comunità. I giuristi medioevali avevano affrontato da lungo tempo il tema dell’acquisto della iurisdictio attraverso la protrazione del suo esercizio.21

Queste frizioni erano però solo il preludio per uno scontro di portata più ampia. Con il reinserimento a pieno titolo della comunità venzonese nell’orbita patriarcale era oramai prioritario riconoscere un ambito territoriale di pertinenza ben delineato, superando quella indeterminatezza che originava incertezze e tensioni.

La situazione esplose infatti l’anno successivo, con l’apertura di una causa giudiziaria per la definizione dei limiti confinari tra i due centri abitati. Il procedimento giudiziario fu affidato ad un collegio arbitrale composto da cinque autorevoli personaggi: di questi, due erano eletti dalla comunità di Gemona (Rainaldo di Padova decanus Utini e Simone milite di Valvasono) e due dalla cittadina di Venzone (Mainardo di Villalta e Francesco de Colloredo); il quinto, Ottobono di Ceneta, era stato scelto di comune accordo ed era dunque un uomo che godeva la stima e il rispetto di ambedue le comunità. La preferenza nell’affidare il procedemento giudiziario ad un collegio arbitrale, evitando i tribunali ordinari, esprimeva la volontà di arrivare ad un compromesso in merito alle possibilità d’uso del territorio. Solitamente le parti in contrapposizione convergevano nell’incaricare una commissione arbitrale per svariati motivi: la maggior velocità nell’emissione di una sentenza, il costo più contenuto del procedimento giuridico e soprattutto l’interesse per l’emanazione di un verdetto che tradizionalmente era meno drastico. Tutto questo favoriva inoltre la possibilità di contrattare il patteggiamento.22

20 Già nel 1356 i gemonesi distrussero delle barriere costruite dagli uomini di Venzone super laperas, le quali avevano probabilmente lo scopo di arginare le acque del Tagliamento e quello di mettere in sicurezza la strada da smottamenti e frane. ACG, Pergamene, b. 1643, perg. n. 12. Nel novembre del 1359 il massaro di Gemona pagò tal Dominico Tusse qui steti super laperas ad custodiendum ne illi de Venzono aptarent laveras. ACG, Massari, b. 406, f. 26r, 29 novembre 1359.

21

MARCHETTI, De iure, p. 124.

Le zone contese erano sostanzialmente sempre le stesse: la sella di Sant’Agnese con l’annesso pascolo, il bosco di Ledis e la pietraia detta “dei Rivoli Bianchi”. Anche in questo caso non era stata preso in esame il limite confinario nella sua interezza. I restanti punti di contatto tra le due giurisdizioni, considerando anche la complessità pedologica del territorio, non avevano sollevato frizioni di portata. Nello specifico le intenzioni di Ottobono e dei gemonesi erano quelle di porre un

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 83-96)