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Nella cartina è indicata la linea di confine nel Campo tra il distretto gemonese e quello di Buja

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 114-128)

I CONFINI DEL DISTRETTO

TAVOLA 9. Nella cartina è indicata la linea di confine nel Campo tra il distretto gemonese e quello di Buja

e Osoppo.

Ser Ghibellino Savorgnan, il signore di Buja, prese immediatamente le difese dei propri uomini.81 Confermando il carattere del tutto illegale della presenza gemonese in quelle zone, intervenne in prima persona nella causa, assumendo un avvocato di prestigio e seguendo direttamente la disputa giudiziaria. Un semplice attrito, che tra l’altro non produsse nemmeno un pignoramento di animali, si trasformò così, nel giro di poco tempo, in una vertenza di ben altro spessore, nella quale la posta

81 Nei primi documenti riguardanti la vertenza sono due i fratelli Savorgnan che si interessarono alla questione: Ghibellino e Urbano. Man mano che il processo prende forma le presenze di Urbano alle udienze divengono però sempre più saltuarie.

in gioco non era più solamente l’identificazione delle responsabilità in seguito ad un’aggressione. La vertenza, che poteva benissimo essere interpretata come una causa de exfortio, cioè inerente al reato di sottrazione violenta di beni – i gemonesi furono infatti espropriati con la forza di alcune loro cose – divenne così un procedimento giuridico il cui scopo era determinare l’appartenenza di uno specifico territorio ad una delle due comunità.

Ghibellino, negli atti del processo che seguirono, sosteneva fermamente che la giurisdizione di Buja confinava direttamente con quella di Osoppo (nullo alio territorio et iurisdictione mediante). In questo modo non solo si colpevolizzavano pienamente i pastori gemonesi, che al dì la della loro presenza su un prato privato erano entrati in un’area a loro interdetta, ma le ragioni che avevano mosso la vertenza assumevano un contorno di ben più ampia portata. La zona sud-occidentale del Campo, all’interno della quale era avvenuta l’aggressione, veniva così a trovarsi, secondo Ghibellino, tutta soggetta alla famiglia Savorgnan, la quale governava parallelamente e da molto più tempo anche la vicina comunità di Osoppo.82

Quattro anni dopo, nei primi mesi nel 1444, venne emanata la prima sentenza in merito alla questione che, come vedremo, non si concluderà molto presto. Il giudice Antonio Rosello, abitante a Padova, incaricato dal Luogotenente veneziano di seguire questa vertenza, sentite le varie parti in causa e letti i verbali degli interrogatori, pronunciò un verdetto che non andava però oltre ai semplici fatti presentati al momento dell’aggressione. Non vennero, in questo primo momento, prese troppo in considerazione le rivendicazioni territoriali dei Savorgnan, ma si preferì, probabilmente su pressione gemonese, affrontare solo i fatti inerenti alla prevaricazione e alla sottrazione di beni. I quattro uomini di Buja furono infatti condannati e si ribadì che i cittadini di Gemona potevano utilizzare i pascoli nella zona: gli animali non dovevano però brucare sopra i prati appartenneti ai privati quando questo non era consentito. Le rivendicazioni territoriali promosse dai Savorgnan non vennero quindi prese per ora in seria considerazione.83

L’avvocato di Gemona, che al tempo era Antonio di Belgrado – il quale aveva sostituito Antonio di San Daniele ingaggiato per seguire la questione ma morto prematuramente –, sull’onda di questo successo giudiziario rincarò la dose e passò al contrattacco.84 Il professionista in virtù di questo verdetto, che confermava seppur indirettamente la iurisdictio di Gemona sopra il territorio a sud-ovest del Campo, denunciò l’illegalità della vendita di vino e di altri prodotti da parte degli uomini di Buja nella zona in questione. Nei pressi della strada commerciale, che come abbiamo visto attraversava quelle zone, gli uomini soggetti ai Savorgnan avevano con molta probabilità

82 A metà del Quattrocento la famiglia Savorgnan Del Monte – il ramo della potente consorteria friulana che deteneva le giurisdizioni di Buja e Osoppo – era titolare anche del castello di Flagogna e aveva giurisdizione sopra gli abitati di Farla, Majano, Carvacco, Treppo Piccolo e Vendoglio.

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ACG, Causa Gemona-Osoppo, b. 726.

attivato dei luoghi di sosta e di ristoro per i viandanti. L’intercettazione del traffico mercantile nel Campo da parte degli uomini di Buja, sottraeva ovviamente opportunità di lucro ai gemonesi. La vendita di vino e cibo ai viaggiatori, in una zona così prossima alla città, condizionava quindi l’accesso delle persone alla stessa. Se i mercanti avevano come destinazione le terre d’oltralpe, una volta riposati e rinfocillati potevano puntare direttamente verso il borgo di Hospitale (ora Ospedaletto) e Venzone, eludendo magari il privilegio del niederlech concesso a Gemona. È evidente che in questa azione la città ribadiva con forza il possesso dell’area soprattutto in funzione dei suoi interessi commerciali: a questi rispondeva anche la volontà di continuare a gestire direttamente la percorribilità della strada mercantesca sull’asse Hospitale-San Daniele.85

Con l’emergere di queste problematiche, la questione territoriale che in un primo momento era stata messa in disparte, non poteva dunque più essere accantonata. Venne così attivata un’altra causa, che si proponeva questa volta di assegnare, in termini precisi e puntuali, l’area a una delle due parti. Il tribunale del luogotenente, come sempre in situazioni del genere, intimò quindi ai contendenti di presentare nuove convincenti prove. Furono stilati dei “capitoli”, nei quali vennero scritte le domande che dovevano essere rivolte ai testi e cominciarono, registrate dai notai, le deposizioni sotto giuramento.

La documentazione che descrive questo processo purtroppo non è giunta fino a noi in maniera integrale: la sentenza, ad esempio, non ci è pervenuta. Le carte della vertenza tra Gemona e Buja furono inoltre rilegate in un tempo successivo, presumibilmente in epoca moderna, in un quaderno che conteneva anche i documenti che riguardavano un’altra lite, quella Quattrocentesca tra Gemona e Osoppo. All’interno del corposo volume non è stato però mantenuto un rigoroso ordine cronologico in merito alla reale produzione della documentazione. Vari fascicoli che riportano parti organiche delle vertenze sono infatti frapposti ad altri che poco hanno a che fare con le carte precedenti o successive. Nonostante l’evidente disordine e l’assenza di alcuni passaggi processuali, le motivazioni che avevano portato al raggruppamento dei due procedimenti giudiziari non erano però, come vedremo, del tutto casuali.

Dagli atti superstiti emergono, presentate dalla parte gemonese, delle solide ragioni in merito al possesso dell’area in questione. Antonio da Belgrado chiamò in causa un gran numero di testimoni, i quali attestarono l’appartenenza della zona alla iurisdictio gemonese ribadendo inoltre che i lavori per la manutenzione della strada commerciale, nel tratto a sud-ovest del Campo, erano stati recentemente eseguiti dagli uomini di Gemona, i quali avevano anche proceduto al disboscamento

85 Ghibellino Savorgnan sosteneva che in Campo sub populus arboribus era consueto per gli uomini di Buja vendere vino ed altre cose senza ostacoli da parte dei gemonesi e senza il pagamento di dazi. Come è stato già detto la via internazionale che transitava nel Campo permetteva di superare il distretto senza accedere nella città murata. Per raggiungere l’abitato bisognava infatti percorrere una discreta salita seguendo le strade che deviavano verso oriente.

(exbuscari) dell’area nei pressi del percorso viario. Antonio confermava che i lavori di riassetto della strada erano da sempre eseguiti dagli uomini di Gemona, segno questo di esercizio della giurisdizione. Come abbiamo constatato nella vertenza tra Gemona e Venzone, era reale la possibilità dell’acquisizione della iurisdictio di un territorio attraverso la protrazione del suo esercizio. Antonio da Belgrado, consapevole della validità delle sue ragioni, ribadì con forza, come risulta dagli atti, che a memoria d’uomo il territorio e il capitaneato di Gemona se extendit usque ad populos campi predictos et longe infra et usque ad Tulmentum e che alcune comugne della terra di Gemona erano situate in campo usque ad vadum rivi Storti et Tulmentum.86 È presumibile che il Rivo Storto scorresse più o meno dove ora scorre il Tagliamentuzzo. Queste deposizioni intendevano confermare la piena appartenza dell’area al distretto gemonese. Di parere opposto era ovviamente Erasmo da Udine, l’avvocato incaricato dalla famiglia Savorgnan di seguire la questione.

La porzione di territorio contesa, al di là delle rispettive posizioni, era piuttosto scarsa di segni identificativi sul terreno che potessero aiutare i giudici a risolvere la questione. Non esisteva, a questa altezza cronologica, nessun segno confinario che dividesse nella zona la giurisdizione di Buja da quella di Gemona. Con molta probabilità, al di là del confine segnato dal fiume Ledra, situato come già visto a nord del colle di Buja e riconosciuto da entrambe le parti, non era mai stato preso in considerazione nessun tracciato confinario nella zona occidentale del territorio buiese, cioè nell’area a sud-ovest del Campo. Per la prima volta nella loro storia Gemona e Buja dovevano quindi trovare un accordo in merito ai limiti confinari in questa zona.

L’avvocato di Ghibellino Savorgnan, consapevole della scarsità di segni identificativi nell’area vedeva in un pietrone, chiamato la piera biancha, il limite dell’estensione della giurisdizione gemonese nel Campo. Erasmo da Udine riporta negli atti che la piera blancha infra versus Osopium et campum est de iurisdictione et pertinentiis Osopii et Buje […] et abinde desupra est de pertinentiis Glemone. La pietra bianca era un evidente segno di delimitazione confinaria ma, come vedremo, esclusivamente tra le giurisdizioni di Gemona e Osoppo.87 La prima attestazione di questo pietrone si ha nel 1267, all’interno di un atto che delimitava i confini del distretto soggetto alla comunità di Osoppo. In questo documento Buja non veniva nemmeno nominata. Erasmo da Udine sosteneva invece la posizione proposta dai Savorgnan in merito a un punto di contatto tra i distretti di Buja e Osoppo e vedeva quindi in questo masso il limite sotto il quale l’autorità di Gemona cessava. In questa maniera la comunità gemonese veniva esclusa da ogni rivendicazione nella zona.

86 ACG, Causa Gemona-Osoppo, b. 726.

87 Come vedremo, all’interno dei verbali prodotti dagli avvocati impegnati in una successiva causa tra Gemona e Osoppo, emerge l’importanza della piere blanche come segno confinario tra i due abitati. Molti testimoni riferivano che questo masso permetteva di identificare il limite confinario tra le due comunità e non tra Gemona e Buja.

Sorgeva ora però un ulteriore problema a complicare le cose. Se anche le due giurisdizioni soggette ai Savorgnan fossero state adiacenti – e questo bisognava dimostrarlo nel corso della causa – era ora doveroso identificare quale fosse il limite tra i tre distretti in quest’area del Campo. La pietra bianca nel 1444 non era infatti più rintracciabile, perchè un’esondazione del Tagliamento avvenuta nel 1440 aveva spazzato via il masso dalla piana o l’aveva sepolto sotto la ghiaia.88

La debolezza della posizione dei Savorgnan appare evidente anche in merito a un’altra questione sollevata nel procedimento: quella che riguardava le forche per le esecuzioni. A sostegno dell’appartenenza del territorio contestato, Erasmo da Udine fece presente come “in Campo super strata vel prope et sub loco ubi erat la pietra blancha fuissent constructe certe furche pro patibulo per specialiter per dominum Tristanum patrem ser Gibilini”. Di norma le forche per le esecuzioni capitali venivano alzate nei territori ai margini del distretto, nei pressi delle strade particolarmente frequentate. Lo scopo era da un lato ammonire e intimorire gli stranieri malintenzionati di passaggio, persuadendoli della fermezza della giustizia in zona, dall’altro dimostrare il disprezzo per il condannato, il quale era allontanato dal centro della comunità durante gli ultimi momenti della sua vita. A ciò si aggiungevano forse ragioni igieniche, poiché una volta appeso alla forca il corpo della vittima rimaneva infatti a marcire per molti giorni. La città di Gemona aveva eretto le forche in tre specifiche zone: a nord, nei pressi dell’ospedale di Santo Spirito, a lato della strada per Venzone; vicino al fiume Orvenco, a margine della strada per Artegna; nel Campo, in una zona adiacente alla strada mercantile.89 Tutti e tre i luoghi erano situati, come abbiamo visto, ai margini del distretto.90

Secondo i Savorgnan l’attestazione della presenza delle forche nel Campo, nei pressi della “pietra bianca”, costituiva un ulteriore elemento di prova che rafforzava la tesi dell’appartenenza della zona a sud del masso alla loro giurisdizione. L’innalzamento dei pali per le esecuzioni in uno specifico luogo rappresentava, a loro dire, un evidente segno confinario. L’affermazione era in linea di massima esatta: i pali erano infatti stati eretti nei pressi della pietra bianca perché quello era il

88 Il territorio, nonostante la presenza delle roste, era stato in quell’anno pesantemente segnato dalle esondazioni del Tagliamento. Un ramo del fiume si era completamente riversato nel Campo. L’idrografia superficiale era inoltre in quel periodo molto diversa da quella attuale. Passaggi, p. 16. All’interno dei verbali delle testimonianze sono molti i riferimenti ai danni provocati dall’alluvione del 1440 e alla scomparsa della pietra bianca. ACG, Causa Gemona-Osoppo, b.726.

89 Nel Campo di Gemona, verso il confine con Buja, esiste un’area identificata con il toponimo prediale detto Pra Forcjatis. Si ritiene comunemente che quella fosse la zona in cui venivano erette le forche per le esecuzioni capitali. PATAT, Sinfonie, p 119

90 Le impiccagioni si intensificarono nel distretto gemonese dopo il 1380, come conseguenza dei tempi sempre più inquieti che si vivevano in regione. Le esecuzioni venivano portate a termine in tutte e tre le zone dove erano state costruite le forche. Sembra che i pali piantati nei pressi dell’ospedale siano stati quelli più solidi. Durante un’impiccagione avvenuta nel 1384 si dice esplicitamente che le forche sull’Orvenco non erano capaci di sostenere il peso della colpevole e quindi bisognava utilizzare quelle erette nei pressi dell’ospedale di Santo Spirito. Nel dicembre del 1394 fu impiccato sulle forche nel Campo tal Giorgio di Venzone sorpreso a rubare mercanzie a Gemona. Il 19 dello stesso mese un’incursione di alcuni uomini di Venzone prelevò il cadavere appeso sul palo, forse per seppellirlo nel cimitero della loro comunità. ACG, Massari, b. 420, ff. 30v-31r, spese di dicembre 1394.

limite tra Gemona e Osoppo e perché nei pressi del masso c’era un bivio stradale che collegava l’itinerario internazionale con il percorso che univa le due comunità. Tuttavia il luogo dove si consumavano le esecuzioni capitali poteva costituire, al limite, un segno confinario tra le comunità di Gemona e quella Osoppo e non tra Gemona e Buja. Inoltre a nord del distretto gemonese le forche erano state erette nei pressi dell’ospedale di Santo Spirito, mentre il confine della iuresdictio cittadina era stata individuata sui Rivoli Bianchi, i quali si trovavano qualche chilometro più a nord. Non sempre quindi il posizionamento delle forche in un luogo indicava l’estrema prossimità del confine.91

La poca solidità degli elementi probatori portati a sostegno della tesi dei Savorgnan appaiono poi sempre più evidenti nel corso del procedimento. Erasmo da Udine tendeva ad associare e a confondere il distretto di Buja con quello Osoppo per continuare a sostenere la tesi della contiguità delle due giurisdizioni. I segni confinari che delimitavano l’area soggetta alla iurisdictio di Osoppo vengono citati in modo distorto e confuso per far apparire la parte sudoccidentale del Campo come non appartenente a Gemona. Sfruttando da un lato la complessità di un territorio mutevole nell’assetto pedologico e dall’altro la scarsità di segni confinari tra le tre giurisdizioni, Ghibellino Savorgnan, con molta probabilità, pensava di poter ampliare i propri domini. Il procedimento giudiziario non si stava però sviluppando nella direzione desiderata dalla famiglia castellana.

Il riaccendersi della contesa fu determinata da un episodio accaduto nell’agosto del 1444. Alcuni pastori gemonesi che pascolavano nei pressi di Saletti Tulmenti, una zona nella parte sud-occidentale del Campo, identificabile probabilmente con l’attuale Saletto (un luogo abbastanza distante dal Tagliamento), vennero fermati dal capitano di Osoppo al servizio di Ghibellino Savorgnan. L’ufficiale sceso dal castello cum certa familia sequestrò agli uomini di Gemona una cavalla pili nigri seu bruni cum stella alba in fronte come rappresaglia per una violazioni di territorio.92

La comunità di Gemona, come conseguenza del fatto, mandò immediatamente (17 agosto) un’ambasciata ad Udine a interpellare il tribunale del luogotenente. Furono convocati in città Ghibellino, che si presentò con Erasmo, e Antonio di Belgrado, che era stato inviato come rappresentante di Gemona. Entrambi i professionisti erano ora impegnati in due cause per così dire

91 Nel maggio del 1403 furono impiantate delle nuove forche nei pressi dell’abitato di Hospitale. Non è specificato però l’esatto luogo dove i pali vennero eretti ad eccezione di un prato situato nei pressi della zona. ACG, Delibere, b. 27, f. 9r, 6 marzo 1403. Nel 1451 Abram quondam Andrea di Osoppo, abitante a San Vito, compare come testimone in una causa in materia di confini tra Gemona e Osoppo. La sua deposizione, oltre a confermare che la pietra bianca era un segno confinario tra le giuridizioni di Gemona e Osoppo, rendeva noto che da più di 40 anni i gemonesi avevano costruito delle forche nei pressi della strada mercantile. Queste furono però distrutte in passato da Tristano Savorgnan perché costruite all’interno del territorio di sua giuridizione. Il teste che è di parte osovana venne interrogato ad Udine il 5 giugno del 1451. ACG, Causa Gemona-Osoppo, b. 726.

parallele: quella attivata nel 1440 tra Buja e Gemona e questo nuovo procedimento che vedeva coinvolte Osoppo e Gemona.

Antonio di Belgrado sostenne immediatamente l’illegalità del pignoramento e si rifiutò di pagare una multa che fu proposta dai Savorgnan. È presumibile che il rifiuto di risarcire la comunità di Osoppo non fosse solo dovuto alla consistenza della cifra, ma bensì al fatto che in caso di esborso si ammetteva di aver commesso un torto. Pagare era come confermare di aver mandato al pascolo gli animali in un territorio non soggetto alla propria giurisdizione.93

La condotta dei Savorgnan, nelle prime fasi di questo nuovo processo giudiziario, fu subito molto aggressiva. Ghibellino era consapevole di avere oramai poche possibilità di dimostrare con efficacia l’estensione della giurisdizione di Buja nella zona a sud-ovest del Campo, perciò rivendicò l’appartenenza dell’area alla giurisdizione di Osoppo. La comunità di Gemona non veniva infatti solo accusata di difendere i propri pastori che avevano palesemente sconfinato, ma anche incriminata perché da qualche tempo tutta una serie di attività (portare gli animali al pascolo, raccogliere legna e fare fieno) erano eseguite anche nei territori compresi nella giurisdizione di Osoppo.

Il 7 settembre dello stesso anno Ghibellino consegnò infatti al tribunale luogotenenziale il libello d’accusa nel quale rivendicava l’area.94 All’interno del documento i Savorgnan sostenevano che nel luogo detto Seletti – il toponimo richiama la presenza di un bosco di salici, specie arborea molto diffusa nel Campo – i gemonesi portavano spesso e illegalmente gli animali al pascolo. L’attuale zona conosciuta come Saletto si trova ad ovest di Buja, sopra Tomba, nei pressi del luogo nel quale i pastori gemonesi erano stati aggrediti dai buiesi. La localizzazione dell’incidente era di necessità approssimativa, perché nei verbali delle testimonianze, registrate in seguito all’attivazione della causa tra Gemona e Osoppo, i riferimenti toponomastici erano assai scarsi.95 L’intento dei Savorgnan era oramai chiaro e con molta probabilità l’intervento del capitano di Osoppo premeditato.

Osoppo era, al pari di Gemona ed Artegna, una comunità di antica origine. Le evidenze archeologiche segnalano già in epoca romana un insediamento e un fortilizio collocati sopra il colle

93 All’interno delle deposizioni di alcuni teste, interrogati nel corso del processo, emerge con una certa frequenza la consuetudine, da parte gemonese, di sconfinare nella giurisdizione di Osoppo. Un testimone ricordava come la comunità di Gemona alcuni anni addietro aveva pagato una multa in seguito ad un pignoramento eseguito dalle autorità di Osoppo. L’importo era stato di 40 denari per ogni animale sequestrato. L’ottantenne Daniel di Leonardi de Toppo,

Nel documento Storia di Gemona nel Basso Medioevo (pagine 114-128)