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Butler con Deleuze e Guattari (o con Lévinas?)

Nel documento Il significare delladifferenza DONNE,UOMINI (pagine 106-112)

Il sesso è naturale? Butler con Lacan

5. Butler con Deleuze e Guattari (o con Lévinas?)

«Mi defi niscono deleuziana»72, ammette Butler. Una defi nizione che forse – come vedremo – non è del tutto calzante, ma almeno spiega l’attacco alla psicoanalisi e a Lacan in particolare. È suffi -ciente leggere alcune pagine de L’anti-Edipo (1972) per riscontra-re un’innegabile pariscontra-rentela concettuale: «Siamo tutti piccole colo-nie – scrivono Deleuze e Guattari –, ed è Edipo a colonizzarci»73. È questo «l’incurabile familiarismo della psicoanalisi», il suo vio-lento ‘forcing’ del desiderio umano entro la «territorialità-mam-ma e la legge-papà»74. È sottinteso che quelli che non riconoscono l’imperialismo metafi sico di questa «sacra famiglia» verranno

giu-i passagggiu-i. Innanzgiu-itutto, Lacan rgiu-ileva che Antgiu-igone sgiu-i giu-identgiu-ifgiu-i ca con la morte: «La mgiu-ia vita già da tempo è morta» (cfr. Sofocle, Edipo re. Edipo a Colono. Antigone, a cura di D. Del Corno, Mondadori, Milano 2005, p. 295). Poi si sofferma su due momenti cruciali del Coro: il primo, dove si dice che Antigone si dirige verso la sventura, la rovina (cfr.

ibi, p. 299); il secondo, dove il Coro afferma che questo sconfi namento della vita nella

morte fa apparire negli occhi di Antigone il desiderio: «E visibile trionfa per gli occhi della bella sposa il Desiderio, che siede presso le grandi leggi possenti» (ibi, p. 311).

70 J. Butler, Antigone’s Claim. Kinship Between Life and Death, Columbia University Press, New York 2000, p. 76.

71 Ibi, p. 22. Per un’analisi approfondita del rapporto tra Antigone e la questione fem-minile, cfr. F. Brezzi, Antigone e la Phília. Le passioni tra etica e politica, Franco Angeli, Milano 2004.

72 Butler, La disfatta del genere, p. 231.

73 G. Deleuze - F. Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, tr. it. di A. Fontana, Einaudi, Torino 2002, p. 302.

74 Ibi, pp. 102, 315.

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dicati dallo «psicoanalista-poliziotto»75 come pericolosi devianti. A cominciare dagli omosessuali, i primi a essere travolti nel «pro-cesso di edipizzazione forsennata»76. Dunque, anche per Deleuze e Guattari, è l’omosessualità, e non invece l’incesto, il vero rimos-so originario che rimos-sostiene l’obbligo erimos-sogamico. Del resto, «il ma-trimonio non è un’alleanza tra un uomo e una donna, ma “un’al-leanza tra due famiglie”, “una transazione tra uomini a proposi-to di donne”»77.

L’accusa, in sintesi, è la seguente: la psicoanalisi ha castrato il desiderio. La castrazione, dicono infatti Deleuze e Guattari, è il «coronamento»78 dell’edipizzazione, cioè il momento in cui la legge paterna (il simbolico, dirà Lacan) viene iniettata nel deside-rio, obbligandolo alla scelta sessuale normale. Che fare dunque? C’è solo un modo: violare sistematicamente la legge, facendo ap-pello al desiderio come veramente è, cioè appunto non-castrato: «C’è una gioia immanente al desiderio, come se si riempisse di se stesso e delle sue contemplazioni, che non implica nessuna man-canza, nessuna impossibilità»79.

Questo desiderio ‘totipotente’, senza mancanza, viene – come è noto – dai deliri di Artaud. Se Deleuze e Guattari si autorizzano a dire che il desiderio in realtà è al di qua dell’Edipo e «ignora del tutto il papà-mamma»80, è grazie a lui: «Io, Antonin Artaud, sono mio fi glio, e mio padre, e mia / madre, / e io; / sono colui che ha abolito il periplo idiota nel quale si fi cca / l’atto del generare, / il periplo papà-mamma / e il bambino»81.

È interessante allora notare come questa ‘abolizione’ dell’Edi-po assomigli all’Oedipus interruptus della prospettiva butleriana82.

75 Ibi, p. 120.

76 Ibi, p. 60.

77 Ibi, p. 184; le citazioni sono tratte da G. Devereux, Considérations

ethnopsychanalyti-ques sur la notion de parenté, «L’homme», 5 (1965), pp. 224-247.

78 Ibi, p. 65.

79 G. Deleuze - F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, a cura di M. Guareschi, Castelvecchi, Roma 2006, p. 244.

80 Deleuze - Guattari, L’anti-Edipo, p. 185.

81 A. Artaud, Artaud le Mômo, Ci-gît e altre poesie, tr. it. di E.Tadini, Einaudi, Torino 2003, p. 130.

82 L’espressione «Oedipus interruptus», in realtà, è di Teresa De Laurentis, che – al-meno sul piano della denuncia polemica dell’eterosessismo – è certamente d’accor-do con Butler (T. De Laurentis, Sui generis. Scritti di teoria femminista, tr. it. di L. Losi, Feltrinelli, Milano 1996, p. 98).

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Anche Artaud, come è noto, se la prende – esattamente come Bu-tler – con l’anatomia, con gli organi e le loro presunte disposizio-ni eterosessuali naturali: «Non sopporto l’anatomia umana e so-prattutto non sopporto le scissioni dell’anatomia. […] No, l’ana-tomia umana è falsa e io lo so»83. Che cosa dunque è vero? Che «le cose che si fanno si producono semplicemente, senza/il concor-so di nessun organo»84.

La chiave di tutto sta in quel ‘produrre’, che Deleuze e Guat-tari usano per ‘far saltare’ l’Edipo: mentre il corpo con gli ni ha un funzionamento simbolico stabilito, il ‘corpo senza orga-ni’ (CsO) – come lo chiama Artaud – ha un funzionamento ‘mac-chinico’, per cui tutto – come accade appunto nelle macchine – può essere assemblato con tutto: «Non c’è più né uomo né natu-ra, ma unicamente processo che produce l’uno nell’altra e accop-pia le macchine»85. Non c’è da stupirsi, allora, se il CsO viene an-che defi nito «uovo cosmico»86: come il desiderio è ‘senza mancan-za’, così il corpo che lo incarna non è limitato dalle funzioni nor-malmente attribuite agli organi, ma è «una realtà indifferenziata, in cui gli organi si distinguono unicamente per gradienti, migra-zioni, zone di vicinanza»87.

83 A. Artaud, CsO: il corpo senz’organi, tr. it. a cura di M. Dotti, Mimesis, Milano 2003, pp. 44, 46.

84 Ibi, p. 78.

85 Deleuze - Guattari, L’anti-Edipo, p. 4.

86 Ibi, p. 319.

87 Deleuze - Guattari, Mille piani, p. 256. È nota l’insistenza di Deleuze e Guattari nel voler associare il CsO all’Etica di Spinoza. Il che confermerebbe la vicinanza teorica con Butler, per quel tanto che Butler – come abbiamo visto – privilegia la nozione spinoziana di desiderio come ‘spinta a persistere’. Tuttavia, occorre notare che il ri-ferimento a Spinoza non pare del tutto giustifi cato: certamente nell’Etica è possibile trovare una concezione del corpo come combinazione di elementi, le cui funzioni non sembrano codifi cate a priori dalla natura, proprio come accade nel CsO: «Il cor-po umano – dice infatti Spinoza – è comcor-posto di numerosissimi individui (di diversa natura, ognuno dei quali è assai complesso)» (Etica, II, prop. 13, assioma 3, lemma 7). L’aspetto interessante è che questi elementi si possono ricombinare nei modi più sva-riati, a seconda delle sollecitazioni che riceviamo dalla mente e dall’ambiente ester-no. Ne segue che è impossibile dire che cosa il corpo sia in grado di fare: «Nessuno ha conosciuto tanto accuratamente la struttura del Corpo da poterne spiegare tutte le funzioni» (Etica, III, prop. 2, scol.). Ciò su cui invece Spinoza non sarebbe d’accor-do è l’idea di desiderio senza mancanza: la ‘spinta a persistere’ funziona per assenza degli oggetti verso cui muove. Lo si evince chiaramente dal seguente passaggio: «Il Desiderio è cupidità o Appetito di possedere una certa cosa, accresciuto dal ricordo di quella cosa e insieme ostacolato dal ricordo di altre cose che escludono l’esistenza della cosa desiderata» (Etica, III, prop. 32).

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La prova defi nitiva del CsO verrà data in Mille piani: quando il piccolo Hans – il famoso paziente di Freud – parla del ‘fa-pipì’, Deleuze e Guattari ci spiegano che non bisogna intendere un or-gano, bensì «un materiale, cioè un insieme di elementi che varia a seconda delle connessioni». In tal misura, anche una locomotiva ha un fa-pipì, «in un altro concatenamento macchinico»88. Quel-lo che conta, dunque, è che non c’è nessuna legge che ordina le molteplici fl uttuazioni/produzioni del desiderio: «ani volanti, va-gine rapide, non esiste castrazione»; o meglio, «la castrazione […] è una storia raccontata da un idiota troppo cosciente»89.

Che l’idiota in questione sia Lacan, Deleuze e Guattari non lo dicono, ma il contesto lo fa supporre. Del resto, è proprio lui ad aver affermato che la castrazione è addirittura «strutturale al sog-getto»90. Ma prima di accennare le ragioni di Lacan, torniamo an-cora a Butler e chiediamoci: è davvero così deleuziana? Di certo condivide l’idea che «le macchine desideranti […] sono appunto questo: non uno e neppure due sessi, ma n… sessi»91. Ma questo assunto non la convince fi no in fondo. Senza dubbio non l’aveva convinta nel 1987, all’epoca della sua tesi di dottorato. In Subjects of Desire, infatti, Butler prende nettamente le distanze da Deleu-ze, non tanto sulla pluralizzazione dei sessi, quanto piuttosto sulla pretesa di defi nire il ‘desiderio vero’: tutta l’operazione di ‘far sal-tare’ l’Edipo fallisce se al posto del desiderio naturalmente etero-sessuale (castrato) viene postulata la naturale molteplicità del de-siderio produttivo (non-castrato). Di fatto, Deleuze non «resiste all’appello ad un desiderio “naturale” come ideale normativo», seppur di segno opposto a quello edipizzato. Ne segue che «De-leuze appare minare il proprio progetto iniziale di storicizzazione del desiderio, poiché la sua visione arcadica di un caos libidinale pre-culturale pone un assoluto a-storico»92.

È vero che nemmeno Butler sembra resistere alla tentazione di raccontare la verità del desiderio, inscenando – in The psychic life

88 Deleuze - Guattari, Mille piani, p. 378.

89 Ibi, p. 75.

90 J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano, in Id.,

Scrit-ti, vol. II, tr. it. a cura di G.B. Contri, Einaudi, Torino 1974, pp. 795-831; cit. p. 824.

91 Deleuze - Guattari, L’anti-Edipo, p. 336.

92 J. Butler, Soggetti di desiderio, tr. it. di G. Giuliani, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 238-239.

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of power – il mito alternativo delle sue origini omosessuali; ma, co-me già abbiamo visto, è abbastanza foucaultiana per non crede-re alla facile promessa di liberazione contenuta nel rovesciamen-to anti-edipico. Insomma, «la ‘verità’ del desiderio» non sta nel re-cupero di un’origine (che, per lei, alla fi n fi ne non esiste), bensì «in una storia di corpi che non è ancora stata scritta»93, una storia che – lo si è visto – deve limitarsi a prendere in giro la storia uffi -ciale di Edipo. Ed è su questo terreno che alla fi ne Butler incon-tra Lévinas, compiendo così un’interessante (e problematica) vi-rata teorica.

Vi sono «corpi che contano»94, perché si iscrivono nei limiti di-scorsivi del sesso autorizzato; ma vi sono corpi che non riescono a iscriversi e dunque fi niscono per non contare nulla, perché il po-tere li tratta come cose qualunque. «Lo si riscontra molto chiara-mente negli esempi di quegli esseri abietti che non dimostrano di avere un genere ben defi nito: è la loro stessa umanità che vie-ne messa in dubbio»95. A quel punto, quando l’abiezione è com-piuta, quando – cioè – «siamo stati allontanati dal volto»96, non siamo più nemmeno in grado di indignarci. E la cosa non riguar-da più soltanto le lesbiche o i transgender: Butler ormai parla le-vinassiano e racconta dell’Altro, tutte le volte che non riusciamo più a ‘leggerlo’ come umano. Del resto, spiega Butler, «per reagi-re eticamente a un volto umano, è necessario che esista un frame che defi nisca che cosa sia l’umano»97. Ma il problema è che i no-stri frames «a seconda dei casi possono essere umanizzanti o disu-manizzanti»98. Come fare giustizia?

Su questo interrogativo politico, Butler torna per un attimo foucaultiana: occorre moltiplicare le pratiche queer, cioè quelle che disturbano il frame dominante, consentendo la riconversio-ne dei corpi abietti in corpi che contano. Qui però qualcosa non

93 Ibi, p. 266.

94 Cfr. J. Butler, Corpi che contano. I limiti discorsivi del “sesso”, tr. it. di S. Capelli, Feltri-nelli, Milano 1997.

95 Ibi, p. 84. Il tema dell’abiezione è molto caro anche a Julia Kristeva: cfr. J. Kristeva,

Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione, tr. it. di A. Scalco, Spirali, Milano 1981.

96 J. Butler, Vite precarie. Contro l’uso della violenza in risposta al lutto collettivo, tr. it. di A. Taronna - L. Fantone - F. Iuliano - C. Dominijanni - F. De Leonardis - L. Sarnelli., Meltemi, Roma 2004, p. 179.

97 Butler, Critica della violenza etica, p. 43.

98 Ibidem.

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torna più. Già De Laurentis aveva notato che la riconversione po-litica dell’abiezione in «vite […] preziose e degne di sostegno»99

suppone l’esistenza di soggetti in grado di farsene carico100. Solo che il soggetto, per Butler, non esiste, se non come effetto del po-tere. Ma questa impasse politica è il segnale di una contraddizio-ne più radicale. È ormai evidente che la svolta levinassiana colli-de con l’impianto foucaultiano: i concetti di ‘volto’ e di ‘vita colli- de-gna’ suppongono un riferimento universale in grado di tener fer-ma l’ufer-manità dei soggetti, al di là dell’alternanza storica dei fra-mes. Il punto è che Butler non può accedervi, perché per lei ‘uni-versale’ signifi ca ‘egemonico’. Lo si vede bene nell’ennesimo at-tacco a Lacan: l’Edipo è violento proprio perché Lacan pretende – secondo Butler – di farlo valere universalmente. A quel punto, la norma eterosessuale diventa una «limitazione quasi trascendenta-le che condiziona ogni formazione soggettiva e ogni strategia»101. Insomma, l’obiezione è quella di sempre: se c’è l’Edipo, saranno degne solo le vite e i volti che vi si conformano.

99 Butler, Corpi che contano, p. 20.

100 T. De Laurentis, Soggetti eccentrici, Feltrinelli, Milano 1999, p. 64.

101 J. Butler, Restaging the Universal: Hegemony and the Limits of Formalism, in J. Butler - E. Laclau - S. Žižek, Contingency, hegemony, universality: contemporary dialogues on the left, Verso, London 2000, pp. 11-43; cit. p. 13; l’Edipo – conclude allora Butler – non sa-rebbe altro che una versione dell’apriori formale kantiano. Questione senza dubbio interessante. Pare infatti che in Lacan sia operativo un riferimento trascendentale, almeno in una certa fase del suo insegnamento. In Sovversione del soggetto e dialettica

del desiderio (1960), ad esempio, Lacan afferma chiaramente che il principio di

castra-zione ha una «funcastra-zione trascendentale» che ‘regola’ il desiderio (Lacan, Sovversione

del soggetto e dialettica del desiderio, p. 830). Analogamente, nella Nota sulla relazione di Daniel Lagache (1958), defi nisce l’Altro come «luogo trascendentale» cui il soggetto è

strutturalmente riferito (cfr. J. Lacan, Nota sulla relazione di Daniel Lagache: Psicoanalisi

e struttura della personalità, in Id., Scritti, pp. 643-681; cit. p. 651). Dal 1968 in avanti,

invece, Lacan parlerà di «un rapporto all’Altro che non ha più nulla di mistico né di trascendentale» (J. Lacan, Le séminaire. Livre XV. L’acte analytique 1967-1968, inedi-to, conferenza del 19 giugno 1968). Bisogna però aggiungere che anche l’iniziale riferimento alla trascendentalità non funziona mai come punto di consistenza del soggetto: l’Altro, sebbene necessario alla costituzione del soggetto, non dà tutte le ris-poste, è ‘bucato’ – come usa dire Lacan –, cioè non rappresenta alcun tipo di garan-zia. Lo stesso vale, come vedremo meglio, per l’Edipo e il principio di castrazione: al contrario di quello che pensa Butler, non si tratta di una predeterminazione astratta del desiderio, ma piuttosto di un punto di impasse, tale da richiedere un’invenzione singolare e rischiosa del soggetto, alle prese con l’enigma della propria sessualità. Cosa che, sia detto en passant, è tipicamente freudiana: la sessualità irrompe nella vita del soggetto come qualcosa di fondamentalmente traumatico e non come la scoperta di una funzione fi siologica codifi cata (in tal senso, anche per il ‘biologista’ Freud il corpo umano non è riducibile all’organismo).

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Se la via foucaultiana al ‘volto umano’ è chiusa, Butler non può nemmeno tornare a Deleuze e Guattari. È noto infatti che il pro-getto di ‘far saltare’ l’Edipo includa anche l’operazione di «disfa-re il viso»102. Che cos’è, infatti, il viso se non la politica dell’ordi-ne, «al servizio della signifi canza e della soggettivazione»?103 Di-struggerlo, allora è necessario se vogliamo fare un’altra politica, opposta a quella dell’ordine. L’operazione – ci avvertono Deleuze e Guattari – non è affatto facile, non solo perché «si rischia la fol-lia», ma perché il viso è «un’organizzazione potente»104. Se però riusciamo, anche solo per un attimo, a «forare il muro del signi-fi cante», a «uscire dal buco nero della soggettività»105, sarà chia-ro che le cose non sono così come ci hanno fatto credere: «Il vi-so, che orrore. […] Non c’è bisogno di farne un primo piano per renderlo inumano, è naturalmente primo piano, e naturalmente inumano, un cappuccio mostruoso»106.

A conti fatti, l’istanza etica del volto non è difendibile, essen-do priva di un discorso in graessen-do di farla valere. E se Butler andas-se verso Lacan?

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