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Luce Irigaray: tre possibili declinazioni della differenza sessuale Luce Irigaray si inserisce nel dibattito fi losofi co francese che,

Nel documento Il significare delladifferenza DONNE,UOMINI (pagine 196-200)

Irigaray: la passione della differenza

4. Luce Irigaray: tre possibili declinazioni della differenza sessuale Luce Irigaray si inserisce nel dibattito fi losofi co francese che,

al-l’indomani degli avvenimenti politici del ’68 e in contatto con i contributi teorici di psicoanalisi, etnologia, linguistica e semioti-ca, lavora, da un lato, a sciogliere il legame fra soggetto e coscien-za rifl essiva e, dall’altro, a chiarire le condizioni materiali del pen-sare, individuando nella critica al potere dell’ordine discorsivo dominante il suo compito più urgente. Irigaray aderisce a questo programma, intrecciando il tema della crisi del soggetto raziona-le (unitario, universaraziona-le e neutro) con l’elaborazione della sogget-tività femminile, a partire dalla natura sessuata del soggetto uma-no, ovvero dall’elaborazione teorica delle radici corporee e affet-tive del pensiero.

La sua opera, che percorre gli ultimi quarant’anni, si articola in almeno tre nuclei teorici centrali, a partire dalla posizione della dif-ferenza sessuale come dato originario e irriducibile. La prima preoccu-pazione di Irigaray può essere introdotta da queste parole:

Sono una donna. Sono un essere sessuato femminile. Sono sessuata al femminile. Il motivo del mio lavoro risiede nell’impossibilità d’articola-re un enunciato come questo; nel fatto che la sua produzione è per cer-ti versi insensata, sconveniente, indecente. Vuoi perché donna non è mai attributo di essere né sessuato femminile qualità di essere, vuoi perché sono

una donna non si predica mai di io, vuoi perché io sono sessuata esclude il

genere femminile48.

Irigaray insegue l’esclusione sistematica delle donne dai testi de-cisivi della storia del pensiero, interpretando tale esclusione come il fondamento stesso del discorso teorico, in quanto discorso

del-48 L. Irigaray, Questo sesso che non è un sesso (1977), Feltrinelli, Milano 1990, p. 123.

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l’Uno nella forma dell’universalità. Poiché il pensiero occiden-tale, nella diagnosi irigaraiana, si costruisce sul predominio del-l’uno sui molti e dell’identità sulla differenza, ne viene che l’al-terità è posta solo nella forma della privazione e della specularità negativa49. È perciò confi nata ai margini dell’economia discorsi-va o introiettata nel sistema secondo il dispositivo simbolico domi-nante. Lega così, Irigaray, la storia del soggetto donna alle vicissi-tudini del soggetto cartesiano, nel solco – ma anche nella proble-matizzazione – della critica alla razionalità classica di Foucault, del processo di de-fallicizzazione del pensiero logo-centrico a opera di Derrida e della comprensione lacaniana del soggetto come scis-sione, mancanza a essere, disequazione permanente50.

La squalifi ca simbolica delle donne (e il loro assorbimento nel testo del Medesimo) risulta così essere il corrispettivo dell’oppres-sione materiale condotta sulle donne reali. Scrive Irigaray:

L’inferiorità sociale delle donne si rinforza e si complica per via che la donna non ha accesso al linguaggio, se non mediante dei sistemi “ma-schili” di rappresentazione i quali la spogliano del rapporto con se stessa e con le altre donne. Il “femminile” si determina sempre e soltanto con e per il maschile, il contrario non essendo vero51.

Il proposito che sostiene il suo esordio riguarda perciò la neces-sità di disarticolare, scombinandolo, l’insieme delle rappresenta-zioni elaborate dal sistema simbolico maschile52, a partire da un

49 Che ne è delle donne che accolgono e sostengono questa posizione? «L’ideale nar-cisistico della donna è stato e rimane essere l’uomo che aveva desiderato diventare. Il narcisismo ed il suo patto con l’ideale, dipendono dalla supremazia del fallo. Che la donna ha l’obbligo di sostenere. E pertanto lei si sceglierà (come) l’uomo che avrebbe voluto essere. La cosa soddisfa sostanzialmente gli interessi dell’uomo, che in tal modo non esce, idealmente parlando, dal proprio genere. Per sedurre gli basterà corrispondere quanto meglio gli riesce all’immagine più perfetta di sé, essere nar-cisista più che può, un modello “assoluto” di narcisismo. E la donna lo aiuterà con il “proprio modello” narcisistico. Lo aiuterà in un’impresa che ha il vantaggio e la scusa di servire a soddisfare, appagare e soprattutto guarire il narcisismo femminile. Il quale è fatalmente ferito, umiliato, dalla castrazione realizzata: donna amputata d’una rappresentazione del proprio sesso che valga» (L. Irigaray, Speculum. Dell’altro

in quanto donna [1974], Feltrinelli, Milano 20102, p. 101).

50 Per un’effi cace messa a punto dei rapporti tra il post-strutturalismo francese e il pensiero femminista, cfr. Braidotti, Dissonanze, in particolare pp. 41-104.

51 Irigaray, Questo sesso che non è un sesso, p. 69.

52 Presupposta a ogni sistema di pensiero o a ogni economia signifi cante è, secondo

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fuori «sottratto in parte alla sua legge»53. La donna, infatti, può «trovare uno spazio per sé nella cultura maschile solo facendo af-fi orare il rimosso»54.

La fi losofi a della differenza sessuale rappresenta, in questo pri-mo senso, la risposta, in direzione della destrutturazione ironi-ca, all’auto-legittimazione del Medesimo (uomo), storicamente e speculativamente operata attraverso l’esclusione dell’Altro (don-na). Secondo il ragionamento irigaraiano, il regno dello «Stes-so» sostiene l’economia u-omosessuale maschile, nella quale le donne ricoprono la funzione di sostrato materiale per le teorie, il linguaggio e le transazioni tra uomini. In questa economia, nel-la quale lo Stesso resta il referente esclusivo dell’umanità, le don-ne sono ricondotte alla fi gura dell’«Altro dello Stesso», ovvero al-la superfi cie rifl ettente dove l’uomo proietta se medesimo55. È in-vece nella signifi cazione della donna come «Altro dell’Altro» (rot-tura del Medesimo e delle sue varianti) che Irigaray prospetta una ancora inesistente, negli anni ’70 almeno, possibilità per le don-ne di dirsi.

Irigaray, «l’indifferenza sessuale»: su di essa «si regge la verità di ogni scienza, la logica

di ogni discorso» (ibi, p. 56).

53 Ibi, p. 55. In questa fase del pensiero, la posta in gioco per Irigaray «non è

l’ela-borazione d’una teoria di cui la donna sarebbe il soggetto o l’oggetto, ma inceppare il macchinario teorico stesso, fermare la pretesa di produrre una verità ed un senso fi n troppo univoci. Il che suppone che le donne non si vogliano semplicemente uguali agli uomini nel sapere. Che non pretendano di rivalizzare con essi costruendo una logica del femminile che prendesse ancora come modello l’onto-teo-logico ma che cerchino piuttosto di staccare questa questione dall’economia del logos. Che non la esprimano dunque nella forma del: “La donna, che cos’è?”. Ma che, ripetendo-interpretando il modo in cui, all’interno del discorso, il femminile si trova determina-to: mancanza, difetti, o mimo e riproduzione invertita del soggetto, signifi chino che a questa logica un eccesso, uno scombinamento, possono venire dalla parte del femminile» (ibi, pp. 63-64).

54 «Lei può riuscire in questo per mezzo di un attraversamento ludico, mimetico, iro-nico del discorso e delle sue regole. L’effetto è quello di una scrittura che mantenga gli spazi bianchi del discorso e i silenzi, affi nché la stessa sintassi mostri nel corpo fi sico della parola scritta il riaffi orare del femminile» (C. Zamboni, Luce Irigaray: da

Speculum ad Etica della differenza sessuale, in AA.VV., Il fi lo di Arianna, Letture della diffe-renza sessuale, Utopia, Roma 1987, p. 75).

55 In questa condizione, l’uomo percepisce e desidera nella donna solo se stesso: «Non volere più andare fuori di sé, non provare attrazione che per se medesimo nei diversi modi della seduzione. Non percepire che sé nell’altro, desiderio di sé nel desi-derio dell’altro. E, infi ne, non desiderare più, ma essere oggetto perfetto del proprio desiderio rifl esso da un’altra» (L. Irigaray, Amante marina. Friedrich Nietzsche [1980], Feltrinelli, Milano 1981, p. 45).

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L’opportunità che le donne si scavano per uscire dal dominio dello Stesso consiste, in questo primo momento della produzione irigaraiana, nell’assunzione consapevole e volontaria della fi gura dell’irrappresentabile, non già nei termini patriarcali di mancan-za o silenzio, ma come ciò che elude i criteri di rappresentazione e perciò stesso fornisce il punto di partenza per una critica alla nozione di soggetto tradizionalmente inteso. Il femminile, infat-ti, è portato fuori dalla marca del soggetto, se soggetto è ciò che sottostà alle strutture epistemologiche, ontologiche e logiche di un’economia signifi cante maschile56.

Tuttavia, come ricorda Chiara Zamboni, c’è anche un altro mo-tivo per cui «in Speculum, Irigaray ritiene che una donna non pos-sa divenire soggetto»57: «Cosa le fa impedimento? Le mancano due condizioni necessarie. Innanzitutto uno spazio simbolico che le permetta di dirsi rimanendo fedele a se stessa. Ma le manca so-prattutto una elaborazione positiva del rapporto con la madre, che è la sua origine e quindi luogo di radicamento»58.

E si aggiunga: la donna che imbocca la strada dell’irrapresenta-bile si trova esposta a un duplice pericolo: da una parte, la ricadu-ta nell’articolazione discorsiva maschile (che produce la cancella-zione della differenza femminile); dall’altra, il rischio del silenzio, l’impossibilità ad accedere all’elaborazione simbolica.

Come potrebbe andare altrimenti – si chiede Irigaray – se non c’è che una lingua strutturata secondo principi, in particolare d’identità, deter-minati da un solo sesso? L’uomo, lui, comincia con l’identifi care l’altro a sé: assimilandolo, introiettandolo, per farsene una matrice di identifi -cazioni.

56 Come osserva Bulter: «La teoria della differenza sessuale di Irigaray sostiene che le donne non potranno mai essere comprese sul modello di un “soggetto” nei sistemi rappresentativi convenzionali della cultura occidentale, proprio perché costituiscono il feticcio della rappresentazione e, quindi, l’irrappresentabile come tale. Le donne non potranno mai “essere”, secondo questa ontologia delle sostanze, proprio perché sono la relazione di differenza, l’escluso, mediante il quale quella sfera si demar-ca». Poche righe sotto: «[Le donne] non sono il Soggetto né il suo Altro, bensì una differenza rispetto all’economia dell’opposizione binaria, anch’essa un artifi cio per un’opposizione monologica del maschile» (Butler, Scambi di genere, p. 25).

57 Zamboni, Luce Irigaray: da Speculum ad Etica della differenza sessuale, p. 75.

58 C. Zamboni, Una, due, alcune, le donne. Sul pensiero di Luce Irigaray, in Ipazia (a cura di), Quattro giovedì e un venerdì per la fi losofi a, Collana «Via Dogana» della libreria delle donne, Milano 1988, p. 21. Cfr. Irigaray, Speculum. Dell’altro in quanto donna, pp. 26-40.

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In questo modo si stabilirebbe

una doppia polarità all’interno dell’economia d’un solo e medesimo sesso. Infatti, chi si identifi ca all’altro ci perde “l’identità” del suo sesso, e chi identifi ca l’altro a sé, riduce l’altro al suo59.

Irigaray tenta allora di rispondere alla seguente domanda: come possono le donne parlare e pensare all’interno di strutture elabo-rate dal discorso maschile? Come possono dirsi a partire da se stes-se stes-senza ricadere nelle trappole classiche di defi nizione del fem-minile: mimetismo, passività, dipendenza, isteria, aporia? Come possono riscoprire la specifi cità e la positività del loro essere don-ne?60 Quando la bambina comincia a parlare, spiega Irigaray, si trova già in esilio nella lingua del padre, a torto defi nita materna, che la separa dalla madre61. Le sue parole sono parole dell’altro, che lei apprende senza riconoscersi in esse se non per alienazio-ne, senza signifi care una differenza se non privativa, senza indivi-duare una specifi cità se non negativa.

Con Etica della differenza sessuale, la resistenza al discorso del Me-desimo viene oltrepassata nell’elaborazione della soggettività po-litica e teorica delle donne, in maniera sempre più indipendente rispetto alla crisi delle strutture epistemologiche maschili. Il pun-to di partenza della rifl essione sulla differenza viene perciò sstato dalla critica all’oppressione sulle donne alla ricerca delle po-tenzialità inesplorate delle donne. La preoccupazione di Irigaray si concentra ora sulla possibilità per la donna di farsi soggetto, co-sa che sembrava prima vietata, per l’equazione fra soggetto e

ar-59 L. Irigaray, Miseria della psicoanalisi (1977), in Id., Parlare non è mai neutro (1985), Editori Riuniti, Roma 1991, pp. 273-274.

60 Scrive Adriana Cavarero: «La donna non ha un linguaggio suo [siamo negli anni ’80], ma piuttosto utilizza il linguaggio dell’altro. Essa non si auto-rappresenta nel linguaggio, ma accoglie con questo le rappresentazioni di lei prodotte dall’uomo. Così la donna parla e pensa, si parla e si pensa, ma non a partire da sé» (Cavarero, Per

una teoria della differenza sessuale, pp. 49 e 52). Oggi, grazie anche al discorso di queste

donne, il soggetto femminile mi pare uscito da questa condizione.

61 «I primi piaceri della bambina resteranno privi di parole, i suoi primi moti nar-cisistici non avranno né frasi né parole per essere detti. Neanche retroattivamente. Quando comincia a parlare, già lei non si parla più. Già non si autoaffeziona più. Esiliata in un parlare uomo. E da sua madre e dalle altre donne si trova separata da questo parlare uomo» (Irigaray, Miseria della psicoanalisi, p. 275).

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