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La donna lacaniana e quella freudiana

Femminile e maschile di fronte alla domanda d’essere

1. La donna lacaniana e quella freudiana

La donna lacaniana come non tutta nel simbolico si distingue dal-la donna freudiana, che invece è tutta inscrivibile neldal-la batteria simbolica.

Per Freud, infatti, questa mancanza femminile, questo vuoto, questo niente dell’essere era reperibile sul corpo, circoscrivibile come castrazione, come assenza di organo fallico, come défi cit in-scritto in un insieme defi nito. La donna freudiana è centrata sul-la privazione del fallo e sulsul-la ricerca del risarcimento, è fi ssata al-l’insoddisfazione per la perdita generata dalla privazione del fallo e cerca l’oggetto che possa colmare la sua mancanza, il bambino in primis. Freud descriveva alcuni atteggiamenti tipici della fem-minilità, ad esempio il pudore, come risposte a questa mancanza corporea, sottolineando come nel pudore la donna veli non già la presenza di qualcosa, ma la sua assenza, la mancanza dell’orga-no genitale, e di questo faccia un uso seduttivo, trasformando un puro défi cit in evocazione della mancanza fatta oggetto, trasforma-ta, paradossalmente, in attrattiva, in qualcosa, pur se immateriale. Freud, dunque, si limita a questo, alla constatazione dolorosa di un meno da parte della donna, e della spinta a rimediarvi anziché farne un uso diverso dalla sua copertura, dal suo completamento. Del resto, la clinica ci mostra come, nel campo femminile, si trovi-no spesso sofferenze imputabili al vissuto di inadeguatezza, di in-feriorità, di ingiustizia, di lesioni di un diritto che sfi ora la lesione del diritto all’esistenza…

Freud, a tutto questo, offriva una soluzione sul piano dell’ave-re, di un risarcimento che riparasse una mancanza ad avedell’ave-re, so-prattutto. È anche vero che, per questa strada, Freud ha ammes-so di non avere riammes-solto il problema di che cos’è una donna, di co-sa vuole una donna, interrogativo che, si è reso conto nei suoi ul-timi testi sulla femminilità, rimane senza risposta. Egli si è

ferma-6 Questo è anche il tema intorno a cui si raccolgono i saggi contenuti nel volume: P. Francesconi (a cura di), Una per una. Il femminile e la psicoanalisi, Borla, Roma 2007.

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to sul bordo della questione della femminilità come modo di fare, fare fronte, al vuoto, al niente.

Lacan non si oppone a quel versante dell’insoddisfazione fem-minile centrato sulla ricerca di un palliativo, per così dire, a ciò che viene percepito come mancante, ma ritiene che non sia tutto. Come dicevo prima, il simbolico non dà a una donna ciò che po-trebbe coprire completamente la sua mancanza a essere, come fa con l’uomo. C’è qualcosa di più, che eccede la possibilità di veni-re coperto dal simbolico; questo qualcosa non concerne un ave-re supplementaave-re, ma un modo di rapportarsi a questo niente ir-riducibile. L’avere non basta, così come prendere atto del non es-sere, dell’inesistenza de La Donna, e del non sapere del simboli-co sul femminile, non basta. Bisogna trasformare il niente, trasfor-mare il rapporto tra le due negazioni in qualcosa, fare di questa mancanza qualcosa. Trasformarlo in qualcosa non ci restituisce La Donna, ma la soluzione, l’invenzione particolare di una don-na. Una donna si ingegna, a modo suo, a trovare un signifi cante, un nome, più che una defi nizione propriamente detta, che com-porterebbe un concetto, al suo essere femminile. Qui ci viene in aiuto Lacan (vedo diffi cile trovare tale soluzione senza il ricorso a quell’esperienza radicale di linguaggio che è la psicoanalisi), il quale ci propone una soluzione non dal lato dell’avere, ma del-l’essere, tramite un certo uso del signifi cante. Soluzione dal lato dell’essere vuol dire non chiudere il buco, ma lavorarci attorno, farne qualcosa, fabbricarsi un essere, essere ‘una’ donna, usando il niente. Poiché l’attributo che direbbe la femminilità non esiste, checché ne dica l’endocrinologia o la genetica, ogni donna trova un signifi cante con cui circoscrive, fa bordo, con cui cerca espres-sione in un dire che, però, appunto, è non tutto. È un dire accom-pagnato da qualcosa, da una mancanza, da qualcosa che resta nel-l’ombra, che essa evoca e non concettualizza appieno. La man-canza del suo essere è altro da lei, le è talmente sconosciuto che la divide rispetto a se stessa. È qualcosa in lei più di lei, che la tra-scende.

Per capire ancora meglio quello che implica, come attività, la posizione femminile, cosa vuol dire fare con il niente, ricorrere al signifi cante, trovare lì un po’ di essere e un po’ di sapere, senza che siano ‘un’ essere e ‘un’ sapere come tali, occorre prendere le distanze rispetto alla vulgata che vorrebbe, invece, collocare la po-sizione femminile dal lato della passività. Lacan dice che, nel

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minile, il desiderio, che è mancanza di qualcosa, subisce una tra-sformazione narcisistica. Il desiderio, come tensione desiderante, in presa sull’alterità, dal momento che si desidera sempre altra co-sa, viene trasformato in narcisismo del desiderio7. Cosa vuol dire Lacan con questo? Non si riferisce a una sorta di masochismo, an-ch’esso attribuibile spesso, in una certa vulgata, anche psicoanali-tica, alla donna, e nemmeno dice di una particolarità del narcisi-smo femminile, come lo descriveva Freud, ripiegato su se stesso, una forma di autoerotismo. No, vuol dire realizzare qualcosa tra-mite il non avere, tenersi nel non avere, nella fedeltà alla mancan-za, è amore della mancanza tout court, perché questo le consente di aprirsi all’Altro, al desiderio dell’Altro. E qui cogliamo un al-tro aspetto fondamentale della femminilità: per il fatto di non es-sere, essa cerca un aggancio al desiderio dell’Altro. È questa la ra-gione per cui è così importante per una donna l’amore, l’amore è costituirsi in una mancanza e cercare di scavarla anche nell’Altro. Realizzarsi nel non avere, per ‘essere’ ciò che manca all’Altro, e legarlo a sé, trovare nell’alterità un modo per supplire al suo non essere, trovare tramite l’Altro un modo di essere. Lacan dunque, rispetto a Freud, prevede anche un fallicismo dell’essere, non in-tende il fallicismo esclusivamente in termini di avere: una donna, pur di ‘essere’ per un uomo, ad esempio, è disposta a spogliarsi di ogni avere, può spingersi molto in là nelle concessioni che fa a un uomo8. Non a caso, Lacan dice che un uomo può costituire per una donna una vera e propria devastazione!

Questo narcisismo della perdita, che è amore del desiderio, della mancanza tout court e della sua spinta trasformativa, ha, ov-viamente, anche tutta una clinica e una psicopatologia come clini-ca della privazione; tuttavia, esso fa sì che le donne abbiano spesso un rapporto più libero dell’uomo, più disincantato, con l’avere, con i simboli dell’avere. La maggiore vicinanza che una donna ha con il niente la rende meno credulona alle insegne falliche con cui l’uomo ottura la propria mancanza di soggetto. Essa sa che

so-7 Cfr. J. Lacan, Appunti direttivi per un Congresso sulla sessualità femminile, in Id., Scritti, II, Einaudi, Torino 1974, p. 729. Si veda anche E. Laurent, Posizioni femminili dell’essere, in AA.VV., Madre Donna, Atti del VI Convegno del Campo freudiano in Italia (Roma, Giugno 1993), Astrolabio, Roma 1994, p. 40.

8 Il termine ‘fallicismo’ si riferisce a un godimento fi ltrato dalla signifi cazione fallica, che è qualcosa di più della realizzazione simbolica tout court, è un godimento simbo-lizzato, in questo senso: realizzato nel simbolo.

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no solo semblants, parvenze, per così dire, e non essenze. Non cre-de alle parate falliche, è colei che, a un uomo tutto compreso nel suo ruolo, che, per esempio, ricopre una funzione istituzionale importante, assunta da lui in tutta serietà, smonta la messa in sce-na, come a dirgli: «Cosa credi di essere veramente? Occupati piut-tosto del tuo godimento, della tua soddisfazione particolare, che cerchi di coprire con il simbolo!». L’uomo, infatti, paga il suo ave-re subendo la costrizione di difenderlo, non è, il suo, narcisismo della perdita, ma dell’avere; i semblants, le apparenze gli servono per proteggere il suo misero avere, mentre a una donna i semblants servono come maschera della mancanza, che essa fa, all’occorren-za, giocare come seduzione, cui essa riesce a dare valore erotico.