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Logica della posizione maschile e femminile

Femminile e maschile di fronte alla domanda d’essere

2. Logica della posizione maschile e femminile

Ora, se il simbolico fosse tutto, se A, l’Altro simbolico, non fos-se affl itto da una barra, da una mancanza irriducibile, che abbia-mo visto più indietro consistere fondamentalmente in un défi cit di sapere, di signifi cante che dica l’enigma degli enigmi, la ses-sualità femminile, basterebbe il fallicismo dell’avere o dell’esse-re a contenedell’esse-re il godimento, per ambedue i sessi. Lacan mette in evidenza come i rapporti tra i sessi si ordinino tramite quelli che egli chiama, appunto, semblants, è dall’Altro simbolico che il sog-getto impara come si è uomini o donne: i due sessi sono cattura-ti dai simboli che li portano a vivere la sessualità in termini di ruo-li. L’uomo, come dicevo, risponde alla mancanza a essere dimo-strando ciò che ha, ostenta una sorta di superiorità sempre, peral-tro, minacciata, la donna risponde alla mancanza mostrando ciò che è: questo è l’insegnamento, la ricetta che ci viene dal simbo-lico in fatto di relazione signifi cante tra i sessi, di identifi cazione sessuata. Non a caso, Lacan mette così l’accento sulla mascherata femminile come fenomeno centrale nella femminilità, già isolato da altri autori postfreudiani. La mascherata oggi si declina in va-ri modi, tramite le immagini veicolate dalla cultura, offerte dalla moda, che alimentano il culto dell’apparenza (cui si sottometto-no volentieri anche gli uomini…). La mascherata può essere an-che quella di fare la ‘castrata’, l’inadeguata, di fomentare segni di debolezza, se questo consente al partner di trovare lì le condizioni del suo desiderio, ovvero se ciò è in grado di risvegliare il

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rio dell’altro, così importante, come abbiamo visto, per una don-na. L’intenzione della mascherata non verte su ciò che è dietro il velo, ciò che si nasconde, ma sulla strategia femminile di essere amata e desiderata in sé, per l’essere, non per l’avere. Come già aveva capito Freud citando le manifestazioni del pudore femmini-le, più indietro da me evocato, come strategia di seduzione, di ve-latura che, con il velo, fa esistere ciò che sembra dissimulare.

La femminilità è, si potrebbe dire, la via tramite cui un sogget-to, rassegnato alla propria mancanza, viene da essa costretto a tra-sformarla in tensione desiderante verso l’Altro, in spinta a impli-care l’Altro nella propria questione, fosse pure come chi manca di rispondere. La mascherata è uno dei modi di implicazione del desiderio dell’Altro, quello di farsi fallo per lui. Al fondo delle va-rie modalità di implicazione dell’Altro troviamo questa spinta pa-radossale, fatta di presa d’atto di un non essere, e un non sapere, da parte dell’Altro, per farne fi nalmente qualcosa.

La logica della posizione femminile è, dunque, sì, implicazio-ne dell’Altro, chiamata in causa dell’alterità, ma con qualche pre-cauzione, per non correre il rischio di un affrontamento troppo diretto, senza mediazioni, della seconda negazione (A barrato). Il rapporto tra due negazioni richiede qualche precauzione per non far sprofondare il soggetto in un nichilismo dell’essere tout court, dove l’alterità radicale rischia di sommergere il soggetto, di minacciare la sua identità. Così, l’ordine simbolico, strutturato attorno alla signifi cazione fallica, l’unica possibile, come dicevo prima citando Lacan, consente al godimento femminile di passa-re dai semblants fallici. Tali semblants sono la mediazione necessa-ria ad assicurare il contenimento del godimento all’interno di un universo defi nito dall’offerta di quelle soddisfazioni che nell’es-sere parlante suppliscono al fatto che non c’è rapporto sessuale, ovvero che non c’è complementarità dei sessi. Si tratta, come di-cevo sopra, della soddisfazione che passa dal fallo, nella forma dell’averlo o dell’esserlo, che basterebbe, in teoria, se il simbo-lico fosse tutto, a garantire all’essere parlante una realizzazione. Freud prevedeva solo un fallicismo dell’avere e consegnava la so-luzione della ricerca femminile nel campo del godimento all’ave-re il fallo nella forma del bambino, esseall’ave-re madall’ave-re. Lacan pall’ave-revede anche un fallicismo dell’essere. Ma il simbolico non è tutto, A è barrato, e il fallicismo dell’avere o dell’essere non contiene tutto il godimento, per ambedue i sessi. Ecco perché Lacan elabora le

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posizioni maschile e femminile in rapporto non solo all’identifi -cazione signifi cante, ma come organizzazioni di godimento. Co-sì, mentre la posizione maschile abita il discorso contenendovi il proprio godimento, la posizione femminile abita il discorso pro-ducendovi la divisione tra il godimento inquadrato e contenuto dal fallo e il godimento che il fallo contiene solo parzialmente, che lo deborda.

Tale godimento eccedente l’ordine fallico, che è l’ordine del di-scorso, del linguaggio, rimane lì, per così dire, in giacenza, pronto a scatenarsi, non alla maniera della psicosi, come godimento fuori senso, ma in un modo che deborda il signifi cante, supplementare e inintegrabile a esso, e dunque minaccioso per l’identità.

Se, dunque, il fallo è l’unico signifi cante che l’inconscio ha a disposizione per simbolizzare il sesso, esso non funziona allo stes-so modo da un lato e dall’altro: dal lato uomo contiene il godi-mento, cosicché il godimento maschile è limitato, conformato al-la struttura del signifi cante, scandito dal più e il meno, dalal-la di-scontinuità tipica del simbolico. Il godimento maschile non supe-ra il soggetto, è organizzato in modo da non aprirlo sull’alterità, è un godimento dell’Uno. Mentre il godimento femminile non ha il supporto di una rappresentazione signifi cante, sia pure come semblants: la sua causa sfugge al soggetto perché non è fallica, ed è proprio questo debordamento, che supera il soggetto, ad aprirlo all’alterità in un modo speciale.

3. ‘Il godimento Altro’

Ora, questo godimento Altro, che la femminilità patisce, è docu-mentabile clinicamente solo nell’esperienza mistica, nelle paro-le, nell’uso della signifi cazione (fallica) che i mistici sono riusci-ti a piegare alla necessità di trovare un signifi cante alla barra sul-l’Altro: loro sì hanno trovato un signifi cante ad A barrato, strap-pandolo via dalla batteria fallicamente orientata dei signifi canti. Ma altre esperienze di godimento Altro sono silenti, dice Lacan, la clinica del godimento Altro presenta un deserto di esperienze dette, a meno che non le si deduca dalla clinica degli eccessi fem-minili, in cui però il soggetto diventa Altro da sé, più che rimane-re collegato all’Altro e veicolarimane-re la traccia dell’alterità nel non tut-to soggettivabile del godimentut-to. A questut-to propositut-to è interessante

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andare al Lacan di Ancora9; qui egli afferma l’universalità del go-dimento fallico per poi chiedersi: se ce ne fosse un altro? Ebbene se ce ne fosse un altro non dovrebbe essere quello. Come intende-re questa frase? Poco dopo egli dice: «Lo si rimuove, poiché non gli si addice che sia detto, non si addice al dire». Ma non esiste… Dunque, come è possibile rimuoverlo? È un godimento, come di-cevo prima, che non ha una rappresentazione, però, nondime-no, la sua inesistenza a livello del linguaggio, non è senza lascia-re traccia. Lo statuto paradossale, disdicevole di questo godimen-to Altro, che non esiste, cioè non trova rappresentazione, simbo-lizzazione piena nel linguaggio, è lo statuto di un godimento che non si addice, che non si addice al dire, che segue e accompagna il godimento che si dice, il quale invece si addice al dire, quello falli-co. Tale godimento, come disdicevole al dire, può prendere i toni di un dire scandaloso, come a volte si può cogliere dalla scrittura dei mistici, oppure da quella scrittura che tenta di rendere conto di questo godimento Altro, disdicevole e sconveniente al linguag-gio, spingendosi al limite del turpiloquio – si tratta della scrittura della letteratura erotica femminile, come ricordava Jacques-Alain Miller in un suo corso di alcuni anni fa.

Dunque questo godimento che accompagna il dire, lo decom-pleta, vi fa sentire la presenza, per così dire, dell’assenza dell’Al-tro, della sua mancanza, è un godimento che deve, in qualche modo, rimanere silente al signifi cante, farsi la sua ombra, inci-dere nel dire scavandovi l’alterità, il non tutto del senso, il rin-vio ad altro, ma per fare ciò, deve rimanere supposto. Tale godi-mento supplementare al fallico è, in un certo senso, supposto go-dere nel suo fare limite al fallico, nel suo segnalare che il fallico non è tutto.

Quando tale godimento altro esce dalla supposizione, esce dal-l’ombra, il rischio è che sia ‘troppo’, che non convenga al dire ordinato, equilibrato dalla signifi cazione fallica. Questo ‘troppo’, che è di struttura nel femminile, e che è preferibile faccia da sup-plemento al signifi cante e non si manifesti da solo, per così dire, è ciò che rende la donna Altro sesso per se stessa, oltre che per l’uo-mo: è la divisione tra sé e altra da sé che inquadra la femminilità e defi nisce l’equilibrio instabile della propria posizione. Perché ci sia equilibrio e non debordamento nell’eccesso, nello

scatena-9 Cfr. Lacan, Ancora, p. 56.

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mento di un’alterità ‘esposta’, potremmo dire, e non più ‘suppo-sta’, occorre che la donna acconsenta a rinunciare a trovare nei semblants offertile dal simbolico quel supplemento di essere che coprirebbe la sua mancanza a essere radicale, così come accon-senta a rinunciare a colpire i semblants fallici per incarnarne al-tri, fuori discorso. Mi riferisco qui all’esempio delle madri folli, di Medea per cui i fi gli e l’uomo, decaduti radicalmente dal valo-re fallico che prima incarnavano per lei, vengono da lei colpiti af-fi nché essa si realizzi, follemente, come la vera donna, quella che fa piazza pulita dei semblants. Il percorso della femminilità va dal non essere, nel senso di non esser qualcosa di già costituito, alla solitudine, al reperimento di un signifi cante che non copra la bar-ra sull’Altro, ma la tbar-rasformi in ombbar-ra di quel signifi cante partico-lare. È questo l’unico modo di ovviare all’angoscia intollerabile, ben più radicale dell’angoscia di castrazione, che tale godimento Altro comporta, in quanto fuori linguaggio e dunque impossibile da soggettivare direttamente.