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Ripensare tutto fi n dall’inizio, a cominciare dal quotidiano*

Nel documento Il significare delladifferenza DONNE,UOMINI (pagine 151-163)

Sono felice di essere stata invitata a questo Simposio internazio-nale di fi losofe che intende rendere conto del pensiero di donne. Ho letto molti testi di donne impegnate e soprattutto di quelle chiamate nel mio ambiente «le italiane». I loro testi, al di là di dif-ferenze linguistiche e culturali, mi hanno ispirato profondamen-te. Ho appreso da loro, per esempio, che è possibile e necessario passare quella soglia, che sembrava invalicabile, dell’ordine pa-triarcale per approdare a un nuovo inizio del pensiero. Sapevo già che pensare non vuole dire leggere in modo diligente e obbedien-te Platone, Kant, Marx e Freud o imitare il modo brillanobbedien-te di scri-vere e pensare di altri, bensì mettersi alla ricerca, assieme ad altre e altri, con quella modalità assieme ludica e seria, di un senso no-minabile di questo mondo. Ma solo la frequentazione intensa di donne che pensano, alla fi ne, ha fatto in modo che quell’«uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stes-so»1 diventasse una pratica quotidiana per me.

Oggi mi trovo su un cammino diverso rispetto a dieci anni fa. È cambiata la modalità e la meta. All’epoca il mio traguardo era ancora una carriera accademica. Da una parte, mi ero tormenta-ta per trovare espressione al desiderio di un nuovo modo postpa-triarcale di parlare e, dall’altra, di adeguarmi alle modalità acca-demiche e al loro modo stereotipato di esprimersi. Nel frattempo ho scritto tre libri e innumerevoli piccoli testi che non sono più passati dal valico del giudizio accademico, e in questo modo si è

∗ Questo testo è stato pubblicato per la prima volta nel volume: A. Buttarelli - F. Giar-dini (a cura di), Il pensiero dell’esperienza, BalGiar-dini Castoldi Dalai, Milano 2008, pp. 72-89. Tale volume riproduce gli interventi presentati in occasione del XII Simposio dell’Associazione Internazionale delle Filosofe (IAPh) che si è tenuto a Roma dal 31 agosto al 6 settembre del 2006 [Ndc].

1 I. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? (1784) in Id., Scritti di storia,

po-litica e diritto, a cura di F. Gonnelli, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 45-52; cit. p. 45.

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spostato l’ordine d’importanza che mi avevano inculcato fi n dai primi anni di scuola. Al primo posto, mi dicevano, bisogna rispet-tare la misura che la scuola impone e, solo all’interno di questo steccato, potrà trovare espressione il desiderio di portare alla pa-rola la verità. Ultimamente, però, sono grata ai miei insegnanti, uomini e donne, di avermi insegnato a parlare in modo compren-sibile, le regole della grammatica, la disciplina, e molto altro. Ora ciò che si può dire con questi strumenti non è più dettato dalla «scuola», ma sarebbe troppo superfi ciale affermare che sono io a deciderlo perché sono più fattori che decidono ciò che dico, per-ché io non penso solo per conto mio, da sola. Il mio pensare è supportato dalla comunità di coloro che stanno per abbandonare un mondo diviso in due2. Quelli che a tutti i costi vogliono aver ra-gione non oscurano più l’orizzonte. Come teologa credente che si affi da sempre nuovamente all’altro e all’altra in carne e ossa nel-la preghiera quotidiana, supero un’altra soglia e posso affermare: il mio pensare trova casa nella relazione con Dio (nel pormi Dio come orizzonte).

Con una parola qualsiasi può prendere inizio un nuovo modo di parlare. Per esempio con la parola «quotidiano». Ma cosa vuol dire quotidiano? Esiste davvero il «quotidiano»? Sembra di sì, per-ché molta gente, uomini e donne (meno i bambini ma ne parle-remo successivamente), parlano della loro quotidianità come se ci fosse davvero e come se fosse chiaro che cosa intendono per «quo-tidiano». Il fatto che molti quando ne parlano sono d’accordo, al-meno quando si seguono determinate concezioni di lingua e di verità, è un forte indicatore che la parola «quotidiano» possiede un fundamentum in re. Ma cosa intende davvero la gente quando pronuncia questa parola?

Un ragioniere, per esempio, si lamenta della monotonia della sua vita professionale quotidiana. Ragazze e ragazzi che frequen-tano la scuola sospirano quando, dopo le vacanze estive, devono ricominciare ad andare a scuola. La rigidità dell’organizzazione scolastica, la necessità di alzarsi presto, il curriculum prestabilito e i traguardi di apprendimento da raggiungere sembrano

riempi-2 I. Praetorius, Handeln aus der Fülle. Postpatriarchale Ethik in biblischer Tradition, Güterslo-her Verlagshaus, Gütersloh 2005, pp. 119-122. M. Moser - I. Praetorius (hrsg.), Welt

gestalten im ausgehenden Patriarchat, Ulrike Helmer Verlag, Königsstein/Taunus 2003;

I. Praetorius (hrsg.), Sich in Beziehung setzen. Zur Weltsicht der Freiheit in Bezogenheit, Ul-rike Helmer Verlag, Königsstein/Taunus 2005.

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re di senso ciò che si chiama quotidiano. Il contrario di ciò che av-viene durante le vacanze, quando si può disporre abbastanza libe-ramente del proprio tempo, oppure quando si può fare un viag-gio verso mete ignote. Comunque anche durante le vacanze vivo un senso di quotidiano perché, per quanto io sia libera, devo pe-rò mangiare, dormire e andare in bagno. La parola «quotidiano» sembra un concetto relazionale. Il signifi cato concreto di questa parola si può defi nire solamente in relazione a un suo contrario, quello rispettivamente non-quotidiano. Sembra che resti comun-que invariato il fatto che «quotidiano» signifi chi sempre il lato ri-petitivo e funzionale di un’esperienza. Una vincita al Lotto, una festa, un incidente, una malattia improvvisa, degli ospiti mi posso-no «far uscire dalla mia routine quotidiana». Forse mi torna poi la voglia di ritornare al tranquillo passaggio sempre uguale del tem-po. L’avvenimento particolare, che sia atteso o inatteso, o prove-niente da un contesto più ampio – una istituzione per esempio – può accadere senza che ci si chieda ogni momento che senso pos-sa avere ciò che si sta facendo e quale libertà ci pospos-sa dare.

Dover «funzionare» può essere un’esperienza rilassante, tran-quillizzante oppure anche, al contrario, può instupidirci. Quan-do, allora, è noioso quel sempre uguale funzionamento, in co-sa consiste allora quell’altra coco-sa non abituale, l’altro? Se sento il fare cose sempre uguali come il compimento positivo di quella estensione del tempo che chiamiamo «vita», cosa è che mi spaven-ta del non-sempre-uguale? È possibile intendere per «quotidiano» una vita fi nalizzata a uno scopo al quale si contrappone la vita non quotidiana, quella che esce dal normale, una vita libera da scopo – oppure incerta del proprio scopo? Come appare l’altro lato del-la quotidianità? Come libertà? Come avvenimento particodel-lare?

Se il quotidiano fosse la noiosa routine data dalla ciclicità del corpo umano e dalla necessità di amministrare la convivenza uma-na, allora oggi, rispetto ai tempi passati, per molte persone le cose sarebbero cambiate in meglio. Perché oggi si parte generalmente dal presupposto che tutti e tutte, donne, uomini e bambini, per-sone di ogni età e di ogni professione, possono fare esperienza di entrambe le cose: quotidianità e festa, funzionamento sempre uguale e libertà da scopi ben precisi3. Una gran parte di ciò che

3 La fi losofa Martha C. Nussbaum, comunque, fa presente che la realtà di molte persone, soprattutto donne, non corrisponde per niente all’idea di una convivenza

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una volta riempiva le giornate di molta gente – come far il fi eno, il fuoco, il pane, camminare molto a lungo, fare il bucato, abbat-tere alberi… – è oggi svolta da macchine. Sembra che ci si avvici-ni a uno stato delle cose nel quale il lavoro rivolto immediatamen-te alla riproduzione può scomparire lentamenimmediatamen-te, se si vuole farlo scomparire. Ora et labora, la regola dei Benedettini che si rifà alla vita vissuta da Gesù Cristo di Nazareth, aveva trasformato il paral-lelismo tra vita ripetitiva e contemplativa in virtù. Tutti dovevano vivere in un alternarsi di fare ripetitivo e di stare contemplativo.

Nel frattempo però l’esistenza fi nalizzata a uno scopo sembra debba scomparire dalla vita di tutti noi, ma a favore di che cosa? A favore della libertà, dell’avvenimento particolare? Abbiamo a disposizione ancora altri termini per il contrario del quotidiano: tempo libero, dinamicità, avventura, festa, creatività, progresso… Tutte queste parole promettono di coltivare in forma pura l’avve-nimento che esce dal quotidiano. Tutta la vita tende a trasformar-si in qualcosa di speciale.

Il progetto della modernità che sembra essere valido e imposto a tutti, e che intende rendere possibile una vita umana che possa delegare la gestione della routine alle macchine, è però continua-mente eluso e contaminato da una antica visione occidentale del mondo che prevede l’esistenza di certe persone addette ai servizi della routine e altre persone dedite a una vita libera dai bisogni. In La Politica, Aristotele scrive a proposito della «scienza dei rapporti fra padrone e schiavo», e dice: «È ovvio che la natura ha creato es-seri liberi e schiavi e che per quest’ultimi è bene e giusto servire»4. In ugual modo si regola il rapporto fra maschi e femmine: uno è migliore e l’altro è inferiore, uno governa e l’altro è governato.

Questa dottrina di una società umana naturalmente diseguale ha legittimato una società nella quale donne, schiavi/e e animali domestici, fi no a un certo grado anche stranieri/e e bambini, ave-vano lo scopo di creare la libertà dei cittadini maschi originari del-la polis, in quanto le persone sottomesse si occupavano in modo affi dabile della soddisfazione dei bisogni fi sici e della riproduzio-ne del geriproduzio-nere umano. Secondo Aristotele le donriproduzio-ne, gli schiavi/e e gli animali domestici per natura si realizzano completamente in

positiva: M.C. Nussbaum, Women and Human Development, The Capabilities Approach, Cambridge University Press, New York 2000.

4 Aristotele, La Politica, I 5, 1255 a 1-3, cfr. anche I 12, 1259 a 39-1259 b 10.

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questa funzione: per loro non è prevista una vita libera da neces-sità al di là del compimento delle loro funzioni nella casa e nella società. Essi sono creati per sbrigare le faccende quotidiane affi n-ché gli uomini liberi si possano dedicare a compiti di livello più al-to: alle teorie, al gioco e all’esercizio del potere.

Non sbaglia allora chi a volte ha la sensazione che la vita quo-tidiana (da eliminare) sia una cosa in qualche modo femminile, che questa vita quotidiana si svolga soprattutto a casa mentre le donne in carriera, le topmanager, le docenti universitarie e i poli-tici parlano ogni tanto della «vita passata in riunione», dei proble-mi durante il semestre o dei tanti spostamenti che devono com-piere. Proprio lì, nella libertà del mondo maschile, fuori casa, av-vengono le cose più importanti, le cose non quotidiane. Davvero, per secoli la vita quotidiana, il tempo sempre ripetuto, tutto ciò che ricorda la sfera corporea delle persone – fame, espulsione di escrementi, stanchezza, malattia, vecchiaia – fu relegata dalla fi lo-sofi a in una sfera considerata bassa, la quale a sua volta era domi-nata da una sfera alta fatta di spirito, dinamismo, divinità, cultura, libertà, ragione, forza e maschilità. Addirittura Hannah Arendt, la quale peraltro ha trovato delle vie d’uscita percorribili per ab-bandonare questa bipartizione statica del mondo, ricade talvolta in questa visione bipartita, per esempio in Vita activa dove separa l’azione del «lavorare» dal «produrre» e dal «commerciare». Lo confi gura come un «circolo dell’eterno ritorno dove la lingua co-me tale non ha importanza».

È vero che nel frattempo era stata abolita la schiavitù e diver-se costituzioni e dichiarazioni dei diritti umani avevano afferma-to che tutte le persone hanno la stessa dignità, indipendentemen-te dal loro sesso, dalla loro origine, età ecc. Immanuel Kant aveva defi nita così questa dignità: «L’essere umano, e comunque ogni creatura dotata di ragione, esiste come scopo in sé, non solo come mezzo per farne un uso qualsiasi da parte di volontà che si espri-mono in uno o in un altro modo…»5.

Questa giustapposizione della dignità universale e della parità dei diritti di tutti gli esseri umani intende, nel suo senso più pro-prio, che nessuna creatura, come invece diceva Aristotele, si pos-sa realizzare completamente compiendo una azione fi nalizzata a

5 I. Kant, Grundlegung zu Metaphysik, in Sämtliche Werke, a.a.O., Bd. 2, 438, tr. it.

Prolego-meni ad ogni futura metafi sica, Laterza, Bari 2006.

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uno scopo. Ma ciò nonostante la visione bipartita del mondo ha continuato a fare i suoi effetti, anche nei testi di Kant stesso6. E ancora oggi se ne sentono gli effetti quando la scienza economica sovrappone con grande naturalezza le attività secondarie del mer-cato e della circolazione del denaro, connotate come maschili, al-le attività svolte nella sfera domestica. Oggigiorno la pratica dello scambio tramite denaro è considerata la parte centrale dell’eco-nomia umana, vitale e degna di teorie, mentre si defi niscono i luo-ghi domestici come unità di consumo dipendenti e forme socia-li preposocia-litiche. Talvolta socia-li si esclude addirittura dal pensiero e socia-li si include tuttora nell’area concezionale, ma ritenuta un ambito di puro e cieco funzionamento7.

Ma cosa signifi ca la continuità dell’ordine simbolico dualisti-co per il pensiero che riguarda tutta la vita, a partire dalla sfera domestica? Il dualismo dei concetti-coppia signifi ca tuttora – co-me già nell’antichità – che idee lontane da ciò che è la vita uma-na, possono o debbono occupare la sfera dei desideri degli esse-ri umani. Nell’antichità l’essere umano completo era defi nito co-me il cittadino della polis, adulto e maschio, il quale delegava la soddisfazione dei suoi bisogni corporei ai suoi sottomessi. In que-sto modo aveva il tempo di occuparsi di teorie e di organizzazione del potere. Oggi l’essere umano giusto è l’homo oeconomicus, talvol-ta anche sotto forma di essere femminile emancipatalvol-ta il/la quale aziona solo bottoni quando vuole mangiare, espellere escremen-ti o riprodursi. La noia del cucinare, pulire, fare il bucato è scom-parsa per coloro che hanno fatto carriera. Scomparirà per tutti. Nessuno dovrà più doverla subire. Rispetto a questa meta, se capi-sco bene, capitalismo e comunismo tirano dalla stessa parte. En-trambi partono dal presupposto che la sfera del funzionamento quotidiano è femminile e che questa sfera femminile deve scom-parire dalla defi nizione di una vita umana-modello alla quale tutti e tutte noi aspiriamo. Ma fi no a quando questa sparizione non sa-rà realizzata, si tace semplicemente la vita quotidiana delegando-la tuttora alle persone non ancora appartenenti aldelegando-la nostra

socie-6 A questo proposito, si veda anche: U.P. Jauch, Immanuel Kant zur Geschlechterdifferenz.

Aufklärerische Vorurteilskritik und bürgerliche Geschlechtsvormundschaft, Passagen, Wien

1988.

7 H. Thielicke, Theologische Ethik Bd.3, J.C.B. Mohr, Tübingen 1964, p. 316. Vedi a que-sto proposito anche: I. Praetorius, Art. «Wirtschaftsethik A», in P. Eicher (hrsg.), Neues

Handbuch theologischer Grundbegriffe, Kösel Verlag, München 2005.

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tà dei diritti, domestiche straniere, badanti slave… delle quali co-munque non si parla mai.

E di cosa ci occuperemo in futuro quando non dovremo più cucinare, pulire e fare il bucato; forse non dovremo neanche fa-re più la pipì, dormifa-re, partorifa-re o morifa-re? Ci occupefa-remo di co-se diverco-se dalla quotidianità: di coco-se speciali.

Ma potranno dare un senso alla nostra vita le cose speciali? La maggior parte di noi vivrà per qualche decennio. Esordirà come si fosse neonati bisognosi di cura e fi nirà la vita come vecchi, sem-pre più vecchi, bisognosi di cura. Cosa può succedere se tutta la vita dovesse diventare un avvenimento speciale? Forse la cosa spe-ciale diventerà la cosa quotidiana? In altre parole, non sarà ritenu-to assurdo quello che succederà?

C’era un tempo, negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, in cui le pensatrici si sono occupate soprattutto di spiegare a se stesse e agli altri l’assurdità del patriarcato e, contemporaneamente, la diffi -coltà di sottrarsi a esso. All’epoca ho letto il libro Speculum di Lu-ce Irigaray, uscito nel 1980 in traduzione tedesca: mi ha affascina-to e è sfociaaffascina-to in un grido disperaaffascina-to. Per anni mi ero sentita bene leggendo frasi come questa:

Lei non è che volere singolo di cui s’impadronisce il signore, residuo che resiste con una corporeità ancora sensibile, alla sua passione del mede-simo […]. In quanto tale non compie il processo d’enunciazione del di-scorso della Storia ma ne rimane la serva, spoglia di sé (come) medesi-ma […]. Impotente sulla terra, rimedesi-mane il suolo nel quale lo spirito medesi- mani-festo affonda le proprie radici oscure e attinge forza8.

Anche se già in Speculum si ipotizza un salto verso la libertà, per molto tempo non ho potuto realizzarlo come mio proprio perché ero ancora troppo occupata a portare il lutto rispetto alla seco-lare esclusione delle donne e alla distruzione del reale nei sogni fallici. Ancora oggi, chi desidera dire ciò che è e dovrebbe esse-re, partendo dalla vita quotidiana, non sfugge all’ordine simboli-co androcentrisimboli-co che desidera portare la vita in una dinamica fal-lica, nel tentativo di fondere l’altro nell’uno. Devo continuamen-te attraversare questo ordine per portarlo a coscienza e per

scardi-8 L. Irigaray, Speculum. Dall’altro in quanto donna, Feltrinelli, Milano 20102, pp. 208-209.

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narlo. Ma non devo restare invischiata nel lamento dell’esclusa9. Molte persone, non solo le femministe più critiche, hanno capito nel frattempo che il patriarcato è fi nito. Inoltre, nella storia si so-no già verifi cati più volte inizi postpatriarcali e so-noi so-non ci trovia-mo davanti a un baratro. Possiatrovia-mo fare tesoro del discorso fram-mentario delle nostre antenate disobbedienti, possiamo acquisi-re l’«ora et labora»10 delle Benedettine. Terzo punto, in barba a tutta la critica intelligente, esiste anche «una vita giusta nelle co-se sbagliate»11 che posso pazientemente cercare, che posso cerca-re di portacerca-re a parola in modo godibile e facendomi incuriosicerca-re dagli errori12, posso vivere in modo creativo. Ogni pasto riuscito è vera vita. Ogni creatura che impara a usare i suoi cinque sensi e la propria lingua materna, ha vera vita. Come si potrebbe spiegare il fatto che continuamente le nuove creature a cui noi diamo la luce sono capaci di compiere cose grandi? Comunque, capita sempre altro nella vita quotidiana, fra funzionalità e libertà. Una delle cose grandi degli ultimi trent’anni è stato il movimento delle donne.

Come posso nuovamente portare a parola il «tutto» al di là del-l’ordine dei concetti-coppia nel quale, apparentemente, gli uni sono responsabili del mantenimento delle funzioni vitali, e gli al-tri della libera creazione del mondo? Anche al di là del sogno che la quotidianità possa, un giorno, scomparire dall’esistenza di tut-ti gli esseri umani? Hannah Arendt ha coniato, nel suo libro Vita activa, un concetto dal quale voglio partire per proseguire il mio pensiero: «il tessuto relazionale delle faccende umane».

9 Dato che gli anni del lamento sono passati da parecchio, alcune donne mi innervosi-scono quando continuano a insistere sull’essere escluse e sull’impossibilità di parlare in prima persona. L’ordine simbolico maschile comunque non è onnipotente ed esi-stono molte vie per la libertà. La scrittrice americana Martha Nussbaum abbozza un catalogo di necessarie «capabilities» (di tradizione liberale) che un essere umano deve avere a disposizione, per garantirsi una vita degna di questa parola. (Vedi anche nota 4). Non è il mio percorso, ma capisco quello che Martha Nussbaum vuole dire e capi-sco che rimprovera la pensatrice postcoloniale Gayatri Spivak di essere moralmente irresponsabile, perché la Spivak resta catturata dalla incapacità del soggetto coloniale di esprimersi invece di inventare un nuovo modo di parlare di questi soggetti.

Nel documento Il significare delladifferenza DONNE,UOMINI (pagine 151-163)