Il sesso è naturale? Butler con Lacan
6. Non c’è physis che tenga (Butler con Lacan)
Lacan non parla mai di volto, né Butler è mai andata – a quanto ci risulta – in direzione del suo insegnamento. Eppure, non è det-to che la nozione lacaniana di Edipo sia così distante dalle preoc-cupazioni della fi losofa americana. Naturalmente la cosa va dimo-strata.
Ripartiamo dal dato della differenza sessuale. È possibile dirne senza innescare la reazione allergica di Butler?
Intanto vale la pena notare che non tutte le femministe radi-cali sono così ostili ai discorsi sulla soggettività sessuata. Del resto, se davvero non ha più senso dire ‘donna’ perché tutto è costru-zione, come si fa a difendere chi ancora è vittima
dell’oppressio-102 Deleuze - Guattari, Mille piani, p. 286; «CsO. Sì, il viso ha un grande futuro, a con-dizione d’essere distrutto» (ibi, p. 265).
103 Ibi, p. 286. 104 Ibidem. 105 Ibidem. 106 Ibi, p. 289. 05_Gomarasca.indd 94 05_Gomarasca.indd 94 1-07-2010 9:07:111-07-2010 9:07:11
ne? A ben vedere, il poststrutturalismo queer sembra una specie di riedizione del discorso marxista sull’abolizione delle ‘classi’ e dei rapporti di classe. Solo che le cose non stanno per niente così. Ro-si Braidotti, che non è certo una moderata, non Ro-si stanca di porre lo sdrammatizzante quesito: «Va tutto benissimo, ma che ne è sta-to della differenza sessuale intesa come rapporti di potere dissim-metrici tra soggetti sessuati?»107. Se a questa impasse politica, peral-tro già rilevata da De Laurentis, aggiungiamo l’insistenza di Butler sulla deriva malinconica imposta al desiderio, otteniamo uno sce-nario desolante: dato che il genere – come abbiamo visto – è co-struito sulla preclusione originaria dell’amore omosessuale, che cosa possiamo fare se non il lutto infi nito di questa perdita?
Forse le donne (cosiddette) e i cosiddetti ‘diversi’ meritano di più108. Di certo non meritano questa ‘femmino-fobia’109 che di fatto impedisce qualcosa che è urgente fare: interpellare le don-ne come soggetti. E se per farlo bisogna turarsi il naso, poco ma-le: «Puzzeranno pure di metafi sica», concede Braidotti, ma la ses-sualità e la differenza sessuale sono «troppo strutturalmente radi-cate nella soggettività, perché le si possa semplicemente accanto-nare come caratteristiche obsolete»110.
Forse allora Lacan non era così idiota. Come spiega bene Žižek, rispondendo a Butler, la differenza sessuale per Lacan «non è un set statico di opposizioni simboliche e di inclusioni/esclusioni (normatività eterosessuale che relegherebbe l’omosessualità e le altre ‘perversioni’ ad un qualche ruolo secondario), ma un pun-to di impasse, di trauma, una questione aperta, qualcosa che resi-ste ad ogni tentativo di simbolizzazione»111. Per rendersene con-to, è suffi ciente leggere un breve passaggio di una conferenza
pro-107 R. Braidotti, In metamorfosi. Verso una teoria materialistica del divenire, tr. it. di M. Na-dotti, Feltrinelli, Milano 2003, pp. 126-127.
108 «Va detto – precisa Braidotti – che questa enfasi su lutto e malinconia è, nel caso di Butler, motivata in buona misura dalla sua inquietudine per le morti provocate dall’epidemia di AIDS nella comunità gay » (ibi, p. 70).
109 Ibi, p. 126.
110 Ibi, p. 289. Da notare che questa è la stessa critica che Nussbaum rivolge a Butler: «Culture can shape and reshape some aspects of our bodily existence, but it does not shape all the aspects of it». La differenza sessuale è certamente uno di questi aspetti (M. Nussbaum, The Professor of Parody, «The New Republic Online», 22 febbraio 1999, www.tnr.com/index.mhtml).
111 S. Žižek, Class Struggle or Postmodernism? Yes, please!, in Butler - Laclau - Žižek,
Con-tingency, hegemony, universality, pp. 90-135; cit. p. 110.
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nunciata da Lacan al Centre Universitaire Méditerranéen di Niz-za nel 1974: «C’è forse per un uomo qualcosa di più imbarazNiz-zan- imbarazzan-te del corpo di una donna? A tal punto che persino Platone se n’è accorto. Se n’è accorto nel Simposio dove racconta a livello mitico – è molto comodo il mito ed è anche indispensabile – che essi fa-cevano un sol corpo – ma disgraziatamente questo non si è mai più visto, dopo. Freud, cascando nel tranello, ci racconta che Eros è la tendenza verso l’Uno. Ora, tutta la questione sta proprio qui – il reale è, chiaramente, due»112.
Il due è irrimediabile. Con buona pace del CsO, versione postmoderna dell’androgino platonico113. La tentazione dell’uno è la tentazione di pensare l’armonia naturale dei sessi. Ma – come ripete spesso Lacan – «il n’y a pas de rapport sexuel», nel senso che non c’è physis che tenga, qualcosa cioè che «farebbe del sesso un principio di armonia»114.
Quindi ognuno se la deve cavare come può con il sesso, pro-prio come vuole Butler. Il che non signifi ca che l’Edipo non con-ti nulla. Ma non nel senso di un codice universale del godimento, né tantomeno nel senso del ‘familiarismo’ addebitato alla psicoa-nalisi. Del resto, Lacan non si è mai stracciato le vesti nel consta-tare la crisi della famiglia. E questo, fi n dal 1938: «Noi non faccia-mo parte di quelli che si affl iggono per il cosiddetto rilassamento del legame familiare»115.
La questione è invece un’altra: il «declino dell’imago pater-na», cioè del ‘Nome del Padre’ – come dirà poi Lacan –, genera
112 J. Lacan, Il fenomeno lacaniano, «La psicoanalisi», 24 (1998), pp. 17-18.
113 C’è infatti una correlazione tra la compattezza degli individui sferici descritti nel
Simposio e i miti orfi ci dell’uovo cosmico (cfr. L.M. Napolitano Valtidara, Platone e le “ragioni” dell’immagine. Percorsi fi losofi ci e deviazioni tra metafore e miti, Vita e Pensiero,
Milano 2007, p. 131).
114 J. Lacan, Le séminaire, livre XXII. R.S.I (1974-1975), inedito, lez. 8 aprile 1975. Que-sto, tra l’altro, è anche il punto di vista di Lévinas. Si prenda, ad esempio, il com-mento a Genesi 2, «La leggenda – spiega Lévinas – insiste sul fatto che Eva non può apparire che attesa e invocata da tutti i desideri di Adamo: non si offrì ad Adamo come una cosa pronta e prevista per i ‘bisogni biologici’, in nome di una pretesa necessità naturale» (E. Lévinas, Il giudaismo e il femminile, in Id., Diffi cile libertà, a cura di S. Facioni, Jaca Book, Milano 2004, pp. 51-60; cit. p. 56); su questo accordo tra Lacan e Lévinas, mi permetto di rinviare a P. Gomarasca, Il reale è due. La differenza
sessuale tra Lacan e Lévinas, «Per Lettera. Materiali di lavoro del Forum Psicoanalitico
Lacaniano», 1 (2006), pp. 57-41.
115 J. Lacan, I complessi familiari nella formazione dell’individuo, a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2005, p. 50.
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«un gran numero di effetti psicologici», non proprio incoraggian-ti: «Impotenza e utopia, piazzate davanti alla culla del nevrotico, sinistre come matrigne, imprigionano la sua ambizione»116. Un po’ come accade, volendo fare un esempio, nella vita di Kafka. Ba-sta leggere la Lettera al padre. C’è un fatto che colpisce immediata-mente ed è la diffi coltà ad assumere il patronimico: Kafka non si sente un «vero Kafka», dice di sentirsi più «un Löwy»117.
Ora, questa riluttanza ad assumere il nome del padre, cioè a sentirsi suo pari, è indizio di una sudditanza umiliante. Ma che cosa non ha funzionato? Kafka lo sa bene: suo padre non fa il pa-dre. Invece di essere l’agente della proibizione, consentendogli di prendere le distanze, il padre lo invita a fare quello che vuole e simultaneamente sabota ogni suo tentativo di rendersi indipen-dente o semplicemente esprime sfi ducia nelle sue capacità. È quel che succede in occasione del progetto matrimoniale: l’approva-zione generale («“Fa’ un po’ quello che ti pare”»)118 si rovescia puntualmente in disapprovazione («“Io non ti capisco, insomma, sei un uomo maturo, vivi in città e non sai far di meglio che spo-sare la prima arrivata”»)119. Kafka ha l’impressione che sia «come quel gioco infantile in cui uno prende la mano dell’altro, la tie-ne stretta e continua a dire: “Ma vattetie-ne insomma, perché non te ne vai”»120. A quel punto, tanti saluti al matrimonio e al sogno di rendersi indipendenti: «La conclusione ultima – spiega Kafka – è una sola: devo rinunciare»121. Non stupisce allora il senso di col-pa, perché in fondo Kafka sa di aver tradito se stesso122. Il che ci ri-porta al rilievo lacaniano sul desiderio: «L’unica cosa di cui si pos-sa essere colpevoli – dice infatti Lacan –, […] è di aver ceduto sul proprio desiderio»123.
Questo dunque è il paradosso: desiderare, come Kafka, un pa-dre adeguato (che faccia il papa-dre) non è un desiderio
masochi-116 Ibi, p. 52.
117 ‘Löwy’, come è noto, è il cognome della madre (cfr. F. Kafka, Lettera al padre, tr. it. di C. Groff, Feltrinelli, Milano 2000, p. 11).
118 Ibi, p. 22
119 Ibi, p. 61.
120 Ibi, p. 62.
121 Ibi, p. 67.
122 «Io attribuisco la colpa unicamente a me» (ibi, p. 69).
123 Lacan, L’etica della psicoanalisi, p. 401.
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stico di asservimento, ma un desiderio di libertà. Qual è, infatti, la funzione del Nome del Padre, si domanda ancora Žižek? Non quella di irreggimentare il desiderio, bensì quella di «permettere al soggetto di ‘uccidere simbolicamente’ il padre, di essere in gra-do di abbangra-donare il padre (e la sua cerchia familiare chiusa) e di andare liberamente con le proprie gambe per il mondo»124. Non ci resta che dimostrare che l’Edipo funzioni proprio così.
Cominciamo da un rilievo preliminare: da lettore attento di Lévi-Strauss, Lacan ci ricorda che «non c’è alcuna ragione biolo-gica, e in particolare genetica, per motivare l’esogamia»125. Il che basterebbe a confutare Butler, laddove attribuisce all’Edipo l’isti-tuzione di un’eterosessualità ‘obbligatoria e naturalizzata’. Il rac-conto delle origini è solo un modo per rappresentare una struttu-ra non riducibile al biologico; non per nulla, ce lo ricorda anco-ra Lacan, Lévi-Stanco-rauss chiama le sue strutture elementari e non pri-mitive. Ma queste ‘strutture’ non sono nemmeno riducibili a un mero costrutto sociale. E qui Butler pare nuovamente fuori stra-da, se pensa di smascherare la falsa universalità dell’Edipo per-ché lo ritiene un’invenzione culturale. Ciò che probabilmente le sfugge è che la struttura elementare qui in gioco ha una funzione simbolica, il cui carattere universale – spiega Lacan – non è da in-tendere in senso quantitativo (universale = diffuso in tutte le cul-ture), bensì in senso qualitativo, nel senso – cioè – che «costitui-sce un universo» che «ingloba tutto l’ordine umano nella sua to-talità»126.
Ciò vuol forse dire che non c’è davvero scampo e siamo tutti ‘castrati’ dalla legge paterna, obbligati all’eterosessualità? Il pun-to cruciale dell’interpretazione lacaniana dell’Edipo sta proprio qui. Qual è infatti la funzione simbolica della castrazione racchiu-sa nel racconto edipico? Per Lacan, non si tratta tanto del «Tu non
124 S. Žižek, In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale, tr. it. di C. Az-zurra, Salani, Milano 2009, p. 110. Anche Palombi ne è convinto e proprio contro l’interpretazione di Butler: «L’interdizione dell’incesto […] diventa una sorta di ar-chitrave […] quel limite minimo che consente la trasformazione storica del soggetto, impedendone un’esplosione psicotica» (F. Palombi, Un intermedio surreale. L’aporia di
Antigone tra Judith Butler e Jacques Lacan, in M. Pasquino - S. Plastina, Fare e disfare. Otto saggi a partire da Judith Butler, Mimesis, Milano 2008, pp. 123-138; cit. p. 131).
125 Lacan, Il seminario. Libro II, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, p. 37.
126 Ibidem.
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giacerai con tua madre» indirizzato al bambino, quanto piuttosto del «Tu non riassorbirai il tuo prodotto» indirizzato alla madre127. Detto in termini non narrativi: «solo nella misura in cui è sloggia-to, e per il suo bene» dall’essere l’oggetto di godimento della ma-dre, il bambino diviene soggetto, capace di desiderare in proprio e di costruire i suoi legami. Territorializzazione del desiderio? Nien-te affatto, perché l’autorità paNien-terna adempie alla sua funzione di castrazione solo in quanto «introduce nella repressione un ideale di promessa», di «“apertura” del legame sociale»128. Esattamente il contrario della presunta chiusura nella ‘territorialità-mamma’.
Dunque non è detto che Donna Haraway abbia ragione quan-do dice che oggi «i padri sono inessenziali»129. Certo, ammette La-can, la castrazione è «un osso duro», che non a caso è stato fi no-ra «evitato, saltato, aggino-rato o tappato»130, a cominciare dagli psi-coanalisti. Ma le alternative non sono allettanti: o la riduzione del-la differenza sessuale a fatticità biologica, o del-la sua canceldel-lazione nell’universo ‘guattarizzato’ delle performance di genere. E tutto ciò sempre a spese del soggetto. Ecco perché Foucault ritiene che «oggi possiamo pensare soltanto entro il vuoto dell’uomo scom-parso». Ma se è vero che questo ‘vuoto’ è anche «l’apertura d’uno spazio in cui fi nalmente è di nuovo possibile pensare»131, allora Lacan non ha tutti i torti: «Il principio di castrazione non può più essere ignorato da nessun pensiero sul soggetto»132.
127 J. Lacan, Il seminario. Libro V. Le formazioni dell’inconscio (1957-1958), a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2004, pp. 205-206.
128 Lacan, I complessi familiari nella formazione dell’individuo, p. 47. Che dietro l’aspetto negativo del divieto ci sia l’affermazione positiva del legame con altri non-consan-guinei è anche la lettura di Bataille (cfr. G. Bataille, L’erotismo, tr. it. di A. Dell’Orto, Mondadori, Milano 1969, pp. 218-219). Sull’Edipo come operatore di de-territoria-lizzazione, cfr. anche la replica di Žižek al ‘corpo senza organi’ di Deleuze-Artaud (S. Žižek, Organs without Bodies. Deleuze and Consequences, Routledge, New York-Lon-don 2004, p. 83).
129 D. Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, tr. it. di L. Bor-ghi, Feltrinelli, Milano 1995, p. 42.
130 Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio, p. 824.
131 M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, tr. it. di I. Panaitescu, Rizzoli, Milano 1998, p. 368.
132 Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio, p. 824.
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