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Il nostro debito con il femminismo

Il signifi care della differenza sessuale: per un’introduzione*

2. Il nostro debito con il femminismo

Il punto, in fi n dei conti, è semplice: la questione della differenza sessuale, che cosa signifi chi essere uomini o donne, che cosa com-porti che vi siano donne e uomini, che cosa sia cercare la felici-tà, la libertà o la verità essendo una donna oppure un uomo, tutto questo è divenuto urgente e anzi, è divenuto una realtà dell’espe-rienza e non solo un rompicapo teorico cui i fi losofi potevano o meno dedicare una parte della loro vita contemplativa, grazie al femminismo e al pensiero femminista. Esistono tematizzazioni della differenza sessuale nella storia della fi losofi a, alcune di esse, molte anzi, sono più che altro signifi cative come documenti stori-ci (per lo più testimoniano i contributi di molti fi losofi all’edifi ca-zione o al sostegno del discorso patriarcale e dell’ideologia sessi-sta che lo ha accompagnato), qualcuna è invece discussa ancor gi, ad esempio anche in questo libro: resta il fatto che ciò che og-gi porta un uomo o una donna a rimeditare antichi pensieri sul-la differenza sessuale, sul-la congiuntura storico-esperienziale che dà necessità a questo ritorno e gli toglie la parvenza d’essere una me-ra pensata, un’esercitazione intellettuale, come non ne mancano

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nel panorama della fi losofi a contemporanea, analitica e non, ec-co, questa congiuntura è un dono del femminismo.

Non è un dono che proviene unicamente dal femminismo per-ché la trasformazione degli assetti pratico-culturali (simbolici) del nostro mondo, che il pensiero femminista legge come ‘crisi del-l’ordine patriarcale’11 e che impone oggi il problema di ripensa-re i quadri attraverso cui sono stati concepiti e ordinati i rapporti tra gli uomini e le donne a tutti i livelli della vita sociale, è senz’al-tro connessa anche a trasformazioni come quella attraversata dal sistema capitalistico nella seconda metà del XX secolo, tuttavia, al-trettanto certamente, è connessa pure a quell’intreccio di pratiche politiche e teoriche che si sono autoidentifi cate come ‘femminsi-mo’. Che la dimensione simbolica non sia semplicemente un rifl esso di una qualche presunta struttura soggiacente, come l’economia o addirittura il sistema tecnico, è una verità che possiamo oggi da-re per acquisita e che introduce immediatamente lo spazio logi-co in cui pensare il ruolo essenziale che in una trasformazione so-ciale radicale può avere avuto un’elaborazione politico-simbolica di ampio raggio quale appunto è stata il femminismo12.

Poiché anche in quello spazio che comprende tutto ciò che chiama se stesso ‘femminismo’ esiste una contesa, teorica e poli-tica, sul signifi cato di questo termine, può sembrare azzardato o comunque bisognoso di un commento il mio uso della parola, al

11 In proposito un documento teorico e politico fondamentale è il numero del gen-naio 1996 della rivista aperiodica «Sottosopra», edita dalla Libreria delle Donne di Milano, che portava il titolo: È accaduto non per caso e che è più noto come ‘Sottoso-pra rosso’. L’articolo di apertura, anonimo, secondo l’uso della rivista, e intitolato: Il

patriarcato è fi nito, inizia così: «Il patriarcato è fi nito, non ha più il credito femminile

ed è fi nito. È durato tanto quanto la sua capacità di signifi care qualcosa per la mente femminile. Adesso che l’ha perduta, ci accorgiamo che senza non può durare. […] C’è oggi un essere al mondo – di donne, ma non esclusivamente – che fa vedere e dire, senza tanti giri o ragionamenti, che il patriarcato è arrivato alla fi ne […]. Po-tremmo chiamarla […] libertà femminile […]. Il patriarcato che non fa più ordine nella mente femminile, deperisce principalmente come dominio datore di identità. Lei, ormai, non gli appartiene più; il resto seguirà, e già segue, a un ritmo che scom-bussola». Un interessante commento di questo testo si trova nel volume: L. Paolozzi - A. Leiss, Un paese sottosopra, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1999, pp. 131-152.

12 Cfr. L. Muraro, Salti di gioia, in A. Moltedo, Femminismo, vol. V, Stampa Alternativa, Roma 1996, pp. 3-59; cit. pp. 54-55. Marco Revelli sottolinea la centralità di quella che chiama ‘rivoluzione femminile’ nel passaggio d’epoca cui abbiamo alluso e che lui elabora e descrive come la trasformazione del capitalismo fordista in quello post-fordista, nel volume: M. Revelli, Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le insidie del

lavoro, Einaudi, Torino 2001.

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singolare e senza aggettivazioni o apposizioni specifi canti. Questo commento si articola in tre osservazioni la cui defi nita congiun-zione lascerò implicita.

In primo luogo, va osservato che qui il singolare è generico e inclusivo di qualunque pratica politica e di pensiero che si auto-denomini femminista: di conseguenza, nessuna essenza comune è presupposta, nel rispetto della molteplicità che al movimento del-le donne appartiene di fatto e, in un certo senso, di diritto13.

In secondo luogo, vale quanto fa osservare Tamar Pitch per giu-stifi care la sua accezione, che qui assumo, della locuzione ‘pensie-ro femminista’.

Se […] scelgo la locuzione ‘pensiero femminista’ rispetto al più umile ri-ferimento a elaborazioni che, nella loro eterogeneità, si autoidentifi ca-no come femministe, è per due ragioni. La prima è che queste eteroge-nee elaborazioni interagiscono tra loro, costruendo uno spazio discorsi-vo riconoscibile e riconosciuto, che non è (né vuole o può) essere una teoria. Questo spazio conferisce un orizzonte di senso attraverso cui non solo ci si parla, ma si parla con altri. E, come avviene sempre, si viene par-lati e altri sono parpar-lati. Con l’avvertenza, forse ovvia, che questo non è un orizzonte fi nito e defi nito. Il senso cambia continuamente a misura dei discorsi che lo producono e che esso stesso produce. Ma la seconda ragione è che ciò che mi sembra contraddistinguere il femminismo è la sua vocazione ‘crossdisciplinare’, ossia la vocazione a forzare i paradigmi disciplinari, insieme a non farsene contenere – eccederli continuamente – e a renderli confusi, incerti. Qualcosa di più della somma di tutte quel-le elaborazioni che per una ragione o per l’altra si dicono femministe, qualcosa d’altro rispetto a teoria, disciplina, metodo: di qui, ‘pensiero’. Se l’orizzonte di senso che connota il pensiero femminista, e da cui que-st’ultimo è connotato, è indefi nito, ossia infondato, non per questo non ha limiti: la sua riconoscibilità è funzione di pratiche, di politiche, sicché il pensiero femminista non è separabile dalle politiche che lo produco-no e che esso produce. Ciò produco-non aiuta a individuare ‘un’ e nemmeproduco-no ‘il’ femminismo, vista l’eterogeneità delle pratiche politiche in cui è

impli-13 Scrive ad esempio Françoise Collin: «Il movimento delle donne non è un’ideologia che, convenientemente defi nita ed elaborata, formulerebbe una norma d’azione in-dividuale e sociale, riposando su una concezione audace o nuova della donna, condu-cendo verso la società femminista [...]. Il movimento delle donne è innanzi tutto una resistenza all’Uno, a favore dell’improvvisa emersione polimorfa di desideri e parole delle donne nella loro diversità e nelle loro differenze imprevedibili» (F. Collin, Au

revoir, «Cahiers du Grif», 23 [1979], citato in Braidotti, Dissonanze. Le donne e la fi losofi a contemporanea. Verso una lettura fi losofi ca delle idee femministe, pp. 117-118).

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cato, ma dice per l’appunto questo, che il pensiero femminista è (anche, o soprattutto) pratica politica autorifl essiva. E, in questo senso, costituti-va di soggetti: mai defi niti o defi nibili una volta per tutte14.

In terzo luogo, esiste una sorta di accezione minimale che ricor-re nel mio impiego dell’espricor-ressione ‘pensiero femminista’ per cui il pensiero femminista è quel pensiero femminile che pren-de parola pubblicamente e in questa dimensione, lo spazio socio-politico, inscrive e signifi ca la differenza sessuale in modo più li-bero e vero, sovvertendo, potenzialmente a tutti i livelli (non dun-que solo su dun-quello giuridico, ma anche su dun-quello dei costumi, de-gli immaginari sociali dominanti, della lingua, dede-gli schemi del sa-pere e della concezione della soggettività) il precedente inquadra-mento della differenza tra esser donna ed esser uomo15.

Quella appena indicata non pretende di essere una defi nizio-ne che, astraendo dalle differenze, si applichi validamente tanto alle voci del femminismo nato nella seconda metà del XIX seco-lo quanto alle variegate e molteplici correnti del cosiddetto ‘nuo-vo femminismo’ (o ‘femminismo della seconda ondata’) diffuso-si, in primis, negli Stati Uniti e in Europa a partire dalla seconda metà degli anni ’60 del XX secolo. Quella indicata è invece un’ar-ticolazione minimale del signifi cato di ‘femminismo’ pensata in-nanzitutto in rapporto al ‘nuovo femminismo’. Questo, tuttavia, non comporta un’indifferenza o una cancellazione del femmini-smo emancipazionista ed egualitarista ottocentesco. La ragione è che il problema di come collegare il nuovo femminismo al fem-minismo classico non è risolvibile con una constatazione o una ri-costruzione storica compiuta da uno sguardo esterno, bensì è una questione teorica e pratica (politica) che appartiene, e va dunque

14 T. Pitch, Un diritto per due. La costruzione giuridica di genere, sesso e sessualità, Il Saggia-tore, Milano 1998, pp. 12-13.

15 Signifi cativa è in proposito la seconda proposizione del celebre libro di Carla Lon-zi, Sputiamo su Hegel (1970), in Id., Sputiamo su Hegel e altri scritti, et al., Milano 2010: «Il problema femminile mette in questione tutto l’operato e il pensato dell’uomo assoluto, dell’uomo che non aveva coscienza della donna come di un essere umano alla sua stessa stregua»; cui segue, poco dopo, quest’altra proposizione: «Questa è la posizione del differente che vuole operare un mutamento globale della civiltà che l’ha recluso»; ed infi ne: «Dalla cultura all’ideologia ai codici alle istituzioni ai riti al costu-me c’è una circolarità di superstizioni maschili sulla donna» – in queste citazioni, il corsivo è mio. Su Carla Lonzi è appena stato ripubblicato il libro di M.L. Boccia, L’io

in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi (1990), Baldini Castoldi Dalai, Milano 2010.

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restituita, allo stesso nuovo femminismo e all’orizzonte che esso ha aperto. Per comprendere meglio quanto appena osservato si consideri, come esempio, la questione, che ha impegnato alcu-ni dei movimenti femmialcu-nisti italiaalcu-ni degli analcu-ni ’70, di come rap-portarsi al (= come concepire e praticare il rapporto col) femmi-nismo classico di tradizione socialista (non dunque innanzitutto preoccupato per il riconoscimento dei diritti civili e politici alle donne, come il femminismo classico liberale, bensì impegnato af-fi nché la liberazione delle donne dal dominio sessista non fosse solo giuridico-formale, ma reale e concreta). Ebbene, nonostante che il nuovo femminismo si distanziasse e scartasse rispetto all’im-postazione del femminismo socialista, operava tale scarto attraver-so una contrattazione sul signifi cato di una critica materialistica (intesa come critica non astratta) della condizione non libera in cui le donne vivono. La messa in questione dei paradigmi simboli-ci attraverso cui sono ‘posti in ordine’ la sessualità, la corporeità, il desiderio femminili (e maschili), che è uno degli elementi più im-portanti e originali del nuovo femminismo, era ed è spesso riven-dicata come una coerente radicalizzazione di quella critica materia-listica che nei partiti di sinistra e nei movimenti marxisti sarebbe invece stata dogmaticamente interrotta anzitempo16.

16 Si veda ad esempio: L. Cigarini, La politica del desiderio, Pratiche editrice, Parma 1995 (che comprende saggi che riasalgono anche al 1974), sul cui ‘materialismo’ scrive Ida Dominijanni nella introduzione al volume: «Corpo, desiderio, sessualità, fantasie, paure, processi inconsci: ecco il rimosso del legame sociale che va rimesso in circolo in una politica che voglia davvero essere ‘materiale’, cioè legata alla mate-rialità dell’esperienza umana, senza di che la volontà di trasformazione si rivela alla lunga ineffi cace e, paradossalmente, ricade in un immaginario tanto poco elaborato quanto attivo e potente» (p. 10). Cfr. pure L. Melandri, L’infamia originaria.

Facciamo-la fi nita col cuore e Facciamo-la politica (1977), Manifestolibri, Roma 1997. Anche nel già citato

scritto del 1970 di Carla Lonzi che è tra i testi inaugurali del femminismo italiano del ’900, Sputiamo su Hegel, sono tracciate le linee fondamentali sia per una critica del femminismo egualitarista, sia per una critica della critica marxista del sessismo. Più in generale, uno sguardo sintetico sui rapporti tra il femminismo classico (sia liberale, sia socialista e marxista) e il nuovo femminismo è offerto da Franco Restaino nel capitolo da lui curato del volume: A. Cavarero - F. Restaino, Le fi losofi e femministe.

Due secoli di battaglie teoriche e pratiche, Mondadori, Milano 2002. Alle riappropriazioni

del femminismo classico rinvenibili sia nel panorama del nuovo femminismo fran-cese sia in quello del nuovo femminismo americano è dedicato il quinto capitolo del libro di Braidotti, Dissonanze. Le donne e la fi losofi a contemporanea. Verso una lettura

fi losofi ca delle idee femministe. Infi ne, sulle vicende del femminismo italiano, una

rico-struzione dall’interno si trova in un testo che è infatti anche un classico del movimento femminile: Libreria delle Donne di Milano, Non credere di avere diritti. La generazione

della libertà femminile nell’idea e nelle vicende di un gruppo di donne (1987), Rosenberg &

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Il pensiero femminista così compreso è quello di cui dobbiamo riconoscere fi n dall’inizio che è condizione di emergenza dello stes-so stes-soggetto di questo libro. Anthony Giddens scrive: «Almeno nel-la cultura occidentale, quello presente è il primo periodo in cui i maschi scoprono di essere tali, cioè di possedere una ‘mascolini-tà’ confl ittuale. Nei secoli precedenti i maschi davano per sconta-to che le loro azioni costituissero la ‘Ssconta-toria’, mentre le donne esi-stevano quasi fuori del tempo, comportandosi come avevano sem-pre fatto»17. Questa ‘scoperta’ va appunto intesa innanzitutto co-me un divenire effettuale, nell’orizzonte d’esperienza del mon-do della vita, di una verità che, per quanto antica sia, per quanto sempre sia stata lì innanzi agli occhi, non emergeva come una con cui il pensiero (e l’agire) non può non misurarsi per non coprir-la e disconoscercoprir-la, ma anche per rendercoprir-la propulsore di una vi-ta più ricca. Quesvi-ta ‘scopervi-ta’ è il punto di innesco di ogni attua-le pensare la differenza sessuaattua-le ed è appunto un dono del fem-minismo: da qui il debito di ogni attuale pensare la differenza ses-suale con il pensiero femminista. In una formula: è la presa di pa-rola delle donne sul loro esser donne che ha imposto agli uomi-ni la necessità (cioè che ha offerto agli uomiuomi-ni la possibilità) di ri-conoscere, non solo nel pensiero privato, bensì in quello che di-venta effettuale nella realtà sociale, di essere uomini in un mondo di uomini e mondonne; è quella presa di parola che consente ai fi -losofi e alle fi losofe, ma ovviamente non solo a loro, anche ai giu-risti e alle giuriste, alle sociologhe e ai sociologi, ai teologi e alle teologhe, alle storiche e agli storici, agli psicoanalisti e alle psicoa-naliste ecc., di riattraversare le questioni che danno loro da pen-sare senza accantonare il loro essere donne o uomini in un mon-do di mon-donne e uomini.

Ovviamente, che si sia aperta, sia divenuta davvero percorribi-le nel mondo della vita, questa possibilità di pensare a partire dal proprio essere uomini o donne, ecco, tutto ciò non signifi ca che questa possibilità sia sempre o per lo più sfruttata, né da parte del-le donne, né soprattutto, è un fatto, da parte degli uomini.

Que-Sellier, Torino 2005. In particolare per il contesto milanese, è poi utile, anche perché ricco di documenti, il volume: A.R. Calabrò - L. Grasso, Dal movimento femminista al

femminismo diffuso. Storie e percorsi a Milano dagli anni ’60 agli anni ’80 (1985), Franco

Angeli, Milano 2004.

17 A. Giddens, La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società

mo-derne (1992), Il Mulino, Bologna 1992, p. 69.

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st’ultima asimmetria è ben testimoniata dal sociologo Victor Sei-dler, autore del celebre Riscoprire la mascolinità: sessualità, ragione, linguaggio, che scrive:

Ci sono voluti molti anni perché gli uomini incominciassero ad accor-gersi delle sfi de che il femminismo ha lanciato alle forme tradizionali della mascolinità. Spesso ci siamo sentiti più tranquilli facendo nostra l’ipotesi che il femminismo riguardasse solo le donne e che si dovesse la-sciarle per conto loro a elaborare le loro visioni di uguaglianza tra i sessi, pensando che, se gli uomini dovevano fare qualcosa, era di lasciare spa-zio alle donne in modo che esse potessero acquisire diritti all’interno del pubblico, diritti che gli uomini da molto tempo davano per scontati. Ma il passaggio da un movimento impegnato sul piano dei diritti a uno che voleva mettere in luce il carattere dell’oppressione sulle donne ha impo-sto agli uomini di riscoprire e ridefi nire una mascolinità, anch’essa per troppo tempo data per scontata18.

Pensare a partire dalla propria differenza sessuale signifi ca innan-zitutto pensare senza applicare irrifl essivamente procedure che, presentandosi come neutralizzanti, promettono di garantire l’og-gettività dello sguardo e invece, semplicemente, bloccano anzi-tempo la radicalità dell’interrogazione appunto dichiarando la non necessità per essa di prendere in carico la differenza sessuale. Se è vero che non è scontato approfi ttare della possibilità di pen-sare con la radicalità appena evocata, è vero altrettanto che colo-ro che vogliono appcolo-rofi ttare di questa possibilità e farlo pcolo-roprio

18 V.J. Seidler, Uomini, sessi, potere, «Via Dogana», 21/22 (1995), pp. 13-15; cit. p. 13. Cfr. anche Id., Riscoprire la mascolinità: sessualità, ragione, linguaggio (1989), tr. it. di D. Sartori, Editori Riuniti, Roma 1992. Grazie alla citata annotazione di Seidler si può vedere un’importante conseguenza di quell’asimmetria data dal fatto che sono state le donne a mettere in questione per prime e con più impegno la presunta neutralità dell’inquadramento patriarcale della differenza sessuale: mentre la differenza ses-suale pone alle donne innanzitutto un problema di verità (cioè: trovare elaborazioni teoriche e pratiche attraverso cui pensare e agire il loro esser donne, che siano più rispondenti al loro desiderio di libertà e felicità), agli uomini pone innanzitutto un problema specifi catamente etico. Tale problema è quello di rinunciare alle rassicu-razioni pacifi canti degli inquadramenti patriarcali non solo perché, in ultima analisi, essi sono falsi anche in rapporto al desiderio maschile di libertà e felicità (che non può trovare reale appagamento nel rapporto di potere o nella competizione), ma an-che perché essi sono appunto oppressivi nei confronti del desiderio femminile. Capo-volgendo noti pregiudizi, potremmo dire: l’etica della differenza sessuale è qualcosa che riguarda prima di tutto gli uomini – diversamente dal pensiero della differenza sessuale che, differentemente e asimmetricamente, chiama in causa sia le donne, sia gli uomini, come vedremo più avanti.

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per rifl ettere tematicamente sulla differenza sessuale, per questo stesso fatto si trovano, ci troviamo, rinviati all’evento del femmini-smo e alla sua eredità. Tale rinvio, però, non si confi gura soltanto come un debito di riconoscenza, ma anche come un monito: se la questione fi losofi ca della differenza sessuale si impone a noi tutti e tutte grazie alla presa di parola compiuta dalle donne per trova-re e inventatrova-re la loro libertà, allora, nel dedicarci a quella questio-ne non possiamo dimenticare lo squilibrio che questio-nel campo dei pu-ri pensiepu-ri è portato dal dominio cui quella presa di parola ha pu- ri-sposto e risponde. Non siamo su di un terreno neutro e pacifi ca-to: prima ancora di scoprire un’eventuale asimmetria strutturale tra l’essere donne e l’essere uomini, dobbiamo prendere atto del-l’asimmetria storica connessa al dominio maschile nel campo stes-so dell’elaborazione concettuale. Questa presa d’atto, come d’al-tronde il riconoscimento del debito nei confronti del femmini-smo, dovrebbe signifi carsi, e dovrebbe farlo differentemente, nei pensieri dedicati oggi alla differenza sessuale da parte degli uomi-ni e delle donne.

Il nostro essere rinviati alla faglia che il femminismo ha pro-dotto nella rifl essione fi losofi ca sull’essere umano e dunque an-che sul mondo in quanto incontrato ed esperito da esseri umani ha anche un terzo signifi cato oltre i due più importanti appena