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LA CAPPELLA DELLA MADONNA MORA

Nel documento Il palinsesto antoniano, 1830-1940 (pagine 42-48)

2. LA BASILICA DEL SANTO NELL’800 FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE: I PRIMI CANTIER

2.2 PIETRO SELVATICO A PADOVA E AL SANTO 1 L’IMBIANCATURA: LE POLEMICHE

2.2.3 LA CAPPELLA DELLA MADONNA MORA

La Veneranda Arca, forse sulla scorta di questo primo provvedimento che cambiò notevolmente l’aspetto della basilica, decise di promuovere altri interventi.

Uno dei primi lavori approvati fu, nel 1850, “il ristauro e l’abbellimento”48 della cappella della Madonna Mora, una delle più antiche della basilica e primo nucleo di costruzione dell’antica chiesetta di Santa Maria Maggiore49, successivamente inglobata nell’edificio antoniano.

sacerdotale a Rorai Grande (Pordenone), poi fu vicario capitolare a Concordia (Venezia) ed Amministratore Apostolico di Fiume. Nel 1922 fu nominato primo Delegato Apostolico in Cina ed Arcivescovo Titolare di Teodosiopoli di Arcadia. Tornato in Italia fu Segretario, dal 1935 al 1953, della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli e rettore del Pontificio Ateneo Urbano. Fu poi promosso arcivescovo di Teodosia nel 1946, il 12 gennaio 1953 fu eletto cardinale e successivamente il 22 maggio 1954 cancelliere di S. Romana Chiesa. Condivise con il fratello Giovanni Costantini l'amore per l’arte: fu scultore attivo tra il 1904 e

il 1915, fondò la Societa! degli Amici dell'Arte Cristiana e la rivista “Arte Sacra” e si interesso! ai problemi

dell’arte sacra. Mori! a Roma il 17 ottobre 1958. A proposito del suo impegno nei confronti dell’arte sacra si

consideri CELSO COSTANTINI, I doveri del clero al principio del secolo XX, Roma, Scuola tip. salesiana, 1901,

CELSO COSTANTINI, Nozioni d’arte per il Clero, Firenze, Libreria salesiana, 1909, CELSO COSTANTINI,Il crocifisso nell’arte, Firenze, Libreria salesiana, 1911, CELSO COSTANTINI,Per la rinascita dell’arte cristiana, Roma, Tipografia

Lucci, 1934, CELSO COSTANTINI, Arte sacra e Novecentismo, Libreria F. Ferrari, Roma, 1935, CELSO

COSTANTINI, L' arte cristiana nelle missioni: manuale d'arte per i missionari, Città del Vaticano, Tip. poliglotta

vaticana, 1940, CELSO COSTANTINI,GIOVANNI COSTANTINI, Fede ed arte: manuale per gli artisti, Vol. 1, Roma,

Tumminelli, 3v, 1945-1949, CELSO COSTANTINI, In difesa dell’arte cristiana, Milano, Edizioni Beatrice d’Este,

1958. Sulla figura di Celso Costantini si veda inoltre RUGGERO SIMONATO, Celso Costantini tra rinnovamento

cattolico in Italia e le nuove missioni in Cina, Pordenone, Concordia sette, 1985;

47 In verità la tinta scelta per le pareti della Basilica non fu propriamente il bianco ma “un color bianco

temperato con poca terra rossa” che fu scelto da un’apposita commissione composta dai “più rispettabili

individui di quella dell’ornato”.FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di transizione p. 514, nota n. 34.

48 Ara, Serie 24 Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2024, n. 7 cit. in FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di

transizione p. 505, cit. in FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di transizione, pp. 505-522 ed anche ANTONIO

SARTORI, Archivio Sartori, I, pp. 534- 537.

49 Sulla storia della basilica e della sua fondazione si veda PIETRO SELVATICO,I principali oggetti d’arte esposti al

La necessità di compiere questi lavori era già emersa qualche anno prima e precisamente nel 183350. La Veneranda Arca di Sant’Antonio si era, infatti, rivolta alla Commissione d’Ornato, ente deputato al controllo dell’edilizia pubblica e privata della città51, per un sopralluogo presso la cappella. L’ispezione doveva non solo stabilire l’entità dei lavori da compiere per il suo restauro, ma anche valutare la pertinenza del progetto presentato al Comune dalla Veneranda Arca. In seguito al sopralluogo52 giunse alla Presidenza dell’ente un documento, siglato da Marino Macoppe, ingegnere, e da Teodoro Zacco, scrittore e compositore, nelle veci del podestà, nel quale si diceva:

“La cappella è un monumento dell’anno 1110, ricco di antiche ricordanze e reliquia della chiesa di S. Maria Maggiore la quale determinò il luogo dove poscia fu edificato il magnifico tempio del taumaturgo nostro protettore, e considerando che quel monumento ha un carattere suo proprio, cioè del secolo in cui fu eretto, qual carattere importa gelosamente conservare”53.

Veniva in tal modo evidenziata, per la prima volta, la necessità di recuperare e conservare il carattere “originario” della cappella e della basilica identificato nello “stile gottico del millecento”54 e, contestualmente, rifiutata, dalla Commissione d’Ornato, la proposta di decorazione della cappella presentata, nel dicembre di quello stesso anno, dallo stuccatore ticinese Giovanni Battista Negri55.

Guida di Padova e dei suoi principali contorni, Padova, Sacchetto, 1869, pp. 21- 106, BERNARDO GONZATI, La

basilica di Sant'Antonio di Padova descritta ed illustrata dal padre Bernardo Gonzati, I-II, Padova, Bianchi, 1852-1853, GIOVANNI LORENZONI, Cenni per una storia della fondazione della Basilica alla luce dei documenti (con ipotesi

interpretative), a cura di CLAUDIO SEMENZATO, Vicenza, Neri Pozza, 1984, pp. 17- 30, MARCELLO SALVATORI,

Costruzione della basilica dall’origine al secolo XIV, in L’Edificio del Santo di Padova, a cura di GIOVANNI

LORENZONI, Vicenza, Neri Pozza, 1981, pp. 31- 81.

50 Si considerino i documenti conservati in Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2002, n. 1- 7.

51 Per un profilo degli organi di tutela padovani, e non solo, si vedano i paragrafi che seguono.

52 Non è stato possibile individuare da chi fu compiuto il sopralluogo.

53 Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2002, n. 5 cit. in ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p.

536.

54 ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 537.

55 Giovanni Battista Negri (1799-1872) stuccatore ticinese allievo presso l’Accademia di Brera. Grazie al

conte Alessandro Papafava egli ebbe l’occasione di esercitare la sua arte in molti palazzi padovani e veneziani.

Si consideri GIOVANNA POLI, Padova, in La pittura nel Veneto: l’Ottocento, a cura di GIUSEPPE PAVANELLO, vol.

“Il disegno in sei tavole”56, non rinvenuto presso l’Archivio dell’Arca, venne respinto e fatto “riformare”, in quanto prevedeva una decorazione a “cassettoni, candelabri”, stucchi in rilievo e finti marmi, ritenuta non conforme allo stile della cappella57. Né, una volta adeguato alle osservazioni della Commissione d’Ornato, il progetto fu mai completato. In seguito al fortunale che colpì la basilica nel 1834, infatti, fu data la priorità ad interventi di restauro e manutenzione di alcuni locali della basilica che erano stati danneggiati tra cui per l’appunto l’imbiancatura.

Fu solo negli anni ‘50, come si è detto, che la questione concernente la decorazione della cappella della Madonna Mora fu ripresa in esame, insieme ad altri interventi di restauro58. A proposito del restauro della cappella della Madonna Mora, oltre a, Pietro Selvatico anche Marino Macoppe Knyps, matematico ed ingegnere, presentò un progetto di restauro.

L’ingegnere, originario di Padova, nacque il 19 luglio 1778 da una famiglia di nobili origini; lo zio, Alessandro Macoppe Knyps, si distinse proprio in città come medico59. Marino Macoppe si laureò in matematica nel 1810 e insegnò per molti anni questa disciplina presso le scuole elementari. Fu anche nominato custode del gabinetto di fisica sperimentale e pubblico ripetitore della stessa disciplina presso l’Università di Padova. “Al cader del governo italico” fu inoltre “chiamato all’amministrazione specialmente per oggetti militari”60. Per molti anni, inoltre e precisamente dal 1838 al 1857, rivestì la carica di cassiere della Veneranda Arca di Sant’Antonio61 e fu forse, anche per questo motivo, che l’ente decise di valutare anche il suo progetto. Dai documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Padova è emerso che fu anche membro della Commissione Conservatrice62.

56 Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2002, n. 5 cit. in ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p.

536.

57 Ibidem.

58 Ibidem.

59 FRANCESCO SCHRÖDER, Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle provincie

venete, contenente anche le notizie storiche sulla loro origine e sulla derivazione dei titoli, colla indicazione delle dignità, ordini cavallereschi e cariche di cui sono investiti gli individui delle stesse compilato da Francesco Schröder segretario di governo, Venezia, tipografia Alvisopoli, 1830, p. 456.

60 IGNAZIO CANTÙ, L’Italia scientifica contemporanea, p. 261, ad vocem, Stato personale del clero della diocesi e città di

Padova per l’anno 1856, Padova, coi tipi del seminario, 1855, p. 16.

61 Si consideri a questo proposito ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, II, pp. 1142- 1148 ed anche Almanacco

diocesano di Padova per l’anno MDCCCXLIV, Padova, coi tipi del seminario, 1843, p. 17.

62 ASP, Commissione conservatrice dei pubblici monumenti, b. n. N 3248, fasc. 7, «1828», relazione di un’adunanza 29

dic. 1828; fasc. 11, «1832», lettera al podestà dal segretario della Commissione Conservatrice del 27 lug. 1832, fasc. 20 «1841», verbale di riunione del 9 dic. 1841.

Per quanto riguarda Selvatico, nonostante i primi contrasti con la Veneranda Arca lo avessero allontanato dal Santo, egli non rinunciò al suo intento di imporre il proprio “ruolo di vigilanza”63 sulla basilica offrendo così il proprio contributo.

Il suo progetto si poneva in apparente contraddizione con quanto da lui sostenuto in precedenza anche in merito all’imbiancatura. Selvatico presentò, infatti, un progetto “di forte incisività, volto a qualificare lo spazio con una chiara impronta connotativa”64 che tenesse “conto più della ragione estetica che non dell’archeologia”65, ma sempre coerente con la complessità del monumento e le sue stratificazioni. Il suo dissenso nei confronti di eventuali lavori di restauro, espresso in occasione dell’imbiancatura, era motivato dal fatto che i restauratori e i progettisti del suo tempo mancavano, a suo parere, della preparazione per intervenire su monumenti “storici”. Spesso gli addetti ai lavori non padroneggiavano sufficientemente materiali e tecniche o addirittura ignoravano la storia dei monumenti sui quali si apprestavano ad intervenire. Questo comportava, nella maggior parte dei casi, la realizzazione di opere non perfettamente integrate nel contesto o connesse alla storia e alla natura del luogo. Era dunque necessaria, secondo Selvatico, una più adeguata preparazione dei restauratori66.

Ad otto anni di distanza dall’imbiancatura, appena nominato professore di estetica e direttore provvisorio dell’Accademia di Belle Arti di Venezia dal governo austriaco, Selvatico cominciò, pertanto, a valutare la possibilità di intervenire lui stesso in ripristini come quello della cappella della Madonna Mora.

Dal rifiuto tout court per il restauro, Selvatico si trovò, dunque, ad affrontare il problema della “sincerità” decorativa e costruttiva67 affrontato in quegli anni anche da Jonh Ruskin in The Lamps of Architecture. La decisione, apparentemente

63 FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di transizione, p. 513.

64 FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di transizione, p. 507. I progetti, purtroppo perduti, sono stati pubblicati in NINO GALLIMBERTI, Pietro Selvatico architetto, in «Bollettino del museo civico di Padova», n.s., 9, 1933, pp.

156- 166. Per una descrizione dei progetti si veda sempre FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di transizione,

pp. 508-511.

65 SELVATICO PIETRO, Guida di Padova e dei suoi principali contorni, p. 40 cit. anche in FRANCESCA CASTELLANI,

La basilica di transizione, p. 510.

66 A proposito delle idee di Selvatico sul restauro si consideri oltre a ALEXANDER AUF DER HEYDE, Per

l’«avvenire dell’arte in Italia», anche VITTORIO FORAMITTI, Il tempietto longobardo nell’ottocento. Selvatico, Valentinis e i

primi restauri nell’oratorio di S: Maria in Valle di Cividale, Udine, Edizioni del Confine, 2008, pp. 67- 80 e GIUSEPPINA PERUSINI, Selvatico e il restauro pittorico, in Pietro Selvatico e il rinnovamento delle arti nell’Italia

dell’Ottocento, Atti del convegno (Venezia 22- 23 ottobre 2013), a cura di ALEXANDER AUF DER HEYDE,

MARTINA VISENTIN,FRANCESCA CASTELLANI, Pisa, Edizioni della Normale, 2016, pp. 467- 485. 67 ALEXANDER AUF DER HEYDE,Per l’«avvenire dell’arte in Italia», p. 239.

contraddittoria, di presentare un progetto al tempo stesso di restauro e progettazione, testimonia in realtà una vera e propria evoluzione del pensiero di Selvatico, una nuova consapevolezza del marchese quasi cinquantenne.

Selvatico, con questo progetto, dimostrò di aver compreso a fondo il ruolo di “palinsesto” della basilica antoniana che, con le sue stratificazioni, quel “misto di lombardo, di toscano, di archiacuto e di bizantino”68 e, in aggiunta, dei nuovi interventi, avrebbe potuto contribuire al rinnovamento della città. La nuova immagine che Padova doveva dare di sé, secondo Selvatico, doveva dunque essere il risultato di una commistione di passato e presente, tradizione e innovazione, stili antichi e loro modernizzazioni. Questo concetto, come avremo modo di vedere, verrà ripreso anche da Camillo Boito, storico allievo di Selvatico, quando sarà chiamato a Padova, grazie all’intercessione del maestro, per la realizzazione di una serie di progetti architettonici che si dimostreranno determinanti per la definizione del nuovo volto di “Padova italiana”69. Tuttavia il progetto di Selvatico, che vedeva la compresenza nella cappella della Madonna Mora di archi acuti, edicole a guglia ed archetti, per l’appunto “lombardi”70, fu scartato perché ritenuto “dispendioso”71. La scelta della Presidenza della Veneranda Arca cadde infatti sul progetto di Marino Macoppe definito “più semplice ed eseguibile”72.

Purtroppo, come evidenziato negli studi precedenti73, i disegni dei due progettisti sono, ad oggi, perduti. Tuttavia, mentre dei progetti di Selvatico sono rimaste alcune riproduzioni, pubblicate dall’architetto Nino Gallimberti nel 193374, del progetto di Macoppe nulla è rimasto ad eccezione di quanto ancora leggibile a parete anche in seguiti ad alcuni restauri compiuti nel 193875. L’Archivio antoniano conserva però alcuni documenti relativi ai lavori eseguiti da Macoppe; da questi emerge che il suo progetto prevedesse minime modifiche alle murature, e la decorazione di soffitto e

68 PIETRO SELVATICO, Guida di Padova, p. 38 cit. in FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di transizione, p. 510. 69 TIZIANA SERENA, Boito e Selvatico, pp. 69- 90.

70 FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di transizione, pp. 507- 528.

71 Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2024, n. 10, cit. in ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p.

537.

72 Ibidem.

73 FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di transizione, pp. 507- 528.

74 Le quattro tavole sono state analizzate assieme ai documenti d’Archivio che restituiscono il dettaglio dei

lavori eseguiti da Macoppe in FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di transizione, pp. 505- 522.

75 FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di transizione, pp. 506, Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2024, «Restauro affreschi in basilica e annessi», 1922 nov. 28-1941 set. 27.

pareti76. Sartori, nel suo Archivio, cita un documento che descrive i lavori da compiersi: “la volta […] di detta cappella dovrà esser dipinta in azzurro scuro stellato, la cornice intagliata ed i sottoposti archetti avranno lo stile gottico del millecento […] il resto delle pareti finto quadrello framezato ad ogni distanza con quadricelli uniti correnti orizzontalmente […] sino allo zoccolo”77.

Questa descrizione ci sembra possa coincidere con una foto, della parete di fondo della cappella della Madonna Mora, facente parte della Raccolta Iconografica Padovana78 conservata presso la Biblioteca Civica di Padova (Fig. 5).

Fig. 5. Altare e parete di fondo della cappella della Madonna Mora. BIBLIOTECA CIVICA DI PADOVA, Raccolta iconografica padovana,

Chiesa di S. Antonio, Presbiterio Altarone, n. XXXII- 2740.

76 FRANCESCA CASTELLANI, La basilica di transizione, pp. 507. Si veda in particolare la specifica di spesa del muratore Varotto in Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2024, n. 3.

77 ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 537.

78 BIBLIOTECA CIVICA DI PADOVA, Raccolta iconografica padovana, Chiesa di S. Antonio, Cappella della Madonna Mora. Altare, n. XXXII- 2740.

Non è chiaro se il rifiuto del progetto selvatichiano sia dipeso esclusivamente da ragioni economiche né quali elementi abbiano orientato la Veneranda Arca ad optare per il lavoro di Macoppe.

I lavori di risanamento della cappella della Madonna Mora furono completati nel 185379 grazie soprattutto a quel contributo di 3000 lire austriache che il consiglio comunale aveva deciso di “impegnare a sussidio della spesa occorrente per il ristauro e l’abbellimento della cappella”80. Si trattava di una sovvenzione concessa nel 1831 in “occasione della festa secolare che in quell’anno ricorreva di quel santo taumaturgo protettore”81 della città.

L’elargizione di questo sostegno economico dimostra quanto al governo asburgico, che ne comprendeva il potenziale in termini di propaganda politica, stesse a cuore la causa antoniana. Anche in occasione di altri interventi realizzati in Basilica, il governo austriaco ribadì il proprio impegno nei confronti del monumento padovano con importanti donazioni.

Nel documento Il palinsesto antoniano, 1830-1940 (pagine 42-48)