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I PROGETTI DI BOITO

Nel documento Il palinsesto antoniano, 1830-1940 (pagine 170-192)

6. CAMILLO BOITO AL SANTO

6.1 I PROGETTI DI BOITO

Quando fu chiamato al Santo, Boito non presentò un’unica relazione come avevano fatto prima di lui Berchet, ma soprattutto Barberi; al contrario presentò, per ogni cantiere, un resoconto particolareggiato.

Poiché, come vedremo, la stesura di queste relazioni per Boito implicò anche un vero e proprio lavoro d’Archivio, egli non consegnò tutte le “proposte” nello stesso momento, ma due per volta.

Lo studio di queste relazioni, che ad oggi non sono ancora state pubblicate interamente12, ad eccezione di alcuni stralci che Boito inserì in un volume pubblicato nel 1897, e di quelle pubblicate da Sartori13, è fondamentale per comprendere il

modus operandi dell’architetto.

Ciò consente inoltre di individuare quali furono gli aspetti sui quali focalizzò maggiormente la sua attenzione, ma soprattutto di capire come mai le sue idee incontrarono il favore della committenza.

Nell’analizzare questi documenti, ripercorreremo l’ordine seguito da Boito, nel tentativo di capire quale fu la gerarchia di intervento stabilita con la Veneranda Arca, se, in occasione della messa in opera essa fu rispettata, e, in caso contrario, quale furono le motivazioni che determinarono tale cambiamento.

11 FRANCESCA CASTELLANI, Nel cantiere del Santo, pp. 111-118, FRANCESCA CASTELLANI, Il pulpito, pp. 119-

121, FRANCESCA CASTELLANI, Le porte in bronzo per la facciata, pp. 122-127, FRANCESCA CASTELLANI, L’altare

di Donatello, pp. 128-132, FRANCESCA CASTELLANI, Interventi strutturali, pp. 133-134, FRANCESCA CASTELLANI,

Il tema della decorazione e il concorso del 1897, pp. 135-139.

12 Si vedano le trascrizioni al paragrafo 6.5.

13 In particolare, la relazione per il restauro del pulpito e per la zona absidale della basilica, si veda ANTONIO

In seguito all’adunanza del 13 luglio14 del 1893 la Veneranda Arca, in accordo con Camillo Boito, stabilì infatti a quali interventi dare la precedenza. Su questi egli si mise subito al lavoro15, preoccupato per la “ristrettezza di tempo”16 data la necessità di completare i lavori entro il centenario ormai imminente.

6.1.1 “PROPOSTE INTORNO AL VECCHIO PULPITO DELLA BASILICA DI S. ANTONIO IN PADOVA”

La prima relazione che Boito presentò alla Veneranda Arca, il 7 settembre 1893, fu quella per il pulpito17. Intitolata “Proposte intorno al vecchio pulpito della Basilica di S. Antonio in Padova, con due tavole di Disegni, capitolato speciale e perizia”18 e manoscritta, è ancora oggi conservata presso l’Archivio antoniano.

Nella relazione prima di occuparsi della descrizione del progetto, di cui Boito allegò una tavola, egli si soffermò sulla descrizione del pulpito e delle modifiche che questo aveva subito nel corso degli anni.

Ribadì, inoltre, che l’idea di compiere questi lavori di restauro, era motivata da un “difetto d’origine”. Il pulpito, come è noto, era infatti stato “piantato troppo basso, talché la voce dell’oratore non si poteva largamente diffondere, né la sua persona dominava abbastanza la folla degli ascoltatori”19.

La descrizione degli eventi che determinarono la forma del pulpito è dettagliata, Boito riportò, infatti, date e nomi di personalità coinvolte nel processo di trasformazione del pulpito; il riferimento ai documenti d’Archivio è puntuale.

Dalla relazione emerge dunque, l’importanza dell’Archivio storico e dei suoi documenti, il cui spoglio consentì a Boito di ricostruire la storia del pulpito,

14 ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 199.

15 ArA, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2138 n. 2, estratto di seduta di Presidenza, 13 lug. 1893.

16 ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 199.

17 Sul pulpito e gli interventi di Boito si consideri ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, pp. 689- 691 ed anche

pp. 188- 205, DANILO NEGRI-LAURA SESLER, I principali interventi nella fabbrica, pp. 136- 137,MARCELLO

SALVATORI, Camillo Boito e le sue opere in Padova, pp. 839- 840, FRANCESCO BOCCHINO, Camillo Boito,pp.161-

162,FRANCESCA CASTELLANI, Il pulpito, pp. 119- 121, CESARE CROVA, Camillo Boito al Santo, pp. 418- 420, CESARE CROVA, L’approccio metodologico nel cantiere di S. Antonio, pp. 304- 305, CESARE CROVA, Il cantiere di

Sant’Antonio a Padova (1877- 1903), pp. 49- 51.

18 La relazione manoscritta di Boito è ancora oggi consultabile in ArA, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc.

24.2139 n. 3 cit. in ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 689 e nella bibliografia citata nella nota

precedente.

attraverso l’utilizzo di materiali estremamente attendibili, ma soprattutto di elaborare un nuovo progetto che mantenesse dei legami con il passato.

Sembra inoltre che, secondo la Veneranda Arca e Boito, l’idea di presentare, insieme al progetto, la documentazione storica, fosse ritenuta un’operazione strategica al fine di ottenere l’approvazione del Ministero e degli organi di tutela che fino a questo momento avevano ostacolato più volte la realizzazione di un nuovo pulpito e di altri lavori al Santo. Proprio questo aspetto ci consente di sottolineare ancora una volta la sua capacità, maturata grazie all’esperienza al seguito di Selvatico, di far leva non solo sulla committenza, ma soprattutto sugli organi di tutela.

Lo stesso Oddo Arrigoni degli Oddi scrisse a Cavaletto: “Quanto al pulpito crede che troveremo gravissime anzi insormontabili opposizioni al ministero, ammenochè non troviamo antiche memorie sull’originario suo disegno, quindi questa la crede più una questione d’Archivio che altro”20 ed aggiunse “Col Boito abbiamo stabilito […] presenti il progetto del pulpito, lo corredi di dati storici. È lavoro che esige poco tempo. Il ministero sarà soddisfatto nelle sue esigenze e quindi dovrebbe desistere dalla sua opposizione” 21.

A differenza di Barberi che, prima di lui aveva proposto l’eliminazione del pulpito e la sostituzione con uno completamente nuovo, Boito, come Berchet, propose di modificare quello esistente e di restituirgli “il suo primitivo carattere”22.

Nella sua premessa storica, affrontando la questione delle origini, Boito attribuì al pulpito uno stile tedesco “non tanto per cagione delle colonnine torte, più lunghe ed esili, quanto per causa dei fogliami giranti nel mensolone più duri e nodosi”23 e a questo lui volle, in parte, attenersi.

Proprio per questo motivo, descrivendo le varie modificazioni subite dal pulpito nel corso dei secoli, egli criticò in particolare la modifica seicentesca del parapetto che non si accordava con lo stile “originario” del pulpito.

All’epoca, infatti, fu sollevato il pavimento dell’ambone di circa 40 cm “Raggiungendo così un’altezza sufficiente per le buone condizioni delle visuali e

20 BCP, Carteggio Cavalletto, serie 3, Corrispondenza (1864- 1895), b. 122 Arca del Santo, 1893 lug. 12, cit. in

ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 199.

21 BCP, Carteggio Cavalletto, serie 3, Corrispondenza (1864- 1895), b. 122 Arca del Santo, 1893 lug. 14, cit. in

ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 200.

22 ArA, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2139 n. 3

23 “Proposte intorno al vecchio pulpito della Basilica di S. Antonio in Padova, con due tavole di Disegni,

dell’acustica”. Questo determinò la necessità di alzare anche il parapetto con “un fregio e una cornice di marmo rosso” da lui definita una “bruttura”24.

Boito propose quindi di rimettere l’antica “cornicetta” copiando il motivo decorativo dal monumento a Raniero degli Arsendi, di modificare la pianta del pulpito come già avevano suggerito sia Berchet che Barberi, di rialzare il pulpito ed eliminare il “sopraccielo” che già Gonzati aveva criticato.

A differenza degli architetti che lo avevano preceduto, infatti, Boito sottolineò con insistenza l’importanza di eliminare il sopraccielo non solo per motivi acustici, ma soprattutto per ragioni storiche.

Egli sostenne, grazie all’ausilio delle fonti, che poiché in origine, e per oltre tre secoli il pulpito, era stato privo di baldacchino allo stesso modo doveva essere realizzato. La mancanza del sopraccielo avrebbe anche consentito di valorizzare il dossale con Madonna, bambino e due santi che Barberi e Berchet avevano invece proposto di eliminare, forse sulla scia del giudizio di Gonzati che la definì “non bella, ma del Quattrocento”25.

Fondamentale per Boito fu anche l’osservazione di monumenti ancora presenti in basilica come il già citato monumento a Raniero degli Arsendi dal quale, in particolare, ricavò il motivo decorativo per la cornice del pulpito.

È evidente che la sua ottica di intervento, a 360°, mirasse alla concordanza non solo fra tutti gli elementi presenti in basilica, ma soprattutto fra questi e la storia del monumento.

Boito concluse poi la relazione enunciando il principio fondamentale del suo operato ovvero accordare “l’archeologia, l’arte e l’uso”, oltre certamente all’“economia”. Si trattava, dunque, non soltanto di restituire al monumento la sua storia e recuperare le sue origini, ma anche di garantire ad ogni elemento la propria funzione senza perderne di vista l’estetica. Riassunse infine in quattro punti le sue proposte di intervento26.

24 Ibidem.

25 BERNARDO GONZATI, La basilica di Sant'Antonio di Padova, vol. I, p. 258.

6.1.2 “PROPOSTA INTORNO ALLA CAPPELLA DEL SACRAMENTO NELLA BASILICA DI S. ANTONIO IN PADOVA”

Insieme al progetto per il pulpito Boito presentò la “Proposta intorno alla Cappella del Sacramento nella Basilica di S. Antonio in Padova” 27.

Come aveva fatto per il pulpito e come farà anche per gli altri interventi, Boito applicò alla relazione della cappella il proprio metodo storico28, che utilizzò anche negli altri documenti, e che pare a noi possa riassumersi in tre fasi sostanziali: osservazione, classificazione, rielaborazione.

La fase di osservazione coincide a nostro avviso, in sede di relazione, con la premessa storica nella quale Boito cercò di illustrare le ragioni secondo le quali la cappella necessitava di essere restaurata.

La fase di classificazione invece è identificabile nell’analisi che l’architetto fece di alcuni antichi documenti. In questo caso non si trattò, come in precedenza, solo dello studio dei documenti conservati in Archivio e del già citato volume di Gonzati, ma anche di un disegno, conservato agli Uffizi, che egli menzionerà più volte anche in altre relazioni. Questa pianta cinquecentesca della basilica29 consentì a Boito di dimostrare concretamente “come era di principio la cappella”30 e di giustificare in nome della storia, le scelte da lui operate in fase di rielaborazione.

Quest’ultimo step coincide dunque con l’esposizione del nuovo progetto.

Dopo aver segnalato, ancora una volta, le manomissioni operate fra sei-settecento Boito affrontò il problema dell’illuminazione, che a suo parere, era estremamente scarsa e non consentiva di apprezzare la cappella e le sue decorazioni.

27 ArA, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2140 n. 10.

Sulla cappella del Santissimo Sacramento e gli interventi di Boito si consideri ANTONIO SARTORI, Archivio

Sartori, I, pp. 188- 205, DANILO NEGRI-LAURA SESLER, I principali interventi nella fabbrica, p. 137,MARCELLO

SALVATORI, Camillo Boito e le sue opere in Padova, p. 844, FRANCESCO BOCCHINO, Camillo Boito,pp.163-164,

FRANCESCA CASTELLANI, Interventi strutturali, pp. 133- 134, CESARE CROVA, Camillo Boito al Santo, pp. 421-

422, CESARE CROVA,L’approccio metodologico nel cantiere di S. Antonio, pp. 305- 306, CESARE CROVA,Il cantiere di

Sant’Antonio a Padova, pp. 45- 66.

28 ROSA TAMBORRINO, Boito, Viollet-le-Duc e il ‘metodo storico’, pp. 23- 36.

29 Si veda CESARE CROVA,Il cantiere di Sant’Antonio a Padova, p. 59.

30 ArA, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2140 n. 10, “Proposta intorno alla Cappella del Sacramento

Boito, che aveva particolarmente a cuore questo problema, dopo le sue consuete ricerche d’Archivio, che finirono questa volta con un nulla di fatto, propose di effettuare dei sopralluoghi31.

Dopo alcuni studi in situ, dai quali non emersero tracce delle antiche finestre, egli ipotizzò, come già Berchet prima di lui, che esse fossero proprio dove si trovavano i “lunettoni” costruiti fra ‘600 e ‘70032 e dichiarò che proprio lì andavano ricostruite. Come Berchet aveva optato per la costruzione di “tre rose uguali”33 anche Boito suggerì di realizzare tre finestre, di 2 m di diametro34, in corrispondenza delle lunette. Il progetto, relativo alla sistemazione delle finestre, che Boito allegò alla relazione, fu realizzato con tutta probabilità da Barnaba Lava35.

La questione dell’illuminazione, a nostro avviso, è strettamente connessa con la natura primitiva e originaria del luogo.

È un dato di fatto che, in mancanza di luce artificiale, un tempo si dovesse far ricorso esclusivamente a quella naturale e, poiché l’intento di Boito era quello di restituire alla basilica la sua immagine originaria, doveva tener conto anche di questo aspetto. Non solo, la questione dell’illuminazione si lega anche al tema della decorazione. Se secondo le fonti, ed in particolare secondo Gonzati, la cappella un tempo era decorata, allora essa necessitava, per rispetto alla sua storia, di una nuova decorazione. “Il presente candore, oltre che è contrario all’indole dello stile, riesce pure contrario al fatto storico”36 scrisse Boito esprimendosi per la prima volta contro “il lenzuolo bianco” tanto denigrato da Selvatico nel 1842.

Diplomaticamente, tuttavia, lasciò la decisione in mano alla Veneranda Arca, ma manifestò la propria opinione in questi termini “Io dico che non solo si può, ma che

31 Ibidem.

32 “Senonché, avendo cercato le traccie di fori vecchi di su e di giù, di qua e di là, di dentro e di fuori, non si è

trovato nulla”. Ibidem. Si consideri ancora ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, pp. 188- 205, DANILO

NEGRI-LAURA SESLER, I principali interventi nella fabbrica, p. 137,MARCELLO SALVATORI, Camillo Boito e le sue

opere in Padova, p. 844, FRANCESCO BOCCHINO, Camillo Boito,pp.163-164,FRANCESCA CASTELLANI, Interventi

strutturali, pp. 133- 134, CESARE CROVA, Camillo Boito al Santo, pp. 421- 422, CESARE CROVA, L’approccio metodologico nel cantiere di S. Antonio, pp. 305- 306, CESARE CROVA,Il cantiere di Sant’Antonio a Padova, pp. 45- 66.

33 ArA, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2140 n. 10, “Proposta intorno alla Cappella del Sacramento

nella Basilica di S. Antonio in Padova”.

34 “Quale forma? Di finestra acuta no, perché manca assolutamente lo spazio. Di finestra bifora lombarda no,

perché lo stile non lo consentiva”. Ibidem.

35 FRANCESCA CASTELLANI, Interventi strutturali, pp. 133- 134 e la nuova scheda di catalogo in MARIA BEATRICE GIA,Serie 41. Progetti di Barnaba Lava, in Archivio della Veneranda Arca di S. Antonio. Inventario, a cura

di GIORGETTA BONFIGLIO DOSIO e GIULIA FOLADORE, Padova, Veneranda Arca di S. Antonio e Centro

studi antoniani, 2017, pp. 1762- 1763, n. 41.8.

si deve”37. Boito dopo aver analizzato alcune foto38 e le tracce di antiche decorazioni che il restauratore Bertolli aveva fatto emergere, confermò l’idea di Berchet che le aveva definite prive di “valore artistico”, sostenendo “che in quella roba non v’ha nemmeno l’ombra di un pregio d’arte qualunque”39.

A proposito dell’antica decorazione cercò inoltre di ragionare sullo stile che individuò in quello “precedente alla metà del Quattrocento” e di cui Padova “è ricca in esemplari magnifici”40.

Propose pertanto, per le nuove decorazioni, di prenderlo ad esempio: “Perché non si potrebbe non copiarli, ma imitarli, ma ispirarsi ad essi, ridonando alla gentile cappella Gattamelata il suo primitivo e vago aspetto?”41.

Per Boito non si trattava dunque di ricostruzione in stile ma di ispirazione, quello che applicò al Santo fu un metodo storico e filologico, grazie al quale recuperare soprattutto i valori. A questi due documenti appena descritti Boito allegò alcuni progetti, delle vere e proprie relazioni in forma di tavola nelle quali egli inserì non solo disegni e progetti, ma anche fotografie e testo. Diversamente dai progettisti che lo precedettero, che come lui, fecero ricorso alle più attendibili fonti testuali che avevano a disposizioni, Boito fece un passo avanti utilizzando anche la fotografia e antiche testimonianze grafiche.

È verosimile pensare che, durante le sedute di presidenza, in occasione delle quali Boito fu chiamato ad illustrare i suoi progetti, egli abbia presentato proprio queste tavole che riassumono in maniera chiara ed inequivocabile le sue idee (Fig. 22- 23)42.

37 Ibidem cit. in FRANCESCA CASTELLANI, Interventi strutturali, pp. 133- 134.

38 Di cui purtroppo non abbiamo alcuna riproduzione.

39 ArA, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2140 n. 10, “Proposta intorno alla Cappella del Sacramento

nella Basilica di S. Antonio in Padova”.

40 Ibidem.

41 Ibidem.

42 Le tavole sono già state pubblicate in FRANCESCA CASTELLANI, Il pulpito, p. 120, n. IV. 4 e FRANCESCA

Fig. 22. Camillo Boito, Progetto per il pulpito. Tav. I (tavola composita). Serie 34 – Progetti per il pulpito, n. 34.4.1.

Fig. 23. Camillo Boito, Cappella del Santissimo Sacramento, tav. II (tavola composita). Serie 40 – Progetti di Camillo Boito, n. 40.1.

Nella tavola relativa al pulpito, per esempio, mise a confronto una fotografia del pulpito così come si presentava prima dei lavori, il progetto per il nuovo pulpito, le sue quattro proposte in forma scritta e il dettaglio per la nuova cimasa del pulpito. Nel progetto per la cappella del Sacramento invece, dando molto più spazio alla documentazione storica, inserì alcune fotografie della cappella e una riproduzione di una pianta cinquecentesca della basilica da lui stesso rinvenuta agli Uffizi.

Non dimentichiamo che già Berchet qualche anno prima aveva proposto di realizzare una campagna fotografica che probabilmente non fu mai compiuta. Proprio in questi anni, infatti, dopo la nascita della fotografia, si stava diffondendo l’idea che questo mezzo, proprio per il suo valore documentario, potesse supportare il lavoro dell’architetto restauratore, prima e dopo il suo lavoro. Non è un caso dunque, che terminati i lavori di restauro, Boito abbia deciso di pubblicare un volume nel quale, oltre a riportare alcuni frammenti delle relazioni presentate alla committenza, inserì grandi tavole fotografiche che illustrassero la basilica prima e dopo il suo intervento. L’importanza che Boito diede alla documentazione fotografica è dimostrata anche dal fatto che nei primi anni del ‘900 istituì, a Brera, insieme a Corrado Ricci e a Giuseppe Fumagalli, un grande archivio fotografico che nelle sue intenzioni doveva essere consultabile liberamente e supportare gli studiosi in senso lato, così “grandemente facilitati nel loro lavoro”43.

6.1.3 “PROPOSTA PER LE IMPOSTE IN BRONZO DELLA PORTA MAGGIORE NELLA BASILICA DI S. ANTONIO IN PADOVA”

Appena un mese dopo, il 21 ottobre 1893, Boito consegnò alla Presidenza anche la “Proposta per le imposte in bronzo della Porta maggiore nella basilica di S. Antonio in Padova”44.

43 PINACOTECA DI BRERA, Archivio Antico, parte II, cassetta VII, fascicolo “Riproduzioni fotografiche” cit. in ANDREA STRAMBIO, Profilo documentario della Fototeca di Brera, in Brera. 1899, un progetto di fototeca pubblica per

Milano: il “ricetto fotografico” di Brera, a cura di MARINA MIRAGLIA e MATTEO CERIANA, Milano, Electa, 2000. p

32.

44 “Proposta per le imposte in bronzo della Porta maggiore nella basilica di S. Antonio in Padova”, 21 ott.

1893, in ArA, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2134, n. 53.

Si consideri anche ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, pp. 188- 205, DANILO NEGRI- LAURA SESLER, I

principali interventi nella fabbrica, pp. 139- 140, MARCELLO SALVATORI, Camillo Boito e le sue opere in Padova, pp.

840- 842, FRANCESCO BOCCHINO, Camillo Boito, pp. 163- 164, FRANCESCA CASTELLANI, Le porte in bronzo, pp.

122- 127, CESARE CROVA, Camillo Boito al Santo, pp. 410- 4413, CESARE CROVA, Il cantiere di Sant’Antonio a

Fin da subito, Boito si rese conto che il problema da affrontare era, a differenza del pulpito, soprattutto un fattore estetico; “esse devono piacere all’occhio; e se non piacciono, riesce affatto superfluo il dimostrare quanto sieno, se pur sono, ragionevoli e buone”45. La premessa storica ancora una volta gli offrì la soluzione. Dopo aver chiamato in causa Selvatico che, prima di lui aveva definito lo stile architettonico della basilica “un misto di lombardo, di toscano, di archiacuto e di bizantino”46, egli optò, nel caso delle porte per le porte per uno “stile veneto” formatosi “alla fine del secolo XIV” “sino al mezzo del secolo seguente”.

In nome di una maggiore semplicità, Boito abbandonò pertanto l’idea dei riquadri istoriati e prese come modello di riferimento stilistico e formale gli esempi padovani quattrocenteschi della chiesa degli Eremitani e dei Carmini.

Infine, per venire in contro alle esigenze della committenza che da tempo gli richiedeva, non solo di limitare il tempo d’esecuzione ma anche la spesa, Boito stabilì che alcuni motivi ornamentali del portale fossero ripetuti “affine di limitare il numero dei modelli”. Ancora una volta nessuno dei suoi predecessori aveva affrontato un problema simile a riprova del fatto che Boito conoscesse molto bene, non solo le esigenze della committenza, che dimostrava di aver ben compreso e interpretato, ma anche la vera e propria pratica di cantiere.

È evidente che, grazie alle precedenti esperienze Boito avesse maturato una profonda conoscenza delle dinamiche interne al lavoro di cantiere, sia nella gestione dei rapporti che nella predisposizione dei materiali47.

Come le relazioni precedentemente descritte anche quest’ultima venne arricchita da una fotografia del portale con battenti estremamente semplici, ricoperti di lamine

Nel documento Il palinsesto antoniano, 1830-1940 (pagine 170-192)