5. ALLA VIGILIA DEL CENTENARIO: FRA “RICOMPOSIZIONI” E NUOVI INTERVENT
5.2 I PROGETTI DI CARLO BARBER
5.2.2 L’ALTARE MAGGIORE
Proseguendo con la relazione, Barberi affrontò la questione relativa all’altare maggiore; diversamente da Berchet che aveva semplicemente relegato “la riduzione dell’altare maggiore” nelle “proposte da attuarsi dopo discussione”, il modenese approfondì la questione e descrisse la tipologia di interventi che si proponeva di realizzare.
Ancora una volta Barberi, prima di esporre le proprie idee e descrivere il suo progetto, diede alcune informazioni storiche sull’altare.
Barberi propose anzitutto l’eliminazione del baldacchino barocco e del cosiddetto altarone, la costruzione di un nuovo altare in grado di ospitare le statue di Donatello “in conformità della prima loro destinazione” in accordo con quanto già detto anche da Selvatico. Egli tuttavia propose anche una variante più radicale: suggerì, infatti, di non eliminare la cappella del Crocifisso, come aveva stabilito in precedenza, ma solo affinché essa fosse predisposta per ospitare le statue di Donatello, lasciando la statua del crocifisso nell’arcata di mezzo dell’abside.
In questo modo, in accordo con quanto auspicato da Gonzati e Selvatico79, le statue sarebbero state finalmente riunite e ne sarebbe stata facilitata anche la fruizione non essendo più così lontane e sopraelevate.
Anche in questo caso mancano completamente i progetti tuttavia questa volta non si sa se siano stati effettivamente realizzati.
79 SELVATICO PIETRO,I principali oggetti d’arte esposti al pubblico, p. 188, PIETRO SELVATICO, Guida di Padova e dei
Lo stesso dicasi per le porte; Barberi, infatti, non presentò un progetto e ritenne sufficiente “la riduzione della porta settentrionale in conformità delle due laterali alla facciata, applicando a tutte delle imposte semplici ma in accordo collo stile delle porte stesse”80.
Infine, prima di sviluppare la IV sezione dedicata alla “spesa occorrente per le suindicate modificazioni”, Barberi propose la realizzazione di nuove decorazioni per la basilica, laddove Berchet aveva solo ipotizzato l’eventualità di completare “le parti dove gli antichi dipinti caddero cogli intonaci”81, compiendo così un’operazione culturale completamente nuova. In questa occasione criticò anche l’imbiancatura definendola “un’alterazione gravissima”.
È interessante a questo proposito sottolineare la differenza di approccio, fra i due progettisti, nei confronti della storia, dalla quale entrambi non poterono prescindere in occasione di questi lavori di restauro in quanto simbolo parlante della storia della città e della sua evoluzione.
Per Berchet le informazioni storiche, da lui riportate nella relazione, furono finalizzate alla conoscenza del presunto “stato d’origine”, al quale desiderava ricondurre la basilica. La storia dunque rappresentava per lui il punto di arrivo, la meta cui ambire nella ricostruzione.
Diversamente per Barberi i dati storici, desunti dalle stesse fonti consultate da Berchet, rappresentarono, a nostro giudizio, non il fine ma il presupposto, il punto di partenza. L’analisi e lo studio della storia decorativo-architettonica della basilica, e degli eventi che ne determinarono l’aspetto, gli avrebbero consentito dunque di sviluppare un’immagine della basilica completamente nuova, ma mai disancorata dal suo passato e dalle forme antiche. L’approccio di Barberi, nei confronti del monumento antoniano, si differenzia da quello di Berchet anche per un altro aspetto che, la bibliografia precedente, ha voluto mettere in evidenza82.
Barberi, infatti, proprio per la sua esperienza pregressa come architetto e restauratore di edifici religiosi affrontò il ripristino della basilica del Santo con una consapevolezza diversa rispetto a Berchet. Si trattava di un edificio ecclesiastico83 e
80 BCP, Carteggio Cavalletto, serie 3, Corrispondenza (1864- 1895), b. 122 Arca del Santo, 1892 nov. 30, cit. in
ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, pp. 192- 195.
81 Ibidem.
82 FRANCESCA CASTELLANI, Nel cantiere del Santo, p. 112.
come tale andava trattato. Dell’aspetto religioso Berchet non si occupò minimamente affrontando il restauro al Santo come un intervento su monumento cittadino qualsiasi. Nemmeno con Schmidt era emerso il problema religioso; questo probabilmente perché la committenza, essendo lui stesso un religioso, non aveva temuto in alcun modo che la sua attenzione alla liturgia e ai problemi religiosi venisse meno. Per la prima volta, dunque, dopo il primo tentativo compiuto dai frati in occasione dell’imbiancatura, Barberi sostenne, la priorità delle esigenze liturgiche rispetto alla conservazione della memoria:
“per una chiesa poi destinata al culto e per un santuario come è questa basilica, in cui al di sopra dei pregi artistici stanno le esigenze del culto, non so come si possa pretendere che i fedeli debbano accontentarsi di impedirne la ruina sacrificandone il decoro e la convenienza al gusto degli amatori di cose antiche.” 84
Come già anticipato da Castellani, Barberi mise in risalto le esigenze di culto e il “diritto dei moderni ad un proprio linguaggio espressivo e decorativo”85, ma non entrò mai nel merito del dibattito sull’arte sacra circa le modalità di rappresentazione del tema religioso, tematica che di lì a poco avrebbe provocato la frattura fra artisti d’avanguardia e gerarchie ecclesiastiche. A proposito della nuova decorazione pittorica disse:
“io non mi trovo in grado di tracciare un progetto pittorico, ciò nonostante non posso trattenermi dall’esternare un voto ed è che per tale lavoro si trovino artisti che sieno ben compresi dell’alto scopo della decorazione pittorica di una chiesa e che colla valentia del disegnare e del colorire posseggano pur quella di dare alle rappresentazioni iconografiche quell’espressione religiosa che loro è indispensabile”86.
84 BCP, Carteggio Cavalletto, serie 3, Corrispondenza (1864- 1895), b. 122 Arca del Santo, 1892 nov. 30, cit. in
ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 193. “Non intendo con ciò che nei ristauri di tal genere non si debba tener conto alcuno dei pregi artistici, ma soltanto che non si debbono esagerare le cose al punto da pretendere che le chiese per essere monumentali debbano restare inalterate come fossero oggetti da museo che non si
debbono completare né abbellire”. Cit. in FRANCESCA CASTELLANI, Nel cantiere del Santo, p. 112, n. 15.
85 FRANCESCA CASTELLANI, Nel cantiere del Santo, p. 112.
86 BCP, Carteggio Cavalletto, serie 3, Corrispondenza (1864- 1895), b. 122 Arca del Santo, 1892 nov. 30, cit. in
Non si riferì dunque ad alcuna scuola, corrente o stile. Consapevole che l’arte sacra si trovasse in un momento critico, che perdurava da anni, e che, aggiungiamo noi, con la nascita delle avanguardie avrebbe conosciuto il suo apice, Barberi preferì non prendersi, per il momento, la responsabilità di questa decisione che spettò negli anni successivi a Boito. Un aspetto invece che accomuna le relazioni è il costante riferimento, diretto o meno, dei progettisti, alle idee e agli scritti di Selvatico.
Anche dopo la sua morte, che ricordiamo essere sopraggiunta nel 1880, Selvatico riuscì, come aveva sempre auspicato ad esercitare il proprio controllo sulla basilica di Padova alla quale non era mai riuscito ad accedere direttamente.
Il debito nei suoi confronti non fu mai celato dai progettisti che nelle relazioni citarono più volte il suo nome per legittimare le proprie decisioni.
Anche per Boito, chiaramente, sarà così. Tuttavia nel suo intervento, come dimostreremo in seguito, egli sembrò cercare una mediazione fra i progetti dei due architetti, le idee di Selvatico e le richieste della committenza, le esigenze liturgiche e quelle artistiche. Non si trattò di decisioni prese per convenienza ma frutto di una profonda riflessione sulle tematiche e le questioni affrontate dai suoi predecessori, e tuttavia ancora irrisolte.
5.3 L’INCARICO A BERCHET ATTRAVERSO IL CARTEGGIO ODDO ARRIGONI