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SAN FRANCESCO A BOLOGNA

Nel documento Il palinsesto antoniano, 1830-1940 (pagine 126-128)

4. IL DIBATTITO SUL RESTAURO

4.4 I CANTIERI SIMBOLO

4.4.4 SAN FRANCESCO A BOLOGNA

Anche le vicende storiche che riguardano la basilica di San Francesco a Bologna117 ripercorrono per alcuni aspetti quelle della basilica antoniana.

Dopo le confische napoleoniche e in seguito ai primi restauri compiuti nel 1841, la chiesa venne restituita ai conventuali e riaperta al culto per qualche anno. Nel 1866 adibita ad usi profani, fu trasformata in caserma e magazzino militare118.

Fu soltanto nel 1886 che, terminate alcune trattative con il comune, la chiesa fu riconsegnata alle autorità ecclesiastiche119. Quello stesso anno fu istituita la “Commissione per la fabbrica di S. Francesco”120, guidata da Alfonso Rubbiani, e che si sarebbe dovuta occupare dell’organizzazione dei restauri da compiere in

116 Ibidem.

117 Sulla basilica di San Francesco a Bologna si consideri: ALFONSO RUBBIANI, La Chiesa di San Francesco e le

tombe dei Glossatori in Bologna. Ristauri dall’anno 1886 al 1899, note storiche e illustrative, Bologna, Zamorani e

Albertazzi, 1900, LUIGI GARANI, Il bel San Francesco: la sua storia, Bologna, tip. Luigi Parma, 1948, ALFREDO

BARBACCI, La Basilica di San Francesco in Bologna e le sue secolari vicende, in «Bollettino d’arte», a. XXXVIII, s. 4, f.

1, 1953, pp. 69- 75, ELISA BALDINI, GIUSEPPE VIRELLI, La fabbrica di San Francesco. I restauri della Basilica

bolognese letti attraverso le carte, Bologna, Bononia University press, 2013, ELISA BALDINI,GIUSEPPE VIRELLI, La

fabbrica dei sogni. ‘Il bel San Francesco’ di Alfonso Rubbiani, Bologna, Bononia University press, 2014.

118 ALFREDO BARBACCI, La Basilica di San Francesco, p. 69 cit. in FRANCA IOLE PIETRAFITTA, Il cantiere di San

Francesco e il ruolo delle Istituzioni per la tutela, in La fabbrica dei sogni. ‘Il bel San Francesco’ di Alfonso Rubbiani, a cura

diELISA BALDINI,GIUSEPPE VIRELLI, Bologna, Bononia University press, 2014, pp. 9- 14

119 ELISA BALDINI,GIUSEPPE VIRELLI, La fabbrica di San Francesco. I restauri della Basilica bolognese letti attraverso le

carte, Bologna, Bononia University press, 2013, p. 22.

120 ALFREDO BARBACCI, La Basilica di San Francesco, p. 69 ed anche ELISA BALDINI, Alfonso Rubbiani, la

fabbriceria e la Gilda, in La fabbrica dei sogni. ‘Il bel San Francesco’ di Alfonso Rubbiani, a cura di ELISA BALDINI,

basilica. Come per la basilica antoniana e per il duomo di Modena si trattò di operazioni di restauro che coinvolgevano più elementi dell’edificio.

Le cappelle furono dunque decorate e dotate di altari, cancellate, sculture e dipinti e poiché la basilica, negli anni passati, aveva subito anche alcune alterazioni della struttura architettonica Rubbiani decise di abbattere alcuni muri innalzati nel XV e XVI secolo. Ancora una volta la scelta di Rubbiani fu di restituire alla basilica il suo assetto primitivo “un ristauro che liberi dalle interpolazioni, dai rimaneggiamenti, dalle mutilazioni”121. Nonostante le idee di Boito sul restauro filologico stessero già circolando, egli optò per un altro tipo di intervento:

“È un’opera equivalente all’opera di epurare e ristabilire un testo. È un risalire alla purità e sincerità del documento e del suo spirito”122.

Fu così che, come Selvatico prima dell’operazione di imbiancatura, Rubbiani incentivò alcuni lavori di raschiatura degli intonaci per verificare se all’interno della basilica le pareti presentassero murature a vista o se fossero originariamente affrescati. Dopo aver fatto emergere alcune di queste antiche decorazioni e strutture architettoniche procedette con le reintegrazioni compiendo un’operazione molto simile a quella che sarebbe stata realizzata al Santo.

Dalle tracce di decorazioni policrome del XIII secolo Rubbiani e collaboratori trassero “i motivi più semplici e più ovvii”123 e li reinterpretarono con decorazioni “in stile”. L’incompletezza di alcune di esse, tuttavia, fu sfruttata da Rubbiani come pretesto per inventare. Egli giustificando la sua posizione, chiamò anche in causa motivazioni di tipo religioso, come fece anche Barberi quando tentò di accedere al Santo:

“Se il San Francesco importasse solo alla archeologia, il concetto di una conservazione pura e semplice delle piccole traccie dell’antica decorazione poteva liberamente prevalere. Ma la destinazione di una chiesa appartiene ad un

121 ALFONSO RUBBIANI, Scritti vari e inediti, Bologna, Tipografia Cappelli, 1925, p. 164 cit. in ALFREDO BARBACCI, La Basilica di San Francesco, p. 69.

122 Ibidem

123 ALFONSO RUBBIANI, La Chiesa di San Francesco e le tombe dei Glossatori, p. 72 cit. in ELISA BALDINI,Alfonso

Rubbiani direttore dei restauri,in La fabbrica di San Francesco. I resaturi attraverso le carte, a cura di ELISA BALDINI,

ordine più elevato di idee e permane costante a favore del popolo religioso, sicché questo, a cui ripugnerebbe giustamente di tenere una rovina come testimonio di un sentimento sempre vivente, può pretendere il decoro del tempio, e che esso risponda all’immanente ed alto scopo di aiutare la religiosità delle moltitudini, abbracciandole con un’atmosfera armoniosa di linee, di colori, di suoni che interrompa negli animi la continuità della vita esteriore ; e dia o quiete, o contento, o affettività, o elevazione di pensieri”124.

Anche Rubbiani come Boito e Barberi prima di lui, prima di intervenire, condusse studi approfonditi sulle carte d’Archivio125. Rubbiani funse pertanto da vero e proprio direttore dei lavori126, stesso ruolo che fu svolto in parte prima da Valentino Schmidt e poi più compiutamente dallo stesso Boito al Santo, determinando l’orientamento dei restauri grazie al coinvolgimento e la condivisione delle sue teorie con un gruppo di artisti ed artigiani riunitisi in una sorta di corporazione medievale: la Gilda di San Francesco. Il gruppo composto, fra gli altri, anche da Achille Casanova e Edoardo Collamarini, che non a caso rivedremo protagonisti anche al Santo, costituirà anche il nucleo originario della futura Aemilia Ars127 che rinnovò, sul modello delle Arts & Crafts di William Morris, le arti decorative locali.

Nel documento Il palinsesto antoniano, 1830-1940 (pagine 126-128)