2. LA BASILICA DEL SANTO NELL’800 FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE: I PRIMI CANTIER
2.5 LA VENERANDA ARCA DI SANT’ANTONIO E LA COMMISSIONE CONSERVATRICE PER I MONUMENTI DI PADOVA
Nel 1858 la Veneranda Arca approvò una serie di lavori fra i quali ricordiamo158 il completo rifacimento delle gradinate che consentivano l’accesso all’altare di Sant’Antonio159, l’eliminazione della predella dell’altare stesso e di quello della cappella della Madonna Mora160.
Anche la cappella di San Felice fu sede di numerosi interventi: furono pulite statue ed altare, eliminato il “pezzo d’Istria della platea”, consolidata la balaustra e realizzate, per le due piccole finestre, delle invetriate a lamine di metallo colorato161.
157 GIULIA FOLADORE, Cronotassi dei massari, presidenti, amministratori dell’Arca (1430- 1951), in Archivio della
Veneranda Arca di S. Antonio. Inventario, a cura di GIORGETTA BONFIGLIO DOSIO e GIULIA FOLADORE,
Padova, Veneranda Arca di S. Antonio e Centro studi antoniani, vol. I, 2017, pp. 87- 88.
158 A questo proposito si consideri DANILO NEGRI –LAURA SESLER, I principali interventi nella fabbrica, pp. 125-
171.
159 Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2028, n. 1-2.
160 ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 190.
161 ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 190, ASP, Commissione Conservatrice dei pubblici monumenti, b. N 3249, fasc. 37, «1858», lettera dalla Commissione Conservatrice alla Delegazione di Padova del 7 feb. 1858, ed anche Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2028, n. 1.
Forse consapevole che questi nuovi lavori, a differenza dei precedenti, avrebbero modificato, in parte, l’assetto della Basilica e di alcuni dei suoi ambienti più caratteristici, come la cappella dell’Arca o quella di San Felice, la Veneranda Arca, decise di realizzarli senza interpellare le autorità competenti.
Nonostante, infatti, fra i compiti spettanti alla Veneranda Arca ci fosse la gestione e la conservazione del patrimonio della basilica, essa avrebbe dovuto interpellare la Commissione Conservatrice per i monumenti162 prima di portare a termine qualsiasi lavoro di restauro. La Commissione Conservatrice era, infatti, l’unico organo che poteva autorizzare la messa in opera di interventi di restauro a Padova, nonostante la sua scarsa efficacia, dovuta alla lentezza con cui si prendevano provvedimenti e alla mancanza di fondi che ne limitavano qualsiasi iniziativa.
Probabilmente la scelta di non interpellare la Commissione Conservatrice dei monumenti fu determinata in primis dall’inattività della vecchia istituzione, tanto che Selvatico più volte aveva insistito sul ripristino di questo organo per la tutela163, ma anche dal fatto che, qualche anno prima, e precisamente nel 1854, la stessa Commissione non aveva approvato alcuni lavori proposti dalla Veneranda Arca164. La presidenza165 in quell’occasione si era, infatti, rivolta alla Commissione per una serie di lavori da realizzare per la sistemazione dell’altare maggiore166.
In particolare, si trattava del “lievo delle cinque statue” di Donatello dal coro, il “disfacimento dell’altarone in fondo al coro” e il riposizionamento delle statue sull’altar maggiore167. Questo intervento avrebbe dovuto riparare, secondo la presidenza, allo smantellamento dell’altare maggiore, detto di Donatello, avvenuto prima nel 1579, quando Girolamo Campagna e Cesare Franco fuorno incaricati di realizzare un altare completamente nuovo, ed in seguito nel 1668168.
162 A proposito della Commissione Conservatrice si consideri quanto detto nei paragrafi precedenti.
163 ALEXANDER AUF DER HEYDE,Per l’«avvenire dell’arte in Italia», pp. 115- 118 ed anche TIZIANA SERENA,
Note sulla documentazione e conservazione dei «monumenti», pp. 105- 113. 164 CLAUDIO POPPI, Gli interventi “moderni” nella basilica del Santo, p. 194.
165 La Veneranda Arca allora era composta da padre Antonio Stenghel, padre Antonio Isnenghi, Angelo Leali,
Giuseppe Cristina e Francesco Dondi dell’Orologio. Si veda anche GIULIA FOLADORE, Cronotassi dei massari,
presidenti, amministratori dell’Arca, p. 88.
166 Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2053 ed anche ASP, Commissione Conservatrice dei pubblici
monumenti, b. N 3249, fasc. 35, «Atti 1854», verbale del sopralluogo della Commissione Conservatrice dell’8
lug. 1854 cit. in ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 189- 190.
167 Ibidem.
Nel 1668 il grande altare, realizzato nel 1579, fu smontato; il suo tabernacolo (Fig. 6) fu sistemato presso la cappella Gattamelata, oggi denominata del Santissimo Sacramento, mentre il grande arco che sormontava il tabernacolo fu spostato dal presbiterio e rifatto sulla cantoria169.
Fig.6. Tabernacolo dell’altarone. Padova, Biblioteca Antoniana, ante 1894.
L’arco non fu ricomposto analogamente, ma subì alcune modifiche grazie all’intervento dello scultore Matteo Gauro Allio, e probabilmente anche del fratello Tommaso
“il quale per andare a’ gusti del secolo sostituì altre più barocche foggie […] le statue di bronzo del Donatello furono trasferite coll’altare sopra il coro […] in luogo del tabernacolo vi fu collocato il Crocifisso di bronzo” 170.
169 ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 255.
170 Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.2053. n. 2 cit. in ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p.
Nel 1751, l’altare dei fratelli Allio171 (Fig. 7) fu inoltre arricchito di un baldacchino progettato da Giovanni Gloria e al centro del quale fu collocata una tela di Gaspare Diziani con l’Eterno Padre tra san Francesco e Sant’Antonio172.
Fig.7. Veduta del presbiterio prima dell’intervento boitiano, ante 1895. CAMILLO BOITO, L’altare di Donatello e le altre opere nella Basilica Antoniana, p. 55.
Nel ‘54 la Commissione173, dopo un sopralluogo, ritenne non conveniente “disfare l’altarone” per motivi puramente estetici in quanto, con la sua presenza, l’altare “mitigava” “la pesantezza” degli organi laterali al coro174.
Tuttavia, ritenne opportuna l’idea di spostare le statue di Donatello, nonostante l’altare fosse il luogo dove originariamente l’artista fiorentino le aveva collocate.
171 Si vedano le foto pubblicate in CAMILLO BOITO, L’altare di Donatello e le altre opere nella Basilica Antoniana di
Padova compiute per il Settimo Centenario dalla nascita del Santo a cura della Presidenza della Veneranda Arca, 1897, Milano, Hoepli.
172 ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, pp. 248- 250, si veda la scheda di catalogo in FABRIZIO MAGANI,
Dipinti, in Basilica del Santo. Dipinti, Sculture, Tarsie, Disegni e Modelli, a cura di GIOVANNI LORENZONI, ENRICO
MARIA DAL POZZOLO, Padova, Centro Studi Antoniani, 1995, pp. 185- 186.
173 La commissione all’epoca era costituita da Achille de Zigno, podestà e presidente della Commissione,
Lodovico Menin, professore e vicepresidente, Alessandro Papafava, Nicolò de Lazara, Giacomo Barbieri,
Giovan Battista Traversi e Giuseppe Bisacco, cit in ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 189. Sulla
Commissione Conservatrice invece si consideri VINCENZA CINZIA DONVITO, La Commissione Conservatrice dei
monumenti, pp. 62- 64.
Queste avrebbero dovuto essere poi riunite, come un tempo, per dare la possibilità ai visitatori della basilica di vederle “comodamente”175.
Del nuovo altare dei fratelli Allio molti lamentavano da tempo proprio il fatto che le statue fossero, non soltanto lontane alla vista dei fedeli e visitatori, ma anche e soprattutto distanti fra loro. Questa idea che le statue fossero mal collocate fu avanzata in primis da Selvatico nella guida del 1842 e in seguito in quella del ‘69:
“Il Crocefisso di bronzo nella nicchia di mezzo, non che le cinque statue rappresentanti Maria Vergine col bambino ed i quattro santi protettori di Padova, sono opere del Donatello, collocate troppo alto perché si possano pregiare come meritano”. 176
“le statue che lo decorano figuranti il Crocefisso, la Vergine e li santi Francesco, Antonio, Daniele e Giustina, sono belle opere in bronzo del Donatello, che le aveva modellate per altezza ben minore, ciò per l’antico altare. Ne segue da ciò, che l’occhio non ne discerna i pregi di dettaglio, sempre prevalenti a quelli di massa nei lavori dell’immortale statuario”177.
Anche padre Bernardo Gonzati, provinciale dei Minori Conventuali, nel volume che nel 1852 dedicò alla Basilica di Sant’Antonio di Padova, sottolineò il problema della fruizione delle statue.
“E l’altare del Campagna rimase a sito sino al 1668, quando per l’irrequieta smania di novità che possedeva i nostri padri del Seicento, fu trasferito dove ora si vede da Matteo Gauro Allio milanese […] Ma si fece ancora peggio! Sei pregiatissimi bronzi che il Donatello gittava per l’altar maggiore furono trasferiti là su in alto, e nascosti direi quasi entro a nicchie, ove l’occhio, se vede, non può discernere e giudicare”178.
175 ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 255.
176 SELVATICO PIETRO,I principali oggetti d’arte esposti al pubblico, p. 188. 177 PIETRO SELVATICO, Guida di Padova e dei suoi principali contorni, pp. 85- 86. 178 BERNARDO GONZATI, La basilica di Sant'Antonio di Padova, vol. I, p. 151.
Nel 1858, dunque, quando la Commissione venne a conoscenza di alcuni lavori autorizzati dall’Arca, senza il suo placet, si giunse pertanto al momento di maggiore tensione fra gli amministratori cittadini e quelli della basilica179.
La Commissione Conservatrice dei monumenti infatti intimò alla Veneranda Arca di
“rimettere all’altare della cappella di S. Antonio l’antica gradinata, […] di rimettere le primitive predelle marmoree degli altari di S. Antonio e della madonna degli Orbi, […] di levare i colori alle invetriate dai finestrini della cappella di S. Felice, […]” ma soprattutto di “non mettere mano in seguito ad alcun monumento dalla basilica di Sant’Antonio, senza aver prima consultato la scrivente commissione e stabilito con essa le operazioni da farsi”180.
I contrasti fra la Commissione e la Veneranda Arca, erano probabilmente dovuti anche alla particolare natura dell’ente che, nel corso degli ultimi decenni, aveva subito alcune modifiche sostanziali.
Non va dimenticato, infatti, che, grazie al Decreto napoleonico del 30 dicembre 1809181, la Veneranda Arca, come le altre fabbricerie nazionali, era stata dichiarata ente laico. Fu proprio la natura prevalentemente laicale della Veneranda Arca a favorire la salvaguardia di tutti i beni gestiti dall’Arca fra i quali va menzionato anche l’Archivio storico; quest’ultimo, rimanendo integro e stratificandosi nei secoli, garantì la costituzione di un patrimonio documentario senza eguali182.
A differenza della Veneranda Arca invece il convento fu più volte soppresso, i frati costretti ad abbandonare le proprie stanze e l’intero complesso documentale, dopo aver subito numerosi trasferimenti, che ne compromisero l’integrità, fu indemaniato (oggi conservato presso l’Archivio di Stato)183.
179 CLAUDIO POPPI, Gli interventi “moderni” nella basilica del Santo, pp. 193- 195.
180 ASP, Commissione Conservatrice dei pubblici monumenti, b. N 3249, fasc. 37, «1858», lettera dalla Commissione
Conservatrice alla Delegazione di Padova del 7 feb. 1858, cit. in ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 190.
181 FRANCESCO MARGIOTTA BROGLIO, Le fabbricerie tra configurazione napoleonica e tentazioni anglosassoni, in La
natura giuridica delle fabbricerie, Giornata di studi (Pisa 4 maggio 2004), Pontedera, Bandecchi & Vivaldi, 2005, p.
21 cit. in GIORGETTA BONFIGLIO-DOSIO, La Veneranda Arca di S. Antonio, p. 7.
182 GIORGETTA BONFIGLIO-DOSIO, La Veneranda Arca di S. Antonio, pp. 1- 15.
183 Si consideri quanto detto in GIORGETTA BONFIGLIO-DOSIO, Criteri di riordino e di descrizione inventariale, in
Archivio della Veneranda Arca di S. Antonio. Inventario, a cura di GIORGETTA BONFIGLIO DOSIO e GIULIA
I Presidenti laici furono anche incaricati di gestire quelle funzioni amministrative di governo della basilica che in precedenza erano state attribuite all’Ordine e di vigilare la conservazione degli edifici sacri. Ma soprattutto i religiosi furono estromessi dal consiglio di presidenza.
In seguito ad un dissesto finanziario che colpì la Veneranda Arca proprio nel 1847184, tuttavia, era stato promulgato un decreto secondo il quale in sostituzione “degli amministratori nobb. Francesco de Buzzacarini e Michiele Dondi dell’Orologio che hanno già compiuto il loro quinquennio” dovevano essere nominati due religiosi, rispettivamente il guardiano padre Antonio Stengel e padre Antonio Isnenghi, minore conventuale”185.
A questi sarebbe spettato il compito di supervisionare l’attività della Veneranda Arca allo scopo di eliminare “gli abusi”, impedire “le distrazioni” e prevenire “molte inutili spese”186. La gestione economica della basilica tornò pertanto nelle mani dei clericali. Nel 1855, inoltre, era anche stato emanato un concordato fra stato e chiesa, ma soprattutto fu pubblicato il Regolamento per l’amministrazione dei beni ecclesiastici.
Secondo questo documento “la suprema direzione e sorveglianza
dell’amministrazione dei beni delle Chiese e delle pie fondazioni appartenenti alle medesime” era esclusiva dei Vescovi187.
L’art. 6 di tale regolamento prevedeva inoltre che “le fabbricerie fossero composte per lo meno di tre persone di nota capacità e probità e dal parroco locale” che ne era il presidente. Egli poteva addirittura esautorare completamente tutto il consiglio di fabbriceria.
Fu forse a causa di questa presenza dei religiosi fra i membri della Veneranda Arca che la Commissione Conservatrice dei monumenti ed il governo asburgico cercarono, nel 1858, di limitare l’autonomia decisionale dell’ente.
Probabilmente temevano che l’Arca potesse perdere il suo privilegio acquisito di ente laico e al contempo temevano che la municipalità padovana avrebbe, di conseguenza, perso il suo controllo sull’istituzione e sulla basilica stessa.
184 Ara, Serie 2 - Parti e atti, reg. 2.71, c. 1, delibera presa il 24 agosto 1847, n. 217-218 cit. in GIORGETTA
BONFIGLIO-DOSIO, La Veneranda Arca di S. Antonio, p. 8.
185 Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.4, n. 1.
186 Ara, Serie 24 - Carteggio otto-novecentesco, fasc. 24.4, n. 15.
187 Regolamento per l’amministrazione dei beni ecclesiastici, Venezia, 1862, cit. in GABRIELE DE ROSA, La crisi della
parrocchia nel veneto dopo il 1866, in Fonti e ricerche di storia ecclesiastica padovana, vol. I, Padova, Istituto per la storia ecclesiastica padovana, pp. 207- 221.
In questa occasione la Commissione, citando il regolamento ribadì che “I monumenti di privato diritto, allorché si trovano esposti alla pubblica vista dipendono per ciò che riguarda la loro conservazione e decenza dalla commissione. S’intendono esposti alla pubblica vista e particolarmente e perciò dalla commissione dipendono anche i monumenti esistenti in chiesa” 188.
Non dimentichiamo che tra i compiti principali della Commissione centrale vi era anche quello di sensibilizzare il clero, spesso ignorante di fatti storico- artistici, nei confronti del patrimonio che esso gestiva. L’operatività della Commissione era peraltro limitata dallo stesso concilio tra stato e chiesa che attribuiva una maggiore autonomia agli enti ecclesiastici. Ai conservatori, dunque, spesso non restava altro che pubblicizzare e far conoscere la situazione dei beni, ma senza un’effettiva leva giuridica189.
188 ASP, Commissione Conservatrice dei pubblici monumenti, b. N 3249, fasc. 37, «1858», lettera dalla Commissione
Conservatrice alla Delegazione di Padova del 7 feb. 1858, cit. in ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 190.