4. IL DIBATTITO SUL RESTAURO
4.4 I CANTIERI SIMBOLO
4.4.1 LA CATTEDRALE DI FIRENZE
Uno dei cantieri ottocenteschi più noti, e trattati dalla bibliografia, è certamente quello per la facciata di Santa Maria del Fiore di Firenze90.
Il dibattito, sullo stile da utilizzare per il fronte della cattedrale, ebbe origine nel 1842 quando l’architetto marchigiano Niccolò Matas, che da poco aveva ultimato la facciata per la chiesa di Santa Croce sempre a Firenze, presentò un primo progetto in stile neogotico. Il disegno, un grande olio su tela, fu presentato al pubblico ed esposto a Palazzo Vecchio nel 1843 ottenendo pareri positivi anche da parte della critica. Allo stesso modo avrebbe proceduto, negli anni ‘90, la Veneranda Arca.
87 CAMILLO BOITO, L’architettura della nuova Italia, in «Nuova Antologia», XIX, 1872, pp. 755- 773, CAMILLO
BOITO, Architettura del Medio Evo in Italia, con una introduzione sullo stile futuro dell'architettura italiana, Milano,
Hoepli, 1880, cit. in GUIDO ZUCCONI, L'invenzione del passato, pp. 150- 151 ed anche GUIDO ZUCCONI,
Camillo Boito, un’archeologia per il futuro, pp. 3- 8.
88 Ibidem.
89 GUIDO ZUCCONI, L'invenzione del passato, pp. 150- 151.
90 Per una ricostruzione completa della vicenda si consideri MAURO COZZI, Pietro Selvatico e il progetto per la
facciata di Santa Maria del Fiore, in Il Neogotico nel XIX e XX secolo, a cura di ROSSANA BOSSAGLIA E VALERIO
TERRAROLI, atti del convegno (Pavia 25- 28 settembre 1985), vol. I, Milano, Mazzotta, pp. 307- 316, COSTANZA TRAVAGLINI, La facciata di santa Maria del Fiore: dialogo ottocentesco tra preesistenze e progetto storicistico, a
cura di ROSSANA BOSSAGLIA E VALERIO TERRAROLI, atti del convegno (Pavia 25- 28 settembre 1985), vol.
II, Milano, Mazzotta, pp. 317- 326, CARLO CRESTI, MAURO COZZI, GABRIELLA CARAPELLI, Il Duomo di
Firenze 1822-1887. L’avventura della facciata, Firenze 1987 ed anche GUIDO ZUCCONI, L’invenzione del passato, pp.
Tornando a Firenze, in sostegno del suo progetto, l’architetto Matas pubblicò un opuscolo dal titolo Dimostrazione del progetto per compiere colla facciata l’insigne basilica di S.
Maria del Fiore metropolitana della città di Firenze91.
Con questo volumetto Matas ebbe l’occasione di presentare le proprie idee e soluzioni oltre ai “voti delle insigni Accademie”, “di varii distinti professori e architetti e cultori di belle arti”92 e della critica giornalistica.
L’importanza di questa operazione di carattere pubblicitario sarà compresa anche da Boito che a conclusione dei lavori realizzati al Santo pubblicò, in un unico volume, alcuni dei suoi progetti approvati e realizzati in basilica.
Nonostante la notorietà raggiunta dalla sua ipotesi di un coronamento tricuspidale, il progetto di Matas, non fu mai realizzato e si decise che, come di consuetudine, a stabilire chi si sarebbe occupato di questo lavoro sarebbe stato un concorso.
I tre concorsi indetti nel 186393, nel 1865 ed infine nel 1867 misero subito in evidenza quale fosse il problema da risolvere ovvero quale forma dare al coronamento. Le soluzioni, che si rifacevano a diverse teorie sull’origine della chiesa, furono sostanzialmente due: coronamento tricuspidato o basilicale94.
La vittoria del progetto tricuspidale di De Fabbris, in occasione dell’ultimo concorso, sebbene le accademie italiane si fossero schierate a favore del coronamento basilicale, fu determinata proprio dalla presenza di Selvatico.
Nonostante un problema agli occhi, che gli causò una forma di cecità provvisoria, Selvatico non rinunciò alla sua battaglia manovrando la scelta dei commissari oltre che dell’architetto progettista. Lo scontro aperto con Selvatico offrì a Boito
91 NICCOLÒ MATAS, Dimostrazione del progetto per compiere colla facciata l’insigne basilica di S. Maria del Fiore
metropolitana della città di Firenze, Firenze, coi tipi di M. Cellini e co., 1859 cit. in CARLO CRESTI,MAURO COZZI,
GABRIELLA CARAPELLI, Il Duomo di Firenze 1822-1887, p. 294
92 NICCOLÒ MATAS, Dimostrazione del progetto per compiere colla facciata l’insigne basilica di S. Maria del Fiore, pp. 19- 73.
93 La giuria del primo concorso è composta dagli architetti Enrico Alvino, Alessandro Antonelli, Gaetano
Baccani, Camillo Boito, Pietro Camporese, Fortunato Lodi e Andrea Scala in qualità di rappresentanti delle Accademie nazionali.
94 Nel caso della facciata di S. Maria del Fiore ebbe un ruolo fondamentale la politica degli stili architettonici.
Per i goticisti tricuspidali andava valorizzato l’intervento di matrice germanica di Arnolfo di Cambio, che secondo loro doveva aver seguito soluzioni coeve come nelle cattedrali di Siena e Orvieto, mentre per i classicisti- basilicali dovevano essere valorizzate le radici romanze e tardo romane della chiesa, si consideri GUIDO ZUCCONI, L’invenzione del passato, p. 119, n. 57. Con i goticisti- tricuspidali si schierò anche Selvatico, come sappiamo più legato al tardo medioevo, come il maestro Jappelli e alle forme ogivali. In questa occasione il marchese influenzò moltissimo il progetto presentato da Emilio De Fabris spostando gli interessi dell’architetto verso un medievalismo di matrice più filologica. Fra i classicisti- basilicali invece si schierò Boito opponendosi così al suo maestro. In particolare, si consideri il carteggio fra Selvatico e De Fabris cit. in MAURO COZZI, Pietro Selvatico e il progetto per la facciata di Santa Maria del Fiore, pp. 309- 310. Nel carteggio fra i
l’occasione di ragionare sulle modalità di intervento del maestro. In particolare Boito si trovò a criticare non tanto la scelta stilistica in sé quanto il metodo applicato95. Boito, infatti, condivideva con la dialettica hegeliana l’idea che, per la collocazione di un oggetto-monumento, occorresse definire le coordinate storico- stilistiche prima di intervenire. Cosa che non era stata fatta da De Fabbris né tantomeno da Selvatico. La soluzione di Selvatico, ritenuta dall’allievo incompleta, trattandosi solo del restauro della facciata, infatti, non si basava su un’indagine storica e archeologica96 e tantomeno su un criterio di restauro oggettivo come quello che lui avrebbe applicato al Santo. Fu proprio in questa sede Boito che iniziò a concepire la storia come complemento della progettazione e a comprendere il nesso in grado di legare l’arte alla tecnica, lo stile alla società e al tempo in cui era stato utilizzato. Boito insistendo sulla necessità di non fermarsi alla sola veste decorativo- ornamentale della facciata, di trovare i nessi fra questa e il suo interno, ma anche sul ruolo del monumento- edificio di testimone dell’evoluzione storica, sviluppò il suo concetto di organismo architettonico97.