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FEDERICO BERCHET E CARLO BARBER

Nel documento Il palinsesto antoniano, 1830-1940 (pagine 113-118)

4. IL DIBATTITO SUL RESTAURO

4.3 IL DIBATTITO AL SANTO: GLI ANNI ‘

4.3.1 FEDERICO BERCHET E CARLO BARBER

Fu così che in occasione di un’ulteriore seduta di presidenza, tenutasi il 25 agosto di quello stesso anno, egli si espresse affinché il lavoro fosse affidato ad un “ingegnere competente” e fece il nome di Federico Berchet63.

Poco tempo prima, tuttavia, era stato interpellato anche il modenese Carlo Barberi64. I due progettisti65, all’epoca, erano figure di spicco rispettivamente come direttore

60 BCP, Carteggio Cavalletto, serie 3, Corrispondenza (1864- 1895), b. 122 Arca del Santo, 1893 gen. 2, cit. in

ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 195- 196.

61 Ibidem.

62 Ibidem.

63 ArA, Serie 2- Parti e atti, 2.80, c. 73, delibera presa il 25 ago. 1892, n. 258.

64 Carlo Barberi nacque a Manaro sul Panaro (MO) nel 1827. Fu anche consigliere comunale a Modena dove

morì nel 1909. Si veda ALBERTO BARBIERI, A regola d’arte: pittori, scultori, architetti, fotografi, scenografi, ceramisti,

galleristi e storici dell’arte nel modenese dell’Ottocento e del Novecento, Modena, Mucchi editore, 2008, p. 25.

Presso la Biblioteca Civica “Luigi Poletti” a Modena è conservato un fondo a suo nome nel quale sono raccolti carteggi e amministrazioni dei principali cantieri presso i quali lavorò. Fra questi è consultabile anche un fascicoletto con documentazione relativa alla basilica di Sant’Antonio a Padova, minute di corrispondenza, preventivi di spese e appunti vari. I documenti non sono ordinati.

dell’Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti, e architetto responsabile dei restauri coevi del Duomo di Modena.

Per quanto concerne Berchet, egli si formò come architetto alla scuola di Selvatico che fu per lui costante punto di riferimento nelle scelte metodologiche e stilistiche. Frequentò, infatti, l’Accademia di Venezia dopo la riforma apportata dal marchese che coinvolse anche il corso di architettura66.

La riforma prevedeva l’osservazione diretta dei monumenti, la conoscenza delle accademie europee, specialmente di area tedesca, l’attenzione per i materiali, il ruolo del disegno, la valorizzazione della storia dell’arte, da lui denominata storia estetico- critica delle arti del disegno67, l’attenzione ai temi del genius loci68.

Selvatico riformulò in particolare il disegno elementare introducendo, per tutti, architetti o meno un disegno non più imitativo, ma basato sulla geometria da lui concepita come una grammatica della forma. Il disegno divenne così vero e proprio strumento di cognizione per gli artisti.

Fu sempre sulla scia di Selvatico che Berchet affrontò uno dei suoi lavori più noti: il restauro del Fondaco dei Turchi a Venezia.

In particolare, il progetto di Berchet fu influenzato da uno studio monografico sul Fondaco dei Turchi, pubblicato da Agostino Sagredo e Pietro Selvatico nel 186069.

65 Si consideri veda DANILO NEGRI -LAURA SESLER I principali interventi nella fabbrica, pp. 136- CLAUDIO

POPPI, Gli interventi “moderni” nella basilica del Santo, pp. 194- 196, FRANCESCA CASTELLANI, Nel cantiere del

Santo, pp. 111- 118, CESARE CROVA, Camillo Boio al Santo, pp. 408- 409, CESARE CROVA, Il cantiere di

Sant’Antonio a Padova, pp. 45- 47.

66 Si veda TIZIANA SERENA, La riforma didattica del corso per gli ingegneri architetti, pp. 181- 190 e GUIDO

ZUCCONI, L’invenzione del passato, p. 146.

67 Queste riforme riflettono in parte le iniziative coeve delle accademie germaniche ed austriache, ma anche

modelli francesi ed inglesi. Si consideri ancora una volta TIZIANA SERENA, La riforma didattica del corso per gli

ingegneri architetti, pp. 181- 190, GUIDO ZUCCONI, L’invenzione del passato, p. 146, VITTORIO FORAMITTI, Il

tempietto longobardo nell'Ottocento, p. 28 ed anche ALEXANDER AUF DER HEYDE,Per l’«avvenire dell’arte in Italia»,

pp. 147- 252, ALEXANDER AUF DER HEYDE, Disegno geometrico e storia dell’arte nell’accademia di Pietro Selvatico

(1849-1859), in L’Accademia di Belle Arti di Venezia. L’Ottocento, a cura di NICO STRINGA, Crocetta di Montello,

Antiga edizioni, vol. II, 2016, pp. 107- 118, ANTONELLA BELLIN,ELENA CATRA, L’Accademia di Belle Arti di

Venezia e la riforma di Pietro Selvatico (1849- 1859), in Pietro Selvatico e il rinnovamento delle arti nell’Italia dell’Ottocento,

Atti del convegno (Venezia 22- 23 ottobre 2013), a cura di ALEXANDER AUF DER HEYDE, MARTINA

VISENTIN,FRANCESCA CASTELLANI, Pisa, Edizioni della Normale, 2016, pp. 419- 447.

68 Secondo Selvatico gli architetti dovevano essere capaci di progettare non solo sulla carta; dovevano essere

in grado di inserire i nuovi monumenti nel contesto urbano. Ibidem.

69 Sulla questione si consideri GUIDO ZUCCONI, Il rifacimento del Fondaco dei Turchi nella Venezia del secondo

ottocento, in «Territorio», n. s., 68 (2014), pp. 99- 107 ed anche CHIARA FERRO, Restaurare, ripristinare,

abbellire...episodi veneziani di Giovanbattista Meduna e Federico Berchet, in La città degli ingegneri, a cura di FRANCA

COSMAI,STEFANO SORTENI, Venezia, Marsilio, 2005, pp. 107- 113 cit. in ELISABETTA CONCINA, Il «palagio

traforato». La Cà d'Oro e il problema della conservazione nella Venezia del secondo Ottocento, tesi di dottorato in Storia delle Arti, rel. Guido Zucconi, Michela Agazzi, Università Cà Foscari Venezia, a.a. 2015- 2016.

Mentre Sagredo fu autore di un’analisi storica dell’edificio che mise in luce la sua genesi e le vicende costruttive, Selvatico nella sua Memoria definì alcune linee guida per un eventuale lavoro di restauro70.

Analizzando e descrivendo l’edificio, Selvatico lo collocò tra i quattro principali monumenti di Venezia e suggerì che, in occasione delle operazioni di ripristino, la storia dell’edificio e la sua forma architettonica fossero trattati separatamente. Il tentativo di Berchet di ricostruire la facciata “rimettendola allo stato suo originario” si rivelò vano poiché le pessime condizioni in cui versava l’edificio ne minavano la staticità. Fu così che, nel 1862, optò per una completa ricostruzione, condotta “seguendo uno scrupoloso ripristino storico con l’aggiunta di integrazioni stilistiche”71. Anche in veste di direttore dell’Ufficio Regionale Veneto, ente istituito a partire dal 1891, Berchet influì sulle attività di tutela.

Anche Barberi fu commissario dell’Ufficio di Conservazione per la Provincia di Modena. Figura ancora oggi poco studiata72, Barberi, probabilmente, fu scelto in quanto già specializzato nella costruzione e restauro di edifici ecclesiastici e membro dell’Ufficio regionale di Modena.

Dopo essersi arruolato da giovane nel corpo degli Zuavi Pontifici aveva deciso di dedicarsi all’architettura religiosa. Fra le sue costruzioni ricordiamo le chiese di San Cataldo, Maranello, Castelvetro, Levizzano. Si occupò anche di restauri, tra cui quello del castello di Monfestino, dell’Albergo delle Arti (attuale Palazzo dei Musei) e della Chiesa di Sant’Agostino a Modena73.

Quando Barberi fu chiamato dalla Veneranda Arca si stava ancora occupando di un lavoro che impegnò molti anni della sua carriera ovvero il restauro del Duomo di Modena74. La sua attenzione ai materiali, alla distinzione fra preesistenze e nuovi interventi ci consentono di dichiarare con certezza che non si allontanò molto dal restauro filologico di Boito.

70 ALEXANDER AUF DER HEYDE,Per l’«avvenire dell’arte in Italia», p. 229. 71 DARIO LUGATO, Berchet fra ripristino e conservazione, p. 338.

72 Da segnalare che a Modena, presso la Biblioteca civica d’arte Luigi Poletti, è conservato, ma non ordinato,

l’Archivio Carlo Barberi.

73 ALBERTO BARBIERI, A regola d’arte, p. 25.

74 CRISTINA ACIDINI LUCHINAT,La Commissione provinciale e i programmi dei restauri, inI restauri del Duomo di

Modena 1875- 1954, a cura di CRISTINA ACIDINI LUCHINAT,LUCIANO SERCHIA,SERGIO PICONI, Modena,

Poiché si occupò maggiormente di edifici ecclesiastici Barberi sviluppò una profonda attenzione oltre che per il valore storico e didascalico del monumento, per gli aspetti liturgici della “convenienza” e del “decoro”75.

Considerando quanto è emerso in precedenza, soprattutto a proposito del ruolo assunto da Boito a Padova, stupisce che la Veneranda Arca non abbia pensato fin da subito di rivolgersi ancora una volta a lui all’inizio degli anni ‘90.

Probabilmente la decisione di rivolgersi a Berchet e Barberi fu motivata, prima di tutto da questioni economiche. Ricordiamo infatti che il progetto di Boito del ‘77 era stato scartato perché eccessivamente dispendioso, ma anche per questioni di opportunità. I difficili rapporti con il Ministero e con la Commissione Conservatrice quasi certamente spinsero l’ente antoniano a rivolgersi soprattutto a Berchet convinti della garanzia di successo dato che, come già evidenziato da Castellani “chi opera è lo stesso che controlla”76. Su questo aspetto tuttavia Berchet sarà destinato a deludere la Veneranda Arca.

Dai documenti conservati presso l’Archivio della Biblioteca Civica di Padova, nel carteggio Cavalletto, emerge che la scelta della Veneranda Arca cadde su Berchet, non solo “per la sua nota valentia”77, e per le garanzie istituzionali fra cui appunto il fatto che Berchet presiedesse la Commissione Regionale dei pubblici monumenti78 garantendo così l’appoggio di un “potente ausiliario presso il regio ministero” ma e soprattutto per ragioni politiche che videro ancora una volta il mondo cattolico opporsi a quello laico. La scelta fra Berchet e Barberi, infatti, non fu così immediata. Prima che i due architetti presentassero i loro progetti fra 1891 e 1892 vi era stato un avvicendamento della Presidenza della Veneranda Arca che aveva creato alcuni problemi. Nel momento delicato del passaggio di consegne da una Presidenza all’altra, infatti, i tre Presidenti, che avevano mantenuto la carica79, stabilirono di comune accordo di non affrontare la questione del centenario.

75 CRISTINA ACIDINI LUCHINAT,Primi approcci critici al Duomo, inI restauri del Duomo di Modena 1875- 1954, a

cura di CRISTINA ACIDINI LUCHINAT,LUCIANO SERCHIA,SERGIO PICONI, Modena, Edizioni Panini, 1984,

pp. 27- 29.

76 FRANCESCA CASTELLANI, Nel cantiere del Santo, pp. 117, n. 17.

77 BCP, Carteggio Cavalletto, serie 3, Corrispondenza (1864- 1895), b. 122 Arca del Santo, 1893 gen. 2, cit. in

ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 196.

78 DARIO LUGATO, Berchet fra ripristino e conservazione, p. 341 ed anche VITTORIO FORAMITTI, Tutela e restauro dei

monumenti in Friuli - Venezia Giulia, p. 62.

79 Francesco Robustello, Luigi Costantini Manzoni, Francesco Gasparini cit. in ANTONIO SARTORI, Archivio

Fu così che il clero approfittò della situazione e

“usufruì di questa inconsulta astensione a tutto suo vantaggio e un comitato composto dal vescovo del generale dell’ordine e del rettore si arrogò tosto l’iniziativa, emanando un manifesto al mondo cattolico per raccogliere denaro e nominando nel tempo stesso un ingegnere di Modena, il sig. Carlo Barberi, perché studi e presenti un piano di ristauro generale della basilica”80.

Barberi, dunque, contattato dai membri ecclesiastici, fu chiamato qualche mese prima di Berchet. Questa informazione è confermata anche dalla data presente in uno dei progetti di cui parleremo; esso infatti è datato 1891.

Nel frattempo, la Presidenza fu ripristinata e ai tre Presidenti rimasti ancora in carica ovvero Francesco Robustello, Luigi Costantini Manzoni, Francesco Gasparini furono aggiunti Antonio Pittarello e Oddo Arrigoni degli Oddi.

I Presidenti, confrontandosi in merito al centenario, si trovarono immediatamente in disaccordo e con “programmi diametralmente opposti: per gli uni l’assoluta inazione, per gli altri l’azione pronta e spiegata”81.

A causa dei pareri divergenti la Veneranda Arca subì dimissioni di massa.

I nuovi Presidenti dell’Arca82, nominati come di consueto dal sindaco, furono a questo punto costretti a trovare l’accordo sul centenario.

Stabilirono anche di “rimettere a suo posto il clero” […] già in possesso di una posizione acquisita per l’inerzia o meglio per l’apatismo” 83 dei predecessori.

I rapporti già precari fra l’Arca e i religiosi minacciavano dunque di peggiorare. Va ricordato, infatti, che, nel 1867, i religiosi erano stati estromessi dalla Presidenza della Veneranda Arca dopo averla sostenuta e risollevata in seguito al dissesto finanziario del 1847. Inoltre il nuovo regolamento per l’officiatura nella basilica subordinava la scelta dei padri officiatori proprio alla Presidenza.

80 BCP, Carteggio Cavalletto, serie 3, Corrispondenza (1864- 1895), b. 122 Arca del Santo, 1893 gen. 2, cit. in

ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 195.

81 Ibidem.

82 Emilio Brunelli Bonetti, Francesco Dolfin, Pasquale Colpi, Oddo Arrigoni degli Oddi, Antonio Pittarello

cit. in ANTONIO SARTORI, Archivio Sartori, I, p. 195. Si consideri ancora una volta la ricostruzione compiuta in

GIULIA FOLADORE, Cronotassi dei massari, presidenti, amministratori dell’Arca, p. 90.

83 BCP, Carteggio Cavalletto, serie 3, Corrispondenza (1864- 1895), b. 122 Arca del Santo, 1893 gen. 2, cit.

Per evitare, dunque, di perdere “il maggior aiuto per raccogliere denaro”84, la Veneranda Arca decise di inserire alcuni religiosi in una commissione incaricata di occuparsi del centenario ed istituita nel 1892.

Al clero, tuttavia, spettava esclusivamente il compito di raccogliere le offerte da “erogarsi nel riatto del tempio”; non era ammessa dunque alcuna “ingerenza nella questione artistica e quindi nessuna spesa per funzioni straordinarie, nessun spreco in temporari addobbi”85. Fu così che, quando la scelta della Veneranda Arca cadde su Berchet, scartando così il rivale Barberi sostenuto da religiosi, la decisione fu accettata senza rimostranze.

Per comprendere la scelta operata dalla committenza si ritiene doveroso analizzare oltre certamente alle relazioni presentate dai due architetti, una serie di restauri di alcuni importanti cantieri religiosi nazionali che fornirono ai progettisti un ventaglio non trascurabile di soluzioni, di esempi più o meno vicini cui attingere per affrontare i problemi che la Veneranda Arca pose loro.

Nel documento Il palinsesto antoniano, 1830-1940 (pagine 113-118)