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LA BASILICA DI LORETO

Nel documento Il palinsesto antoniano, 1830-1940 (pagine 128-133)

4. IL DIBATTITO SUL RESTAURO

4.4 I CANTIERI SIMBOLO

4.4.5 LA BASILICA DI LORETO

È il caso di Loreto, tuttavia, a presentare più similitudini con le vicende antoniane. Come il Santo, in seguito alle depredazioni napoleoniche, infatti, il santuario di Loreto128 si trovava in un precario stato di conservazione dovuto all’abbandono,

124 ALFONSO RUBBIANI, Primitiva dipintura murale nella Chiesa di S. Francesco in Bologna (sec. 13.-14.): relazione

intorno ad un saggio di dipintura dell’abside in detta chiesa, che, corredata di tavole illustrative, fu esibita dalla Commissione per la fabbrica di S. Francesco alla R. commissione conservatrice dei monumenti nel dicembre 1895, Bologna, Zanichelli, pp. 11- 12.

125 ELISA BALDINI,Alfonso Rubbiani direttore dei restauri, p. 18.

126 Ibidem.

127 ELISA BALDINI, Alfonso Rubbiani, la Fabbriceria e la Gilda, pp. 33- 42.

128 Sul santuario lauretano si consideri BRUNELLA TEODORI, Nuovo splendore con i restauri alla fine dell’Ottocento, in

Il santuario di Loreto. Sette secoli di storia arte e devozione, a cura di Floriano Grimaldi, Roma, Autostrade spa, Fintecna-Gruppo IRI, Loreto, Delegazione pontificia per il santuario, Cinisello Balsamo, Silvana editoriale, 1994, pp. 141- 151, Cantiere Loreto. Arte sacra europea, atti del convegno (Ancona, 16 giugno 1995), a cura di ACCADEMIA MARCHIGIANA INIZIATIVE ARTISTICHE E RETTORATO UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ANCONA,

Loreto, Comune di Loreto, 1995 ed in particolare GIUSEPPE SANTARELLI, Il cantiere artistico lauretano, in

Cantiere Loreto. Arte sacra europea, atti del convegno (Ancona 16 giugno 1995), a cura di ACCADEMIA

all’incuria e alle razzie dei soldati francesi. Necessitava dunque, come nei casi già descritti, di urgenti opere manutentive.

Dopo che il re Vittorio Emanuele II promise di elargire la somma di 50.000 lire per i lavori di restauro della basilica, il regio commissario generale delle Marche incaricò, nel 1860, l’architetto emiliano Domenico Ferri, di redigere una relazione che attestasse lo stato di conservazione del monumento marchigiano e che definisse i lavori da compiersi per il suo restauro.

Come nel caso della basilica antoniana numerose infiltrazioni d’acqua avevano danneggiato le pitture, fra le quali soprattutto gli affreschi del Pomarancio nella cupola, tanto che Ferri si fece promotore di un progetto di decorazione della basilica. Anche a Loreto le gravissime condizioni in cui versava il monumento imposero di dare la priorità agli interventi manutentivi piuttosto che a quelli decorativi129. I lavori, tuttavia, non furono iniziati subito; prima di tutto perché i finanziamenti statali tardarono ad arrivare, ma anche perché i progetti presentati, dall’architetto Matas in prima battuta e in seguito da Luigi Fontana, furono rigettati dalle autorità competenti.

A riprendere in mano la questione, nel 1882, in qualità di direttore dei lavori fu l’architetto Giuseppe Sacconi, membro dal 1884 della Commissione centrale per l’insegnamento artistico industriale e della Giunta Superiore delle belle Arti130. Egli mise mano ad una serie di lavori manutentivi e decorativi della basilica volti a riportare il tempio alla sua forma primitiva.

Come nel cantiere modenese e in quello padovano l’architetto responsabile dei lavori fece riferimento ad un testo di carattere storico- archeologico dal titolo La

chiesa di Santa Maria di Loreto scritto da Pietro Gianuizzi, archivista e storico del

Comune di Loreto, 1995, pp. 25- 31 ed anche ALESSANDRA PIERANGELI, Giuseppe Sacconi e il “Ginepraio

dell’architettura”, in Cantiere Loreto. Arte sacra europea, atti del convegno (Ancona 16 giugno 1995), a cura di ACCADEMIA MARCHIGIANA INIZIATIVE ARTISTICHE E RETTORATO UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ANCONA,

Loreto, Comune di Loreto, 1995, pp. 61- 78, GIUSEPPE SANTARELLI, Loreto Arte, Ancona, edizioni Fratelli

Annibali, 1998, La Congregazione Universale della Santa Casa (1883- 1983). Origine e prime realizzazioni, atti del convegno (Loreto, 5-6 settembre 1983), Loreto, Congregazione Universale della Santa Casa, 1985.

129 GIUSEPPE SANTARELLI,Loreto Arte, pp. 17-27.

130 GIUSEPPE SANTARELLI,Loreto Arte, p. 29 ed anche ANNALISA BARBARA PESANDO, Opera vigorosa per il gusto

artistico nelle nostre industrie. La Commissione Centrale per l'insegnamento artistico industriale e il “sistema delle arti” (1884- 1908), Milano, Franco Angeli, pp. 310- 312 cit. in ANNALISA BARBARA PESANDO, Camillo Boito e la Commissione Centrale per l’insegnamento artistico industriale (1884- 1908), in Camillo Boito Moderno, atti del convegno

atti del convegno (Brera, Politecnico, 3-4 dicembre 2014), a cura di SANDRO SCARROCCHIA, Milano- Udine,

santuario131. Oltre a Gianuizzi fu fondamentale, per la redazione dei progetti, anche la Congregazione Universale.

L’istituzione religiosa nata con lo scopo di diffondere il culto mariano, promuovendo anche iniziative culturali, e di garantire il decoro del santuario con offerte devolute dagli associati, come la Veneranda Arca, è tutt’ora attiva.

Nata nel 1884 grazie al vescovo Tommaso Gallucci, si differenziava dall’ente antoniano proprio per la sua natura religiosa. Essa era, infatti, affidata alla gestione dei cappuccini, e per l’assenza di legami con la municipalità.

Poiché la Congregazione lauretana ambiva all’universalità, diversamente da quanto accadeva invece per l’ente antoniano, chiunque poteva essere membro della congregazione prestando “omaggio e devozione ai misteri che vennero compiuti nella S. Casa”132. Per quanto riguarda invece la gestione economica dei beni, essa spettava al Pio Istituto della S. Casa di Loreto, ente dotato di un suo statuto nel 1861, e di cui erano membri il sindaco, un consigliere di prefettura designato, due membri scelti fra gli “inscritti” nelle liste elettorali comunali di Loreto e gli ecclesiastici addetti al servizio in basilica133.

Come avvenne a Padova, Modena e Bologna gli interventi coinvolsero ogni elemento dell’edificio, dalle cappelle absidali, comprendendo in ciò altari e cancellate, alle cupole e vetrate. Poiché il principio cardine dei lavori fu, ancora una volta, il ripristino della forma primitiva goticheggiante, furono abbattute le volte a botte delle cappelle radiali, sostituiti gli affreschi della cupola, eliminati o rimossi alcuni antichi altari, rinsaldati i pilastri con alcuni sottarchi rotondi nelle navate laterali134. Per il restauro e l’abbellimento del santuario non fu indetto alcun concorso; gli artisti e gli architetti furono di volta in volta indicati da due apposite commissioni. La prima, ministeriale, si sarebbe dovuta occupare dei restauri. Presieduta da Sacconi, vi fecero parte il professor Luigi Fontana, membro dell’Accademia di san Luca nonché pittore rinomato, il già citato Gianuizzi, un

131 PIETRO GIANNUIZZI, La chiesa di Santa Maria di Loreto, in «Rassegna italiana», 4, 1889, pp. 429- 457 cit. in GIUSEPPE SANTARELLI, Il cantiere artistico lauretano, pp. 28- 31, MARIA LUISA POLICHETTI, Ricognizione critica dei

lavori di restauro e di consolidamento nella Basilica di Loreto tra Otto e Novecento, in La Congregazione Universale della

Santa Casa (1883- 1983). Origine e prime realizzazioni, atti del convegno (Loreto, 5-6 settembre 1983), Loreto, Congregazione Universale della Santa Casa, 1985, pp. 335- 339.

132 Cit. in LUCA DA MONTERADO, Mons. Tommaso Gallucci (1813-1897) : prete anconetano, diplomatico, vescovo di

Recanati Loreto, Loreto : Congregazione universale Santa Casa, 1997, p. 200. 133 GIUSEPPE SANTARELLI, Il cantiere artistico lauretano, p. 28- 29.

rappresentante del Ministero dell’istruzione, l’architetto Luigi Del Moro, successore di De Fabris per il cantiere fiorentino e rappresentante del Pio Istituto, e un rappresentante della casa reale. La seconda, vescovile anch’essa diretta da Sacconi135. Come avvenne anche in basilica a Padova, i lavori si protrassero fino agli anni ‘70 del ‘900. Lo studio delle decorazioni e degli interventi architettonici approvati e diretti da Sacconi, come quelli del Santo, e dei cantieri menzionati rilevano pertanto importanti cambiamenti del gusto136.

Completato questo breve excursus relativo ad alcuni cantieri religiosi nazionali possiamo, dunque, avanzare alcune considerazioni.

In particolare pare a noi che si possa individuare nell’azione di fabbricieri, direttori dei lavori e membri dei concorsi nazionali e di tutti coloro che furono incaricati di occuparsi di questi cantieri artistici e architettonici, un filo conduttore, un vero e proprio modus operandi.

Che si tratti solamente di lavori di rifacimento della facciata o di interventi strutturali e decorativi che coinvolsero tutto l’edificio, è indiscutibile che le operazioni furono inizialmente affrontate per questioni manutentive e strutturali.

Solo in seguito divennero l’occasione per sviluppare importanti e dibattuti confronti fra esperti in tema di restauro. Nonostante i progettisti abbiano affrontato diversamente la questione delle origini, inoltre, la storia dei monumenti fu considerata, da tutti, il punto di partenza, da cui sviluppare le proprie riflessioni. Fondamentali, a questo proposito, furono le pubblicazioni di alcuni scrittori, religiosi o meno, che nell’ottocento tentarono di delineare la storia di alcuni dei più importanti monumenti proprio a partire dalle fonti e dalle testimonianze artistiche ancora visibili. Inoltre trattandosi di restauri di edifici storici e non di edificazioni di nuove architetture, l’opportunità che questi nuovi interventi dialogassero con gli ambienti circostanti, e quindi ancora una volta con la storia, fece sì che questi interventi strutturali diventassero a loro volta un pretesto per plasmare la nuova immagine di alcune città italiane.

Altro aspetto comune in molti di questi cantieri fu il ricorso alla pratica concorsuale o la decisione di incaricare dei restauri, figure di spicco fra i membri delle istituzioni di tutela come avvenne nel caso di Selvatico, Boito, Barberi, Rubbiani e Sacconi.

135 GIUSEPPE SANTARELLI, Il cantiere artistico lauretano, pp. 28- 31.

In tutti i casi, i cantieri, o i concorsi, divennero l’occasione per alcune personalità chiave del dibattito sul restauro, primo fra tutti Boito, di imporre il proprio gusto e le proprie teorie, dunque una vetrina e non una selezione di “talenti”.

Non solo, la risonanza che questi concorsi, grazie anche alla pubblicistica, garantì la diffusione del dibattito sulla questione nazionale137.

È indubbio inoltre, ma approfondiremo la questione più avanti, prendendo la basilica come caso esemplare, il ruolo degli stessi cantieri artistici come luogo di incontro e confronto di maestranze provenienti da contesti regionali, nazionali e addirittura internazionali fra i più disparati, punto di partenza per i cambiamenti di gusto dell’arte, e non solo di quella sacra, e sulle sue dinamiche interne.

Un’altra osservazione che andrebbe fatta riguarda infine l’evidente ricorrenza di alcuni nomi nei diversi cantieri; anche di questo aspetto ci occuperemo in seguito quando entreremo nel merito degli interventi al Santo.

Alla luce delle considerazioni appena fatte affronteremo anche l’analisi delle relazioni presentate da Berchet e Barberi per comprendere come la Veneranda Arca sia poi arrivata a chiamare ancora una volta Boito.

137 MARIA VITIELLO, Il contributo di Boito nelle gare artistiche per le grandi opere del regno d’Italia e il dibattito antico

nuovo, in Camillo Boito moderno, atti del convegno (Brera, Politecnico, 3-4 dicembre 2014), a cura di SANDRO

5. ALLA VIGILIA DEL CENTENARIO: FRA “RICOMPOSIZIONI” E

Nel documento Il palinsesto antoniano, 1830-1940 (pagine 128-133)