• Non ci sono risultati.

la rilevanza e le problematiche degli accertamenti di natura tecnica.

2. La Cartella clinica.

La cartella clinica è il documento che raccoglie i dati clinici e le valutazioni basate su questi dati, che riguardano un determinato paziente rispetto ad uno o più fenomeni clinici (487). La sua rilevanza giuridica è strettamente connessa con il giudizio, in quanto essa è il documento che permette la rappresentazione dello svolgimento di determinati fatti clinici. In questa sede si prenderanno in considerazione le problematiche legate al valore probatorio della cartella clinica in ambito giudiziale ed al suo utilizzo in sede stragiudiziale (488).

Per entrare subito nel vivo della questione occorre affrontare il problema della natura giuridica di tale documento, che risulta tutt’oggi controversa anche a causa della molteplicità delle fonti di disciplina, le quali finiscono per risultare, paradossalmente, insufficienti a garantire certezza.

E’ necessario sgomberare subito il campo da un equivoco che inutilmente complica e crea disordine: la valutazione della natura giuridica di atto pubblico compiuta dalla giurisprudenza penale (489) non può essere presa a punto di riferimento anche in sede civile perché, in primo luogo, il concetto penalistico di atto pubblico è più ampio, inoltre, tale valutazione è essenzialmente suggerita dalla finalità di applicare il trattamento sanzionatorio più severo per l’ipotesi di falso (490).

Sotto il primo profilo, semplificando, l’atto pubblico normalmente rilevante per il diritto penale non è solo il documento proveniente da un notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato, ma altresì quello formato da un pubblico impiegato nell’esercizio delle proprie funzioni per uno scopo diverso da

(486) NOCCO, Il <<sincretismo causale>> e la politica del diritto, cit., p. 238 ss.; su accertamenti tecnici v. MANIORI, La mediazione nell’assicurazione, nella responsabilità medica e nella RCA, in La mediazione, profili sistematici e potenzialità applicative, a cura di Bulgheroni-Della Vedova, Roma, 2012, p. 165

(487) La definizione più chiara sembra ancora oggi quella contenuta nella circolare del Ministero della Sanità del 17

giugno 1992; si evidenziano altresì le definizioni fornite dalla dottrina (FRÈ, La cartella clinica nel sistema sanitario italiano, in Ragiusan, 291-292, 2008, p. 352) e dalla giurisprudenza (Cass., 13 marzo 2009, n. 6218, in Giust. civ., 2009, 3, p. 454.

(488) Sono diverse le branche del diritto interessate alla cartella clinica, ad esempio, il diritto penale se ne è occupato con

riferimento ai delitti di falsità materiale o ideologica in atto pubblico (art. 476 e 479 c.p.), v. CADOPPI-CANESTRARI- MANNA-PAPA, Trattato di diritto penale, V, Torino 2009, p. 278; il diritto amministrativo, poiché sulla base di essa viene svolta la valutazione della c.d. appropriatezza dei ricoveri, che a sua volta regola i rimborsi delle strutture accreditate presso il S.s.n. e regionale: AROSIO, La cartella clinica come strumento di rilevazione dei costi nelle

strategie di gestione amministrativo-contabile delle aziende ospedaliere, in Bucci (a cura di), La cartella clinica, Padova 1999; infine, anche il campo del diritto di privacy, di cui al d. legisl. n. 196 del 30 giugno 2003, Codice in materia di protezione dei dati personali (in particolare artt. 22 e 92), sia rispetto al diritto d’accesso che alla tutela della riservatezza, specie con l’avvento dell’informatica: GLIATTA, Il diritto alla privacy in ambito medico: le precauzioni da

adottarsi per il trattamento dei dati sensibili e le novità in materia di fascicolo sanitario elettronico, in Resp. Civ., 10, 2010, p. 682; GAZ, Accesso ai dati sanitari soggetti a trattamento pubblico e diritto alla riservatezza, in Riv. Amm. Rep.

Ita., 3-4, 2008, p. 215 ss. (nota a Cons. St., 14 novembre 2006, n. 6681).

(489) Cass. Pen., 21 gennaio 1981, in Giust. pen., II, 1981, p. 449,; Cass. Pen., 8 febbraio 1990, in Giust. pen., II, 1991,

p. 476; Cass. Pen., sez. un., 27 marzo 1992, Foro It., II, 1993, p. 385,; Cass. Pen, 11 luglio 2005, n. 35167.

(490) Ossia applicare il falso in atto pubblico anziché gli artt. 477 e 480 c.p., con la finalità di sanzionare con maggior

rigore penale il falso in documenti di particolare importanza per la pubblica amministrazione, come può appunto accadere nel caso dei certificati medici e delle cartelle cliniche.

101 quello di conferirgli pubblica fede, quindi anche con riferimento a quegli atti amministrativi con mera rilevanza endoprocedimentale (491).

Si tratta di una precisazione importante perché, in passato, la dottrina maggioritaria (492) ha aderito a tale indirizzo giurisprudenziale, optando per la natura di atto pubblico della cartella clinica. Al contrario, una parte minoritaria della dottrina riteneva che la stessa non presentasse tutti i requisiti richiesti dall'art. 2699 c.c. per l'atto pubblico, ed in particolare che difettasse il fondamentale requisito della qualifica di pubblico ufficiale in capo al medico che materialmente redige la cartella (493). Si deve dare atto, altresì, di un orientamento che classifica la cartella clinica come un tertium

genus, collocandola in una posizione intermedia tra la scrittura privata e l'atto pubblico, ed

assimilandola ad una certificazione amministrativa (494). In definitiva, la natura polivalente della cartella clinica − che dispiega i suoi effetti nel campo del diritto amministrativo, civile e penale – ha finito per consentire ad ogni interprete di connotarla come meglio tornava utile ai fini del proprio campo operativo, finendo per configurare un ibrido giuridico (495).

La confusione è stata alimentata dalla molteplicità di fonti di disciplina: l’obbligo della sua compilazione si rinviene nel r.d. n. 1631 del 1938 (c.d. decreto Petragnani) (496), indicazioni sulla redazione sono contenute nel Codice di deontologia medica (497), così come nelle linee guida dello Stato e delle regioni (498). Tuttavia, in nessun testo normativo si fa menzione della natura giuridica o del valore probatorio della cartella clinica, ne tantomeno possono individuarsi delle caratteristiche

(491) V. PISANI, I reati contro la fede pubblica, in Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, a cura

di Fiorella, Torino 2012, p. 533 ss.; in alcuni casi la stessa giurisprudenza penale considera la cartella clinica atto pubblico propriamente inteso al fine di applicare l’aggravante prevista dall’art. 476, comma 2°, c.p.c che prevede una pena più severa se la falsità <<concerne un atto, o una parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso>>, v. Cass. Pen., 16 aprile 2009, n. 31858, in Dir. G., 2010, p. 278.

(492) Per la letteratura medico legale v. MAGLIONA-IORIO, La regolare compilazione della cartella clinica, in Min. Med.

Leg. 23, 1994, p. 114 ss.; sul piano giuridico v. GASPARRI, Note di aggiornamento in tema di cartella clinica, Atti III

Conv. Naz. S.I.A.S.O., Pisa, 1988, p. 201.

(493) DI LUCA-LA ROCCA-CAVALLI, Profili medicolegali e giuridici della cartella clinica nell'evoluzione legislativa e

giurisprudenziale, in Jura Medica, 1-3, 1990, p. 81; secondo questa dottrina minoritaria, il medico ospedaliero può al più assumere la qualifica di incaricato di pubblico servizio, che non è ricompresa ne espressamente ne nella ratio dell’art. 2699 c.c. e la cartella clinica dovrebbe essere al più considerata alla stregua di una attestazione di scienza, cioè una certificazione con semplice valore dichiarativo, non con efficacia costitutiva propria dell’atto pubblico.

(494) BUZZI-SCLAVI, La cartella clinica: atto pubblico, scrittura privata o “tertium genus”?, in Riv. it. Med. leg., 6,

1997, p. 1161 ss.; tesi seguita anche da Cass. Civ., 18 settembre 1980, Mass. Giust. civ., 1980, p.2234. (495) BUZZI-SCLAVI, La cartella clinica, cit., p. 1162.

(496) Contenente <<Norme generali per l’ordinamento dei servizi sanitari e del personale sanitario degli ospedali>> il

quale ha stabilito che “ Il primario (...) cura, sotto la propria responsabilità, la regolare tenuta delle cartelle cliniche e dei registri nosologici; obbligo successivamente ribadito con il d.p.r. n. 128 del 1969: per le case di cura private, v. art. 35 d.p.c.m. n. 153 del 1986; con riferimento alle cartelle cliniche dei medici di base, v. art. 31 d.p.r. 270 del 2000 ; si parla di cartella integrata con riferimento alla cartella infermieristica che, di fatto, confluisce in quella medica (d.p.r. n. 225 del 1974).

(497) Art 23 dell’attuale codice del 2006; il valore delle norme deontologiche è stato riconosciuto come vincolante, ma

solo all’interno dell’ordinamento della categoria: v. Cass., sez. un., 6 giugno 2002, n. 8225, in Giust. civ., 2002, I, p. 2441 ss.; la violazione delle regole deontologiche di condotta che prescrivono un’attenta compilazione della cartella clinica costituisce infatti una figura sintomatica di inesatto adempimento: Cass. 26 gennaio 2010, n. 1538, in Resp. civ., 2010, p. 592 ss., con nota di ZAULI, Responsabilità professionale da contatto sociale, attività medica e riparto dell’onere probatorio, in Ragiusan, 2010, pp. 313-314 e 151.

(498) V. Linee Guida del Ministero della Sanità del 17 giugno 1992; mentre l’attività legislativa delle regioni rileva

anche nell’ottica di avere criteri stabili per la valutazione della gestione economica delle strutture sanitarie, che viene effettuata tramite le cartelle cliniche, secondo canoni di congruità e appropriatezza, che permettono di valutare l’efficacia delle cure, nel difficile equilibrio tra esigenze di riduzione dei costi e di mantenimento di un livello qualitativo elevato: v. ad es. d. legisl. 30 dicembre 1992, n. 502; d. legisl. 19 giugno 1999, n. 229; d.p.c.m. 29 novembre 2001; l.r. Lazio 1 settembre 1999, n. 16; d.g.r. Lazio 10 luglio 2001, n. 996; d.g.r. Lazio 14 novembre 2003, n. 1178; l. r. Veneto 14 dicembre 2007, n. 34.

102 costanti di forma e contenuto (499), che quindi variano in base alla struttura e spesso anche al reparto.

Il codice civile presenta un sistema chiuso, dove il valore probatorio di un documento nel giudizio è di atto pubblico o di scrittura privata, tertium non datur (500). L’orientamento dominante della giurisprudenza e maggioritario della dottrina, ancora oggi, tende a configurare la cartella clinica come atto pubblico facente fede fino a querela di falso (501). Il valore documentale viene poi ulteriormente diversificato — nelle stesse affermazioni giurisprudenziali — a seconda del contenuto delle annotazioni: atto pubblico per i dati oggettivi, gli interventi praticati o i fatti storici, che sono tutti casi in cui si qualifica come attestazione autoritativa, idonea a creare certezze legali privilegiate

erga omnes; mentre, per la parte contenente pareri diagnostici o terapeutici, si tratterebbe di un

attestato che genera solo certezze notiziali, rimesse al libero convincimento del giudice, e confutabili con una semplice prova contraria (502).

Una tale impostazione, oltre a disorientare nella prassi operativa, crea un’indebita sovrapposizione tra i profili legati alla natura giuridica sostanziale delle singole annotazioni, e quelli attinenti al valore probatorio dell’atto. Dal primo punto di vista, è evidente che la varietà di documenti che compongono la cartella clinica (503) impedisce una sua univoca riconduzione ad un modello legale. Sul piano sostanziale, ciascuna annotazione rileva sia come atto dichiarativo unilaterale – non recettizio e privo di contenuto patrimoniale –, sia come attività giuridica esecutiva di un’obbligazione legale relativa alla prestazione medico-sanitaria (504). Sul piano probatorio,

emergono numerosi dati che rendono difficoltoso il riscontro di tutti gli elementi necessari affinchè, alla cartella o ad alcune sue parti, sia riconosciuta un’efficacia probatoria privilegiata quanto al suo contenuto ed alla sua provenienza, che può essere smentita solo con querela di falso, ai sensi degli artt. dagli artt. 2699 e 2700 c.c. (505).

Le caratteristiche dell’atto pubblico ricavabili da tali norme, infatti, sono tutte essenziali affinchè possa produrre efficacia di prova legale a livello istruttorio, in particolare non solo lo stesso deve

(499) L’unica indicazione di un minimum contenutistico viene individuata per le sole case di cura private (prima dall’art.

24 d.m. 5 agosto 1977, poi abrogato e trasfuso nell’art. 35 d.p.c.m. n. 153 del 1986), che si dovrebbero ritenere estese, per analogia, anche alle cartelle delle strutture pubbliche.

(500) V. VERDE, voce Prova documentale: I) Dir. proc. civ., in Enc. giur. Treccani, XXV, Roma 1990; ROTA, I documenti, in La prova nel processo civile, cit., p. 592 ss.

(501) V. OCCORSIO, Cartella clinica e “vicinanza” della prova, in Riv. dir. civ., 2013, spec. 1264 ss.; ID., Cartella

clinica e responsabilità medica, Milano, 2011, pp. 46 e 61 ss.; per la giurisprudenza penale più recente cfr., ex multis, Cass. pen. 17 febbraio 2010, n. 19557, cit.; per quella civile v. Cass. 12 maggio 2003, n. 7201, in Ragiusan, 2003, 235- 6, p. 358; Cass. 27 settembre 1999, n. 10695, in Mass. Giust. civ., 2010, p. 2020; Cass., 18 settembre 1980, n. 5296, in Mass Giust. civ., 1980, p. 2234.

(502) La distinzione si ritrova sia in Cass. pen., 11 febbraio 1997, n. 2314, in R. pen., 1997, p. 588, che in Cass., 18

settembre 1980, n. 5296, cit.; più di recente Cass., 30 novembre 2011, n. 7201, dove si precisa che l’applicazione dello speciale regime di cui agli artt. 2699 ss. c.c. è circoscritta alle sole trascrizioni concernenti le attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, mentre ne sono escluse le valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione in essa contenute; Cass. civ., 30 novembre 2011 n. 25568, parla di <<certificazione amministrativa>>; peraltro la distinzione viene effttuata anche in riferimento all’atto pubblico in generale: ROTA, I documenti, cit., p. 601.

(503) In essa vi confluiscono il consenso informato, la cartella infermieristica (infatti si parla di cartella integrata, v. retro

nota 496), annotazione di fatti esterni e di attività compiute dall’operatore.

(504) OCCORSIO, Cartella clinica e “vicinanza” della prova, cit., spec. 1270, che la considera un <<documento progressivo, e non un documento a formazione progressiva>>.

(505) V. BRUGI, voce Atti pubblici, in Noviss. Dig. it., 1981, p.1521; MARICONDA, voce Atto pubblico, Enc. Giur.

103 essere redatto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, ma nella redazione dell’atto stesso devono essere rispettate specifiche formalità (506).

Innanzitutto, sotto il profilo soggettivo, difetta una norma di diritto pubblico che qualifichi il medico come pubblico ufficiale, né può ravvisarsi in concreto l’esercizio di poteri autoritativi o certificativi nel redigere la cartella clinica (507). Infatti, se deve certamente escludersi che il medico eserciti poteri autoritativi – poiché nell'attività assistenziale il sanitario non può praticare nessun intervento diagnostico-terapeutico senza il consenso del paziente o del suo legale rappresentante –, possono nutrirsi dubbi anche rispetto all’esercizio di poteri certificativi. Dalla legge si evince che la funzione di <<pubblico documentatore>> non può competere automaticamente a qualunque p.u., ma che è l'ordinamento giuridico a doverlo indicare in relazione singole tipologie di atti pubblici (508). Sempre in base alla legge, inoltre, si ricava che il p.u. nell’esercizio di poteri certificativi debba trovarsi in una posizione di assoluta terzietà rispetto al contenuto della sua attività documentativa. Tali presupposti mancano completamente nella componente documentativa delle funzioni del medico ospedaliero, e pare rendersene conto la stessa giurisprudenza che, in alcuni casi, ha escluso l’efficacia di prova legale della cartella a favore dello stesso autore dell’annotazione nell’ambito del giudizio sulla propria responsabilità (509).

Sotto il profilo oggettivo, difetta una previsione di legge che stabilisca una peculiare qualifica probatoria del documento in questione: la legge richiede la sola <<regolare tenuta>>, senza stabilire precise modalità per la redazione o la sottoscrizione, tantomeno è previsto che essa venga sottoscritta o siglata da tutti i medici e operatori che nella prassi la redigono (510). Inoltre, nella realtà ospedaliera, la repentina mutevolezza delle condizioni del paziente e la necessità di intervenire urgentemente, spesso rendono non completa né puntuale la verbalizzazione scritta dei fatti. La difficoltà di riconoscerle un’efficacia probatoria rafforzata, in definitiva, si pone rispetto alle caratteristiche proprie della cartella clinica. La documentazione dell’attività terapeutica e diagnostica presenta, infatti, un ampio margine di opinabilità e soggettivismo legato alla natura delle prestazioni stesse, che collide con la certezza erga omnes della rappresentazione dei fatti certificata dall’atto pubblico. Inoltre, il medico dipendente dall’amministrazione sanitaria pubblica non è consapevole, mentre redige la cartella, di formare un atto pubblico: lo dimostra il fatto che

(506) ROTA, I documenti, cit., p. 592 ss.; MARICONDA, voce Atto pubblico, cit., pp. 3-4, che evidenzia come l’eccezionale

formalismo sia una fondamentale funzione dell’atto pubblico.

(507) la descrizione dei requisiti e delle attribuzioni del pubblico ufficiale e dell’incaricato di pubblico servizio sono

contenuti negli artt. 357 e 358 c.p., come riformati dalla l. n. 86 del 1990, da cui si ricava che il p.u. è colui che esercita poteri autoritativi o certificativi.

(508) BUZZI-SCLAVI, La cartella clinica, cit., p. 1167 nota 38; la giurisprudenza parla di <<tassatività>> delle ipotesi di

potere certificativo: Cass., 24 aprile 1999, n. 8021, in Rep. Foro it, voce prova documentale, n. 43; ROTA, I documenti,

cit., p. 593 ss., che cita in nota 61 Carnelutti.

(509) Il medico è infatti autore della condotta su cui si basa il giudizio e, allo stesso tempo, è autore materiale del

documento che questa condotta descrive, che è la prova principe di quel giudizio, trovandosi quindi in una posizione di assoluto dominio delle fonti di prova, v. OCCORSIO, Cartella clinica e “vicinanza” della prova, cit., spec. p. 1270, che

per questo esclude la natura di atto pubblico; cfr. Cass. 18 settembre 1980, n. 5296, in Mass. Giust. civ., 1980, p. 9; Cass., 27 settembre 1999, n. 10695, cit.

(510) Ciò comporta, altresì, la difficoltà di individuare l'estensore, o gli estensori delle annotazioni; le modalità di

redazione della cartella clinica non sono in alcun modo regolamentate, né per quanto attiene agli elementi indispensabili a conferirle una valida completezza formale, né per quanto concerne la, o le figure di chi ha titolo a compilarla materialmente, al di là del generico richiamo alla <<regolare tenuta>>, assegnata al primario dall'art. 7 del D.P.R. n. 128/1969; alla sua compilazione partecipano in momenti diversi, infatti, non solo medici in servizio ospedaliero, ma anche i medici tirocinanti e il personale con diploma universitario, nonché quello infermieristico professionale e generico.

104 normalmente egli non si cura di riportare <<dichiarazioni delle parti>> ex art. 2700 c.c. o di fare verificare alle stesse il contenuto dell’atto (511).

Un ulteriore aspetto a conferma di quanto appena esposto attiene all’impossibilità per la cartella clinica di svolgere la funzione pubblicitaria propria dell’atto pubblico, ossia garantire la conoscibilità dell’atto da parte di chiunque ne abbia interesse (512). Ciò non solo perché, come visto,

essa è priva degli indispensabili requisiti di forma e contenuto, ma soprattutto perché tale funzione si porrebbe in contrasto con la tutela della riservatezza del paziente (513). Anzi, il medico o la struttura che non adottino delle misure di sicurezza nel momento della raccolta e della conservazione di tali dati rischiano di incorrere in responsabilità ex art. 2050, ai sensi dell’art. 15 cod. privacy (514). Lo sviluppo di nuove tecnologie applicabili nella gestione del servizio sanitario, se da un lato pone nuovi problemi di tutela della riservatezza dei dati sanitari, dall’altro, risulta certamente basilare al fine di formulare percorsi condivisi che consentano concretamente di ridurre la possibilità di errore e, al contempo, cercare di raggiungerne la certezza probatoria di tali documenti, che sarebbe particolarmente utile in tali controversie (515).

Lo sviluppo del fascicolo sanitario elettronico e della cartella clinica elettronica rappresenta, infatti, un notevole vantaggio, anche perché – a fronte di una chiara, corretta, esaustiva e contestuale compilazione dei documenti – renderebbe possibile attestare in maniera inequivocabile la responsabilità delle scelte, mediante l'identificazione dei soggetti che hanno agito. Così, il sanitario sarebbe in grado di fornire una dimostrazione certa del suo operato, assicurandosi strumenti di prova del suo corretto agire in eventuali procedimenti di presunta malpractice, allo stesso modo il paziente disporrebbe di maggiori strumenti probatori, ridimensionando l’esigenza di ricorrere a stratagemmi giurisprudenziali volti ad alleviare i suoi oneri.

E’ utile concludere questa breve analisi con alcune considerazioni rispetto all’utilizzo della cartella clinica quale principale documento di prova nel giudizio. Il riconoscimento da parte della prevalente giurisprudenza dell’efficacia di prova legale con riferimento ai soli dati obiettivi (e non valutativi) contenuti nel documento, comporta che il paziente debba sollevare una querela di falso per contestarne la veridicità. Tale circostanza, oltre alle evidenti difficoltà probatorie nel contesto della querela, crea una ingiusta disparità di trattamento rispetto alle cartelle delle case di cura private, che la giurisprudenza considera prive di valenza probatoria privilegiata (516). Comunque, le difficoltà del paziente a dimostrare la falsità dei dati riportati in cartella sono state stemperate da una non formalistica interpretazione giurisprudenziale, che ritiene sufficiente l’indicazione di qualsiasi tipo

(511)ROTA, I documenti, cit., pp. 597-598 (512) MARICONDA, voce Atto pubblico, cit., p. 4.

(513) Tutelata sia sotto il profilo del segreto professionale dalle norme penali (artt. 200 ss. c.p.p.) e dal codice di

deontologia medica (artt. 9, 10, 11 e 21), che il c.d. codice della privacy (d.lg. n. 196 del 2003), che all’art. 1 annovera i dati sanitari tra i dati sensibili; sul tema, anche con riferimento alla cartella clinica elettronica, v. GLIATTA, Il diritto alla privacy in ambito medico: le precauzioni da adottarsi per il trattamento dei dati sensibili e le novità in materia di fascicolo sanitario elettronico, in Resp. civ., 10, 2010, p. 682; FILAURO, Telemedicina, cartella clinica elettronica e

tutela della privacy, in Danno e resp., 5, 2011, p. 472.

(514) Cass. 30 gennaio 2009 n. 2468, in Danno resp., 2009, p. 446.

(515) GENOVESE-MOBILIA-GEROSA-RAINERI, La tecnologia digital pen&paper quale utile strumento di clinical risk

management e di tutela medico-legale, in Riv. it. Med. leg. e dir. san., 2, 2011, p. 434 ss., rendono conto di uno studio di fattibilità della applicazione in ambito sanitario della tecnologia Digital Pen & Paper nella compilazione della modulistica di cartella clinica in ambito ospedaliero, nel rispetto delle norme sulla strutturazione della cartella clinica e sulla formazione, validazione, archiviazione e trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, dell'Ospedale San Carlo Borromeo in Milano.

105 di prova idoneo all’accertamento del falso, comprese le presunzioni (517). Il favor per il paziente è

Outline

Documenti correlati