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Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie.

1. Circoscrizione del campo d’indagine: la mediazione finalizzata alla conciliazione.

Il ricorso agli strumenti di a.d.r.. per la gestione dei conflitti sembra iscriversi nell’ambito di una più generale politica legislativa nazionale che supera la frontiera dell’incondizionato diritto di accesso alla tutela giurisdizionale, trasformandolo in un diritto finanziariamente condizionato (581). Al di la delle fuorvianti retoriche sulla preferibilità dello strumento conciliativo rispetto al processo, in nome di una incontrastata supremazia dell’autodeterminazione delle parti, e lasciando anche da parte le inevitabili problematicità di un suo utilizzo in chiave deflattiva che preserva le inefficienze dell processo, si vuole adottare una prospettiva più funzionale a verificarne l’utilità ed evidenziarne le criticità.

Abbiamo già esaminato la resistenza del meccanismo della mediazione obbligatoria, nonostante il vaglio “formale” della Consulta, che è stata prepotentemente reintrodotta con il c.d. decreto del fare. La mediazione assurge così a strumento chiave nel nostro ordinamento in virtù di una disciplina uniforme, contenuta nel d.lgs. n. 28 del 2010, e di una serie di discipline speciali, precedenti e di nuova introduzione (582). Nel nostro ordinamento, dunque, la mediazione occupa il centro della categoria delle a.d.r., imponendo una riflessione generale del suo rapporto con il sistema giustizia

(580) Almeno questa è la scelta del nostro ordinamento, che oggi ha pure eliminato la fase dell’omologa originariamente

prevista dal d.lgs. n. 28 del 2010; v. infra cap. V. (581) V. retro cap. 1 in premessa.

(582) Il nostro ordinamento conosce ormai da tempo numerose e variegate ipotesi di mediazione amministrata da enti

pubblici o privati su base consensuale: presso le camere di commercio (art. 2, comma 4°, l. n. 580 del 1993); in materia societaria (artt. 38 e 40, d.lgs. n. 5 del 2003); di franchising (art. 7, l. n. 129 del 2004); di patti di famiglia (l. n. 55 del 2006) oggi abrogati e trasfusi, con taluni adattamenti, nel d.lgs. n. 28 del 2010; presso la camera di conciliazione e di arbitrato presso la Consob (d.lgs. n. 179 del 2007); in materia bancaria e creditizia (art. 128-bis, d.lgs. n. 385 del 1993); ancora in cantiere è la legge attuativa della direttiva sulle a.d.r. in materia di consumo.

120 (583), anche considerato il recente potenziamento della conciliazione giudiziale (584). Su di essa si è concentrato l’interesse del legislatore e della dottrina, cioè sulle ipotesi nelle quali l’accordo negoziale è favorito dall’intervento di un terzo, imparziale ed esperto nelle tecniche di negoziazione (585). Questa irreversibile tendenza costringe ad accantonare alcune delle vecchie rimostranze nei confronti del d.lgs. n. 28 del 2010 e ad occuparsi dei problemi che, nonostante gli sforzi legislativi e giurisprudenziali degli ultimi tempi, restano ancora sul tavolo.

Il d.lgs. n. 28 del 2010 adotta una nozione ampia di mediazione, comprensiva anche dell'attività svolta dal terzo per la <<formulazione di una proposta>> (586), e sceglie una mediazione amministrata da organismi riconosciuti ai sensi dello stesso, e del relativo regolamento di attuazione (d.m. n. 180 del 2010). Per avvantaggiarsi dei benefici giuridici e fiscali previsti dal decreto occorre, dunque, passare attraverso il circuito degli Organismi di mediazione autorizzati, che devono muoversi entro le linee guida applicabili a tutti i fenomeni conciliativi, eccettuati quelli specificamente tipizzati. In sostanza, il d.lgs. n. 28 del 2010 rappresenta oggi il paradigma con cui misurarci, che, nonostante le numerose critiche, è stato valutato positivamente nel suo complesso (587).

Ai sensi dell’art. 2 del d.lgs citato sono escluse dalla nozione di mediazione le procedure di negoziazione su base paritetica (ad esempio quelle condotte con l’ausilio delle rappresentanze delle categorie interessate) e le procedure di reclamo disciplinate dalle carte dei servizi (588).

Pare superfluo dilungarsi sulle precisazioni terminologiche: nonostante, infatti, il differente utilizzo delle espressioni di mediazione e conciliazione prima del 2010, attualmente la normativa nazionale chiarisce che la mediazione è il procedimento volto alla risoluzione di una lite, mentre la conciliazione il suo risultato. Inoltre, l’inclinazione nazionale, europea ed internazionale, dove è più consueta l’espressione mediation, è quella di adottare un approccio sostanzialistico, definendo mediazione qualunque procedimento in cui le parti ricercano un accordo sotto la guida di un terzo, a prescindere dalla sua denominazione: di conseguenza le espressioni mediazione e conciliazione possono essere utilizzati anche come sinonimi (589).

(583) CAPONI, La prospettiva dell’efficienza, cit., p. 55.

(584) Con il d.l. n. 69 del 2013, convertito nella l. 98/2013, v. LUCARELLI, La mediazione obbligatoria fra ordine del

giudice e principio di effettività: verso una riduzione certa e significativa dei processi pendenti, in www.judicium.it. (585) V. LUISO, Giustizia alternativa o alternativa alla giustizia, in www.judicium, 21 marzo 2011.

(586) v. ZUCCONI GALLI FONSECA, La nuova mediazione nella prospettiva europea, cit., p. 657, che la confronta con la definizione dell’Uncitral Model law on International Commercial Conciliation del 2002, con l'art. 40 del d.lgs. n. 5 del 2003 ; v. COMOGLIO, Mediazione ed accesso alla giustizia, in La mediazione, cit., p. 17.

(587) Il quinto rapporto sulla diffusione della giustizia alternativa in Italia dell’Isdaci (in www.isdaci.it) fornisce la prima

rappresentazione scientifica dell’impatto della mediazione nel primo anno di entrata in vigore degli strumenti introdotti dal d.lgs. n. 28 del 2010: v. LUISO, L’arbitrato e la mediazione nell’esperienza contemporanea, in www.isdaci.it, p. 158; v. BONSIGNORE, La diffusione della giustizia alternativa in Italia nel 2010: i risultati di una ricerca, in

www.isdaci.it, p. 41; lo stesso emerge dallo studio promosso dall’Europarlamento sull’attuazione della direttiva in materia di mediazione delle liti civili e commerciali (cit. nota 24) ufficialmente presentato il 20 gennaio 2015, ed elaborato da oltre 800 esperti in rappresentanza di ciascuno dei 28 Stati membri dell’Ue, che ha valutato non solo l’estensione del mercato della mediazione nei rispettivi Paesi, ma anche la capacità del quadro normativo di favorire il ricorso all’a.d.r., secondo quanto richiesto dall’articolo 1 della Direttiva n. 52 del 2008; agli esiti di questo studio risulta che il modello italiano di mediazione obbligatoria mitigata dal meccanismo del c.d. opt-out, ossia la possibilità di abbandonare la procedura nel corso del primo incontro con il mediatore, è quello che riscuote di gran lunga il maggior numero di consensi in tutta l’Unione.

(588) poiché non si svolgono con l’ausilio di un terzo imparziale LUISO, La risoluzione non giurisdizionale delle

controversie, p. 36; ma si v. la recente direttiva sulle a.d.r. in materia di consumo, che sembra richiedere un’imparzialità del mediatore.

(589) La Direttiva europea stabilisce, all’art 3, che per mediazione si deve intendere quel <<procedimento strutturato,

121 Una distinzione particolarmente utile ai fini della presente trattazione è quella tra mediazione facilitativa e valutativa o aggiudicativa, tutte ricomprese nell’ambito di applicazione del decreto. Per comprenderne il vero siglificato, però, occorre un chiarimento, perchè queste espressioni nascono nel contesto statunitense ispirato alle logiche del negoziato, quasi estranee al nostro contesto culturale e giuridico, e richiedono un adattamento al linguaggio interno. Con esse si fa riferimento a differenti tecniche di composizione della controversia, ossia al come in concreto il mediatore può condurre le parti alla soluzione della lite, ma non devono essere confuse con il discorso più generale sulla collocazione e sui limiti di compatibilità dello strumento conciliativo con il nostro ordinamento giuridico (590).

Per procedere gradualmente, dunque, ci si limita qui a considerare che la mediazione facilitativa riguarda quella modalità di intervento del terzo al solo scopo di facilitare l’accordo delle parti, utilizzando una serie di tecniche volte principalmente a favorire la loro comunicazione. Nell’ambito della tecnica valutativa, il mediatore, invece, svolge un ruolo più attivo, fornendo alle parti una propria valutazione della controversia, indicando il possibile esito giudiziale della stessa o suggerendo possibili soluzioni alternative della lite. Questa seconda tecnica è contemplata dal nostro legislatore proprio laddove si fa riferimento alla possibilità che il mediatore formuli una proposta. La dottrina suole specificare che la conciliazione facilitativa è incentrata sugli interessi delle parti, mentre quella valutativa si può fondare sui diritti, occupandosi il mediatore anche della fondatezza delle pretese (591). La tecnica valutativa, dunque, può assumere una diversa valenza a seconda che la proposta sia una diretta conseguenza degli interessi delle parti emersi nel corso degli incontri (c.d. valutativa pura), oppure si tratti di una proposta sulle pretese e non sugli interessi (c.d. aggiudicativa). Il decreto nazionale, dunque, contempla anche la mediazione aggiudicativa, laddove si ammette la possibilità che la proposta possa essere formulata anche in assenza di una parte (c.d.

volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore>>; v. anche la definizione fornita dall’Uncitral Model law on International Commercial Conciliation del 2002 in GIOVANNUCCI

ORLANDI, La conciliazione stragiudiziale. Struttura e funzioni, cit., p. 216; cfr. la condivisibile prospettiva adottata da

CUOMO ULLOA, La conciliazione, cit., pp. 5 e 9, che ritiene di poter superare il distinguo adottando una nozione ampia di conciliazione; la differenziazione tra conciliazione e mediazione, incentrata sul ruolo direttivo-propositivo o meno del terzo (v. PUNZI, Mediazione, cit., p. 849 ss.) è priva, infatti, di un fondamento normativo; v. RICCARDI, La nuova

disciplina della mediazione delle controversie civili e commerciali, in Comm. d.lgs. 4 marzo 2010, n. 20, a cura di Bandini-Soldati, sub art. 1, p. 4 ss.

(590) CUOMO ULLOA, La conciliazione, cit., p. 407 ss.; non va confusa neppure con la classificazione delle forme di

mediazione in relazione alla diversa fonte da cui origina il procedimento (obbligatoria, facoltativa, delegata e concordata): per una classificazione della fenomenologia conciliativa v. CHIARLONI, I meccanismi conciliativi, in

www.judicium.it.

(591) MATERA,La proposta del mediatore, in Mediazione e conciliazione. Diritto interno, comparato e internazionale, a

cura di Pera-Riccio, Milano, 2011, p. 235 ss.; così il confine rispetto agli altri strumenti a.d.r. è affievolito, tanto è vero che in dottrina ancora si discute in ordine alla sua natura di vera e propria mediazione, da taluni affermata e da altri negata argomentando dall’incompatibilità del ruolo valutativo del mediatore con l’autonomia delle parti; il dibattito è ricostruito da BESSO,La mediazione civile e commerciale, a cura di Besso, Torino, 2010, p. 34; sulla proposta intesa nel senso di decisione v. MONTELEONE, La mediazione “forzata”, cit., § 3; ALPA-IZZO,op. loc. citt., evidenzia come la preferenza nei confronti del modello valutativo emerga anche dal d.m. n. 180 del 2010, in quanto più incisivamente utilizzabile a fini deflattivi; sulla mediazione facilitativa v. FABIANI,La <<mediazione finalizzata alla conciliazione nelle controversie civili e commerciali>> di cui al d.lgs. n. 28/2010 nell’ambito degli strumenti alternativi alla giurisdizione dello stato, in Manuale della mediazione civile e commerciale. Il contributo del notariato, a cura di Cenni-Fabiani-Leo, Roma, 2012, p. 5 ss.; BONA,R.C. medica, cit., p. 597; CAPONI, La conciliazione, cit., p. 67 ss.;

distinguono tra facilitativa, basata sugli interessi, ed aggiudicativa, fondata invece sui diritti: CAPONI, La conciliazione stragiudiziale come metodo di Adr ("alternative dispute resolution"), in Foro it., 2003, c. 166 ss.; LUISO, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2004, 4, p. 1201 ss.; VIGORITI, Accesso alla

122 proposta contumaciale), lasciando la scelta al regolamento di procedura del singolo organismo (592). E’ evidente che in questo caso la proposta possa riguardare le sole pretese giuridiche, perché solo la partecipazione attiva delle parti consente l’emersione degli interessi più personali. Le ragioni per cui si ritiene che la proposta possa essere aggiudicativa risiedono, però, soprattutto nel meccanismo sanzionatorio contenuto nell’art. 13 del decreto. Il comma 1° prevede l’automatica condanna alle spese e al pagamento di una sanzione pecuniaria nel caso in cui la sentenza sia totalmente sovrapponibile alla proposta rifiutata: è evidente che ciò è possibile solo quando la proposta abbia ad oggetto le pretese giuridiche delle parti, perché l’oggetto della sentenza non può andare oltre ad esse. Il comma 2°, invece, contempla la possibilità di una sanzione in caso di parziale sovrapposizione tra proposta e sentenza, previa rigorosa motivazione. Laddove il mediatore formuli una proposta ha presumibilmente già valutato a monte le posizioni giuridiche delle parti, che possono o meno diventare oggetto della proposta stessa, anche per i riflessi che questa può avere sul successivo processo. Tuttavia, una cosa è il discorso a livello di logica di composizione della lite, interna alla conciliazione, un’altra è quello sul ruolo del mediatore rispetto ai diritti delle parti. Questa distinzione sarà approfondita nel paragrafo seguente, limitandoci per il momento ad individuare l’ampiezza del modello di mediazione che il nosto legislatore ha disegnato. Una postilla merita l’utilizzo dell’espressione <<aggiudicativa>>, non contenuto nel deceto ma solo nella relazione illustrativa, che riguarda solo la possibile corrispondenza tra il contenuto della proposta e la futura decisione giudiziale: non vale però a far assumere al mediatore una funzione decisoria, neppure nel caso in cui le parti recepiscano nell’accordo il contenuto di quella proposta, che sarebbe sempre frutto di una libera scelta negoziale.

Le modifiche recenti ad opera della citata l. n. 98 del 2013 hanno sensibilmente mutato la concreta operatività dell’istituto. In particolare, è stato modificato il campo d’applicazione della condizione di procedibilità, le tempistiche della procedura, è stata individuata la competenza territoriale dell’organismo di mediazione ed è stato previsto, sia nel caso di procedimento obbligatorio che facoltativo, che l’accordo di mediazione sottoscritto anche dagli avvocati di tutte le parti abbia efficacia di titolo esecutivo senza ulteriori passaggi. Inoltre, per le materie rientranti nell’obbligatorietà le parti dovranno essere assistite da un avvocato durante le sessioni di mediazione. I meccanismi di raccordo tra mediazione e processo di tipo sanzionatorio o impositivo, che consentono al giudice di valutare il comportamento delle parti e di sanzionarlo in vario modo, sono stati pedissequamente reintrodotti. Occorre chiedersi se ciò sacrifica eccessivamente il ruolo dell’autonomia privata, e soprattutto quali siano i limiti che esso può incontrare nel genere di controversie di cui ci occupiamo. Quello che si propone il legislatore italiano è un’inversione di rotta della logica conflittuale e una diversificazione delle tutele, concepita come fase pre- processuale estranea al processo, ma con riflessi e conseguenze sullo stesso: la sfida consiste dunque nel raccordare questi strumenti con il nostro sistema giuridico e con i principi che lo ispirano, facendo attenzione a non cadere in inutili retoriche di presunta superiorità dell’autonomia e della negoziazione, a prescindere dagli interessi generali dell’ordinamento.

(592) Ai sensi dell’art. 7, comma 2°, lett. b), d.m. n. 180 del 2010 il regolamento di procedura può prevedere che << in caso di formulazione della proposta ai sensi dell’articolo 11 del decreto legislativo, la stessa può provenire da un mediatore diverso da quello che ha condotto sino ad allora la mediazione e sulla base delle sole informazioni che le parti intendono offrire al mediatore proponente, e che la proposta medesima può essere formulata dal mediatore anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione>>; la dottrina aveva già risolto positivamente la questione: cfr. ZUCCONI GALLI FONSECA, op. cit., p. 669; BOVE, La mancata comparizione innanzi al mediatore, in www.judicium.it; tale possibilità sembra, tuttavia, destinata a scomparire con il nuovo sistema del primo incontro disegnato la riforma del 2013: CUOMO ULLOA, La nuova mediazione. Profili applicativi, Torino, 2013, p. 311.

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