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La qualificazione in termini contrattuali del rapporto tra medici e strutture sanitarie, da un lato, e pazienti, dall’altro, ha sollevato il problema della selezione del foro territorialmente competente tra il tribunale del luogo dove risiede il paziente e quello nella cui circoscrizione ha sede l’azienda sanitaria. Letta in termini processuali, la questione attiene all’applicazione del foro generale alternativo di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c. o del foro speciale esclusivo (196) previsto dall’art. 33, comma 2°, lett. u), d.lgs. n. 206 del 2005, cioè il c.d. foro del consumatore.

E’ stato a lungo ritenuto applicabile l’art. 33, comma 2°, lett. u), cod. cons., che, considerata la debolezza contrattuale del consumatore-utente rispetto al professionista, consentirebbe al paziente di radicare le cause relative al contratto concluso con l’azienda davanti al giudice a lui più vicino, ossia davanti al giudice di residenza del consumatore (197). Secondo la normativa comunitaria e nazionale, infatti, il rapporto che si instaura tra medico o struttura e paziente è un rapporto giuridico di servizio: da un lato, nell’ambito della definizione del prestatore di servizi è possibile ricondurre coloro che esercitano una professione in generale, e quella medica in particolare (198), dall’altro, l’utente del servizio è espressamente equiparato al consumatore dall’art. 3, comma 1° lett. a), cod. cons.

In tal senso si è espressa a lungo la giurisprudenza, precisando che nel contratto di prestazione professionale medica il paziente e il sanitario assumono, rispettivamente, la qualità di consumatore

(194) V. l’attuale art. 27, comma 1° bis, in seguito a modifica introdotta in sede di conversione. L’obbligo era originariamente previsto nello schema del decreto Balduzzi, poi stralciato in sede di approvazione definitiva.

(195) BONA, R.c. medica e “mediazione obbligatoria”: critiche al modello governativo, in Riv. it. med. leg. e dir.

sanitario, 3, 2011, p. 601.

(196) Ma derogabile (Cass., 20 agosto 2010, n. 18785, in Il civilista, 2010, 10, p. 15) e vessatoria a partire da Cass., sez.

un., 1° ottobre 2003, n. 14669, in Foro it., 2003, I, c. 2398, confermato da Cass., 26 aprile 2010, n. 9922, in Guida dir., 2010, 20, p. 63; ma la prova spetta al professionista che vuol far valere la clausola in deroga, v. Cass., 26 settembre 2008, n. 24262, in Foro it., 2008, I, c. 3528; La residenza o domicilio del consumatore rilevante ai fini del radicamento della competenza è quella che lo stesso ha al momento della domanda: Cass., sez. un., 19 maggio 2009, 11532, in Guida dir., 2009, 29, p. 32.

(197) CECCONI-CIPRIANI, Aspetti processuali, in La responsabilità civile medica dopo la legge Balduzzi, Torino, 2014,

pp. 115-117; tale disciplina infatti si applica a qualsiasi contratto tra consumatore e professionista anche se precedente al codice del consumo, purchè il giudizio sia instaurato dopo l’entrata in vigore del codice stesso in virtù del principio della perpetuatio iurisdictionis ex art. 5 c.p.c.: cfr. Cass., 26 settembre 2008, n. 24262, in Resp. civ. prev., 2009, 3, p. 589.

45 e professionista (199). Tutte le decisioni erano concordi nel ritenere che il rapporto tra paziente e medico o struttura rientrasse nel c.d. rapporto giuridico di servizio ricompreso nel campo d’applicazione del Codice del consumo, ossia nello schema tipico del contratto tra consumatore e professionista (200), con conseguente applicazione di tutta la disciplina di derivazione europea, e quindi anche di quella relativa al foro del consumatore (201). In base a tale impostazione, dunque, il paziente potrebbe proporre la domanda risarcitoria per mancato o inesatto adempimento della prestazione sanitaria davanti al foro della propria residenza.

Tuttavia, la giurisprudenza successiva ha mutato orientamento (202), operando un distinguo tra struttura sanitaria pubblica o convenzionata e casa di cura privata non convenzionata: in particolare, si è affermato che la disciplina di cui all’art. 33 cod. cons. sia inapplicabile ai rapporti tra pazienti e strutture ospedaliere pubbliche. Pertanto, quando il soggetto passivo dell’azione è una struttura pubblica, o convenzionata con il Ssn, la domanda deve essere proposta davanti al tribunale del luogo in cui si trova la sede dell’ospedale. Tra le argomentazioni offerte dalla Corte vi sarebbe la mancanza di un vero e proprio contratto tra le parti, indispensabile presupposto per l’applicazione del foro esclusivo del consumatore, poichè la prestazione dell’azienda pubblica avrebbe origine direttamente nella legge. E’ evidente, innanzitutto, la rottura con la tradizionale conformazione contrattuale del rapporto tra struttura e paziente, ancora largamente qualificato nella giurisprudenza dominante come contratto di spedalità (203). Ma la Corte si spinge oltre: sebbene nel primo passaggio della motivazione si afferma che la posizione dell’utente è tendenzialmente parificata a quella del consumatore, potendone esercitare i medesimi diritti e rimedi, si legge poi una smentita laddove si nega la sussistenza delle qualifiche soggettive di consumatore e professionista a causa della peculiare organizzazione del servizio sanitario pubblico e del suo rapporto con il diritto di fruizione da parte dell’utente (204). L’argomentazione si regge sulla particolare natura del servizio

pubblico, la cui fruizione non segue un principio di territorialità, consentendo all’utente di rivolgersi ad un ospedale non necessariamente collegato alla propria residenza. Infatti, seppure

(199) Cass., (ord.) 2 gennaio 2009, n. 20, ined.; per il medico che esercita nell’ambulatorio privato v. Cass., 27 febbraio

2009, n. 9414, in Foro it., 2009, I, p. 2684; Cass., 20 marzo 2010, n. 6824, in Mass. Giust. civ., 2010, p. 3; per la giurisprudenza di merito v. Trib. Torre Annunziata, 31 maggio 2006, In Corr. merito, 2006, 10, p. 1122; pertanto, la norma che prevede il foro del consumatore si applica anche se il contratto non è stato concluso in forma scritta, cioè indipendentemente dal fatto che sia stata pattuita per iscritto una clausola sulla competenza: Cass., 27 febbraio 2009, n. 4914, in Foro it., I, c. 26849; infatti, il riferimento ad alcune categorie di contratti contenuto nel codice del consumo non ha lo scopo di limitare il campo di applicazione della norma ad alcune categorie di servizi, ma è ritenuto meramente esemplificativo: Cass., (ord.) 26 febbraio 2009, n. 4745, ined.

(200) FANTACCHIOTTI, Il foro del consumatore nel contratto di spedalità, in Il valore dell’uomo, 2010, 1, p. 18; RINALDI,

L’allargamento della nozione di consumatore, una questione di uguaglianza?, In Nuova giur. civ. comm., 2009, p. 39 ss.; LIGUORI, La competenza per territorio, In La responsabilità medica, dalla teoria alla pratica processuale, Santarcangelo di Romagna, 2011, p. 196 ss., spec. pp. 198-199.

(201) I principi e i criteri direttivi a tutela della parte debole ricavabili dall’ordinamento comunitario e nazionale sono

sanciti dall’art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue (c.d. carta di Nizza oggi equiparata al valore giuridico dei trattati dall’art. 6 del Trattato di Lisbona), dagli artt. 12 e 169 TFUe, dall’art. 98 del trattato costituzionale europeo, e dal codice del consumo (d.lgs. n. 206 del 2005).

(202) Cass., (ord.) 2 aprile 2009, n. 8093, in Resp. civ. e prev., 2009, p. 1283, con nota di CHINDEMI, il paziente di una

struttura sanitaria non è <<consumatore>> e l’azienda non è <<professionista>>e in danno e resp., 2010, p. 56, con nota di BENEDETTI E BARTOLINI; conf. Cass., 4 agosto 2004, n. 18138.

(203) PARTISANI, Dal contratto di spedalità, al contatto sociale al contratto con effetti protettivi, in Le responsabilità nei

servizi sanitari diretto da Franzoni, Bologna, 2011, p. 197 ss., il quale peraltro evidenzia come nulla cambierebbe sul piano sostanziale e processuale grazie alla teoria del contatto sociale.

(204) MIRIELLO, La responsabilità medica nello specchio della responsabilità civile, in Le responsabilità nei servizi

sanitari, Torino, 2011, pp. 58-59; NARDI, Il foro competente per la lite tra struttura sanitaria pubblica e paziente, in

46 l’organizzazione del servizio sia articolata su base territoriale, l’utente può beneficiare del servizio in una qualsiasi articolazione dell’organizzazione (205). Convince poco, comunque, il passaggio

successivo del ragionamento secondo cui la libertà di scelta dell’utente, di rivolgersi ad un ospedale situato al di fuori del proprio comune di residenza, lo collocherebbe in una posizione totalmente diversa rispetto al consumatore in quanto lo rende consapevole che il contenzioso che ne può sorgere non è soggetto al suo foro. Tale argomento può essere contestato, innanzitutto, perché l’operatività del foro del consumatore non è in alcun modo legata alla consapevolezza soggettiva di rivestire la qualifica, ma si ricollega alla semplice sussistenza della stessa in base a criteri di natura oggettiva, come peraltro la giurisprudenza unanime ha sempre affermato (206). Inoltre, l’utente- consumatore può liberamente scegliere anche con riferimento al professionista privato, senza che ciò possa incidere sulla competenza territoriale esclusiva prevista a favore di quella che è considerata la parte debole del rapporto.

La Corte, comunque, ha escluso l’applicazione del foro del consumatore anche dal punto di vista del convenuto, negando che le aziende ospedaliere pubbliche siano qualificabili come professionisti. La ragione di tale esclusione è legata alla natura non lucrativa del servizio offerto dalle aziende del S.s.n., e dalle aziende con esso convenzionate, che devono erogare il servizio sanitario a prescindere dal conseguimento di un profitto, mentre l’attività professionale sarebbe sempre imprescindibilmente finalizzata al conseguimento di un profitto. Tale aspetto presenta certamente maggiori profili di complessità, e sarebbe poco serio abbozzare una superficiale smentita senza approfondire l’articolato quadro normativo del S.s.n., che però devierebbe troppo dall’oggetto dell’indagine. Siano consentite solo alcune considerazioni generali volte a mettere in guardia dal rischio di interpretazioni troppo letterali della normativa nazionale, tali da ignorare l’intera impalcatura europea da cui essa ha avuto origine. Sebbene, infatti, l’art. 1 cod. cons. non abbia riprodotto testualmente la definizione di professionista contenuta negli abrogati artt. 1469 bis ss. c.c. (207), eliminando qualsiasi riferimento alla persona giuridica che opera nel quadro di un’attività pubblica, l’interpretazione letterale restrittiva operata dalla Corte sembra porsi in contrasto con la direttiva Ue, con la legge delega del codice del consumo (208) e con altre norme dello stesso codice. E’ noto che la giurisprudenza europea e nazionale sponsorizza un’interpretazione delle norme conforme alle fonti comunitarie e compatibile con i principi e criteri direttivi posti dalle leggi delega (209). Ciò è parso tanto più necessario quando vengono in gioco norme che vantano una funzione riequilibratrice a protezione delle parti deboli del rapporto, come appunto quella relativa al foro del consumatore (210). Inoltre, non può ignorarsi che il servizio pubblico, ed in particolare quello sanitario, è oggi improntato a criteri di imprenditorialità ed economicità, e vanta un’autonomia organizzativa, gestionale ed economica, nonchè la piena

(205)Cass., (ord.) 2 aprile 2009, n. 8093, cit.

(206) Da Cass., 25 luglio 2001, n. 10172, In Giust. civ., 2002, I, p. 685, con nota di DI MARZIO, sebbene con riferimento

alla disciplina di cui agli artt. 1469 bis ss. c.c., poi sostituita dal cod. cons.; conf. da Corte cost., 22 novembre 2002, n. 469, in Danno e resp., 2003, p. 701, con nota di PERFUMI;

(207) Che peraltro riportavano pedissequamente la definizione contenuta nell’art. 2 let c), dir. Eu n. 13 del 1993. (208) L’art. 7, let. a) l. 229 del 2003 richiama infatti ad un generale adeguamento alla normativa internazionale con

formula ribadita nell’art. 1 cod.cons.

(209) Cass., sez. un., 17 novembre 2008, n. 27310; Corte cost., 24 giugno 2010, n. 230, in Giur. cost., 2010, 3, p. 2668;

Corte cost., 17 ottobre 2007, n. 341, in Giur. cost., 2007, 5, p. 3418.

(210) Tra le tante Corte giust. Ue, 13 dicembre 2007, 463/06, in resp. e risarc., 2008, I, p. 98, che ha addirittura esteso il

foro del consumatore al rapporto extracontrattuale; Cass., sez. un., 13 ottobre 2009, n. 21661, in Guida dir., 2009, 50, p. 27.

47 personalità giuridica (211). Sono questi, infatti, gli elementi valorizzati dalla giurisprudenza di merito successiva (212), che si è posta in aperto dissenso rispetto alla Cassazione proprio argomentando dalla struttura aziendalistica delle Asl.

La Cassazione, infine, sembra consapevole che la casa di cura convenzionata si presenta come un’azienda diretta a perseguire un utile, ma ritiene che l’utile rilevi solo nel momento in cui essa stipuli la convenzione con l’ente pubblico. Successivamente, invece, l’attenzione va spostata sulla modalità di erogazione del servizio che, a convenzione perfezionata, sarebbe totalmente equiparabile a quella della struttura pubblica. La logica di un tale ragionamento pare francamente inafferrabile, laddove, anche volendo sorvolare sulla natura aziendale dell’organizzazione e della modalità di erogazione del servizio, e volendo adottare quale parametro di riferimento la produzione di un’utile, nella realtà non è possibile rinvenire una struttura privata, convenzionata o meno, che non abbia di mira l’incameramento di un profitto, almeno quando essa sia strutturata nella forma di impresa.

Comunque, dall’impostazione della Cassazione si può desumere, a contrario, che il paziente danneggiato potrà usufruire del foro del consumatore, e quindi rivolgersi al tribunale nella cui circoscrizione ha la propria residenza, solo nel caso in cui convenga in giudizio una struttura privata non convenzionata oppure una casa di cura convenzionata, ma solo, in quest’ultimo caso, quando la richiesta di risarcimento si riferisca a prestazioni aggiuntive rispetto a quelle rimborsate dall’S.s.n.: in sostanza, il foro del consumatore potrebbe operare solo quando il costo della prestazione sia a carico dell’utente (213).

L’impostazione appena delineata potrebbe ridimensionarsi in seguito ad una recente pronuncia che si riferisce alle prestazioni c.d. intra moenia offerte da una struttura pubblica – nella specie un’azienda Ospedaliera Universitaria del S.s.n. –, quando le stesse risultino pattuite al di fuori delle procedure del S.s.n. (214). Tale sentenza, pur non ponendosi in aperto dissenso rispetto alla precedente interpretazione, lascia intuire quanto sia labile il confine che esclude la qualifica di professionista nei confronti dello stesso ente pubblico. Si afferma, in particolare che chi abbia usufruito di prestazioni sanitarie può avvalersi del foro del consumatore qualora il rapporto fra lui e la struttura sanitaria del S.s.n. (o convenzionata) <<abbia corso con l’espletamento di una serie di prestazioni aggiuntive, il cui costo sia posto direttamente a carico dell’utente e non del Servizio sanitario nazionale […], sulla base di un vero e proprio contratto intervenuto fra l’utente e la struttura del S.s.n., salvo per una parte minore che rappresenti il costo aziendale normalmente a carico del S.s.n.>>.

(211) FANTACCHIOTTI, Il foro del consumatore nel contratto di spedalità, in Il valore dell’uomo, 2010, 1, p. 18 ss.; LIGUORI, La competenza per territorio, In La responsabilità medica, dalla teoria alla pratica processuale, Santarcangelo di Romagna, 2011, p. 196 ss., spec. pp. 217-218; DE MATTEIS, p. 8 nota 27, osserva che nel diritto

comunitario di fonte giurisprudenziale l’equiparazione tra attività sanitaria, erogata in strutture pubbliche, è attività d’impresa è stata sostenuta per l’applicazione della disciplina relativa alla responsabilità del produttore per prodotto difettoso; diversamente in ambito nazionale ad una simile equiparazione viene sempre obiettato il fatto che l’attività sanitaria, a monte dei servizi sanitari, non è attività economica in quanto essi gravano come costo sociale sulla collettività.

(212) Trib. Napoli, n. 11253 del 2009.

(213) CECCONI-CIPRIANI, Aspetti processuali, in La responsabilità civile medica dopo la legge Balduzzi, Torino, 2014, p.

117, che evidenzia come peraltro in tale caso la Cassazione esclude una disparità di trattamento tra i pazienti del Ssn e quelli delle case di cura private perché questi ultimi, oltre al costo fiscale del servizio, si accollano il costo aggiuntivo della struttura privata.

(214) Cass., 24 dicembre 2014, n. 27391, in dejure (online), si trattava in particolare di prestazione eseguita dal medico

scelto dal paziente e destinato ad intervenire come libero professionista, sebbene nell’espletamento di attività intramuraria, come tale riferibile sempre all’azienda ospedaliera e con l’avvalimento della sua struttura.

48 Alla luce dell’attuale quadro interpretativo, sembra senz’altro prudente azionare il diritto al risarcimento presso la sede dell’ente convenuto in giudizio secondo i principi generali di cui all’art. 19 c.p.c., per non rischiare di incorrere in eccezioni di incompetenza, anche considerata la sottile linea di demarcazione creata per via giurisprudenziale. Ciononostante, va ribadito che la diversa interpretazione che ammette l’applicazione del foro del consumatore è certamente più coerente con i principi generali in materia, che tra l’altro autorizzano l’interprete a preferire, in caso di dubbio, la soluzione più favorevole al consumatore, anche in fattispecie non espressamente previste.

Per completezza d’indagine, e in attesa di nuovi chiarimenti giurisprudenziali, si segnala altresì che il dibattito potrebbe ritenersi del tutto superato qualora dovesse prevalere l’interpretazione letterale dell’art. 3 della legge Balduzzi, più volte menzionato. Infatti, laddove si affermasse la natura extracontrattuale dell’azione risarcitoria, il foro dovrebbe essere individuato, in virtù degli artt. 20 c.p.c. e art. 1182, comma 4°, c.c, nel luogo in cui l’obbligazione è sorta ovvero dove deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio o, ancora, nel luogo in cui l’illecito si è verificato: in tutti i casi il foro competente sarebbe dunque quello della struttura convenuta in giudizio.

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CAPITOLO II

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