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Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie.

2. Modelli di mediazione: una possibile conciliazione del rapporto tra mediazione e giustizia.

2.1 La risoluzione giurisdizionale e non giurisdizionale delle controversie: quale alternativa?

Ciò che cambia nei tre modelli è essenzialmente il ruolo del mediatore, che sarà di mero facilitatore della negoziazione nel primo modello, di facilitatore e informatore delle norme giuridiche nel secondo, di informatore e controllore della corretta attuazione delle norme nel modello attuativo. Da questo punto di vista, è possibile, innanzitutto, individuare il collegamento tra i modelli teorici di mediazione e le tecniche di mediazione, superando lo sterile dibattito riguardo al modo preferibile di <<fare mediazione>>, in relazione alla menzionata distinzione tra mediazione facilitativa e valutativa (607). E’ evidente, infatti, che nel modello c.d. creativo si possono maggiormente apprezzare le tecniche di mediazione di tipo facilitativo, che favoriscono maggiormente il potere di autodeterminazione delle parti. Mentre, nel secondo e terzo modello potrebbe rivelarsi più utile il ricorso ad una modalità di tipo valutativo, poiché, da un lato, le valutazioni del mediatore contribuiscono a chiarire il contesto giuridico, dall’altro, la formulazione di proposte consente di indicare alle parti il percorso più rispettoso degli interessi che le norme tutelano (608). E’ importante considerare, tuttavia, che la prospettiva delle tecniche di mediazione non consente di assicurare un equilibrato rapporto tra mediazione e sistema giuridico, perché è evidente che esse sono funzionali alle esigenze del caso concreto. La dinamica interna della mediazione non può essere, infatti, irrigidita da norme procedurali, come avviene nel processo, pena lo stravolgimento dell’essenza e della funzione dell’istituto (609). Al contrario, è necessario prendere in considerazione la struttura

normativa “esterna” (cioè l’involucro all’interno del quale si svolge la mediazione) e verificare i rapporti che la stessa può intrattenere con gli altri strumenti giuridici di composizione delle liti. L’adozione di chiavi di lettura non limitate alla finalità deflattiva, ma che siano ampliate ad una finalità di allargamento degli spazi di tutela, facilitando l’accesso alla stessa attraverso la diversificazione delle modalità di risoluzione della lite, passa necessariamente dalla considerazione del rapporto con il processo e con la tutela giurisdizionale in senso stretto. Il processo giurisdizionale rappresenta il metodo istituzionale e ineliminabile di risoluzione dei conflitti, ma ciò non significa che sia il metodo migliore. Al contempo, ritengo opportuno evidenziare le plausibili critiche che respingono l’idea secondo cui gli strumenti conciliativi siano, sempre e comunque, preferibili rispetto alla sentenza e al lodo. Il processo svolge, infatti, un essenziale ruolo di garanzia della legalità, irrinunciabile specialmente nella società moderna che conosce una crisi di valori pubblici (610). Non credo neppure, però, che la legalità debba essere totalmente estranea alla conciliazione, perché il punto di incontro degli interessi delle parti può, e deve, essere anche ispirato all’equità ed alla giustizia sostanziale. Mi sembra interessante, dunque, la concezione che considera la giustizia statale come servizio pubblico diretto alla composizione delle controversie secondo giustizia. Secondo tale visione, il “servizio giustizia” non è prerogativa dello Stato, che è comunque tenuto a garantirne l’efficiente funzionamento, ma può essere affidato, in presenza di una concorde

(607) CUOMO ULLOA, La conciliazione, p. 456 ss.; per il dibattito v. DI ROCCO SANTI, La conciliazione, cit.,p. 122. (608) Per coloro che adottano una concezione c.d. trasformativa della mediazione concepiscono quest’ultima

essenzialmente come creativa, distaccandola totalmente dal sistema giustizia, v. CUOMO ULLOA, La conciliazione, pp.

438 nota 91 e 447 nota 118; la mediazione trasformativa, come vedremo è utilizzata in alcune regioni proprio in ambito sanitario, v. infra par. 4.1.

(609) Salva, naturalmente, quel minimo di proceduralità prevista dal regolamento di procedura dell’organismo (art. 3

d.lgs. n. 28 del 2010), che serve per verificare la volontà e il comportamento delle parti. (610) BIAVATI, Conciliazione strutturata e politiche della giustizia, cit., p. 785.

128 volontà delle parti, a istituzioni diverse dallo Stato, di cui sia assicurata la terzietà e l'imparzialità (611).

L’effetto sostitutivo è la caratteristica imprescindibile di qualsiasi atto che abbia lo scopo di risolvere una disputa; così l’accordo conciliativo, se vuole essere davvero competitivo e alternativo, deve provocare l’effetto sostitutivo proprio della sentenza (612). A tal fine è necessario che si tratti di

atto vincolante e che abbia il precipuo scopo di risolvere una lite. Come vedremo meglio nel capitolo V, affrontando il tema della natura dell’accordo conciliativo in relazione alla sua efficacia, tutti i possibili esiti della mediazione (transazione, negozio di accertamento, rinuncia) presentano tali caratteristiche perché, da un lato, sono vincolanti in quanto aventi forza di legge tra le parti ex art. 1772 c.c., dall’altro, se inseriti in un procedimento di mediazione, e considerati come risultato dello stesso, sono idonei a risolvere la controversia.

L’effetto sostitutivo si sostanzia nella determinazione di regole di condotta concrete che si sovrappongono alle regole generali e astratte contenute nella normativa sostanziale: nei contratti di risoluzione delle liti si soddisfa l’esigenza di pacificazione e certezza proprio con l’individuazione di una nuova regola a cui sottoporsi, senza che sia necessario accertare chi ha ragione e chi ha torto, ma producendo di fatto un effetto preclusivo (613) che consente di rompere con il passato, precludendo contestazioni sul rapporto originario e sostituendosi a esso. Sebbene manchi, in tali negozi, un’attività di accertamento equiparabile a quella che svolge il giudice nel processo, non può negarsi che essi siano in grado di sprigionare un’efficacia costitutiva e/o dichiarativa, benchè fondata sulla volontà delle parti (614).

A tal proposito va segnalato il dibattito sul significato e sulla portata della nozione di accertamento: parte della dottrina nega l’ammissibilità di un accertamento negoziale perché il contratto avrebbe sempre e solo natura dispositiva (615); tuttavia, è stato messo in luce come tale affermazione sia frutto di un equivoco che sta dietro l’espressione accertamento. In questi casi non si deve intendere il giudizio come operazione di <<ricognizione descrittiva del passato>>, di cui le parti possono non aver bisogno per regolamentare negozialmente i loro interessi; è possibile, invece, concepire l’accertamento come <<accertamento prescrittivo del futuro>> (616), in altri termini come risultato

del giudizio. Dunque, il contratto che ha come scopo la risoluzione di una controversia non contiene un accertamento descrittivo del passato analogo a quello che deve necessariamente effettuare il giudice o l’arbitro, perché la decisione del terzo è improntata necessariamente alla ricerca della giustizia, mentre l’atto delle parti ricerca una loro convenienza. Quando, però, nella formazione dell’accordo il mediatore deve effettuare una ricognizione del passato in virtù di un bilanciamento

(611) CAPONI, La prospettiva dell’efficienza spinge la conciliazione, cit., p. 55; PACIOTTI, I tempi della giustizia. Un

progetto per la riduzione dei tempi dei processi civili e penali, Milano, 2004, passim. (612) LUISO

, La risoluzione non giurisdizionale delle controversie, cit., p. 5 ss., la cui dimostrazione più evidente è l’insensibilità allo ius superveniens; cfr. ID, La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, cit., p. 1201 ss.

(613) FRANZONI, La transazione, Padova, 2001, p. 119; l’efficacia preclusiva del giudicato e della transazione risponde

all’esigenza di rimuovere l’incertezza dovuta alla contestazione: FALZEA, voce Efficacia giuridica, in Enc. Dir., XIV,

1965, pp. 50 e 56, che ammette l’efficacia preclusiva sia nella transazione che rispetto al negozio di accertamento; contra DEL PRATO, voce Transazione (dir. Priv.), in Enc. Dir., XLIV, 1992, p. 5; Cass., 13 maggio 1996, n. 4448, in Mass. Foro.it, 1996; conf. da Cass., 17 settembre 2013, n. 21255, in giurcost.org.

(614) Infatti la nuova statuizione negoziale può coincidere con la realtà accertata, come potrebbe discostarsene: FALZEA,

voce Efficacia giuridica, cit., p. 56; FRANZONI, La transazione, cit., p. 245; DEL PRATO, Op. cit., p. 2, parla di c.d.

accertamento privato come di atto di disposizione.

(615) FORNACIARI, Lineamenti di una teoria generale dell’accertamento giuridico, Torino, 2002, 78 ss.

(616) LUISO, Giustizia alternativa o alternativa alla giustizia, cit., § 3; ID, La risoluzione non giurisdizionale delle

129 di interessi, anche di rilievo pubblicistico, allora <<il passato entra nella mediazione>> (617). Comunque, la mediazione può fare i conti con il passato in modo diverso rispetto al processo, proprio perché offre alle parti un modo di gestione dell’accaduto alternativo al modo in cui lo stesso viene gestito nel processo. La mediazione non può, ne vuole, accertare la verità stessa (618), ma mira a pervenire ad una ricostruzione condivisa del passato.

Da questo punto di vista si comprende meglio anche la distinzione tra transazione, conciliazione e sentenza (619): nei primi due metodi di risoluzione consensuale non si arriva ad alcun accertamento del passato, potendo al più la conciliazione presupporre un percorso di ricostruzione condivisa del passato; mentre nei metodi di risoluzione delle controversie di tipo decisorio necessariamente si presuppone la certezza dell’accertamento sulle circostanze del conflitto, per poter trarre conseguenze giuridiche oggettive che vengono ad essere cristallizzate nella cosa giudicata sostanziale. Si dice che la differenza tra l’accertamento giudiziale e quello privato stia nel metro che si usa per dare il contenuto all’accertamento stesso. Il giudice si baserà sulla ricognizione della realtà preesistente improntata alla ricerca della giustizia, mentre il privato potrà basarsi sui propri interessi e sulla convenienza della nuova stipulazione contrattuale, normalmente inaccessibili al giudice. Ciò non esclude, però, la possibilità della ricerca di una giustizia dell’accordo: se la sentenza non può che essere atto di giustizia, la norma concreta posta nel contratto può essere anche frutto di un bilanciamento tra interessi delle parti e interessi superindividuali. Come vedremo, infatti, il potere negoziale delle parti trova un limite negli interessi pubblicistici presidiati da norme imperative, che possono e devono entrare anche nella composizione negoziale degli interessi delle parti. Si prospettano, in definitiva, due modelli di risoluzione dei conflitti, uno pubblico e uno privato, che trovano entrambi origine nella legge (620).

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