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Il fascismo, Bottai e la tradizione classica

3.4 La casa del latino

Nella scuola media con il latino i sostenitori del Fascismo vedeva- no il raggio da cui potesse dipanarsi una prospettiva di rivalutazione degli studi classici che, perdendo la connotazione retorica e verbalisti- ca di puro fenomeno letterario, trovavano terreno fertile per prospera- re nel solco di un umanesimo nuovo e per dispensare una preparazio- ne pratica. Per costoro valeva l’assunto del latino per tutti, ma in con- dizioni tali che fossero adottate strategie educative nuove e scevre da ogni vaghezza, capaci di mettere in breve tempo i giovinetti in contat- to con la lingua dei romani così da poterne apprezzare le relazioni con la lingua materna e con l’attuale patrimonio valoriale, storico, politico e artistico, diretto erede di quello classico.

La scuola unica di Bottai era stata concepita, fra l’altro, come far- maco all’inutile sovrapposizione dei tre corsi inferiori degli istituti se- condari, ginnasio, istituto tecnico e istituto magistrale, che negli anni avevano assunto caratteri sempre più simili e convergenti. Con Genti- le, infatti, i programmi si erano fatti quasi identici, o meglio senza sa- lienti differenziazioni nei curricula.

Alla ideazione di una nuova istituzione mediana, ben separata nel carattere e nella strutturazione del percorso disciplinare, si connetteva la promozione di rinnovate tecniche didattiche; atto, quest’ultimo, di notevole rilevanza e decisivo soprattutto per l’insegnamento del latino che si qualificava come l’elemento più caratterizzante della neonata scuola. Si soleva affermare, come risultava nel testo delle Avvertenze al programma di latino (R.D. 30 luglio 1940-XVIII), che «la scuola me- dia sarà quello che sarà l’insegnamento del latino o, che è lo stesso,

27G. Calò, Scuola sotto inchiesta, Einaudi Editore, Roma 1957, p. 41. L’autore de-

dica alla critica del panlatinismo un intero capitolo.

28La citazione è tratta dal volume di R. Calderini, L’insegnamento del latino in Ita-

quel che sarà il metodo di questo insegnamento». Si imponeva, di con- seguenza, la ricerca di un rimedio allo stato di crisi che traspariva dai risultati degli studi classici. Il rimedio si annidava nei metodi, nel re- perimento di provvedimenti pedagogici e didattici in grado non solo di rinvigorire il latino e il greco in sé, ma anche di far rifiorire le loro po- tenzialità formative.

L’egemonia del latino riceveva accreditata autorizzazione della cer- tezza sulle potenzialità derivate della sua concreta applicazione: il lati- no, si ripeteva, «organizza» la mente dei giovani, ma in cambio esige- va uno sforzo mentale gravoso per gli adolescenti non ancora avvezzi all’esercizio della riflessione e della costanza. Risiedeva qui la diffi- coltà di tale disciplina, nella esigenza di pazienza e nella richiesta ad

impadronirsi dell’habitus mentale della compostezza29.

L’insegnante doveva vivere la coscienza del suo ruolo che, prima di nutrirsi di sapere disciplinare, necessitava di competenze intimamente psicologiche. Conoscere la natura dell’adolescente era il prerequisito di un buon insegnamento, soprattutto dell’insegnamento della lingua latina dotata di una apparato lessicale, grammaticale e morfosintattico razionale e, dunque, complesso per chi era ancora fisiologicamente agitato dai moti dell’istinto e dall’inquietudine dell’età. Occorreva ri- muovere gli ostacoli, per lo meno quelli provenienti dalla natura degli alunni, al fine di evitare la caduta di interesse precoce, ma con conse- guenze perenni.

In questi anni, sul versante della pedagogia scientifica, avevano ini- zio i primi esperimenti di didattica del latino del tutto innovativi ri- spetto alle pratiche di insegnamento tradizionale. Si agitavano le acque dell’ammodernamento di una lingua che conquistava l’interesse del mondo politico e culturale. In particolare, intorno agli anni ’30 Maria Montessori, prendendo spunto da considerazioni circa l’alto valore for- mativo del latino e l’ideale funzione storica che questa lingua mostra- va di avere nell’innescare il processo di ricostruzione delle origini ita- liane ed europee, elaborava un metodo di apprendimento del latino, fondato su principi psicologici di sviluppo del linguaggio.

La Montessori, in un importante contributo del 1939 De l’enfant à l’adolescent, considerava la lingua latina «che si è diffusa in tutto il mondo, portandovi la civiltà, e che il mondo fa rivivere oggi nelle men- ti più elette, nelle persone più colte» come una «lampada che vivifica e illumina tutto il nostro patrimonio culturale, e dev’essere facile arri-

vare fino a lei; essa deve essere resa fluida, gioiosa, accessibile alle menti infantili, suscitando vita e interesse intorno alle altre materie d’insegnamento, affermandosi realmente come lingua “generatrice” della nostra» e divenendo non tanto una «lingua da apprendere, quan- to una radice da mettere fuori, come se noi fossimo una pianta e, sca- vando un poco nel terreno, si giungesse alle sue radici».

Forte di talune importanti conquiste nel campo della psicologia del linguaggio confermate dagli apporti della biologia, della medicina e, non ultima, dall’antropologia, la studiosa riteneva possibile applicare all’in- segnamento del latino il medesimo procedimento di apprendimento del- le lingue moderne, a patto che alla lingua latina non si associasse l’ap- pellativo di “morta”, ma la si considerasse di diritto una lingua viva.

Il percorso tracciato per l’acquisizione delle capacità espressive passava per tre livelli, dall’intuizione alla organizzazione del materia- le per approdare, infine, all’astrazione, vale a dire al possesso coscien-

te delle categorie grammaticali30. La novità stava nell’invertire le tap-

pe della pratica educativa: la grammatica non ricopriva, come una cer- ta tradizione voleva, il primo momento, il primo contatto con il latino, ma era sostituita dalla presentazione di un testo con significato com-

piuto31. Si evitava così, secondo la Montessori, la scarna sovrapposi-

zione di norme grammaticali che finivano con l’oscurare l’intelligen- za del bambino e dell’adolescente «come una nebbia che impedisce una visione chiara e distinta». La grammatica, infatti, svolgeva un la-

voro cronologicamente secondario, di organizzazione32.

30Il metodo della Montessori fu accolto in Italia e in altri Paesi europei che rece-

pirono l’invito a considerare il latino una lingua viva. Si ricordi il seguito che tale me- todo ha avuto in Olanda, dove fu esteso all’insegnamento del latino nelle scuole me- die e superiori, in Francia e in Italia.

31 Merita di essere menzionato il metodo suggerito da Pestalozzi per l’insegna-

mento elementare del latino. Il pensiero dell’educatore svizzero al riguardo è stato ri- costruito da un suo allievo, J. Schmid, che ha raccolto gli scritti del maestro in un vo- lume dal titolo Metodo teorico e pratico di Pestalozzi per l’educazione e l’istruzione elementare, al cui interno un capitolo affronta la questione dell’insegnamento del lati- no. È possibile ricostruire le principali linee; in particolare, per ciò che concerne il te- ma del latino, è importante rilevare che negli istituti in cui era praticato il metodo di Pestalozzi, i discenti non ricorrevano all’uso del libro di grammatica, ma erano inizia- ti allo studio del latino «mediante esercizi orali». Di lì aveva inizio la riflessione sugli elementi di base della lingua latina per arrivare alla costruzione di unità sintattiche. Valga, in particolare, il riferimento a T. Herrle, Didattica della lingua latina, Arman- do, Roma 1964, pp. 61-65.

32Il linguaggio risultava una creazione spontanea che aveva luogo nella cosiddet-

L’insegnamento del latino, infatti, per tradursi in studio “utile” e or- ganizzativo richiedeva il diniego dei rigidi e obsoleti paradigmi sintat- tico-grammaticali, i cui perigli distorcevano i meccanismi di apprendi- mento degli adolescenti, causando il rifiuto, per assenza di interesse e per le difficoltà di comprensione, ancor prima di apprezzare il bagaglio di lingua e civiltà romana. Per impedire un simile e dannoso fallimen- to, nei programmi approvati nel 1940 lo studio del latino si faceva ini- ziare nell’ultimo trimestre della prima classe, dopo cioè aver consoli- dato le basi della grammatica italiana e dell’analisi logica considerata il presupposto per affrontare con maggiore padronanza l’ingresso ne- gli schemi logici latini. In questo senso, la grammatica perdeva il ca- rattere antipatico che spesso la contraddistingueva fra i giovani stu- denti, assumendo le connotazioni tipiche della conquista capaci di rin- vigorire l’interesse degli alunni, suscettibili in questa età al fascino di mostrare tutta la loro tenacia.

Il metodo prevalente per il latino e per l’italiano era quello di un in- segnamento grammaticale vivo che, rinnegando procedimenti mecca- nici e cumulativi, si animava di comparazioni e paralleli etimologici tra la lingua italiana e quella latina. Non solo! Con particolare insistenza si raccomandava la lettura da coniugare, a partire dalla seconda classe della scuola media, alle esercitazioni grammaticali. Bottai provvide, infatti, a fornire ogni istituto di una biblioteca di classe e l’insegnante di lettere aveva il principale compito di porre i giovani di fronte alla vi- talità dello studio attraverso la lettura, definita nelle Avvertenze gene- rali ai programmi d’insegnamento per la Scuola media «palestra, vita di questa scuola» (R.D. 30 luglio 1940-XVIII, n. 1174).

Quanto al latino, i citati programmi indicavano che le letture, am- pie e varie, andavano tratte da «brani del Vangelo, di Cornelio Nepote (limitatamente alle Vite di Annibale e di Catone), di Fedro e di altri au- tori» e poi raccomandavano di prestare attenzione alla ricchezza ico- nografica delle edizioni in quanto fattori di attrazione e di interesse per gli allievi. Il legame necessario di lingua e civiltà si rinsaldava nel prin- cipio di un latino quale lingua imperiale. Inoltre, attraverso le nozioni di civiltà si facilitava la conoscenza e la comprensione dei testi e al tempo stesso si rinsaldava fra i giovani la coscienza delle radici. Si è più volte ripetuto che il Fascismo si poneva come obiettivo di riporta- re in auge il culto della romanità, considerato vivente tanto più per l’I- senza sforzi volontari. In questo senso, il bambino apprende dall’ambiente il linguag- gio che poi rielabora logicamente per trasformarlo in un suo possesso (Cfr. M. Mon- tessori, La mente del bambino, Garzanti, Milano 1952).

talia, e che le istituzioni scolastiche divenivano il luogo in cui l’incon- tro con la tradizione veniva approfondito e studiato, rivelando le alte virtù formative attraverso lo studio di una lingua saggia e razionale e mediante la lettura degli autori latini che hanno affrontato tematiche eterne, valide per ogni generazione.

Opinione diffusa fra i sostenitori del disegno di Bottai era la neces- sità del metodo storico applicato all’insegnamento linguistico, in anti- tesi al puro e semplice insegnamento verbalistico e limitatamente grammaticale. Il metodo storico, in particolare, consisteva, come esemplificava Marco Agosti, «nel cogliere la lingua nella sua concre- tezza. La concretezza della lingua non c’è fuori del “testo” del discor- so. Perciò la lingua latina è nelle opere latine. Ma a sua volta le opere latine rinviano alla vita dei romani quale ci è pervenuta attraverso i do- cumenti e i monumenti storici. Onde conoscere la lingua latina vale co- noscere la vita romana. E diciamo “vita” non storia, per far pensare più ad una ricostruzione colorita e plastica dei costumi e degli affetti che

ad una narrazione concettuale di grandi eventi»33. Tuttavia, ciò non fu

sufficiente ad evitare degenerazioni del valore formativo delle lingue classiche che perdurarono, in tutto il periodo fascista, nei ruoli di puri e semplici strumenti di selezione, tanto che lo stesso Bottai, appellan- dosi al latino «gara e cimento» determinava il fine del suo insegna-

mento in un «salutare scoraggiamento per i non dotati»34e in un «im-

pegno di tenacità, ad ogni costo, per coloro che solo le cime del diffi- cile tentano»35.

Un latino per tutti, dunque, nella consapevolezza che pochi erano gli eletti! Si potrebbe, anzi, con convinzione affermare che il latino è stato voluto per tutti proprio in virtù della sua funzione livellatrice e come strumento di una scuola media unica il cui scopo principale do- veva essere quello di evidenziare i pochi eletti, dotati e capaci per af- frontare gli studi liceali classici.

33M. Agosti, La Carta della Scuola, La Scuola, Brescia 1940, p. 181.

Sul tema del rinnovamento delle strategie didattiche negli ultimi anni ’30, in con- trapposizione al formalismo e all’eccessivo grammaticalismo, si veda fra i diversi in- terventi R. Waltz, Pour revivifier l’enseignement du latin, in «Per lo studio e l’uso del latino» 1,3, 1939, pp. 226-233.

34G. Bottai, Vitalità e funzione del latino nella nuova scuola media, cit., p. 9. 35Ibidem.