Il nuovo senso pedagogico tra defascistizzazione e ricostruzione
4.4 Unicisti e pluralist
Il problema scolastico, quindi, rientrava nel campo della politica e non solo: il greco e, in particolare, il latino determinavano la frattura tra classicisti e pedagogisti, così come si evince sin dall’analisi delle relazioni di convegni e di Commissioni d’inchiesta parlamentari costi-
tuite il più delle volte prevalentemente da pedagogisti38con l’esclusio-
ne dei latinisti. La discussione, dunque, proseguiva lungo due binari paralleli che, talvolta, venivano a incrociarsi.
Se i ministri che si succedevano alla Minerva attuavano piani di riforma e istituivano Commissioni d’inchiesta, fiorenti erano anche gli
scambi di opinioni tra unicisti39 e pluralisti40 circa l’ultimo triennio
dell’istruzione inferiore e sul tema dell’insegnamento classico e del la- tino. A partire dal 1956 le basi normative per l’attuazione di una scuo- la media inferiore e per il rispetto effettivo dell’obbligo scolastico fino ai 14 anni si erano trasformate in una concreta e progressiva operazio- ne ministeriale: il ministro Paolo Rossi istituiva la già ricordata Com- missione che giungeva alla elaborazione di un piano di lavoro in cui il latino compariva, nel triennio superiore dell’istruzione garantita a tut-
ti, fra le materie opzionali41. Le successive tappe, tra leggere modifi-
38Merita di essere ricordata la Commissione istituita dal ministro della Pubblica
istruzione Paolo Rossi nel 1956. Fra i componenti non compare alcun latinista: si ri- cordano, ad esempio, il Presidente Giovanni Calò, Ordinario di Pedagogia all’Univer- sità di Firenze, Aldo Agazzi, Docente di Pedagogia; Lamberto Borghi, Ordinario di Pe- dagogia all’Università di Firenze; Guido Calogero, Ordinario di Filosofia all’Univer- sità di Roma; Giovanni Gozzer, Ordinario nei Licei e Capo dell’Ufficio Centri Didat- tici del Ministero della Pubblica istruzione; Nazareno Padellaro, Direttore Generale Ministero della Pubblica istruzione.
39 Fra gli unicisti, si ricordano Concetto Marchesi e Giovanni Gozzer, seppur in
contrasto sulla presenza del latino nella scuola media unica.
40Aldo Visalberghi, fra i tanti, era convinto della importanza e del «bisogno» per
l’Italia di «una scuola media inferiore orientativa differenziata all’interno, ma unica». Cfr. AA.VV., Dibattito sulla scuola, Editori Laterza, Bari 1956, p. 39.
41Cfr. La Dichiarazione della Commissione Rossi sulla scuola per ragazzi in età
che e tenui ritocchi, ricalcavano l’opzionalità del latino nella scuola media, lasciando intravedere in questa scelta un chiaro intento politico più che pedagogico.
Durante la defascistizzazione della scuola e la fase revisionistica dell’architettura educativa si assisteva, dunque, al riproporsi dei pro- blemi che da tempo si annidavano dietro l’istruzione classica e l’inse- gnamento delle discipline antiche e, nonostante la ventata innovativa di proposte e sperimentazioni nei campi della didattica e della psicologia, l’organismo scolastico rimaneva di fatto lo stesso.
Reggeva, ancora saldamente radicata, la differenziazione fra indi- rizzo classico-umanistico e quello professionale-tecnico e, mentre i sindacati reclamavano una più seria formazione professionale in una Italia che della tecnica aveva bisogno per proseguire nella via del pro-
gresso tecnologico e della crescita economica42, il liceo classico conti-
nuava a rappresentare il sigillo di scuola riservata «ai capaci e ai meri- tevoli». Il liceo conservava i prestigio di sempre, di scuola formativa per eccellenza e di scuola unica a consentire l’accesso a tutti i corsi universitari. Da tradizionale dimora del latino e del greco, ora appari- va agli occhi degli innovatori di sinistra e di numerosi pedagogisti co- me «unica» sede in cui dovessero studiarsi tali discipline e in cui l’ap- porto culturale da esse scaturito avrebbe assunto reali e non formali tratti formativi.
La cultura umanistica veniva, in questa prospettiva, difesa dal peri- colo di una sua deformazione culturale e di una caduta valoriale del suo statuto. Nel contempo, i progressi della scienza avrebbero giovato, grazie alla modernizzazione dei metodi didattici, a non perdere di vi- sta l’obiettivo principale di una scuola cui la storia aveva sempre affi- dato il ruolo di formare le classi dirigenti della Nazione: «Per il Liceo classico gli elementi nuovi sul piano ideologico erano costituiti dalle prospettive internazionali della cultura e dall’esigenza di più profonde comprensioni sociali: rimaneva intatta l’accentuazione umanistica: “ai programmi tradizionali della scuola classica suggerimenti nuovi sono 32. In particolare, si legga p. 32 “Parte II – Criteri di attuazione”: «Sono insegnamen- to fondamentali comuni: l’educazione religiosa; l’educazione civica; la lingua italiana; la storia e la geografia; la matematica e osservazioni scientifiche; l’educazione artisti- ca (disegno-canto); le esercitazioni di lavoro; l’educazione fisica. Sono materie opzio- nali: la lingua moderna; la lingua latina; il lavoro; le attività artistiche specializzate».
42Cfr. T. Tomasi, op. cit., p. 228: «La ripresa economica induce a porre una mag-
giore attenzione agli istituti tecnici e professionali non meno deficitari delle scuole dell’ordine classico, incapaci di dare sia una abilità polivalente sia una precisa specia- lizzazione ed in gran parte danneggiati nelle attrezzature peraltro antiquate».
aggiunti che valgano a introdurre il giovane nel mondo di una cultura più veramente umanistica, dove tutte le discipline nel loro armonico completarsi e fondersi divengano formatrici dell’intelletto e diano mo-
vimento e vita al pensiero”»43.
Nel sottolineare le notevoli doti di educazione logica e mentale che gli studi classici possedevano, non si poteva non sottolineare che il la- tino e il greco avevano ciclicamente fatto parlare di sé in virtù dei de- ludenti risultati sortiti nella preparazione degli adolescenti: chi si osti- nava per l’esclusione del latino come materia nella scuola dei ragazzi fra gli 11 e i 14 anni si appellava a questi dati, giustificando la propria tesi con la motivazione che a 11 anni lo studio normativo del latino si sarebbe rivelato tutt’altro che formativo e che, al contrario, avrebbe de- terminato un ostacolo alla concentrazione e alla applicazione richiesta dalle altre discipline.
Concetto Marchesi, comunista, fiero nemico della politica cultura- le del fascismo, voce del dissenso fra le file dei comunisti, difensore della scuola media unica obbligatoria gratuita e con il latino, analizza- va la questione dal punto di vista del soggetto educando e della classi- cità.
Il latino «lingua morta» veniva reputata come insostituibile materia scolastica, il cui studio non poteva farsi assolutamente iniziare al 14° anno di età, così come non poteva essere recluso nei ristretti atrii del li- ceo e diretto ad un’élite predestinata. Questo latino, infatti, la lingua con la quale gli antichi avevano trasmesso la loro civiltà e il loro patri- monio di idee e valori, necessitava di tempi estesi per poter essere ap- presa; «a quattordici anni si può imparare una lingua viva. La lingua morta ha bisogno di penetrare lentamente nella curiosità, nell’interes- se, nell’applicazione mentale dello scolaro: deve essere assorbita con un processo conoscitivo calmo e conciliante, attraverso i fatti, le paro-
le, gli scritti dei grandi personaggi dell’antichità»44.
La crisi vissuta dagli studi classici, l’ostinato citare in causa di sta- tistiche rivelatrici dei pessimi risultati, la similitudine instaurata fra l’insegnamento del latino e la inutile fatica per la formazione degli alunni erano tutti punti di una riforma della scuola media mirante esclusivamente all’abolizione di tale disciplina. A riprova si citavano la comoda causa del nuovo panorama sociale ed economico dell’Italia negli anni ’50/’60 e la consueta esigenza di una scuola e di insegna-
43R. Fornaca, op. cit., pp. 76-77.
menti professionalizzanti forieri di un umanesimo «scientifico». Si re- spingeva o, meglio, non si prendeva affatto in considerazione che il fa- cile manicheismo con cui si distinguevano gli insegnamenti classici e gli insegnamenti scientifici andava nella direzione di un umanesimo parziale e, di conseguenza, non educativo dell’uomo in quanto uomo; si falsificava il principio dell’integrazione disciplinare che, sola, era stata ed era in grado di assicurare una formazione integrale dell’indi- viduo. «Ecco perché», affermava Giovanni Calò nel 1962, «più e me- glio che d’un umanismo scientifico, che rivendica la possibilità di fare educazione umana anche cogl’insegnamenti scientifici, si deve parlare di umanesimo integrale, del quale le scienze matematiche e naturali so- no organi indispensabili allo stesso titolo che le scienze umane. […]
Non c’è educazione umanistica senza educazione scientifica»45.
I termini della querelle travalicavano, a ben guardare, i confini cul- turali e si ampliavano nel quadro di una battaglia fra modernismo e classicismo, di uno scontro fra due schiere, a detta di Concetto Mar- chesi, quasi che insegnamenti scientifici, da una parte, e insegnamen- ti classico-umanistici, dall’altra, dovessero armarsi per affermare la
rispettiva superiorità educativa e formativa46. Tra coloro che si batte-
vano in nome di una modernità fondata sui progressi della scienza e coloro che ricercavano nel passato un patrimonio di valori perenni e validi in ogni tempo, la nuova prospettiva didattica vedeva nello stu- dio e nella conoscenza del latino, integrati dallo studio e dalla cono- scenza delle scienze, gli strumenti preziosi per istituire un legame
ideale con gli antichi «fondatori d’Europa»47, dunque con i romani e
con i greci.
Attraverso la lettura degli autori, l’allievo non solo avrebbe preso coscienza del mondo antico, ossia del mondo valoriale da cui la realtà a lui contemporanea aveva ricevuto la vita, ma avrebbe imparato ad amare le civiltà classiche antiche, superando l’antipatia sorta dalla sco- lastica proposizione esclusiva o prevalente del bagaglio normativo,
45Atti del Convegno sul tema: Insegnamenti scientifici e insegnamenti umanistici
nella funzione formativa della scuola secondaria (Roma, 8-10 maggio 1962), Accade- mia Nazionale dei Lincei, Roma 1963, p. 14.
46C. Marchesi, op. cit., p. 393.
47 Espressione di Angelo Monteverdi, che nel convegno organizzato dall’Accade-
mia dei Lincei a Roma nel 1962, tenne una relazione su “Le discipline linguistiche e letterarie” (cfr. Atti del Convegno sul tema: Insegnamenti scientifici e insegnamenti umanistici nella funzione formativa della scuola secondaria (Roma, 8-10 maggio 1962), cit., pp. 97-103).
grammaticale e sintattico che gli insegnanti ponevano in primo piano, rimandando l’insegnamento della civiltà classica a tempi successivi, in cui già era radicato nella mente dell’adolescente il disinteresse per il latino e per il greco. Infatti, nella scuola secondaria inferiore e in quel- la superiore «il latino e il greco sono insegnati, almeno secondo i pro- grammi e i testi, come se gli allievi dovessero tutti dedicarsi poi alla di- dattica o a verseggiare, onde si comprende che lo stimolo maggiore al- la soppressione del latino venga proprio per reazione al modo retrivo e
caparbio con il quale si insiste ad insegnarlo»48.