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Giovanni Gentile: studia humanitatis e formazione dello spirito

2.1 Verso la Riforma del ’

Con l’acuirsi delle tensioni politiche italiane ed europee che deter- minarono lo scoppio della prima guerra mondiale la politica scolastica rivestiva un ruolo subordinato: una certa pausa legislativa e normativa, infatti, investiva in Italia il problema della scuola. Il 28 luglio 1914 l’Austria dichiarava guerra alla Serbia, minando di fatto la pace che vi- geva fra i Paesi europei e scatenando un complesso sistema di allean- ze che anticipava la scissione fra il blocco politico ed economico occi- dentale e quello orientale socialista.

Durante l’ultimo governo Giolitti, durato appena un anno (giugno 1920/giugno 1921), a presiedere il ministero della Pubblica Istruzione fu Benedetto Croce in una fase della storia della scuola italiana in cui si perpetuava il rituale dei ritocchi senza, pertanto, giungere ad una ve-

ra riforma dell’istruzione, in particolare di quella secondaria1. Su que-

sto scenario, tuttavia, si preparava il terreno di quella ristrutturazione generale del sistema scolastico che fu di natura didattica ma anche am- ministrativa. In tal senso la «riforma Gentile» andrebbe posta in rela- zione alla cosiddetta «riforma De Stefani» dello stesso anno, caratte- rizzata da provvedimenti miranti a rendere più efficiente la gestione delle scuole attraverso una riduzione del personale educativo e ammi- nistrativo. L’allora ministro delle Finanze e del Tesoro Alberto De Ste- fani, infatti, applicava anche al settore dell’amministrazione scolastica

1Valga, in particolare, il riferimento a R. Fornaca, Benedetto Croce e la politica

scolastica in Italia nel 1920-’21, Armando, Roma 1968 e a G. Tognon, Benedetto Cro- ce alla Minerva. La politica scolastica italiana tra Caporetto e la marcia su Roma, La Scuola, Brescia 1990.

quel taglio delle spese che non ha conosciuto eguali nella storia d’Ita- lia e che consentì il pareggio del bilancio statale.

La «più fascista delle riforme fasciste», come Mussolini amò defi- nire la riforma Gentile, entrava in vigore il 6 maggio 1923 (R.D. n. 1054) e, tutt’altro che essere la fedele interpretazione del pensiero fa- scista, traeva ispirazione dalla filosofia idealista e da un’idea di edu- cazione umana intesa quale formazione dell’uomo nella sua interezza, quale formazione dello spirito. La pedagogia di Giovanni Gentile in- nestava nello storicismo di Vico, per cui tutto andava riportato e ricer- cato dentro la storia in virtù della comparazione fra realtà storica e

realtà umana2, l’idealismo hegeliano di uno Stato etico nel quale ogni

individuo si riconosceva: «Intesa così la nazione non solo non ci può essere vita d’uomo che non rechi l’impronta della sua nazionalità, ma non c’è neanche scienza vera, scienza, voglio dire, che sia scienza d’un

uomo, la quale non sia scienza nazionale»3. Punto fermo della conce-

zione gentiliana era la costituzione di una nazione etica attraverso un progetto educativo tale da instillare nell’individuo una nuova coscien- za, potenziandone le attività dello spirito. Come Hegel, anche Gentile reputava forme spirituali superiori l’arte, la religione e la filosofia, in quanto rispondenti al programma di una formazione dell’uomo fina- lizzata all’acquisizione di capacità razionali. Riemergevano le istanze educative che avevano animato nei primi anni del ’900 il pensiero e l’a- zione di Giuseppe Lombardo Radice, fautore di una teoria pedagogica tesa a educare e formare lo spirito dell’uomo e svincolata da ogni for- ma di utilitarismo strumentale e pratico.

A differenza del positivismo, dunque, che puntava su un’educazio- ne pratica e su discipline concrete che fossero in grado di trasferire tec- niche sfruttabili in attività lavorative, il disegno gentiliano si interessa- va esclusivamente di educare lo spirito grazie a discipline svincolate da immediate utilità pratiche. Filosofia, Latino e Greco rappresentavano gli assi portanti di una didattica che come obiettivo formativo si pone- va la libertà interiore degli allievi, di una pratica educativa che non era volta alla cura della quantità disciplinare ma che, di contro, faceva del- la qualità e dell’unità del sapere le sue parole chiave.

Erano questi idealistici gli anni che vedevano affacciarsi l’esigenza di restituire lustro e dotare di un indirizzo preciso l’educazione classi- ca come baluardo contro l’affermazione del nazionalismo e del conse-

2Cfr. G. Gentile, Studi vichiani, Principato, Messina 1915.

guente rinvigorimento del sentimento patriottico, scaturiti da una profonda crisi sociale. Diveniva convinzione diffusa, promossa dallo stesso Gentile e da Giuseppe Lombardo Radice, che nel mondo della scuola dovessero abitare più larghe fasce popolari e che pedagogia e

politica dovessero procedere per la stessa direzione4. Da parti diverse

si dava lettura ai problemi cui la scuola italiana del dopoguerra doveva far fronte, primo fra tutti il superamento degli antichi precetti e lo svec- chiamento che allontanava la scuola dalla storia. Stendere i programmi negli anni che preparavano l’avvento della radicale ristrutturazione del sistema scolastico significava, dunque, soprattutto porre attenzione al- le metodologie che avrebbero dovuto guidare la pratica didattica, ten- tando di trovare una appropriata soluzione ai “mali” e alle cause del- l’insuccesso formativo. Il greco e il latino, materie per cui si ripeteva che il «valore formativo è indiscutibile», godevano, in linea con il con- temporaneo pensiero crociano, di un ruolo privilegiato nei curricula scolastici.

La formazione dello spirito, fine primario della scuola secondaria, si sviluppava attraverso la nobile assimilazione dello spirito degli in- gegni classici, tradotti nelle pagine degli auctores. Era, dunque, la let- tura lo scopo e il mezzo di ogni buon insegnamento; era ancora la let- tura il più importante, se non l’unico, obiettivo da perseguire. In essa, infatti, si annidavano tutti gli elementi cognitivi acquisiti dall’allievo; in essa si racchiudeva lo strumento privilegiato nelle mani del docente per verificare l’avvenuta ricezione delle nozioni; per mezzo di essa si instaurava il contatto con la sapienza antica. Nel tracciare le Istruzioni per l’insegnamento del latino e greco nel ginnasio-liceo classico e del latino nel ginnasio-liceo moderno (R.D. 29 gennaio 1920, n. 150), il ministro Baccelli riponeva la possibilità di realizzare una compiuta educazione dello spirito nella gradualità dell’insegnamento grammati- cale, nella abilità dell’insegnante di rendere stimolante anche lo studio di una grammatica che rifiutasse la pedanteria e l’ingombro di norme e che si trasformasse in uno strumento agile per leggere e interpretare i classici. Percorso possibile, questo, perché non avrebbe sviluppato eccessivo sforzo mnemonico, cadute motivazionali e, quindi, sicuro ri- fiuto. Tale impostazione didattica, supportata da indicazioni psicologi- che, mirava in altri termini a scacciare l’accusa di inutilità degli studi

4Il concetto dell’unione della pedagogia e della politica era stato affermato con

chiarezza da Giuseppe Lombardo Radice ed era stato ripreso da Giovanni Gentile in una pubblicazione sul quotidiano “Politica” del 15 dicembre 1918.

classici, «il falso giudizio della inutilità», attraverso la proposizione di nuove strategie operative rispondenti alla volontà di una formazione disinteressata e di un insegnamento organico, razionale, scevro di ogni elemento superfluo.

A un concreto ripensamento della struttura amministrativa ed edu- cativa si associavano l’opera di divulgazione del pensiero fascista, che passava per le pubblicazioni della rivista «Educazione nazionale», e l’adesione di intellettuali e insegnanti al Fascio di Educazione nazio- nale dichiaratamente ispirato alle idee di Gentile.

«Bisogna restaurare lo Stato», affermava Gentile, e occorre non di- sgiungere codesta generale finalità alla particolare esigenza di ripen- sare con la stessa forza e con il medesimo impegno anche le istituzio- ni scolastiche. Infatti, lo «Stato non si restaura se non si restaura la scuola. La scuola non si restaura se non si restaura la famiglia, e nella famiglia l’uomo, che è la sostanza della famiglia, della scuola, dello Stato»5.

La concezione pedagogica di formazione dell’uomo nuovo era par- te di una mutata disposizione dei rapporti fra l’individuo e l’autorità statale. La formazione dello spirito trovava la sua realizzazione nella scuola, dunque, e precisamente in tutte le scuole, attraverso l’istruzio- ne elementare, classica, scientifica, tecnica e magistrale. A vantare, tuttavia, il privilegio di vere istituzioni di cultura, foriere di una più si- cura e compiuta realizzazione della integrità spirituale, erano la scuo- la elementare e quella classica; limitanti, d’altra parte, tutti i rimanen- ti indirizzi che sviluppavano una formazione parziale, “speciale” ap- punto. Il liceo classico, nel disegno e nella impostazione di Gentile, era e doveva essere per tali ragioni la scuola per eccellenza, l’unica a con- sentire l’accesso a tutte le facoltà universitarie in considerazione delle solide basi di cultura filosofico-umanistica necessarie a quanti desti- nati a ricoprire ruoli egemoni nella società.

In conseguenza di tali principi, l’istruzione secondaria classica as- sumeva le sembianze di una roccaforte il cui ingresso era riservato agli aristoi, ai pochi in grado di proseguire gli studi e che ricercavano la cultura e non semplicemente un titolo di studio. Per limitare e scorag- giare la frequenza di massa, in cui Gentile ravvisava il più manifesto e pericoloso problema della scuola classica, si procedette all’introduzio- ne di severi esami di ammissione con la funzione di accertare la matu-

5Sono parole di Giovanni Gentile, tratte dal suo intervento a Roma in occasione

rità a passare nella classe successiva. Non si trattava di esami di diplo- ma, bensì, in accordo con le linee operative del precedente ministro Benedetto Croce, di autentici esami di stato atti ad accertare il grado di maturità spirituale del discente attraverso prove di cultura generale. Non, dunque, la mole di nozioni acquisite, ma la verifica della realiz- zata formazione dello spirito rappresentava il campo da indagare da parte della commissione esaminatrice composta dai docenti della clas- se e della scuola che avrebbe dovuto accogliere gli studenti.

Nei primi decenni del XX secolo la scuola italiana manteneva an- cora la struttura fissata dalla Magna Charta del 1859, considerata a sessant’anni dalla sua applicazione inadeguata a rispondere alle richie-

ste sociali e ai bisogni politici di un mutato scenario6.

Si avvertiva l’urgenza di una «radicale ed organica»7riforma gene-

rale del sistema scolastico. Esigenza peraltro già avvertita negli anni immediatamente successivi all’unità del Paese all’interno di un vivace dibattito intorno al tema dell’analfabetismo e della necessità di istrui- re strati più larghi della società, convinti che una imponente opera di educazione nazionale avrebbe agevolato il processo di crescita della nazione stessa. In questi anni, nonostante importanti conquiste in cam- po scolastico, non aveva preso corpo un autentico movimento riforma-

tore8, tanto che l’Italia poteva essere a ragione annoverata fra i Paesi a

più alta concentrazione di analfabetismo.

Diverso il panorama offerto dal grado secondario dell’istruzione che aveva conosciuto in questi stessi anni una crescita di iscritti: stan- do ai dati censuari, gli iscritti erano passati dai 18.231 nel 1861 ai 181.603 nel 1911. La spiegazione di questo corposo aumento dei gio- vani che frequentavano gli istituti secondari affonda le sue radici sia in questioni di tipo strettamente politico sia in ragioni di ordine sociale: se, dopo il 1861, la volontà di creare uno Stato forte esortò i politici a favorire, e dunque facilitare, l’ingresso e la riuscita di una vasta schie- ra di giovani all’istruzione secondaria, d’altra parte l’aumento degli

6Si veda sul tema, in particolare, D. Bertoni Jovine, La legge Casati nella critica

contemporanea, in «I Problemi della Pedagogia», V, 1959, pp. 77-117.

7G. Gentile, Il problema scolastico del dopoguerra, Napoli 1919, pp. 19-27. 8Non possono essere taciuti alcuni importanti provvedimenti, fra cui la legge Cop-

pino del 1877 che introduceva l’obbligo scolastico fino a nove anni, la legge che in- nalzava la retribuzione per gli insegnanti elementari (legge n. 3250 del 9 luglio 1876), provvedimenti a favore della costruzione di edifici scolastici. Valga, in generale, il contributo di E. De Fort, Storia della scuola elementare in Italia, vol. I. Dall’unità al- l’età giolittiana, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 89-139.

iscritti si registrava nelle regioni centrali e meridionali della costituita Italia a conferma della «tendenza a ritardare l’ingresso nel mondo del

lavoro, in mancanza di adeguate prospettive professionali»9.

A tali ragioni si aggiungeva l’aspirazione del ceto medio di attuare la scalata sociale attraverso l’istruzione: ciò spiega l’accresciuto nu- mero di iscritti alle scuole tecniche che, nel giro di pochi decenni, rag- giunsero per frequenza la popolazione scolastica dei licei. La legge Ca- sati classificava l’istruzione tecnica, distinta nel grado inferiore (la scuola tecnica di 3 anni) e nel grado superiore (l’istituto tecnico di 3 anni), fra le scuole secondarie il cui precipuo scopo era quello «di da- re ai giovani che intendono dedicarsi a determinate carriere del pub- blico servizio, alle industrie, ai commerci ed alla condotta delle cose

agrarie, la conveniente cultura generale e speciale»10.

Il carattere di cultura generale che tale scuola si proponeva di tra- smettere, attraverso piani di studio, discipline e programmi fitti e per i più inadeguati, ma con il vantaggio di abbreviare di un anno rispetto al liceo l’iter per giungere al conseguimento del diploma senza lo scoglio del latino, determinava anche negli anni dei ritocchi dell’ultimo ’800 e dei primi del ’900 una ponderosa crescita di coloro che sceglievano questo indirizzo di scuola. La convinzione di entrare nel mondo pro- fessionale senza particolari ostacoli determinati da un percorso forma- tivo rigido e, allo stesso tempo, il desiderio ormai generalizzato di tro-

vare un impiego11intaccavano il carattere nobile delle scuole classiche,

sedi privilegiale per la formazione dei ceti alti. Da qui si generava la

9J. Charnitzky, Fascismo e scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943),

La Nuova Italia, Firenze 1996, p. 25. Esiste un parallelo fra lo sviluppo economico e il livello di istruzione per l’Italia, in particolare nel periodo che va dall’unificazione ai primi anni del 1900. Sul tema si vedano, in special modo, V. Zamagni, Istruzione e svi- luppo economico in Italia (1861, 1913), in G. Toniolo (a cura di), Lo sviluppo econo- mico italiano 1861-1940, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 187-240 e M. Barbagli, Di- soccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia (1859-1973), il Mulino, Bolo- gna 1974, pp. 105-156.

10Così si legge all’art. 272, Titolo IV, della legge Casati sull’Ordinamento della

Pubblica Istruzione: R.D. 13 novembre 1859, n. 3725. Si vedano, in particolare per il testo della legge, G. Inzerillo, Storia della politica scolastica in Italia, Editori Riuniti, Roma 1974, pp. 157-231; G. Talamo, La scuola dalla legge Casati alla inchiesta del 1864, Giuffré, Milano 1960, pp. 71-83; per l’analisi sulla scuola secondaria, tecnica in particolare, nel disegno casatiano e in quelli successivi, vale il riferimento a L. Am- brosoli, La scuola secondaria, in G. Cives (a cura di), La scuola italiana dall’unità ai giorni nostri, La Nuova Italia, Firenze 1990, pp. 105-145.

11MPI, Commissione Reale per il riordinamento degli studi superiori. Relazioni e

preoccupazione di Gentile e di quanti erano vicini al suo pensiero fi- losofico e pedagogico di ripristinare un sistema di selezione scolastica tale da permettere solo ai meritevoli di frequentare i corsi liceali.