Il nuovo senso pedagogico tra defascistizzazione e ricostruzione
4.3 Una questione di “metodo”
Se non vi era dubbio sull’importanza dell’insegnamento classico come valido strumento per la formazione dei giovani, forti resistenze, d’altro canto, si levavano sulla consueta e tradizionale pratica scolasti- ca e, soprattutto, sulla presenza del latino nella scuola media, vista da una folta schiera politica come persistenza della antica ideologia clas- sista infarcita di divisioni e privilegi propri di una determinata classe sociale. Se lo spirito riformista e il piano di rinnovamento della società in chiave democratica portavano larga parte della sinistra italiana a rin- negare il latino nella scuola media per tutti, non pochi pedagogisti e la- tinisti sfoggiavano come motivazione principale per l’esclusione del latino il carattere poco serio e formativo di un simile studio, ossia di uno studio superficiale e diretto a tutti senza un propedeutico vaglio.
Il problema di una scuola postelementare unica trascinava, di fatti, con sé la questione della sua strutturazione interna, della composizio- ne disciplinare che avrebbe dovuto caratterizzare tale corso mediano dell’istruzione. Accanto ad argomentazioni sociali secondo le quali tut- ti, indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali di prove- nienza, dovevano godere del diritto di ricevere un’istruzione tale da concedere la possibilità di scelta per il proprio futuro, si affermavano ragioni pedagogiche, frutto dell’evoluzione e dell’espansione degli stu- di scientifici di psicologia dello sviluppo, in base alle quali risultava forzato stabilire le attitudini degli allievi prima dei quattordici anni.
La scuola unica ed eguale per tutti fino ai quattordici anni avviava il superamento delle barriere discriminanti che per lungo tempo ave- vano escluso da una certa formazione chi apparteneva ai cosiddetti ce- ti subalterni e metteva in moto un nuovo meccanismo, democratico, in cui a nessuno erano preclusi determinati indirizzi di studio. Dalle rela- zioni tenute in occasione del convegno organizzato dal Sindacato Scuola Media il 6 dicembre 1945 emergeva come, tuttavia, fossero ra- dicate le posizioni dei più conservatori contrari all’istituzione della scuola unica; fra costoro era possibile individuare lo spirito tradiziona-
lista che, nel timore di una esclusione del latino, rigettava l’ipotesi di una scuola che allo stesso modo accogliesse i figli del popolo e i figli
della vecchia classe dirigente19.
Pro o contro il latino nella scuola media si pronunciavano uomini di scienza e di scuola. Il dibattito si insinuò soprattutto fra gli schiera- menti politici per le evidenti implicazioni ideologiche e culturali che ristagnavano sul tema. Non solo! Emergevano anche delle riserve rela- tive alla necessità di istituire un giusto rapporto fra scuola e vita e, in vista di una opportuna correlazione, fra la preparazione rilasciata dal- la scuola e le condizioni di una realtà sociale nuova, moderna e civile.
Nella pluralità dei giudizi espressi sulla caratterizzazione della scuola media unica e sulle materie che avrebbero dovuto trovarvi di- mora, il latino e il greco si ergevano ad oggetti di disputa per la valen- za formativa in essi riposta e per le metodologie di trasmissione didat- tica. Era una battaglia persa negare l’apporto prezioso delle lingue classiche per la formazione culturale e mentale dei giovani: su tale as- sunto non si levavano opposizioni. La ricerca eziologica del mancato successo formativo concerneva la pratica d’insegnamento che aveva compromesso la validità degli studi classici e il prestigio del liceo: as- senza di una opportuna selezione scolastica, insensata filiazione di li- cei, mancanza di una valida preparazione didattica e psico-pedagogica dei docenti arroccati ancora sull’unico metodo che conoscevano e che nella realtà storica del momento risultava inadeguato e insufficiente- mente proficuo, la mancata ricezione delle direttive ministeriali, delle linee riformistiche promosse dal clima culturale del dopoguerra, degli apporti degli studi pedagogici e psicologici angloamericani e, di con- seguenza, il perpetuarsi della didattica tradizionale.
Così, mentre ci si interrogava su come innovare il sistema scolasti- co italiano e sul significato delle lingue classiche nella società moder- na, mentre si annunciavano inchieste e si avanzavano ipotesi, la vita nelle classi continuava sulla strada di sempre, limitando l’insegnamen- to del latino e del greco alla sola grammatica e ingigantendo le pole- miche sulle loro valenze e funzioni: «Prima l’analisi logica, poi lo stu- dio della morfologia regolare completa di eccezioni, poi quello della morfologia irregolare con qualche “anticipazione” di sintassi, poi lo studio dettagliato e minuzioso della sintassi del caso seguita dalle “par- ticolarità sintattiche e stilistiche”, poi quello del verbo e infine quella
19Cfr. D. Bertoni Jovine, La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri, cit., pp. 411-
del periodo: il tutto da verificarsi, a partire dalla prima media, con la versione dall’italiano in latino e, per i più bravi, con la composizione (obbligatoria nelle prove universitarie e di concorso a cattedra). Di fat- to, inoltre, l’intero insegnamento del latino (e della stessa lingua ita- liana) si riduceva, per lo meno nella scuola media e nel ginnasio, al so- lo studio della grammatica, non tanto come strumento necessario per la comprensione dei testi, quanto come “sistema chiuso, rigorosamen- te stabilito, entro il quale trova la giusta collocazione ogni frammento
di realtà”»20. Da tali premesse e in considerazione della intricata situa-
zione storica e culturale, nel 1947 veniva istituita21una Commissione
Nazionale d’Inchiesta per la Riforma della Scuola, «allo scopo di com- piere un’inchiesta sulle condizioni della Scuola italiana e raccogliere, con la sicura e precisa notizia delle sue presenti condizioni spirituali e materiali, l’indicazione dei programmi, disegni e voti proposti da co- loro che esercitano l’insegnamento e da ogni altra persona di cultura e
di studio»22. Era necessario giungere alla formulazione di un sistema
scolastico rispondente alle reali esigenze della società.
I lavori delle cinque Sottocommissioni, in cui si articolò la Com- missione e che iniziarono nell’ottobre 1948 con la compilazione dei
questionari23da sottoporre ai docenti dei vari gradi e ordini scolastici,
alle associazioni e alle autorità politiche, si conclusero il 30 aprile 1949 con l’elaborazione delle risposte al referendum e la stesura di una
20 N. Flocchini, Insegnare latino, cit., pp. 153-154, riassume il pensiero di Gio-
vanni Battista Pighi circa le diffuse metodologie didattiche per l’insegnamento delle lingue classiche nelle scuole medie e nei ginnasi.
21Con decreto del Capo provvisorio dello Stato pubblicato in data 12 aprile 1947. 22 C.I.R.M.E.S., La Riforma Secondaria. Storia e Documenti 1948-1990, Roma
1991, vol. II, p. 11.
23 Si riportano di seguito, a scopo esemplificativo, i 6 quesiti approntati per l’i-
struzione secondaria superiore:
«1) Quali nuovi tipi di Scuola secondaria superiore ritenete che debbano essere istituiti?
2) Dei tipi attualmente esistenti, credete che qualcuno debba essere soppresso? 3) Di detti tipi, quali potranno dare adito alle Università? E a quali Facoltà daran- no rispettivamente accesso?
4) Si ritiene che risponda all’interesse degli studi e dell’insegnamento l’abbina- mento di alcune materie affidate ad un solo insegnante? E nel caso affermativo, quali discipline potrebbero essere abbinate?
5) È opportuno che gli insegnanti siano inquadrati a seconda dei tipi di Scuola sen- za possibilità di agevoli passaggi dall’uno all’altro?
6) Il corso di studi nelle Scuole secondarie superiori dovrebbe essere diviso in due periodi, con diverso ordinamento didattico, come è per l’attuale ginnasio-liceo?
relazione generale che il ministro Gonella avrebbe dovuto presentare
alla Camera dei Deputati24. Come previsto, la fase più travagliata ri-
guardò l’istruzione secondaria, ossia la scuola degli 11-14 anni, pro- ponendo alla fine la soluzione tipica del compromesso, a metà fra i due opposti e noti orientamenti. La «scuola secondaria tripartita», infatti, «cerca di superare il contrasto sempre esistente fra le due tesi, quella che sostiene l’opportunità di una scuola unitissima e quella che sostie- ne, invece, l’opportunità di più scuole tra loro diverse e pur separate, già sperimentate, in Italia e all’estero, con discussi risultati e con ripe-
tute rettifiche degli esperimenti stessi»25e, soprattutto, si qualificava
come la soluzione più rispettosa dei meccanismi psicologici e di svi- luppo degli adolescenti in quanto scuola di completamento dell’istru- zione elementare e di preparazione alla istruzione superiore.
La scuola media veniva così distinta in tre indirizzi, classico, tecni- co e normale, all’interno dei quali il programma comune era differen- ziato da taluni insegnamenti specifici per ciascun ramo, il latino per la sezione classica, la lingua moderna per la sezione tecnica, il lavoro e il disegno con carattere tecnico-professionale per la sezione normale; so- stenendo un esame sulle discipline non comuni era consentito il pas- saggio da un indirizzo all’altro.
Ad orientare verso tale direzione furono proprio alcune riflessioni circa l’insegnamento del latino e, nella relazione di Gonella, si dava giustificazione di ciò sostenendo l’inadeguatezza di una scuola unitis- sima che avrebbe imposto un’insana soluzione al problema del latino, trasformando tale disciplina o come materia per tutti o come materia per nessuno. Un’attenta analisi dei programmi stilati dalla Consulta
Didattica Nazionale, istituita dal ministro Gonella nel 195026, e sotto-
posti all’attenzione del ministro Segni nel 195127 lascia chiaramente
intendere il basilare intento seguito durante l’elaborazione: il latino e il greco subivano un ridimensionamento sia negli orari che nel pro- gramma disciplinare e, alla luce di siffatto alleggerimento, si suggeri-
24Il Disegno di legge n. 2100 fu presentato da Gonella alla Camera dei Deputati il
13 luglio 1951, suscitando non poche critiche. Va, però, sottolineato a chiarificazione del clima politico e culturale di questi anni che il Disegno di legge n. 2100 non venne mai discusso in Parlamento.
25Cfr. C.I.R.M.E.S., op. cit., Roma 1991, vol. II, p. 25, in cui si riporta la relazio-
ne dello stesso ministro.
26Ordinanza del 1 dicembre 1950. La Consulta intraprese i lavori il 31 gennaio
1951.
27Fu Giovanni Calò, presidente della Consulta, a relazionare i 150 programmi al
va una modifica di metodo che giungeva a prescrivere la lettura di pas- si d’autore in traduzione italiana. Nel triennio della scuola secondaria inferiore, il latino manteneva il suo posto fra gli insegnamenti diffe- renziati con un programma sfrondato e strutturato in modo da rinfor- zare la formazione delle attitudini; così, «la lettura acquista rilievo fon- damentale e costituisce l’elemento di mediazione tra l’apprendimento naturale e un approfondimento logico-analitico, conseguito attraverso
lo studio delle norme grammaticali»28.
La lettura diveniva il pilastro dell’insegnamento del latino e del gre- co in una scuola, il liceo classico, che aveva privato il latino di cinque ore settimanali e che, nel triennio, alla versione dall’italiano in latino preferiva gli esercizi di composizione. Seppur ridotta nei tempi e nei contenuti, la lettura tuttavia ricopriva il posto centrale nella pratica di- dattica: gli autori erano limitati a due per ogni classe nel ginnasio e nel liceo con ampia libertà di scelta riservata al docente e, grande conqui- sta, la grammatica non era più intesa come un universo conchiuso ma si faceva strumento finalizzato alla comprensione del testo e oggetto di un apprendimento che, anche nella scuola media, passava attraverso esempi ricavati dai brani d’autore. In particolare, «lo studio grammati- cale viene ridotto quasi esclusivamente alla morfologia nominale e ver- bale, ridotta anche questa alle linee essenziali (lasciando l’apprendi- mento delle particolarità all’esperienza della lettura), ed a pochi cenni
sui dialetti, strettamente indispensabili per leggere gli autori»29.
Si mirava a sfoltire i programmi di tutti quegli elementi che potes- sero annoiare gli allievi e, di conseguenza, demotivarli.
Il latino perdeva sei ore nel quinquennio del liceo scientifico, tra- sformato secondo il progetto della Consulta in «scuola dell’umanesi-
mo della scienza»30, all’interno della cui organizzazione disciplinare si
riserva attenzione alla diversità non solo del contenuto ma anche delle finalità che il latino avrebbe dovuto avere rispetto al liceo classico: non erano previste, dunque, le esercitazioni in lingua latina e la lettura, an- cora nucleo centrale dell’insegnamento, era orientata alla conoscenza più del pensiero che del valore artistico degli autori. A tal fine, era compito del docente scegliere opere in traduzione italiana che, inte-
28MPI, Programmi per i vari gradi e tipi di scuola proposti dalla Consulta Didat-
tica in relazione al progetto di legge N. 2100 (Norme generali sull’Istruzione), Vallec- chi Editore, Firenze 1952, pp. 68-69.
29Ibidem, pp. 75-76. 30Ibidem, p. 77.
grando la lettura dei passi in lingua latina, davano una visione di sin- tesi della storia letteraria e delle personalità degli autori.
Dopo ampie discussione, la maggioranza dei membri della Consul- ta ritenne opportuno mantenere il latino nel corso triennale del rinno- vato istituto magistrale che, assunto il carattere di liceo, diveniva nella proposta un corso quinquennale distinto in un biennio e in un triennio. All’insegnamento di lingua e letteratura latina erano riservate nel quin- quennio tredici ore settimanali durante le quali l’allievo avrebbe dovu- to trarre giovamento da questo insegnamento per approfondire, sotto il profilo lessicale, grammaticale e, soprattutto, etimologico le deriva- zioni della lingua italiana.
Le innovazioni metodologiche e di prospettiva che in questi anni avevano animato i dibattiti e si erano tradotti nei progetti dell’imme- diato dopoguerra trovavano ampio spazio di discussione fra latinisti e pedagogisti con l’apparizione di vaste pagine su riviste scientifiche da- tate e sorte in questi anni e con la presentazione di uno scenario cultu- rale interconnesso con i lavori di governo relativi alla più generale or- ganizzazione del sistema scolastico.
La soluzione del 1962, riconosciuta dalla «legge unificatrice delle
scuole differenziate per i preadolescenti dagli 11 ai 14 anni»31, non era
altro che l’effetto sortito da un decennale dibattito parlamentare, cul- turale e scientifico che aveva visto, fra i principali protagonisti, intel- lettuali e politici difendere tesi diverse, ma congiunti nel medesimo in- tento di garantire a tutti pari opportunità formative e un’istruzione spendibile socialmente e, soprattutto, convinti dell’inscindibile con- giunzione scuola/società, formazione/crescita civile. Sono stati, co- munque, questi gli anni in cui la questione dell’insegnamento classico si è caricata di simbolica rilevanza e dal punto di vista culturale e dal punto di vista socio-politico in quanto, al di là del greco che occupava un modesto spazio, fu proprio il latino con le considerazioni circa la sua valenza formativa e con gli interrogativi sulla sua opportuna pre- senza nella scuola postelementare dei preadolescenti a rendere ancor più travagliato l’approdo alla soluzione definitiva.
Il latino, disciplina fondamentale nella scuola classica superiore, assisteva ad un rivoluzionamento del metodo con il quale era stato sempre trasmesso agli adolescenti. Era ora la preparazione dei docenti
31MPI, Relazione della Commissione di indagine sullo stato e sullo sviluppo del-
la pubblica istruzione in Italia. (Testo della Relazione presentata al Ministero della P.I. il 24-7-1963 [Legge 24-7-1962, n. 1073]), p. 335.
ad ergersi come nemico della mancata ricezione e dei pessimi risultati messi in evidenza dalle statistiche; i bersagli erano quegli stessi do- centi che non ricevevano una adeguata formazione didattica e che, ap- prodando in cattedra direttamente dalle aule universitarie, erano prov- visti della sola preparazione disciplinare e non di una compiuta cono- scenza dei meccanismi psicologici di apprendimento.
A costoro non restava altro che riproporre l’insegnamento da essi ricevuto e da ciò scaturiva la negazione del rispetto per l’adolescente e
per i suoi ritmi cognitivi32. La svolta recante il segno di una inversione
verso la costituzione di una scuola realmente formativa e, di conse- guenza, di un insegnamento che fosse concreta fonte di apprendimen- to veniva rintracciata nella necessaria applicazione di metodi nuovi. Per il latino di cui, peraltro, si lamentavano gli scarsi risultati degli al- lievi erano ormai l’accostamento globale e la subordinazione della grammatica alla lettura e allo studio della civiltà romana a rappresen- tare la chiave dell’innovazione. Una spinta, questa, verso l’equipara- zione delle metodologie d’insegnamento del latino a quelle praticate per le lingue moderne, secondo una diretta immersione nella lingua considerata come valido mezzo per superare la demotivazione degli adolescenti nei confronti di un noioso e totalitario insegnamento gram- maticale33.
Nonostante i tentativi di disconoscere l’importanza educativa del latino nella fascia di età tra gli undici e quattordici anni, in questi an- ni, e merita di essere ricordato, al latino si riconoscevano ancora spe- ciali virtù formative, al punto che nella disputa fra unicisti e pluralisti, ossia fra chi difendeva la scuola media di massa e chi si mostrava fa- vorevole ad una scuola scissa in più indirizzi con agevolezza di pas- saggi dall’uno all’altro, risultava impossibile reperire una materia che potesse sostituire degnamente il latino ed avere al tempo stesso la me- desima potenzialità educativa.
Erano pochi coloro i quali si pronunciavano contro il latino con tan- ta fermezza e con i toni di Bertin, pedagogista, addirittura preoccupa- to circa un latino da far apprendere a preadolescenti.
32Importante è sul tema l’articolo di G. Gozzer, Incontro col latino, in «Ricerche
Didattiche», 8-9, 1952, pp. 239-241.
33Si tratta del metodo naturale proposto da Aldo Agazzi che istituisce un paralle-
lo fra latino e lingue moderne. Cfr. A. Agazzi, Problemi dell’insegnamento di una lin- gua diversa dalla propria, in «Ricerche Didattiche», 16-17, luglio-ottobre 1953, pp. 89-97. Per i problemi generali si veda A. Agazzi, L. Castigliano, E. Maetzke, Didatti- ca della lingua straniera: problemi generali, La Scuola, Brescia 1965.
A parer suo, il latino «porta solo confusione nel mondo logico del ragazzo che trova in esso una differenza totale con la sua mentalità e
con quella del suo ambiente quotidiano»34e, negando che la lingua di
Roma contenesse il germe della intelligenza e della posatezza, Bertin si pronunciava convinto che «la difficoltà del latino non è educativa, perché non porta il fanciullo a sorpassare la sua limitazione in direzio- ne di un’apertura intellettuale e d’impegno nella vita, ma lo affatica inutilmente, provocando la distrazione o la dissipazione mentale, va-
namente deplorate»35.
L’opposizione ad una scuola media unica chiamava a sé, dunque, ra- gioni culturali e socio-politiche. Innanzitutto appariva doveroso tutela- re la cultura e la serietà degli studi, imponendo una distinzione di in- dirizzi consoni e rispettosi delle diverse vocazioni degli allievi; secon- do, era diffuso fra i più conservatori e legati alla tradizione culturale il timore di una possibile ascesa dei ceti inferiori attraverso la strada del- l’istruzione36.
In questa prospettiva, il latino era ancora parte di una concezione classista che aveva fatto di esso un vero strumento di selezione, rico- noscendogli funzioni logiche superiori e causando per ciò un rifiuto negli anni del secondo dopoguerra e della ricostruzione democratica della scuola da parte di chi si impegnava concretamente e lavorava af- finché la scuola fosse di fatto il luogo della formazione dell’uomo, senza discriminazioni di classe: «Il concetto nuovo di uomo presuppo- neva la condanna dell’uomo di fazione e del superuomo, in quanto
compito della scuola era quello di formare l’uomo»37. Risultava chia-
ra la volontà di cancellare le contraddizioni dei principi su cui si era fondata la scuola fascista, così come era possibile constatare la volontà di concretizzare il progetto di una «Scuola Media», diversa dalla «Scuola Media Unica» di Bottai.
La Commissione didattica, infatti, proponeva una scuola classica nel senso antiaristocratico in cui anche l’insegnamento delle lettere e delle discipline antiche venisse inteso quale crescita e conquista delle più alte qualità dello spirito. Il latino e il greco non dovevano ricopri-
34G.M. Bertin, Psicologia e pedagogia, in «Scuola e Città», 5, 9, 1954, p. 317. 35Ibidem.
36Ulteriori approfondimenti sulle tesi dei pluralisti in T. Tomasi, La scuola italia-
na dalla dittatura alla repubblica 1943-1948, Editori Riuniti, Roma 1976, pp. 220- 225.
37R. Fornaca, I problemi della scuola italiana dal 1943 alla Costituente, Arman-
re i momenti di una esercitazione stilistica, di una meccanica e mne- monica ripetizione sintattica priva di ogni riflesso storico; dovevano, al contrario, configurarsi come occasione di speculazione culturale fina- lizzata alla conoscenza delle forme del pensiero classico e del mondo antico che ha parlato con la lingua dell’Ellade e di Roma.