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Le ragioni di pedagogisti e classicist

Il nuovo senso pedagogico tra defascistizzazione e ricostruzione

4.1 Le ragioni di pedagogisti e classicist

Il disegno educativo tracciato da Bottai e appoggiato dal governo fascista conobbe una brusca frenata a causa delle vicende belliche che si susseguirono tra il 1940 e il 1945 e che fecero emergere nuovi sce- nari politici, con stretta influenza sul campo della scuola. A causa dei danni materiali provocati dalla guerra e dall’invasione tedesca, il pia- no educativo fascista non trovò le condizioni ideali per potersi realiz- zare fino in fondo. Il Paese era impegnato a impedire l’avanzata delle truppe naziste, prorompente a partire dal settembre 1943, e la questio- ne dell’istruzione non rappresentava un impegno principale per i grup- pi politici che al momento si trovavano a difendere l’Italia dalla mi- nacciosa invasione tedesca, né tanto meno per Mussolini intento a ri- costituire uno Stato fascista. Ciò soprattutto al Nord, dove il Duce fondò la Repubblica sociale italiana, la «Repubblica di Salò», grazie all’appoggio di Hitler, mentre al Sud la scena era retta dal governo Ba- doglio, sostituito più tardi, il 4 giugno 1944, dal governo Bonomi. Al centro e al nord del Paese era fortemente attiva la resistenza dei parti- giani, che non fu semplicemente un fenomeno militare, di liberazione del Paese dai nemici tedeschi. La Resistenza, infatti, ebbe un valore so- ciale, in quanto mirava a rinnovare i caratteri sociali del Paese, a porre le basi democratiche di uno Stato liberale. I gruppi di azione partigia- na erano coordinati dal Comitato di liberazione nazionale (C.L.N.) al cui interno erano forti le influenze dei partiti da sempre contrari al Re- gime: il partito comunista (PCI) principalmente, il partito liberale (PLI), il partito repubblicano (PRI), quello socialista (PSI), l’azionista, il democratico cristiano (DC), il partito della Sinistra italiana. Partiti

divisi su taluni interrogativi relativi alle future sorti dello status politi- co del Paese, ma fermamente uniti nella contrapposizione alla presen- za tedesca sul territorio italiano e ad ogni ritorno al passato fascista. La scuola in questa fase di transizione storica viveva le inquietudini e le

incertezze del momento e pagava tutte le conseguenze della guerra1.

Nel 1943 il Comando Alleato costituì una Commissione per l’istru- zione al fine di ridefinire l’impianto e il programma di ricostruzione fisica delle istituzioni scolastiche e, cosa non secondaria, per ridise- gnare le linee ideologiche che avrebbero dovuto dare vita ad una scuo- la defascistizzata. Era l’Allied military governement of occupied terri- tory (AMGOT) a gestire e amministrare il settore dell’istruzione. L’an- sia di cancellare ogni traccia del Regime nella scuola contrassegnò la fase della post-liberazione; il dibattito si incentrava ancora sulla scuo- la media unica e sul secolare dilemma “latino sì/latino no”.

Discutere di scuola e di lingue classiche, di questi tempi e sino al 1962, significava discutere di scuola media unica e di latino; la scuola secondaria superiore e l’insegnamento del greco venivano coinvolti in- direttamente per le ovvie conseguenze che l’auspicata riforma della media trascinava con sé. Dopo due anni di silenzio seguiti alla fine del- la seconda guerra mondiale, ampio e schiacciante risulta lo spazio ri- servato nelle riviste pedagogiche al dibattito circa questi temi. Larga- mente divergenti, allo stesso modo, risultavano le posizioni dei peda- gogisti e le ragioni dei latinisti, convinti non solo dell’importanza di conservare il latino nella scuola per tutti, ma anche consapevoli della esigenza di restituire gli antichi lustri agli studi classici, di cui peraltro denunciavano uno stato di profonda e indiscussa decadenza. Appariva chiara la posizione di Concetto Marchesi quando esprimeva la valenza formativa e informativa del latino, a suo avviso unica materia con il po- tere di mettere in luce le propensioni e le attitudini future degli adole- scenti e, dunque, disciplina indispensabile in una scuola media di orientamento.

Emergevano con altrettanta forza le divergenti opinioni di chi si po- neva al bivio fra l’accezione di un latino emblema del vecchio sistema culturale, simbolo di una visione sociale superata, disciplina inattuale e dissonante in un clima di rinnovamento totale delle strutture educati- ve e civili, e la volontà di cancellare lo statuto attribuito al latino e agli studi classici dal Fascismo, ora nemico e ostacolo al processo di mo-

1Valga come riferimento sul tema MPI, La scuola italiana dal 1946 al 1953, Po-

dernizzazione del Paese. Il 6 dicembre 1945 nasceva il Sindacato Na- zionale Scuola Media e di scuola media si continuava a parlare, sof- fermandosi in particolare sulla struttura che la “nuova” scuola avrebbe dovuto acquisire. Attuare una riforma che spazzasse via il vecchio si- stema scolastico non era un’impresa di poco conto, né tantomeno un’o- perazione meccanica: non si trattava semplicemente di sostituire i pro- grammi didattici e di ridisegnare la struttura interna.

In gioco vi era la necessità di ristabilire una correlazione equilibra- ta tra scuola e società. L’attesa riforma avrebbe dovuto restituire un’a- nima all’ideale anello di congiunzione che poneva il sistema formati- vo in linea con il più ampio sistema sociale. Il ricordo della scuola me- dia organizzata da Casati tornava a esemplificare la stretta e naturale consonanza che, negli ultimi decenni del XIX secolo, era evidente fra la scuola e la società. Meglio: tale ricordo diveniva l’espressione più alta di una società che si riconosceva in quel tradizionale clima intel- lettuale e culturale.

Si discuteva ancora se fosse opportuno proporre il modello della media unica con latino per tutti o scindere in due rami la scuola media, lasciando il latino solo a chi ne avesse voluto continuare lo studio nei gradi superiori: «da un lato vi erano quelli che sostenevano che le scuole dovevano rimanere come erano, cioè un tipo unico con il latino fin dal principio, dall’altro quelli che sostenevano che questo tipo uni-

co doveva essere diviso in due, uno con il latino ed uno senza»2.

Tale era la posizione dei rappresentati della Democrazia cristiana, il partito che aveva ricevuto la maggioranza del consenso popolare nel- l’elezioni del 1946 e che si era affermato come primo partito con lo schiacciante successo alle elezioni del 1948, dando inizio alla stagione politica del centrismo italiano, durante la quale la DC instaurava go- verni tramite alleanza con i partiti di centro, quali il Partito liberale, quello repubblicano e il socialdemocratico. Più precisamente il restau- rato partito popolare, ora denominato Democrazia cristiana, avanzava la proposta di una scuola media a triplice indirizzo, umanistico, tecni- co e pratico, riservando uno spazio degno e prestigioso al latino, non- ché al serio e completo studio delle lingue antiche nel liceo classico.

La Commissione alleata per l’istruzione non cancellava di fatto il piano di Bottai, evitando in tal modo di cedere a talune richieste di ri- torno al sistema fissato da Gentile, né tanto meno impresse delle radi-

2Allied Commission in Italy, La politica e la legislazione scolastica in Italia dal

cali riforme all’impianto; il nucleo centrale della discussione era il mantenimento del latino all’interno di una scuola media unica. La que- stione del latino e delle lingue classiche, dunque, si presentava, nel- l’immediato dopoguerra, sempre più connessa con la discussione del- la scuola media unica, diffondendo un’eco anche fra le linee dei parti- ti politici.

Accanto ai partiti di sinistra, sostenitori della scuola unica senza la- tino, ma al cui interno spiccavano divergenze culturali profonde, la De- mocrazia Cristiana avanzava la sua proposta di una scuola media tri- partita e di un liceo classico nucleo prevalente del latino e del greco. Riviste, periodici, settimanali, quali ad esempio «Scuola e Vita», «Scuola Nuova», il settimanale dei democratico-cristiani lombardi «Democrazia», l’«Osservatore Romano», continuavano ad accogliere i pensieri di intellettuali, pedagogisti e latinisti, che si pronunziano pro o contro la scuola media unica con latino o senza latino. All’interno del PCI, ad esempio, si ricorda la divergenza, sfociata poi nella nota pole- mica, fra Concetto Marchesi e Antonio Banfi, l’uno a favore della scuola media con latino, l’altro sostenitore di una scuola media senza latino in nome di una media “concreta e pratica”, il cui scopo fosse quello di dotare i giovani della strumentazione necessaria sia per acce-

dere al ginnasio sia per proseguire negli studi tecnico-professionali3.

Divergenti apparivano, allo stesso tempo, le posizioni di Concetto Marchesi e Guido Calogero. Su «Rinascita» del novembre 1945 Con- cetto Marchesi tornava a dichiarare di essere fervido sostenitore di una scuola media in cui il latino, materia fondamentale e incancellabile, svolgesse l’indiscusso ruolo formativo atto a individuare le attitudini dei discenti: concetto espresso dallo stesso Marchesi anche in occasio- ne di una riunione del Sindacato Nazionale Scuole Medie a Roma il 6 dicembre 1945. Di orientamento opposto, invece, era Calogero, espo- nente del Partito d’Azione, il quale gridava senza mezzi termini l’in- consistenza formativa del latino da escludere, quindi, dalle materie del- la Scuola media.

In generale, è stato questo il periodo in cui a livello legislativo non si sono prese posizioni di rilievo a proposito delle lingue classiche: la questione continuava ad essere, tranne per alcuni sporadici interventi, più di interesse politico che culturale in senso stretto.

3Per il pensiero di Antonio Banfi sul tema della scuola media e del latino si veda-

no A. Banfi, Scuola di ieri, di oggi e di domani, in «Sapere», III, 1946, p. 264 e La problematicità dell’educazione e il pensiero pedagogico, La Nuova Italia, Firenze 1961.

Sono stati anni, questi dell’immediato dopoguerra, in cui attorno al- la validità formativa del latino e del greco si annidavano tesi opposte e contorte, così come diversificate apparivano le risposte al referendum del 1945 voluto dall’Associazione Professori Scuole Medie e dal Sin- dacato della Scuola relativo alla scuola media unica: i risultati svelaro- no che la maggioranza degli insegnanti era propensa ad una scuola me-

dia tripartita4. Il latino continuava a svolgere il ruolo di protagonista

nei dibattiti sulla riforma della scuola. Della presenza della lingua e della letteratura greca, invece, si discuteva con toni velati e senza mai implicazioni di natura didattica, salvo rare eccezioni. Di insegnamento del greco nel biennio comune successivo alla scuola media parlava Giovanni Gozzer. Nella proposta di un biennio comune e tripartito che doveva configurarsi come comune e tripartito in sezione tecnica, teori- ca e pratica, il greco si inseriva come disciplina impartita secondo «un carattere esclusivamente linguistico non letterario».

Le problematiche legate all’istruzione classica si affrontavano «con

spirito moderno», superando il mito che aleggiava sul liceo classico5.