• Non ci sono risultati.

Le contraddizioni del Regime nei programmi scolastic

Giovanni Gentile: studia humanitatis e formazione dello spirito

2.5 Le contraddizioni del Regime nei programmi scolastic

Sullo sfondo della tendenza revisionistica e del contrasto fra i fau-

tori dei ritocchi e i seguaci di Gentile55, si collocano tre momenti prin-

52R.D. 31 dicembre 1925, n. 2473.

53In breve gli interventi di Fedele furono l’alleggerimento degli esami, l’abolizio-

ne del sistema di raggruppamento delle discipline, la trasformazione della scuola com- plementare in scuola secondaria di specializzazione e la reintroduzione del tirocinio nell’istituto magistrale.

54J. Charnitzky, Fascismo e Scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943),

cit., p. 226.

55Fra questi vanno ricordati, in particolare, Ernesto Codignola, Lombardo Radice

e, con argomenti diversi, Ugo Spirito che ammirava la severità di fondo della scuola di Stato che, con la riforma del 1923, assolveva al compito di vera formazione delle clas- si dirigenti italiane.

cipali per l’insegnamento del latino e del greco: le modifiche agli ora-

ri e ai programmi delle scuole medie a nome del ministro Giuliano56,

le disposizioni del 1933 del ministro Ercole sui programmi di esame

per gli Istituti medi d’istruzione classica, scientifica e magistrale57e,

nel 1936, l’approvazione degli orari e dei programmi per le scuole me- die d’istruzione classica, scientifica, magistrale e tecnica sotto il mini-

stero di De Vecchi58.

Il latino, in primis, e il greco continuavano ad imporsi e a godere di alta considerazione; la loro presenza nei curricula didattici degli isti- tuti secondari era, come in passato, massiccia. Tuttavia si avviava quel processo di revisione della loro valenza formativa che sarà oggetto di discussione per molti anni ancora, almeno istituzionalmente fino alla creazione della scuola media unica del 1962. Non solo: iniziava in que- sti anni quella distorsione dello statuto epistemologico che costituirà una delle cause maggiori di opposizione alla presenza delle lingue classiche negli scenari scolastici italiani.

I programmi d’esame del terzo decennio del XX secolo, vale a dire quelli del 1930, del 1933 e del 1936, mutavano i vettori direzionali se- guiti da Gentile e indirizzavano l’insegnamento del latino e del greco alla selezione dei talenti attraverso uno strumentale ritorno all’eccessi- vo grammaticalismo e, soprattutto, all’analisi logica. Veniva meno il ri- corso ai testi classici quali fonti di sviluppo delle capacità critiche e quali strumenti preziosi di ricostruzione delle origini storiche: si face- va piuttosto leva su un nuovo statuto epistemologico e formativo di di- scipline che devono servire alla società fascista per individuare i “do-

tati”, per selezionare «coloro che solo le cime del difficile tentano»59.

La funzione pratica del latino trovava ragion d’essere in accordo con l’ideologia del tempo e si giustificava nell’inserimento nella scuo- la media comune dei giovani desiderosi di proseguire il loro iter for- mativo nella scuola secondaria e superiore. In altri termini, il latino as- solveva ad un plurimo compito che, dalla cura di una formazione cul- turale degli allievi, assorbiva anche quella di una educazione morale e mentale, assolvendo nel contempo al dovere sociale di discernimento dei più valenti.

Alla mutata valenza delle lingue classiche era associata una diversa

56R.D. 5 novembre 1930, n. 1467. 57R.D. 29 giugno 1933, n. 892. 58R.D. 7 maggio 1936, n. 762.

59G. Bottai, Vitalità e funzione del latino nella nuova scuola media, Istituto di stu-

metodologia d’insegnamento che poneva il latino e il greco in una fit- ta rete di relazioni disciplinari. E in una complessiva unità d’insegna-

mento60, che non permetteva ad alcuna disciplina di essere «parte per

sé stessa»61, anche le lettere antiche possedevano una loro precisa fi-

nalità, «l’acquisto da parte dei giovani di una cultura unitaria e viva, della cultura fascista»62.

Con i programmi d’esame del 1930 e del 1933, scopo dell’esame non era, anzi non era solo quello di accertare le conoscenze acquisite dall’allievo grazie alla memoria, quanto piuttosto di valutare le attitu- dini di ciascuno per le future scelte, precisando che l’esame «deve es- sere non un inventario di cognizioni, ma un’esplorazione di attitudi-

ni»63. Il contenuto dei passi letti rimaneva il pilastro delle lingue clas-

siche ed era finalizzato principalmente a svelare il pensiero dell’auto- re, insieme ai valori morali e civili del mondo cui apparteneva; si mi- rava, in altri termini, a cogliere, accertandosi che di ciò lo scolaro fos- se capace, l’intreccio delle relazioni fra passato e presente. I testi, og- getto d’esame, costituivano il momento dell’approccio alla civiltà clas- sica sotto il profilo storico e artistico e divenivano, quindi, tutt’altro ri-

spetto alla verifica della preparazione puramente grammaticale64. L’e-

lemento storico doveva primeggiare nel disegno pedagogico seguito dall’insegnante, dal momento che «importa in special modo che il can- didato mostri che oltre a conoscere la lingua e quel tanto che può, per i suoi studi, della civiltà classica, intenda anche quanto di più vivo e

manifesto di tale civiltà parla alla coscienza dell’uomo moderno»65.

60Cfr. Avvertenze generali per l’insegnamento, tratte da R.D. 7 maggio 1936-XIV,

n. 762. Al punto 2, inoltre, viene specificato chiaramente che: «È appunto per questo criterio unitario, dal quale l’insegnante non deve mai prescindere, che lo studio delle opere latine degli scrittori dei secoli XIV, XV e XVI viene affidato al professore di let- tere italiane. È un criterio meramente retorico quello del differenziamento linguistico delle opere, come se il latino del Petrarca o del Poliziano sia realmente la stessa cosa di quello di Cicerone o di Virgilio, e Petrarca e Poliziano quando scrivono in latino ces- sino di appartenere alla letteratura italiana».

61Ibidem, punto I. 62Ibidem.

63Avvertenze generali riguardanti le prove d’esame (R.D. 29 giugno 1933, n. 892). 64Nelle Avvertenze al programma di latino per l’ammissione alla quarta classe gin-

nasiale si legge: «Dovrà risultare che i primi passi dell’insegnamento umanistico sono stati accompagnati non solo dal necessario tirocinio grammaticale e lessicale ma anche […] da ovvie osservazioni e notizie sul valore artistico e storico delle letture fatte».

65La citazione è tratta dal testo delle Avvertenze ai programmi di lettere latine per

l’esame di maturità dei provenienti dal liceo classico (R.D. 29 giugno 1933, n. 892). Le stesse argomentazioni valgono per le lettere greche.

In piena temperie fascista vedevano la luce i programmi per le scuo- le medie approvati dal ministro De Vecchi di Val Cismon, che possono essere considerati lo specchio di tutte le evidenti contraddizioni del re- gime, simboleggiate persino dai programmi d’insegnamento. Con i programmi del 1936 risultava chiara la premura pedagogica di perse- guire l’unità dell’insegnamento, funzionale per ovvie ragioni storico- politiche all’acquisizione della cultura fascista «unitaria e viva».

A tal fine, si procedeva ad un accorpamento delle cattedre di italia- no, di latino e di greco nel ginnasio-liceo, il cui docente unico rivesti- va la funzione di coordinatore, orientando la sua attività allo studio del- le letterature attraverso la lettura diretta di passi di autori classici ita- liani, latini e greci. Va, tuttavia, osservato che, se l’aspetto storico e culturale veniva posto in prim’ordine nell’analisi degli autori e delle loro opere, d’altra parte si esortava per le lingue classiche alla recita- zione mnemonica. In questo clima e sulla medesima confusione di fon- do si passava ad approntare i programmi del 1940 per la scuola media, il testo delle cui Avvertenze ha tutta l’aria di apparire un trattato di re- torica in cui alle solenni espressioni non facevano riscontro la pienez- za e la consistenza del contenuto. Infatti, così si legge: «È con il latino che si disciplina, si organizza e si orienta la mente; ed è con il latino che si discernono meglio e più sicuramente le capacità diverse degli alunni. […] Di tutte le discipline, pertanto, il latino è quella che meno sopporta le minute pedanterie, gli astratti paradigmi e i rigidi schema- tismi. […] Impegnare la personalità dell’alunno con l’insegnamento del latino è possibile sol che si sappia scoprire e far scoprire il suo se- greto, che consiste nell’essere sempre gara e cimento. […] Porre, per- tanto, l’alunno di fronte al latino come di fronte ad una nobile prova, è il più saggio degli accorgimenti didattici» (R.D. 30 luglio 1940, n. 1174).

Inevitabile sottolineare come perseverasse anche in questi anni quell’aura di declino degli studi classici e come si andasse affermando la tendenza a introiettare i problemi didattici e, in particolare, quelli re- lativi all’insegnamento del latino e del greco nel quadro delle più ge-

nerali esigenze politiche66. Il latino diventava argomento di dibattito e

di esposizione di posizioni variegate; le incessanti quisquiglie trovava- no ragion d’essere nella relazione del tema come quello di una scuola

66Cfr. G. Bottai, La Carta della Scuola, Mondadori, Milano 1939, pp. 272-273:

«In capo alla riforma sta un’esigenza politica. L’esigenza didattica, che dovrà stretta- mente aderirvi, verrà dopo. […] Si tratta di farle confluire in un indirizzo unitario».

media unica tracciata da Bottai, una scuola fondata sul latino e finaliz- zata a rintracciare le attitudini dei giovani allievi.

Tra gli intellettuali pedagogisti, che più fecero sentire la voce del dissenso, va ricordato Giovanni Calò, il quale criticava fortemente la proposta di una scuola media unica, appellandosi alla causa della dife- sa della lingua latina e probabilmente preveggendo il tradimento di cui il latino sarebbe stato vittima negli anni a venire.

Il panlatinismo, mira del regime, ottenuto mediante una scuola me- dia per tutti era temuto e osteggiato come la rovina stessa del latino e del suo insegnamento, poiché «il latino sarebbe necessariamente co- stretto e angustiato entro una ressa di materie necessariamente più nu- merose e di programmi necessariamente più densi quali devono essere in una scuola unica. […] Che lo si possa studiare sul serio, con lar- ghezza di orari, con intensità e profondità d’applicazione, è assoluta-

mente assurdo sperarlo»67. Il classicismo infatti, sosteneva Calò, «o è

midollo di leone o non è niente», per dire che l’insegnamento del lati- no richiede massima serietà degli studi e disponibilità di tempo neces- sario ad un efficace apprendimento. Si trattava di restituire vigore alla massima della serietà degli studi, in particolare di quelli classici, e al principio del severo rigore da trasferire nella pratica didattica, dal mo- mento che «anche se spogliato di minuzie e regole meno importanti, lo studio del latino resterà sempre uno studio serio, che non consentirà di-

strazioni ed abbandoni»68.

67G. Calò, Cultura e vita, maestri e discepoli nella scuola della nuova Italia, La

Scuola Editrice, Brescia 1939, pp. 492-499.

68A. Marsili, in “Italia” del 23 agosto 1941. Numerosi, tuttavia, gli interventi sul-

l’argomento rintracciabili nei periodici di questi anni, come «Scuola e Cultura», rivi- sta diretta da E. Scaccia Scarafoni, «Tempo di Scuola» di stretta osservanza fascista e sotto la direzione di Nazareno Padellaro, «Per lo studio e l’uso del latino» contenente tre rubriche Lo studio e l’uso del latino nel mondo, Pro lingua latina divulgando, Il la- tino nella scuola media, dirette da Carlo Galassi Palazzi.