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Le «elementari conoscenze di latino» nei programmi del

La scuola media unica: crisi del latino e agonia del greco

5.2 Le «elementari conoscenze di latino» nei programmi del

L’iter istituzionale successivo al 1962 andava in una direzione che lasciava trasparire per le lingue classiche la volontà di ridimensionar- ne presenza e valore formativo. L’approvazione della legge sulla scuo- la media unica aveva lasciato perplessi molti ed aveva, inoltre, reso impellente l’adeguamento alla nuova scuola e alla nuova tipologia di studente del ciclo superiore che continuava a trasmettere contenuti se- condo la consueta e ora inadeguata metodologia. Il Piano per lo svi- luppo della scuola nel decennio 1959-19696, il cosiddetto «Piano Fan- fani», si soffermava sull’insegnamento del latino nella scuola dell’ob- bligo come un dispositivo formativo attivabile dalla libertà di scelta, così che il latino, non costituendo più materia obbligatoria, veniva im- partito solo a chi ne avesse voluto continuare lo studio anche in futu- ro.

Si evince che la scuola in questi anni rispecchiava, da una parte, il clima di libertà che l’avvento del centro-sinistra aveva portato con sé e, dall’altra, il momento di difficoltà dovuto a incertezze politiche e sociali. «Il centro-sinistra», afferma Luigi Ambrosoli, «produsse un

6Il Piano, che doveva individuare i problemi della scuola e prevedere un iter di svi-

luppo, trovava il sostegno di pedagogisti come Gozzer, ma era stato duramente critica- to da Codignola per il quale il Piano non abbracciava globalmente il problema della scuola. Va ricordato che il Piano fu approvato in Senato, ma mai trattato alla Camera.

nuovo clima di libertà in Italia: la ripresa sindacale, la vigorosa e uni- taria ripresa delle agitazioni dei lavoratori per affermare il diritto a contrattazioni più ampie e decisive, la più libera circolazione delle idee, la sempre più ridotta attività della censura, le minori pressioni

clericali sulla vita civile e, in particolare, su quella scolastica»7. Una

conquista degli anni sessanta operata dai gruppi politici progressisti è stato proprio l’ampliamento del programma della storia nelle ulti- me classi della media e delle superiori: «Nel 1960, servendosi di due circolari, il ministro Giacinto Bosco autorizzò che l’insegnamento della storia nelle ultime classi delle scuole secondarie inferiori e su- periori non fosse più limitato alla prima guerra mondiale ma si esten- desse fino all’approvazione della Costituzione repubblicana, com- prendendo così il fascismo, la resistenza al fascismo, la seconda guerra mondiale, la guerra di liberazione, le vicende che avevano portato al referendum istituzionale e alla proclamazione della Re- pubblica. […] La diffidenza per la storia contemporanea era stata una caratteristica tradizionale della scuola italiana nel presupposto, più volte sostenuto, che con la storia contemporanea si portasse la “poli- tica” nella scuola senza avvertire (o non volendo di proposito avver- tire) come la rinuncia a discutere i problemi contemporanei, politici

ed economici, fosse il peggior modo di fare politica»8. Se il latino era

ancora l’elemento discriminante poiché divideva gli allievi della scuola media e poiché il superamento dell’esame nella classe terza era obbligatorio per l’iscrizione al ginnasio-liceo, la presenza del greco si scontrava con l’idea di una riforma della scuola secondaria superiore, per la quale si mirava a unificare i bienni in vista di un in- nalzamento dell’obbligo e dell’estensione della funzione di orienta- mento al di là del triennio unico. Inoltre, la centralità della riforma, congiunta alla constatazione della “malattia” di cui la scuola era af- fetta e che rendeva impellente una riconsiderazione complessiva del sistema, si concentrava sull’idea di una educazione liceale intesa co- me formazione a lungo termine e sulla considerazione dei licei come luoghi destinati a trasmettere una preparazione generale: lo stesso li- ceo classico doveva perdere i connotati della specializzazione filolo- gica e trasformarsi in una scuola in grado di sviluppare il giudizio critico, attraverso un curriculum integrato in cui le discipline caratte-

7L. Ambrosoli, La scuola in Italia dal dopoguerra ad oggi, il Mulino, Bologna

1982, p. 93.

rizzanti l’indirizzo umanistico, il latino e il greco appunto, si saldas- sero con le materie prettamente scientifiche.

Si avvertiva il bisogno pedagogico, nonché sociale, di restituire un giusto peso a tutte le componenti attive dell’insegnamento del latino, a partire dalla consapevolezza del processo linguistico che dal latino ha condotto alla lingua nazionale. Non solo: erano in primo luogo le ca- pacità connaturate alle lingue classiche a cui si faceva appello, al pa- trimonio culturale che si è espresso nell’idioma ellenico e latino e che, insieme alla logica struttura morfo-sintattica, si riteneva arricchisse lo spirito. La funzione formativa delle discipline classiche si palesava nel contributo che le discipline disinteressate e liberali apportavano alla crescita intellettiva e allo sviluppo del giudizio critico dei ragazzi nel- la fase dell’adolescenza.

Il valore dell’insegnamento classico, dunque, andava considerato nel suo potenziale pronto ad attuarsi nel divenire intellettivo della per- sona. In altre parole, il segreto del latino e del greco consisteva in un investimento che, per mezzo della scuola e grazie all’attività dei do- centi, si sarebbe rivelato nel tempo, nel possesso di conoscenze e di ca- pacità spendibili nei diversi campi.

Si analizzavano i motivi formativi che esortavano a mantenere e rafforzare lo studio delle lingue classiche, partendo dal latino che con l’Italia e con la lingua italiana palesava evidenti punti di contatto. Le ragioni erano essenzialmente legate al concetto di educazione lingui- stica, all’importanza della ricostruzione storica e culturale e, non ulti- mo, alla capacità di sviluppo mentale connesso alla lettura e all’anali- si degli autori antichi.

L’insegnamento linguistico, infatti, richiedeva l’uso del raziocinio e guidava la mente alla riflessione sugli strumenti e sugli elementi lin- guistici e, di conseguenza, migliorava le capacità espressive nella lin- gua moderna. Parallelamente, risultava innegabile che l’universo anti- co di storia, di pensieri, di miti e di uomini ha lasciato tracce sino ai tempi presenti costituendo le fondamenta e trasferendo un’anima vita- le alla moderna Europa.

Nel riformare il sistema scolastico e nel tentare di cancellare l’«inu- tile» latino dalla scuola media, si rinnegavano le origini storiche e cul- turali della attuale società e, nel contempo, si vietava la possibilità di ricevere un insegnamento che, oltre ad essere trasmissione di nozioni, fosse principalmente occasione di sviluppo mentale. Così il greco e il latino si andavano a fondere necessariamente sino a costituire una unità sorta dalla successione culturale e linguistica delle civiltà antiche; in

tal modo, l’eliminazione del latino come materia dell’ultimo triennio della scuola dell’obbligo influenzava negativamente l’apprendimento del greco.

Contemporaneamente, lo studio del greco in traduzione, nella pro- spettiva della semplificazione consolidata negli anni ’60, faceva senti- re le carenze sull’apprendimento del latino.

I lavori della Commissione di indagine, prevista dalla Legge n. 1073 del 20 luglio 1963, furono preceduti da iniziative ministeriali te- se a seguire l’andamento della scuola italiana e a raccogliere la docu- mentazione per analizzare e correggere gli eventuali problemi: nel 1962 con un ordinanza ministeriale firmata da Luigi Gui nasceva pres- so il Ministero l’ufficio di documentazione e programmazione e nello stesso anno venivano inaugurate presso i Provveditorati le Sezioni di studi e di programmazione finalizzate alle questioni di coordinamento. Tuttavia, i progetti di riforma sulla scuola secondaria negli anni ses- santa erano accomunati dal medesimo destino di non superare l’iter le- gislativo e, al di là di lievi ritocchi apportati ai programmi e di mode- sti provvedimenti, nessun cambiamento toccava la scuola classica e le discipline classiche, se non la sorte di chi assiste passivamente alla pro- gressiva limitazione del proprio insegnamento.

Nei programmi per la scuola media del 1963 (D.M. 24 aprile 1963) si palesava un nuovo spirito metodologico tanto che, a proposito del la- tino così come per le altre discipline di insegnamento, si insisteva su una pratica didattica che muoveva dall’esperienza propria dei discenti, nel rispetto di una metodologia prim’ancora ignota alla scuola. A po- chi mesi di distanza veniva pubblicato il D.M. 18 giugno 1963 relativo agli orari e ai programmi di insegnamento e d’esame della scuola me- dia, annessa agli istituti e scuole d’arte e ai conservatori di musica. Quanto al latino l’orario era il medesimo. Nella seconda classe le «ele- mentari conoscenze di latino» comparivano, fra gli insegnamenti ob- bligatori, abbinate all’italiano (9 ore complessive); il latino come ma- teria facoltativa ricopriva in terza 4 ore settimanali.

Si parlava di metodo induttivo, di approccio globale, tradotto dagli insegnanti nell’avvicinamento graduale al mondo classico per mezzo della lettura di semplici passi latini, di cui dovevano essere messe in evidenza le affinità lessicali e sintattiche con la lingua nazionale e da cui venivano dedotte le regole del sistema morfologico latino. «L’alun- no imparerà così» – si legge nel testo del programma di italiano inte- grato con le elementari conoscenze di latino – «a distinguere le desi- nenze nominali e verbali e le più semplici norme di sintassi; noterà

l’arricchimento dell’italiano rispetto al latino (per es. l’articolo) e lo spostamento di segnali grammaticali (desinenze alla fine delle parole in luogo di preposizioni davanti ad esse); e via via salirà, se possibile, a più complesse diversità». Il libro di antologia diveniva «lo strumen- to» di tutto il lavoro dell’insegnante. Il progresso metodologico, tutta- via, annunciato dai programmi si scontrava con la molto spesso man- cata ricezione da parte degli insegnanti che faticavano ad accogliere le novità e che riproponevano il tradizionale modo di insegnare, l’unico che conoscevano.

A proposito delle «elementari conoscenze di latino» si raccoman- dava di mantenere la centralità dello studio della lingua italiana e di considerare il suo insegnamento come tappa ultima dell’opera educa- tiva: «non si dovrà, per esempio, insegnare prima la morfologia latina, per mostrare poi in che cosa essa sia affine all’italiano e in che diver- sa; […] si dovrà condurre l’alunno ad un’elementare conoscenza della struttura morfologica e del lessico attraverso l’esperienza immediata dei testi latini facili e di per sé evidenti per affinità lessicale e sintatti- ca con la nostra lingua».

Nella stessa direzione procedevano l’insegnamento e il ruolo rico- nosciuto al latino come materia autonoma, ma facoltativa, in terza me- dia: nei programmi si ribadiva che la linea da seguire dovesse andare «dai testi alla regola», che la lettura fosse di centrale importanza e che «non deve essere concepita soltanto in funzione dell’acquisizione di conoscenze grammaticali da parte dell’alunno, ma sarà anche diretta ad avvicinarlo quanto meglio è possibile al mondo romano per il tra- mite della lingua».

Ad affiancare la lettura diretta di facili brani in lingua originale si inseriva nel programma anche la presentazione in buona traduzione italiana di opere in prosa e in poesia, sottolineando l’importante con- dizione che vi fosse corrispondenza lessicale fra il brano in lingua la- tina e la traduzione, un’aderenza utile a scorgere le analogie fra i due sistemi linguistici e a migliorare l’uso della lingua italiana. Va, inoltre, ricordato che gli anni Sessanta sono stati gli anni del già menzionato «Piano di sviluppo della scuola dal 1959 al 1969», anni della contrad- dizione che investiva la questione delle lingue classiche e che conside- rava al tempo stesso il latino quale garanzia per la formazione intellet- tuale dei preadolescenti della scuola media e quale errore se imposto a tutti. Anni, questi, in cui proliferavano, anche grazie alle iniziative sta- tali, gli istituti tecnici e professionali pur nella sostanziale tirannia del liceo classico che continuava ad aprire, in virtù di quel latino e di quel

greco che in esso trovavano dimora sicura, le porte di tutte le facoltà universitarie.

La preoccupazione pedagogica e politica di istituire un necessario collegamento di struttura e di metodi didattici fra la nuova scuola me- dia dell’obbligo e la scuola secondaria chiamava in causa ancora una volta il latino e il greco, in particolare per i diversi tentativi progettuali di costituire bienni unificati per tutti, corrispondenti ai primi due an- ni della scuola secondaria superiore, in cui attraverso discipline co- muni si realizzasse un elevamento del periodo di formazione genera- le.

Le discipline differenziate, rispondenti alle intime vocazioni degli alunni, non predeterminavano il ripensamento di fronte a scelte sba- gliate, per cui erano agevolati i passaggi da una scuola all’altra. Desta attenzione, in particolare, fra i tanti il progetto Donati-Codignola, il di- segno di legge n. 2378 che fu approvato solo in Senato nel 1967 e non alla Camera e che, per tale ragione, decadde.