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L'esposizione delle statue di Dioscuride e Cleopatra secondo la ricostruzione di Kreeb

MAGNESIA SUL MAEANDRO

F 3 L'esposizione delle statue di Dioscuride e Cleopatra secondo la ricostruzione di Kreeb

131 essenzialmente politica della nuova forma d’ideologia civile sorta in quei decenni ma gravitante pur sempre intorno al concetto di polis: un fenomeno all’incrocio tra idealità e gestione del potere, insomma. Certamente il panorama di queste forme di rappresentazione è, nel suo complesso, di una eccezionale uniformità: la comunità doveva pur sempre sforzarsi di mantenere stabili gli equilibri tra opposte pressioni, tra affermazione della sfera pubblica e costituzione di élites private, nel contesto di una società che rimaneva, ricordiamolo, estremamente competitiva. Di qui il successo di modalità espressive replicate e formulari tanto per quanto riguarda le dediche, quanto per quanto riguarda la forma stessa dei monumenti e delle statue onorarie. Insomma, una modalità di riconoscimento pubblico delle benemerenze di alcuni singoli, effettuato però all’interno di un quadro normativo piuttosto stringente, quandanche non necessariamente esplicitato in forma di legge.

Non vi è dubbio che tali monumenti costituissero una componente importante del paesaggio urbano e santuariale, oltre che un punto di riferimento fondamentale nell’universo ideologico dell’epoca. Delo e la comunità mista che la popolavano nel periodo preso in questione non costituiscono un’eccezione da questo punto di vista: una vera e propria messe di statue dedicata dalle rispettive comunità di riferimento a personalità di spicco loro legate popolava i luoghi a più alto contenuto simbolico dell’isola, le agorai ed i santuari (quello d’Apollo ma anche quello delle divinità straniere) in modo particolare196.

Ma questo fenomeno convisse con un altro, ad esso ispirato e parallelo, quello cioè dei monumenti onorari di natura privata: mentre quelli pubblici venivano realizzati per decisione e decreto della comunità, quandanche non necessariamente a sue spese, il monumento onorario privato è realizzato perlopiù su terreno ed e con consenso pubblici, ma con motivazioni e finanziamenti, appunto, privati. Tale classe di monumenti corre spesso il rischio di essere confusa con quelli di natura pubblica, o con quelli a destinazione funeraria o religiosa: questo poiché con essi condivide pressoché ogni modalità d’esposizione e di rappresentazione, nonché il pubblico cui s’indirizzavano.

L’elemento che da questi altri tipi differenzia il monumento privato, è la natura di relazione che sottende, poiché sempre della manifestazione di una relazione si tratta. Il monumento privato infatti esibisce perlopiù forme di solidarietà e legami riconducibile alla sfera familiare, secondo forme però non in opposizione ma compatibili, per quanto possibile, con l’ideologia civica della polis. Assunzione di magistrature, rivestimento di cariche civili o religiose, esibizione di particolare pietà sono infatti le occasioni più ricorrenti legate alla dedica di tali onorificenze: occasioni, vale a dire, che rimangono pur sempre ancorate alla dimensione politica dell’individuo oggetto della dedica e che proprio all’esplicazione di questa sua veste tendono a riferirsi.

E tuttavia, al di là della motivazione espressa in ogni specifica circostanza, il monumento privato esprime all’interno di un quadro socialmente condiviso, legami esistenti non tra individuo e collettività

132 bensì tra individuo ed individuo: essi costituiscono infatti una delle principali possibilità attraverso cui i rapporti familiari potevano ottenere visibilità e riconoscimento pubblico.

Tale fenomeno risulta aver goduto di particolare popolarità nel mondo ellenistico nei decenni a cavallo tra fine III e inizio II sec. a.C.. A Delo, tuttavia, l’andamento sembra leggermente differente, dal momento che occorrenze di questo tipo conoscono «a spectacular increase»197 a partire dalla

riconsegna dell’isola in mani Ateniesi del 167 a.C., secondo modi che i precedenti decenni dell’indipendenza non avevano conosciuto.

Il caso della già menzionata statua di Diodora proveniente del Serapeion costituisce un esempio in tal senso; ma vediamo come anche quello delle statue di Dioscuride e Cleopatra possa essere letto alla luce delle considerazioni appena fatte.

Il luogo di esposizione delle statue della casa Th III 1 è effettivamente inconsueto. Per la verità, ci sono alcuni altri esempi di statue ritratto riconducibili a contesti domestici dell’isola. Più comunemente tuttavia, i soggetti degli esemplari di statuaria domestica provenienti dal sito sono di natura mitologica. Il fatto è che per la gran parte dei pezzi non siamo in grado di ricostruire l’originaria collocazione, o perché essi non sono stati rinvenuti in situ, o perché la documentazione di scavo a disposizione non è sufficiente a risalire a questa importante informazione.

Particolarmente interessante, infatti, sarebbe riuscire a comprendere il modo in cui questi oggetti fossero esposti al pubblico e soprattutto se questo pubblico fosse costituito unicamente da coloro che avevano accesso all’interno delle abitazioni oppure se esso fosse, in qualche modo, più vasto.

Le visuali e le linee prospettiche aperte allo sguardo del potenziale spettatore, vale a dire la possibilità consentita ed organizzata che un monumento fosse reso fruibile in determinati modi e da determinate posizioni e scorci non unicamente interni all’abitazione, costituisce verosimilmente la chiave per l’interpretazione delle statue in oggetto.

Tra gli esempi in abitazione per i quali conosciamo originaria collocazione della statua e organizzazione degli spazi della casa, solamente in due casi il monumento poteva essere visibile dall’esterno dell’edificio: si tratta da una parte di una statua di Artemide proveniente dalla casa IIIS nel quartiere del teatro, dall’altra proprio delle statue di Dioscuride e Cleopatra.

Ebbene, proprio questa apertura voluta e ricercata del monumento ad un pubblico più ampio rispetto a quello degli abitanti della casa, ottenuta attraverso un posizionamento sulla linea della visuale di chi si trovasse a passare di fronte alla porta affacciata sull’esterno, costituisce un elemento importante a favore di un accostamento delle statue dei coniugi cleruchi alla tipologia dei monumenti onorari di natura privata di cui si è detto poco sopra. Il contenuto della dedica poi, è conforme a quella tipica in questi casi: l’occasione, infatti, è costituita da una circostanza legata ad un atto di εὐσέβεια del soggetto onorato, la dedica di un’offerta alla divinità dell’isola. Si tratta, dunque, dell’esercizio di una virtù non

133 solo religiosa ma anche civica, perfettamente rientrante pertanto all’interno quadro ideologico di riferimento tracciato per tali raffigurazioni.

Analogo discorso vale per la messa in evidenza delle relazioni di natura familiare, sottolineate tanto nell’epigrafe, quanto nell’accostamento fisico delle figure dell’onorante (Cleopatra) e dell’onorato (Dioscuride). Il ritratto onorario costituiva, secondo la definizione di Zanker, «the quintessential expression of public recognition by one’s fellow citizens»198: tanto rilevante a livello sociale doveva

essere tale riconoscimento, che personaggi cui per qualche motivo fossero preclusi gli spazi comuni potevano decidere di ricorrere a forme di autorappresentazione analoghe a quelle messe in luce da questo caso, in forma ibrida tra contesto privato e contesto pubblico.

È questa una notazione assai interessante che emerge dall’analisi di questo contesto: la constatazione cioè di un indebolimento dell’opposizione pubblico/privato, messo in luce non solo dalla natura del monumento in sé, ma anche dalla collocazione delle statue. Le immagini di Dioscuride e Cleopatra infatti si trovano, è vero, all’interno di un’abitazione, e tuttavia sono fruibili dall’esterno, rivolgendosi principalmente (ma non solo), proprio al pubblico dei non appartenenti alla famiglia degli effigiati. Si tratta chiaramente di una zona di confine che presuppone l’abbattimento di un’altra barriera che era stata propria delle formule dell’abitare della Grecia classica: quella tra interno ed esterno dell’abitazione. Uno sviluppo che sarebbe in qualche modo legato, secondo quanto sostenuto da Nevett199, all’organizzazione dello spazio abitativo nella sequenza atrio – peristilio, propria dei contesti

italici e campani, costituendone quasi una premessa.

Fin qui per quanto riguarda Delo. Passiamo ora a parlare della diffusione del tipo Pudicitia in relazione all’isola di Rineia. Delo e Rineia, fisicamente separate, costituiscono tuttavia un’unità: intanto le due isole sono talmente vicine che, riporta Tucidide200, Policrate di Samo consacrò la seconda ad Apollo

congiungendola fisicamente con una catena al santuario del dio. Inoltre occorre ricordare che l’antico divieto di sepoltura che vigeva nell’isola d’Apollo già all’epoca dei Pisistratidi201, rimaneva in vigore

ancora nei secoli II e I a.C.: pertanto la sepoltura degli abitanti di Delo doveva essere effettuata a Rineia, su suolo non sacro. Per questo motivo le due isole costituivano in fondo una sola entità: poiché facevano riferimento alla medesima comunità.

Ora, i monumenti funerari di Rineia hanno restituito un numero insolitamente alto di raffigurazioni del tipo Pudicitia. È vero, si parla certamente di numeri piuttosto contenuti (8 pezzi in tutto), soprattutto in paragone con Smirne. Tuttavia, a differenza di quanto si riscontra per questa città, Delo ha restituito non solo stele ma anche una statua funeraria appartenente alla nostra tipologia. Bisogna considerare 198 Zanker 2013, pag. 215. 199 Nevett 2010, vedi pp. 63-88. 200 Thuc. III. 104.2. 201 «τοῦ δ᾽ αὐτοῦ χειμῶνος καὶ Δῆλον ἐκάθηραν Ἀθηναῖοι κατὰ χρησμὸν δή τινα. ἐκάθηρε μὲν γὰρ καὶ Πεισίστρατος ὁ τύραννος πρότερον αὐτήν, οὐχ ἅπασαν, ἀλλ᾽ ὅσον ἀπὸ τοῦ ἱεροῦ ἐφεωρᾶτο τῆς νήσου: τότε δὲ πᾶσα ἐκαθάρθη τοιῷδε τρόπῳ. θῆκαι ὅσαι ἦσαν τῶν τεθνεώτων ἐν Δήλῳ, πάσας ἀνεῖλον, καὶ τὸ λοιπὸν προεῖπον μήτε ἐναποθνῄσκειν ἐν τῇ νήσῳ μήτε ἐντίκτειν, ἀλλ᾽ ἐς τὴν Ῥήνειαν διακομίζεσθαι.» Thuc. III. 104.1,2. Vedi Cuniberti 2001.

134 inoltre come le altre località dove si riscontra una presenza rilevante di questa tipologia sono Chio ed Efeso, ed entrambe hanno restituito non più di quattro esemplari. Insomma, Delo figura certamente tra quei siti che più di altri recepirono con favore la diffusione del tipo Pudicitia.

La statua202, purtroppo estremamente danneggiata, è oggi presso il museo di Mykonos. È

completamente acefala ed ha subito numerosi colpi che ne hanno quasi interamente asportato il fianco sinistro ed il braccio sinistro. Tuttavia, grazie alla parziale conservazione del braccio destro, è possibile ricondurre questo esemplare alla tipologia II, con braccio levato in modo verticale e parallelo all’asse della statua ad afferrare un lembo della veste. La datazione oscilla tra la fine del II e l’inizio del I sec. a.C.: esattamente il torno di tempo di cui ci stiamo occupando. Purtroppo non è conosciuta l’originaria collocazione e non è possibile ricostruire se appartenesse o meno ad un qualche monumento ed inoltre, ove la risposta fosse affermativa, di che tipo esso fosse.

Ancora più interessante, se possibile, il caso delle stele, in tutto sette. Si tratta da raffigurazioni non dissimili da quelle diffuse a Smirne e sul continente: sono attestate, e ciò non stupisce, una volta ciascuna le tipologie III203 e IV204.

Quello che invece è assolutamente straordinario, è il numero di stele con raffigurazione riconducibile alla tipologia VI. Si tratta di ben cinque stele205, tutte datate sul finire del II sec. a.C.: la cosa è

veramente degna di nota e merita di essere approfondita.

La tipologia VI, corrispondente a quella “Braccio Nuovo” della classificazione Linfert, è sostanzialmente una variazione della tipologia II e si caratterizza perciò per il braccio sinistro levato: rispetto a questa però, è ulteriormente definita da un lembo della veste che, stretta nella mano levata al capo, scende lungo la figura passando sopra l’avambraccio destro piegato sul grembo.

Il fatto è che, all’infuori di questi esemplari delioti, la tipologia sembra essere stata poco o per nulla diffusa nell’Asia Minore ellenistica: a mia conoscenza è possibile citare solamente un esemplare proveniente da Smirne206, oltre ad una statua seduta di provenienza ignota ma ad ogni modo orientale,

conservata oggi presso il museo di Antakya207. Non solo: nell’intero Oriente ellenistico non esiste una

sola statua di questa tipologia legata ad un contesto o ad una provenienza conosciuti. Verosimilmente ellenistiche e databili a questa fase sono tuttavia gli esemplari nr. 140 e 142, oltre che quello seduto nr. 184: una circolazione, ad ogni modo, estremamente limitata.

Al contrario essa godette di vastissima fortuna in Italia ma anche in alcune provincie occidentali (alcuni esemplari sono stati rinvenuti in Gallia Narbonense ed in Spagna, oltre ad una discussa statua

202 Vedi catalogo, nr. 16.

203 Vedi catalogo, nr. 90.

204 Vedi catalogo, nr. 96.

205 Vedi catalogo, nr. 161; 162; 163; 164; 189.

206 Si tratta di una stele, oggi conservata presso Hannover, raffigurante una coppia, con la donna proprio in

schema c.d. Pudicitia VI (vedi cat. nr. 171).

207 Vedi catalogo nr. 184. Koch è l’unica fonte a mia conoscenza ad attestare l’esistenza di questa statua. Certo, se

la provenienza originaria dell’oggetto fosse la regione dei dintorni d’Antiochia, si tratterebbe dell’esemplare più orientale del tipo prima di età imperiale.

135 Africana208), negli anni che vanno all’incirca dalla metà del I sec. a.C. fino ad epoca giulio-claudia. Si

contano a decine le statue ed i rilievi riconducibili a questa tipologia provenienti da Roma, dalla Campania, ed in generale dai municipia dell’Italia Meridionale e del Latium. L’Oriente, al contrario, dopo gli esemplari da Delo e da Smirne, tace completamente.

Insomma, una distribuzione geografica e cronologia in un certo modo problematica ma anche piuttosto indicativa. E proprio la complessità della questione non è sfuggita a due degli studiosi che di queste tematiche si sono occupati, Schmidt e Linfert. Schmidt, in particolare, si occupa della questione nel contesto della propria classificazione tipologica dei rilievi ellenistici: egli conosce l’esemplare proveniente da Smirne ma sembra ignorare quelli da Rineia e pertanto non ritiene di poter avanzare alcuna proposta di soluzione:

«Von einem vierten Pudicitia-Typ, der nach berühmten Statue im Vatikan Braccio-Nuovo-Typus genannt wird, gibt es in Smyrna ein vereinzeltes Exemplar. Da von diesem Typ keine hellenistischen Beispiele in der Großplastik zu finden sind, sondern nur römische Kopien, ist die Frage, wie dieser Typ auf das Relief aus Smyrna gekommen ist, bisher nicht zu beantworten.»209

In realtà ciò che più di altre cose appare problematico non è tanto la presenza di un esemplare del tipo a Smirne, quanto piuttosto la vera e propria migrazione della tipologia avvenuta in seguito. Se si pensa che anche le tipologie II, III, IV e V sono attestatissime in questa città ed anzi, almeno per quanto riguarda le ultime tre, sono diffuse quasi esclusivamente qui, non è fuori luogo ipotizzare che proprio l’antica Izmir possa essere stata la fucina in cui almeno alcune delle sotto-tipologie del tipo Pudicitia sarebbero state formalizzate: perché questo non dovrebbe essere stato possibile anche per la tipologia VI? L’analisi di Linfert è più complessa ed approfondita. Egli conosce l’esemplare da Smirne ma è al corrente anche dell’esistenza di una delle stele di Delo210, oltre che, naturalmente, di tutta la vicenda

successiva della tipologia. Le sue osservazioni sono piuttosto interessanti:

«So können wir annehmen, daß der Braccio-Nuovo-Typus in der zweiten Hälfte des zweiten Jahrhunderts im mittleren Bereich der Westküste Kleinasiens erfunden wurde, ohne sich allerdings weiter ausgebreitet zu haben. Und weil sich schon spätestens in der Mitte des ersten Jahrhunderts v. Chr. die ersten Repliken auf italischem Boden nachweisen lassen, ja sogar

208 Vedi catalogo, nr. 118: si tratta di una statua proveniente da Apollonia di Cirenaica e datata da Traversari,

unica di questa tipologia, ad epoca Flavia.

209 Schmidt 1991, pag. 14.

136 häufen, können wir mit gutem Grund annehmen, daß ein Exemplar des Typus

schon im Beginn des ersten Jahrhunderts v. Chr. (vielleicht im Zusammenhang mit den Mithridatischen Kriegen durch Sulla) nach Italien gelangte: verschleppt, vielleicht weniger aus Gründen künstlerischer Bedeutung als eher deswegen, weil eine bedeutende Frau dargestellt war. Da Repliken in Kleinasien aus römischer Zeit gänzlich fehlen, ist es nicht abwegig, anzunehmen, daß diese nach Italian verschleppte Figur das Original der ganzen Reihe der Repliken dieser Typus war. »211

La spiegazione è suggestiva e contiene certamente elementi di verità. In primo luogo coglie la natura del problema, costituita non tanto dalla presenza di esemplari del tipo in area microasiatica, che anzi viene indicata chiaramente come luogo d’origine del tipo, quanto piuttosto dalla sua straordinaria diffusione in Italia ed in Occidente, verificatasi contemporaneamente alla sua scomparsa dai territori dell’Oriente ellenistico. Tuttavia l’ipotesi che egli formula, che cioè l’originale del tipo fosse stato trasferito in Italia come parte del bottino di guerra di una delle campagne d’Oriente condotte all’epoca di Silla e di Lucullo causando così l’estinzione della tipologia nei suoi luoghi d’origine, appare non del tutto convincente.

Intendiamoci, che un qualche esemplare della tipologia VI sia approdato in Occidente in circostanze analoghe a quelle da Linfert ipotizzate è tutt’altro che impossibile. E tuttavia Linfert, che mostra di non essere a conoscenza dell’esistenza di molte delle stele deliote, non tiene conto da una parte del fatto che il tipo avesse avuto comunque una qualche diffusione orientale, seppure certo limitata, per di più in un’area particolarmente significativa, dall’altra che l’estinzione della tipologia VI nell’area Egea non costituisce un caso isolato tra le sotto-tipologie del tipo Pudicitia e può essere spiegata senza ricorrere all’ipotesi del ratto dell’originale.

Partiamo da quest’ultimo punto. Si è detto, e su questo punto Linfert stesso concorda, come l’area della costa anatolica prospicente il mar Egeo debba aver, in epoca medio e tardo ellenistica, ospitato quegli artisti o quelle botteghe cui si deve l’invenzione o, per lo meno, la formalizzazione e la diffusione seriale di alcune delle principali sotto-tipologie riconducibili al più generale tipo c.d. Pudicitia. La città di Smirne, per via delle ragioni più volte ripetute, deve avere avuto un ruolo di primo piano nello sviluppo di tale fenomeno. Nell’ambito della produzione di stele ellenistiche, abbiamo individuato cinque principali tipologie (a cui bisogna aggiungerne una sesta dai tratti classicheggianti, attestata in un solo esemplare di provenienza ignota212): II, III, IV, V e VI.

Ora, al netto del primo di questi tipi, gli altri quattro condividono nella loro vicenda un tratto fondamentale: tutte queste tipologie cessano di essere produttive in area orientale e microasiatica

211 Linfert 1976, pag. 152.

137 all’incirca nel corso della prima metà del I sec. a.C., vale a dire la loro riproduzione nella regione cessa simultaneamente a quella di stele funerarie figurate con immagini di politai.

Il fenomeno della cessazione di questa produzione ha radici assai profonde che vanno ricercate nelle mutazioni di carattere politico, sociale e culturale avvenute all’epoca presso le comunità dell’area: insomma, questioni assai più complesse e che richiedono spiegazioni ben più articolate che non la scomparsa di un (o, a questo punto, quattro quante sono le sotto-tipologie interessate) originale. Le classi che fino a questo momento si erano identificate con determinate forme di auto- rappresentazione mutano o scompaiono, o, più semplicemente, cessano di servirsi di quegli strumenti di comunicazione che fino ad allora erano stati utilizzati. Tra questi bisogna enumerare anche le statue onorarie e le stele funerarie del tipo che abbiamo descritto, con tutto il repertorio figurato annesso: repertorio che tuttavia non scompare completamente, ma viene variamento recuperato in modi e contesti differenti.

Ebbene, c’è un ulteriore elemento che rende ancora più sfumata la relazione con un eventuale originale delle stele provenienti da Delo, in particolare: il fatto cioè che , in uno di questi esemplari, la figura del tipo Pudicitia VI, si presenti nella sua versione seduta213. Si tratta di una variazione sul tema che godrà

di un qualche successo nella statuaria di epoca romana tardo repubblicana ed imperiale. Questo indica che le varie riproduzioni, già in questa fase assai alta, lungi dall’essere strettamente vincolate ad un originale, potevano esser fatte oggetto di rielaborazione e modificate in certa misura a seconda dei differenti contesti di utilizzo. Si trattava cioè di forme piuttosto fluide, e l’esistenza delle varie sotto- tipologie ne è una testimonianza. Il tratto più rilevante doveva essere l’efficacia della comunicazione dei contenuti semantici: fatti salvi questi, le forme potevano essere oggetto di qualche piccola variazione.

Ora, la tesi di Linfert aveva il pregio di spiegare al contempo anche la rinascita ed il successo del tipo VI in Italia e, in misura minore, in altre provincie d’Occidente. Sgomberato il campo dall’ipotesi del trasferimento dell’originale, si tratta ora di trovare una diversa spiegazione per questa migrazione tipologica. La chiave del tutto potrebbe essere individuata proprio nell’isola di Delo e nella diffusione eccezionale di tale tipologia che quivi si riscontra.

L’isola d’Apollo riveste infatti un ruolo del tutto particolare nel quadro delle relazioni tra mondo italico-romano e mondo ellenistico. Bisogna distinguere, laddove si voglia discutere di tale rapporto,