MAGNESIA SUL MAEANDRO
MP 20 Serapeion C a Delo
126 L’iscrizione di dedica, fortunatamente conservata, identifica l’effigiata con Diodora, figlia di Efestione, devota di Serapide, Iside, Anubi ed Arpocrate, come Cleopatra cittadina ateniese184. Di esecuzione
meno raffinata rispetto al ritratto della sua compatriota, Diodora presenta uno schema degli arti piuttosto analogo a quello dell’esemplare di Xantos, con il braccio sinistro quasi interamente perduto, che sembra però salire verso il volto con una linea molto verticale e perpendicolare all’asse della figura. Ciò che distingue quella di Diodora dalle tre statue finora elencate, è, in particolare, il fatto che in particolare evidenza sia messo quel lembo di himation che cade diagonalmente dalla spalla destra verso sinistra accompagnando la posizione del braccio ripiegato in grembo.
Tutti questi pezzi condividono affinità stilistiche soprattutto per quanto riguarda la resa della veste e risultano tuttavia essere piuttosto isolati nel contesto della classificazione tipologica generale. Interessante può essere il confronto con la figura di donna rappresentata su una delle stele funerarie provenienti da Rineia185 e del tutto simile alla statua di Cleopatra. Si può forse parlare di un’ulteriore
sotto-tipologia? Purtroppo l’esiguità numerica degli esemplari non consente di percorrere oltre questa via: ad ogni modo, se di sotto-tipologia si sia trattato, essa godette di una successo estremamente limitato, essendo tutti gli esemplari ad essa riconducibili da datarsi grosso modo al terzo quarto del II sec. a.C.186 e provenienti dall’area sud-orientale del bacino del mar Egeo. Non bisogna dimenticare il
fatto che gli artisti e le botteghe godevano comunque, almeno in questa fase, di un certo margine di autonomia creativa, per cui il riferimento al tipo Pudicitia può essere stato messo in atto più che altro come forma di ispirazione, piuttosto che come riproduzione fedele di un modello.
Tornando ora alle statue rinvenute nella casa Th III 1, qualche considerazione merita anche la scelta di abbinamento delle due figure il cui accostamento nasce da ritmi calcolati: Cleopatra porta avanti il piede sinistro mentre Dioscuride il destro, così che entrambi convergano verso il centro. Allo stesso modo è analoga l’impostazione degli arti inferiori, con entrambe la figure a poggiare sulla gamba più esterna. Tutto contribuisce a creare al centro della composizione come una mandorla intorno cui le figure sono disposte. Peraltro l’abbinamento palliato - pudicitia187, pur non essendo molto diffuso nella
statuaria, è, come notato da Bieber188 e come sottolineato nei capitoli precedenti, estremamente
popolare nelle raffigurazioni su stele funeraria.189
Si trattava dunque di una ben calcolata e sperimentata composizione d’insieme. È questo uno dei pochi casi che c’illustrano come esigenze legate alla relazione con figure d’altre statue erano in grado 184 Διοδώραν Ἡφαιστίωνο[ς Αθηναίου] θυγατ[έ-] ρα Μηνόδοτος καὶ Ἡφαιστ[ίων ο]ἱ Λυσίου Ἀθηνα[ῖ]οι τὴν ἑαυτῶν μ[ητέρα], Σαράπιδι, Ἴσιδι, Ἀνούβιδι, Ἁρπο[χράτε]ι. (ID 2096) 185 Catalogo nr. 90.
186 Cleopatra (cat.: 86): 137/6 a.C.;
esemplare oxoniense (cat.: 87): 140-130 a.C.; esemplare licio: (cat.: 107): 150-130 a.C.; Diodora: (cat.: 108): 140-130 a.C.
187 E poi, in contesto romano, togato – pudicitia.
188 Bieber 1959, pag. 374-417.
127 d’influenzare la scelta della tipologia di Pudicitia tra le tante disponibili. Il ritmo calcolato e armonioso della composizione d’insieme aveva dunque il sopravvento sul singolo soggetto fino a dettare quella che dovesse essere l’impostazione di una figura che, almeno in teoria, avrebbe dovuto essere fissa e stabilita una volta e per sempre nell’immobilità seriale del tipo. Tale fenomeno è riscontrabile spessissimo per quanto riguarda le raffigurazioni a rilievo su stele funerarie. Il fatto che lo si possa osservare qui anche in connessione con la statuaria, costituisce una rarità nell’ambito delle attestazioni del tipo Pudicitia.
Veniamo ora alle persone degli effigiati: due ateniesi dunque, un cleruco e sua moglie, giunti a Delo proprio a seguito della cessione dell’isola sancita dal senato nell’anno 167 a.C., nel momento storico- politico che abbiamo ricordato più sopra.
La famiglia di Dioscuride è numerosa e piuttosto ben conosciuta: tramite fonti soprattutto epigrafiche, si è riusciti ad individuarne una quindicina di membri del ramo deliota, oltre ad almeno quattro di un parallelo ramo attico. Ferguson190 ha ipotizzato che una decina d’anni sarebbero stati sufficienti ad un
cleruco povero per arricchirsi, semplicemente in virtù dell’impennata del valore dei terreni loro assegnati al momento della fondazione della colonia che si verificò negli anni immediatamente successivi al 167 a.C. grazie a quell’insieme di fattori che si è cercato di chiarire più sopra.
È probabile comunque, ed è certamente il caso di alcuni membri della famiglia di Dioscuride, che molti coloni non fossero affatto appartenenti ai ceti meno abbienti ma che anzi avessero già a disposizione dei capitali, anche consistenti, per i quali la nuova situazione di Delo doveva offrire utili e vantaggiose occasioni di investimento. Alcuni membri di questa famiglia risultano anche, nell’imminenza della fondazione della cleruchia (ma anche in seguito), aver rivestito cariche pubbliche (quand’anche non di primo piano): dobbiamo dunque immaginare si trattasse di personalità in qualche modo note o comunque in ascesa, riconducibili ad un ceto medio-alto borghese che aveva trovato modo di far fortuna con commerci e speculazioni.
Ecco dunque una veloce ricostruzione della storia della famiglia di Dioscuride, come nota dalle fonti e ricostruita da M. Kreeb191:
Intorno al 167/6 la famiglia giunge a Delo.
Nell’anno 163/2 Cratone, fratello di Dioscuride è Ginnasiarca (ID 2589 Z.10).
In un momento indeterminato ma non molto successivo al 167/6 Dioscuride e Cleopatra acquistano casa nel quartiere del teatro.
Nell’anno 156/5 figura come affittuario di un terreno di proprietà del tempio (ID 1417 B II 83).
In un momento imprecisabile successivo al 167/6 Dioscuride, insieme con le figlie Anniche e Teodote viene onorato dal popolo di Atene con una corona di alloro (per le figlie una corona di
190 Ferguson 1911, pag. 348.
128 edera) e con il diritto di offrire un anathema al dio, in virtù del fatto di aver provveduto all’allestimento di alcune navi da guerra per la flotta ateniese (ID 1508).
L’iscrizione ID 2463, priva di datazione e di indicazioni circa il contesto di rinvenimento, documenta il fatto che Dioscuride avrebbe consacrato un’offerta alla divinità. Si tratta dei tripodi menzionati in ID 1987?
Nell’anno 141/0 le due figlie di Dioscuride, sotto la sacerdotessa Moschine, offrono due fiaccole nel tesmoforion (ID 1444 B a 14-15).
Nell’anno 138/7, come ricordato dall’iscrizione ID 1987, Dioscuride dedica due tripodi d’argento nel tempio di Apollo. Nello stesso periodo Dioscuride e Cleopatra acquistano la casa confinante con la propria, procedono ad una risistemazione della struttura e fanno quivi porre le due statue ritratto che raffigurano loro stessi.
Nell’anno 136/5 Apollonio, nipote di Dioscuride, è efebo (ID 1922 Z 6-7).
Mirona, sorella di Apollonio e nipote di Dioscuride, viene onorata con una statua davanti alla stoà di Filippo da parte del Marito e della figlia omonima.
Nell’anno 101/0 Teodoro, bisnipote di Dioscuride, è efebo ad Atene (IG II2 1028 Z.120).
In un periodo imprecisato Teodote, figlia di Dioscuride, offre in nome proprio e del proprio marito Ermone di Trasideio da Elea, un dono ad Artemide.
Tra il 163/2 e l’ultimo quarto del II sec. a.C. una donna di nome Cleopatra, figlia di Teodoro di Mirrinunte fa erigere nell’agorà di Atene tre statue in onore del proprio padre, del proprio fratello e del proprio marito. Si tratta probabilmente di una parte della famiglia di Dioscuride rimasta in Attica.
Il fatto che il fratello di Dioscuride, Cratone, sia stato ginnasiarca negli anni a ridosso della fondazione della cleruchia, conferma quanto già detto a proposito della posizione sociale di alcuni membri della famiglia. Se si osserva però la casa che Dioscuride e Cleopatra acquistarono per se stessi intorno al 167/6, l’impressione non è quella di una straordinaria floridità economica. L’abitazione appare in realtà piuttosto modesta: attraverso un vestibolo (a) affiancato da due ambienti di servizio (b, c) si giunge ad una corte interna (d) su cui si aprono a sud l’ambiente e, mentre a nord l’ambiente f, tramite cui si accede alle stanze g ed h.
Le cose cambiano decisamente intorno all’anno 138/7, quando i due coniugi procedettero all’ampliamento dell’abitazione tramite l’acquisto di un edificio confinante, ed al riassetto complessivo della struttura [Fig. 9, 10]. La nuova abitazione si compone degli ambienti i – p, con la corte i, sulla quale a nord si affaccia l’oikos k con le stanze m e l, a sud gli ambienti n, o e p, a ovest la stanza j. Ma l’aspetto più interessante è la riorganizzazione della vecchia struttura che vide sorgere all’interno della corte d un piccolo peristilio ed inoltre l’erezione delle due statue dei padroni di casa che andavano ad occultare il precedente passaggio tra d ed f che venne ora spostato leggermente più ad est.
129 La ragione dello spostamento di
questo passaggio è da ricercare nella particolare evidenza che si voleva dare alla raffigurazione dei coniugi: le due statue che si affacciavano sul peristilio e l’iscrizione che le accompagnava, dovevano insomma essere immediatamente visibili non solo all’ospite che, dalla porta di accesso sul vestibolo a (a sud), entrasse a far visita ai padroni di casa ma anche, verosimilmente, al passante che si trovasse a percorrere la strada antistante l’abitazione. È questo un punto chiave, che merita di essere messo in luce e sul quale potremo tornare più avanti.
L’impressione generale che si ricava è quella di una ostentata e esibizione maniacale di una ricchezza acquisita troppo velocemente192. Ma non è tutto: torniamo all’esposizione delle statue. Si è già detto
come il basamento su cui esse furono innalzate sia stato collocato al di sopra della precedente soglia, realizzata con un blocco di calcare. Proprio in questa fase furono ricavati su questo blocco i fori per inserire i cardini di due grandi ante o grate che andavano, come si trattasse di una porta o di una finestra, a posizionarsi sull’apertura. Grazie a questo sistema, al quale bisogna immaginare si accompagnasse (suggerisce Kreeb), nella parte superiore, una cornice dorica con triglifi e metope si era ricavato un importante apparato espositivo che doveva dare l’impressione all’osservatore di riecheggiare modelli di esibizione pubblica di particolari statue. Ha osservato K. Tuchelt193: «diese […]
durch Gitter verschlossenen Anbauten boten die Statuen wie Kultbilder in einem Schrein hinter den Schranken der κάγκελλοι dar.» Non si trattava, naturalmente, di statue di culto vere e proprie, e tuttavia l’apparato decorativo che le inquadrava doveva, secondo Tuchelt, ma anche secondo Kreeb194,
assimilarle a queste ultime.
192 Kreeb 1988, pag. 21: «Der Zukauf des Nachbarhauses, die Einrichtung des Peristyls mit der zu großen Zahl an
Säulen und der recht penetrante Ton der Inschrift zeugen vom Versuch der Selbstdarstellung eines auf Delos rasch zu Reichtum gekommenen Bürgers.»
193 Tuchelt 1979, pag. 89.
194 Kreeb chiama addirittura in causa l’improbabile ipotesi di una forma di Privatapotheose: «Wenn also
Kleopatra und Dioskurides ihre eigenen Porträtstatuen in Marmor in einer schreinartig verkleideten Nische an private Ort errichteten, liegt der Gedanke an eine selbst ausgesprochene Privatapotheose nahe. Man braucht gar nicht so weit zu gehen und anzunehmen, dass die Dargestellten tatsächlich kultische Verehrung für sich