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UNA PROPOSTA DI CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA

PUDICITIA O PUDICITIAE?

UNA PROPOSTA DI CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA

«L’intelaiatura del linguaggio figurativo è in primo luogo costituita da fenomeni tipologici, così come quella della lingua è costutuita dalla sintassi e dai vocaboli.»

Tonio. Hölscher, Il linguaggio dell’arte romana

Uno sguardo di superficie all’insieme dei pezzi aventi un soggetto riconducibile alla tipologia c.d. Pudicitia, sia che si tratti di statue, sia che si tratti di rilievi, è sufficiente a coglierne la natura estremamente eterogenea. È questo un dato essenziale che merita di essere sottolineato prima di procedere a qualunque ulteriore ragionamento: il tentativo di ricondurre questa varietà all’interno di una classificazione generale, sarà lo scopo cui verranno dedicate le prossime pagine. Sforzi di questo tipo corrono il rischio, talvolta, di eccedere in forzature della realtà: da parte mia questo lavoro sarà intrapreso avendo cura di evitare di far aderire schemi precostituiti alle cose e nella consapevolezza che difficilmente si potrà produrre una classificazione capace di abbracciare in modo perfetto e completo l’ampiezza e la varietà dei casi. Anche nel mondo delle copie e della riproduzione seriale, esiste un elemento d’individualità e di specificità che sono proprie di ciascun oggetto: questo non ci deve sfuggire. Tuttavia degli elementi per procedere ci sono e bisogna che siano posti in evidenza: avrò cura, laddove se ne presenti il bisogno, di mettere in luce e discutere problematicità e deviazioni rispetto alla norma dei criteri che andrò a proporre.

Si è detto dunque di un quadro estremamente eterogeneo, al punto che, se volessimo limitarci ad un’analisi meramente morfologica, sarebbe forse il caso di parlare di “Pudicitiae”, piuttosto che riferirci ad un’unica tipologia. In effetti non saremmo, anche per altri punti di vista, completamente fuori strada: ciascuno dei sotto-tipi che provvederò a delineare, o perlomeno molti di essi, conobbe infatti vicende e diffusioni differenti rispetto agli altri, tanto che l’unità superiore della tipologia potrebbe, non senza alcune valide ragioni, essere messa in discussione.

44 Vale la pena allora interrogarsi, in via preliminare, sul senso che possa avere, al di là della consuetudine invalsa nella letteratura, il continuare ad utilizzare un approccio linneano alla questione: ha senso, insomma, sforzarci ancora di raccogliere i vari esemplari in sotto-tipi capaci di convergere poi sotto una definizione unitaria? Un’operazione di questo tipo è lecita solo in presenza di un denominatore minimo comune tale da consentirla: siamo in grado di definirlo?

Ebbene, la risposta che mi sembra di poter dare a queste domande è, alla luce dei dati a disposizione, affermativa. Un minimo comune denominatore esiste, ed esiste al di là delle differenze, anche sostanziali, in termini, per esempio, morfologici ma anche di distribuzione cronologica e geografica, che pure tra le varie tipologie certamente sussistono. Esso è riscontrabile a due livelli almeno: il primo, quello più evidente, è legato alla somiglianza del gesto che accomuna le varie figure. Tutte, senza esclusione, piegano un braccio in grembo e portano l’altro, flesso, alzato verso il capo. Il braccio levato può essere il destro od il sinistro, può essere alzato in modo verticale (parallelamente all’asse della figura) a sfiorare la guancia od essere portato sul petto fino alla base del mento della donna. E tuttavia, in tutti questi casi diversi, la gestualità è perfettamente riconoscibile ed identificabile.

Il secondo livello di unitarietà tra i tipi è di carattere, se mi è consentito il termine, genetico. Senza entrare troppo, in questa sede, nel dettaglio, è infatti possibile ricostruire la vicenda del tipo Pudicitia nei termini che abbiamo cercato di delineare nel capitolo precedente: in una primo momento gli esemplari ad esso riferibili sarebbero stati accomunati, più che da quegli elementi, anche di carattere formale, che contribuiscono a rendere tale una tipologia, da una generica ispirazione ed attitudine comune, esplicata proprio attraverso la gestualità. Più tardi, nel corso di una o più fasi successive, sarebbero state definite, fissate e formalizzate quelle tipologie che siamo in grado qui di distinguere. La genesi di tutte queste però è, in modo diretto od indiretto, riconducibile a quel primo momento che potremmo definire della Ur-Pudicitia. Perciò tutti gli oggetti sono riconducibili ad un’unità.

Il fatto poi che il significato attribuito al gesto, ovvero, in definitiva, il contenuto semantico legato alla tipologia, si sia mantenuto invariato lungo il corso di tutta la sua vicenda e che quindi sia comune a tutti i sotto-tipi, può essere a buon diritto messo in discussione. Ma di ciò ci si occuperà in fase d’interpretazione. Per adesso, per quanto sia possibile separare i due momenti, ci limiteremo a mantenere un approccio di carattere descrittivo.

Non sono, naturalmente, il primo ad occuparmi del problema. È doveroso e necessario, quindi, rendere conto del lavoro di chi mi ha preceduto, lavoro che rimane fondamento imprescindibile per qualunque genere di sviluppo anche futuro.

I primi studiosi a tentare una classificazione generale del tipo furono Georg Lippold (Kopien und Umbildung griechischer Statuen [1923]) ed Erika Schmidt (Römische Frauenstatuen [1957]): i loro tentativi però, viziati da una conoscenza solo parziale del materiale esistente, risultarono non completamente soddisfacenti. Uno studio più approfondito e meritevole di menzione fu quello condotto da Rudolph Horn (Stehende weibliche Gewandstatuen in der hellenistischen plastik [1931]).

45 Tuttavia è solo con Doris Pinkwart (Weibliche Gewandstatuen aus Magnesia am Mäander [1973]) che prende l’avvio l’elaborazione di quel modello che, riveduto ed affinato da altri in seguito, si sarebbe imposto come punto di riferimento generalmente riconosciuto.

La Pinkwart individuava cinque tipologie in totale, limitandosi ad identificarle tramite un esemplare eponimo capace di riassumerne i tratti caratteristici. La studiosa scelse, ad ogni modo, di non approfondire troppo la questione, e di non argomentare le proprie scelte:

 Tipologia 1: figure del tipo della Cleopatra di Delo30.

 Tipologia 2: figure del tipo della Baebia di Magnesia31.

 Tipologie 3: figure del tipo della Saufeia di Magnesia32.

 Tipologia 4: figure del tipo dell’esemplare conservato nella sezione Braccio Nuovo dei Musei Vaticani33.

 Tipologia 5: figure del tipo della Philista raffigurata su un rilievo funerario conservato presso Oxford34.

Ebbene, una siffatta classificazione, accanto ad aspetti di sicuro interesse, presenta però alcuni punti che, almeno a mio giudizio, si potrebbero discutere: mi limito ad evidenziarne un paio, quelli che mi sembrano più significativi. Il primo è relativo alla scelta degli esemplari di riferimento. Ora, se per quanto riguarda le tipologie 4 e 5 si può condividere la selezione fatta, non si può non notare come invece tanto la Cleopatra di Delo quanto la Baebia e, forse in misura minore, la Saufeia di Magnesia, costituiscano degli esemplari tipologicamente piuttosto isolati, che pertanto si prestano piuttosto male a rappresentare la serie che a loro dovrebbe fare riferimento, per lo meno non per quanto riguarda la totalità degli esemplari. La selezione delle due statue di Magnesia, in particolare, era ben motivata nel contesto specifico di cui in quel momento si occupava la Pinkwart, ma, al di fuori di quello, mostra più di una debolezza. Il secondo punto, forse ancor più rilevante, in cui la classificazione Pinkwart dimostra la sua fragilità, consiste nel fatto che essa ignora quasi completamente (con l’eccezione della tipologia 4) gli sviluppi e le vicende del tipo in epoca romana imperiale ed in contesto che non fosse greco-orientale. Su questo punto avremo modo di ritornare.

Una trattazione più approfondita, perché più approfondita e completa è essa stessa, merita la proposta di classificazione presentata da Andreas Linfert (Kunstzentren hellenistischer Zeit. Studien an weiblichen Gewandfiguren [1976]). Egli conosce l’ipotesi della Pinkwart e da essa prende spunto: tuttavia scelse di apportare alcuni cambiamenti, anche importanti, di ampliare la gamma dei tipi e di sforzarsi di delineare meglio le specificità e le vicende di ciascuno di essi. Prima di tutto Linfert chiarisce quali fossero i criteri guida della propria scelta:

 Quale sia la gamba d’appoggio. 30 Vedi catalogo nr. 86. 31 Vedi catalogo nr. 109. 32 Vedi catalogo nr. 64. 33 Vedi catalogo nr. 157. 34 Vedi catalogo nr. 84.

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 Quale sia la mano che stringe il velo.

 Dove la mano stringa il velo, vale a dire se il braccio salga diritto verso l’alto o incroci sul petto. Ebbene, in virtù di questi criteri egli individua cinque tipologie principali:

 Tipologia Saufeia: la figura poggia sulla gamba destra e leva il braccio destro in modo verticale verso il velo. Si tratterebbe della tipologia principale e più diffusa: ricorre spesso sui rilievi funerari della seconda metà del II sec. a.C. e rimane nella sua diffusione limitato, fino circa al 50 d.C., all’area greco-orientale e microasiatica in particolare. Linfert individua come più antico esemplare del tipo, una statua rinvenuta a Tegea35: si tratta tuttavia di un caso molto isolato

(non vi sono altre statue provenienti dalla Grecia) e di difficile datazione.

 Tipologia Fethiye36: si tratta, secondo Linfert, di una variante del tipo Saufeia, quasi identica a

questo e spesso difficile da distinguere. La tipologia si caratterizzerebbe per il fatto che in essa «der Mantelzipfel nicht vorn, sondern leicht zur Seite verschoben um den Unterarm geschlunfen ist.»37 Questa tipologia costituisce il punto più problematico della classificazione

Linfert. Per prima cosa la sua definizione è decisamente poco chiara, oltre ad essere ricavata senza fare riferimento a quei criteri che Linfert stesso aveva programmaticamente proposto. In questo modo confluiscono sotto la medesima etichetta esemplari assai eterogenei38, la cui

datazione, oltretutto, è stata in seguito ampiamente rivista. In questo quadro confuso, l’auore sostiene che la tipologia avrebbe avuto origine in Asia Minore attorno al 100 a.C., per poi godere di un successo crescente, tale da estendersi anche verso alcune provincie occidentali (Africa e Asia) e da perdurare fino al 130 d.C. circa.

 Tipologia Braccio Nuovo: un’ulteriore variante del tipo Saufeia che si caratterizza per il lembo di stoffa che, partendo dalla mano levata al capo, scende sul corpo della donna passando sopra l’avambraccio piegato in grembo. Si tratta certamente della tipologia più riconoscibile e facilmente identificabile della serie e non ci sono grossi problemi su questo punto. La tipologia ha avuto origine, sempre secondo Linfert, in Asia Minore per poi godere, in epoca tardo repubblicana ed augustea, di straordinario successo in Italia e nelle province occidentali. La spiegazione da lui proposta per questo fenomeno “migratorio” sarà discussa in altra sede.

 Tipologia Philista: la figura poggia sulla gamba destra e leva il braccio sinistro in modo verticale verso il velo. La tipologia sarebbe attestata unicamente su stele funerarie d’Asia

35 Vedo catalogo nr. 20.

36 L’esemplare eponimo proviene da Telmessos, vedi catalogo nr. 245.

37 Linfert 1976, pag. 150.

38 Solo per fare un esempio della confusione che regna in questo quadro, alla medesima tipologia Linfert

riconduce un esemplare proveniente da Afrodisia e datato ad epoca ellenistica (vedi catalogo nr. 9) e i tre esemplari lepticiani (vedi catalogo 228, 229, 230) di II sec. Le differenze tra questi esemplari sono evidenti. Oltretutto non si capisce come mai, invece, i due esemplari di Magnesia (vedi catalogo nr. 13, 14), che risultano pressoché identici alla statua di Afrodisia sopra citata, siano fatti invece rientrare da Linfert all’interno della tipologia Saufeia.

47 Minore e sarebbe stata diffusa nella seconda metà del sec. II a.C. fino circa al 100 a.C., per poi cadere in oblio.

 Tipologia Lysandra39: la figura poggia sulla gamba sinistra e leva il braccio sinistro in modo

verticale verso il velo. Anche in questo caso si tratterebbe di una tipologia unicamente attestata su stele funerarie e con una diffusione analoga a quella del tipo Philista.

A differenza di quanto avveniva nella classificazione Pinkwart, gli esemplari della Cleopatra di Delo e della Baebia di Magnesia sono, giustamente, derubricati a casi isolati e non più capofila di distinte tipologie. Linfert li ascrive sì, in qualche modo, rispettivamente alle tipologie Philista e Lysandra, sottolineando però, al contempo, il tratto fondamentale che da esse le distingue, vale a dire l’inclinazione decisa sul petto del braccio levato.

Come la classificazione Pinkwart, anche quella Linfert presenta, accanto ad elementi di forza, due grossi punti di debolezza, tra loro in parte connessi: il primo è legato alla confusa definizione del tipo Fethiye, il secondo, che parzialmente da ciò deriva è, ancora una volta, costituito dalla sottovalutazione dello sviluppo e della fortuna del tipo c.d. Pudicitia in epoca imperiale romana.

A quest’ultimo difetto, fermo restante il modello Linfert come punto di riferimento, hanno tentato di porre rimedio gli studiosi che sono seguiti, sopra tutti Valentin Kockel ed Annetta Alexandridis. Nessuno dei lavori di questi ultimi si occupa in modo specifico della vicenda della tipologia, che viene trattata quindi solo marginalmente. Tuttavia i loro contributi sono importanti e meritano di essere sviluppati.

Kockel (Porträtreliefs stadtrömischer Grabbauten. Ein Beitrag zur Geschichte und zum Verständnis des spätrepublikanisch-frühkaiserzeitlichen Privatporträts [1993]) si occupa unicamente e programmaticamente di esemplari romani ed italici, vale a dire perlopiù solo di oggetti riconducibili al tipo Braccio Nuovo delle classificazioni precedenti, da lui stesso adottato. Egli però individua in alcuni esemplari una diversa e poco diffusa variante, che sceglie di chiamare KLM-Via Flaminia 16040. Alcuni

di questi esemplari erano stati individuati da Linfert41, che però ha preferito considerarli solo

“analoghi” al tipo Pudicitia, piuttosto che parte integranti di esso. Ebbene, questa tipologia si caratterizza, nella definizione di Kockel, per il fatto che è il braccio sinistro ad essere levato verso la guancia, oltre che per la particolare foggia della veste che, con una linea ricurva, cade dalla spalla destra sopra il gomito e l’avambraccio flesso sul busto. Esemplari di questa tipologia sono attestati tanto per la statuaria, quanto per il rilievo, tanto per figure intere, quanto per busti. La sua diffusione è, invero, abbastanza limitata, e si concentra nel territorio d’Italia tra la tarda repubblica e l’età augustea. Un contributo altrettanto interessante è quello apportato dalla Alexandridis (Die Frauen des römischen Kaiserhauses [2004]). Nel suo lavoro che, anche in questo caso, si limita ad epoca e contesti romani, affronta alcune problematicità legate alla classificazione Linfert. In primo luogo nota la

39 L’esemplare eponimo è una stele funeraria, oggi presso Venezia, vedi catalogo nr. 106.

40 Gli esemplari eponimi sono nel nostro catalogo i numeri 192 e 196.

48 difficoltà nel procedere ad una precisa delimitazione della tipologia Saufeia42, già presente nella

classificazione Pinkwart e mantenuta da Linfert. Soprattutto, però, affronta la più spinosa delle questioni, quella relativa alla tipologia Fethiye: lo fa ricorrendo ad uno spunto offerto da H. J. Kruse (Römische weibliche Gewandstatuen des 2. Jahrhunderts n. Chr. [1975]), il quale, a questo proposito, introduce la tipologia definita Römischer Typus, in parte sovrapponibile a quella Fethiye, ma che ne costituirebbe un’evoluzione collocabile cronologicamente a partire da epoca adrianea. Benché la definizione di quest’ultimo tipo rimanga poco chiara, così come poco chiaro risulti alla stessa Alexandridis il rapporto con la tipologia Fethiye, l’aver riconosciuto e messo in evidenza l’esistenza di una forma di sviluppo della Pudicitia in fase di II sec. d.C., costituisce un risultato estremamente rilevante. Altro merito di Alexandridis in questo senso è quello di aver individuato un’ulteriore tipologia, sempre cronologicamente ascrivibile ai primi decenni del principato adottivo e da lei chiamata, con il sistema dell’esemplare eponimo, Sabina Vaison.

Un accenno veloce merita anche il recente lavoro di Cordelia Eule (Hellenistische Bürgerinnen aus Kleinasien. Weibliche Gewandstatuen in ihrem antiken Kontext [2001]): dal punto di vista della classificazione tipologica esso non costituisce tuttavia un passo in avanti. In primo luogo l’autrice si limita programmaticamente solo alla statuaria ellenistica, tralasciando interamente la produzione di rilievi e tutti gli esemplari di contesto non greco orientale e di epoca romana. Il che è pienamente legittimo, dal momento che, anche in questo caso il tipo Pudicitia costituisce solo uno degli argomenti di un lavoro incentrato su altre tematiche. La cosa che invece mi pare meno condivisibile è il fatto che, nel suo lavoro, si recuperino due tipologie che la ricerca degli ultimi decenni aveva, giustamente, deciso di accantonare: i tipi Saufeia e Baebia. Insomma, sotto il profilo che intendo affrontare in questo capitolo, la sua non costituisce un’opera di fondamentale interesse.

Fin qui dunque per quanto riguarda gli studi di riferimento sull’argomento. Come si evince dal quadro riportato, quello che finora è mancato, è uno studio che segua, per così dire, from the cradle to the

grave, l’evoluzione e la vicenda della tipologia c.d. Pudicitia. In generale, chi si è occupato della sua

genesi e delle sue fasi di sviluppo ellenistiche ha poi evitato di cimentarsi nello studio del suo ulteriore sviluppo in epoca romana; chi viceversa si è interessato della sua diffusione a Roma ed in Occidente, ha trascurato di fare lo stesso anche riguardo le sue origini. In particolare la fase che, più di altre è stata trascurata, è quella dello sviluppo di età imperiale nel corso del I ma soprattutto del II sec. d.C.: eppure fu questo il momento in cui il tipo raggiunse il picco forse maggiore della propria diffusione.

Queste pagine intendono essere un tentativo di ricostruzione della vicenda complessiva della tipologia Pudicitia. È evidente che il lavoro di chi mi ha preceduto, segnatamente quello impostato nella linea Pinkwart – Linfert – Kockel – Alexandridis, ha costituito e costituisce il punto di riferimento fondamentale del mio lavoro: quello che mi propongo è, in fondo, cercare di trovare un punto di vista unitario a quattro visioni che sono, necessariamente, parziali, così da intervenire laddove si presentino

49 tra esse delle contraddizioni. Per questo, non perché ritenga che quei lavori siano completamente superati, ho preferito sostituire i nomi delle vecchie tipologie con denominazioni nuove: una numerazione progressiva. Alcune volte le nuove tipologie coincidono con le vecchie, altre ho ritenuto di introdurre alcune distinzioni. In alcuni casi si può parlare di veri e propri tipi: in altri, soprattutto in quelli più semplici, il confine tra riproduzione seriale di carattere tipologico e generica ispirazione ad un modello può apparire labile. Avrò cura di segnalare la cosa al momento opportuno. Una conseguenza di questo fatto è che non tutti gli esemplari possono essere fatti rientrare all’interno delle categorie proposte e rimangono, pertanto, non classificati proprio perché non classificabili, almeno secondo questo sistema, non classificabili. Inoltre, alle categorie tradizionalmente individuate, saranno aggiunte anche le varianti sedute riconducibili alla tipologia43.

La scelta di utilizzare un diverso sistema di denominazione dei tipi è legata alla volontà di rendere l’operazione più neutra possibile, slegandomi dall’impostazione degli esemplari eponimi che fino ad ora mi pare non abbia contribuito a fare chiarezza sul tema. La progressione numerica non fa quindi riferimento ad alcun rapporto di priorità o posteriorità temporale o genealogica tra le tipologie, benché abbia cercato di seguire un generale criterio cronologico: alcune tipologie convissero a lungo con altre e ciascuna di esse ebbe uno sviluppo in qualche modo autonomo. Il fatto che esse siano ordinate l’una dopo l’altra non vuole dunque fare riferimento ad alcun tipo di evoluzione.

Il catalogo di oggetti cui mi riferisco è completo, ovvero contiene tutti gli esemplari di tipo c.d. Pudicitia conosciuti? Probabilmente no, eppure ambisce ad essere il più completo possibile, pur nella consapevolezza della difficoltà dell’obiettivo. Ad ogni modo, il numero di oggetti raccolti è statisticamente rilevante e sufficiente a permetterci di avanzare qualche considerazione di carattere generale.

Per quanto riguarda l’organizzazione del catalogo, i pezzi sono così ordinati: ho individuato dieci diverse tipologie, ciascuna identificata, come appena detto, per mezzo di un numero. A queste segue un piccolo gruppo di oggetti non classificabile all’interno dello schema prescelto: si tratta di un insieme composito ma poco numeroso, composto di esemplari riconducibili a vari periodi. All’interno di ciascuna tipologia i pezzi sono organizzati come segue: le due grandi categorie di oggetti a nostra disposizione, statue e rilievi, sono mantenute separate, con le prime a precedere gli altri. Per ciascuno di questi gruppi gli oggetti sono ordinati secondo l’ordine alfabetico del nome della località di provenienza. Poiché, in moltissimi casi, questa rimane ignota, avviene che il numero di esemplari non