• Non ci sono risultati.

2. METODO DI SCELTA DELL'ARTE UTILE A QUESTA RICERCA

2.6 la centrifuga rotta

cifra. Un esempio è il caso Gianni Piacentini. È lui l'artista che disintegra la sua persona cambiando nome: oggi Piacentini, domani Trittellini e così via. Le opere sono schegge di un'esplosione; la poetica è plurale senza essere corale. Nel 2009 ha lasciato al MAACK di Casacalenda un cartello giallo con la scritta “Casacalenda vincitrice del concorso città etica 2012”, un concorso mai esistito.

Un altro esempio di artista centrifugo, adatto ad una riflessione più accurata, è Fausto Colavecchia37 di cui ho curato la mostra non mangiare la neve gialla che si è svolta dal 28 dicembre 2017 al 28 gennaio 2018 presso la Galleria Libertucci di Casacalenda (CB). È stata per me l'occasione per una riflessione che è possibile estendere a molti artisti. La mostra Don't eat the yellow snow ha diversi livelli di lettura. Intanto l'ironia gioca un ruolo determinante. L'artista infatti afferma che la neve non è sporca, è gialla. Viviamo nell'epoca dell'enciclopedia - definita da un amico ricercatore 'a portata di click' - del sapere per tutti su tutto. Ma cosa sappiamo? Nulla o molto poco. Abbiamo perso totalmente o quasi la 'comprensione'. Comprendere vuol dire contenere, ricordare. Ma non serve più ricordare: se vuoi sapere cos'è la neve gialla basta andare su un motore di ricerca e troverai la risposta. Fake news? Cosa importa? Si può dormire tranquilli, ora che si sa tutto sulla neve gialla. Quando ho chiesto all'artista di spiegarmi il titolo della mostra ho ricevuto una mail, più fredda della neve, che riporto integralmente:

«La neve gialla è un particolare tipo di acqua allo stato “sofficioso" che si può trovare in forma di chiazze o cumuli su terreni nevosi. Le numerose analisi condotte da scienziati e gastronomi non sono riuscite a risalire all'origine di questa sostanza, ma si è unanimemente arrivati alla conclusione che sia meglio non ingerirla. Appare come una chiazza informe le cui dimensioni aumentano man mano che ci si avvicina a qualche bar.

Solitamente la neve gialla è di colore giallo, ma la mattina appare arancione scuro per motivi non

chiari. È stata spesso esaminata da curiosi che hanno sempre affermato avesse sia un odore che un sapore decisamente sgradevoli; nonostante ciò esistono molte persone che l'apprezzano, permettendo anche il prosperare di numerose aziende di distribuzione di neve gialla. Analisi condotte dall'Università degli studi di Nuuk (l'unico centro abitato della Groenlandia) hanno permesso di stilare una lista degli elementi che compongono la neve gialla: acqua, urea, ammoniaca, etanolo e calcoli renali (rari).

Da queste analisi si è arrivati alla conclusione che la formazione di neve gialla sia da attribuire ad una qualche creatura organica di origine sconosciuta. L'unico studioso ad azzardare ipotesi è stato il Prof. McPeesh, l'insegnante di francese dell'Università groenlandese. Egli ha indicato un unico responsabile per le chiazze di neve gialla: i bambini eschimesi. Egli afferma, infatti, che queste piccole creature vadano in giro a creare chiazze di neve gialla urinando sul terreno. Queste affermazioni, ovviamente, sono state prese per quelle che sono: infamanti pregiudizi razziali. Dunque, il mondo della scienza brancola ancora nel buio.

Tratto da: http://nonciclopedia.wikia.com/wiki/Neve_gialla»

Colavecchia ama prendere in giro tutti e ha trasformato anche il nostro serissimo scambio epistolare in una delle sue operazioni che spesso puntano, con ironia o vendetta, lo sguardo sugli aspetti disgustosi della civiltà umana. Ma nel suo operato qualche frantume di bellezza si rivela 'comunque e nonostante' in questo mondo centrifugato che va in pezzi senza una direzione, verso un esterno indefinito, ma anche verso un io-mondo imploso all'interno dell'umana specie, che vive comunque e vaga con

nonchalance tra le sue stesse macerie. La vita va avanti, si fa zapping tra canali di comunicazione diversi,

una promenade tra gli scaffali pieni dei prodotti in un mondo-supermercato. L'artista ha un corpo con una bocca che vuole parlare anche se non sa bene cosa dire e lo sguardo cede nella ricerca di una visione d'insieme e si concentra sul dettaglio da niente che forse però dice molto: si cela lì una grazia involontaria che coincide con l'ironia della sorte. Il trittico Biferno, il nome del fiume che divide il Molise con il suo corso, mostra una schiuma bianchissima che è inquinamento, ma che è trasfigurata in bellezza, in immagini cosmiche. Sopravviene un inatteso stupore. Fausto Colavecchia non può che agire con diversi media: non è uno scultore, non è un pittore, non è un fotografo, ma fa sculture, fotografie e dipinge; una vasta parte della produzione fa un uso artistico della fotocamera dei cellulari che sono ormai diventati parte indispensabile del nostro corredo quotidiano. Dobbiamo ammettere che prima di uscire di casa tutti (o quasi) si toccano le tasche e ripetono nella mente: chiavi, cellulare, portafogli. Se c'è tutto si può uscire. La realtà nei suoi scatti, pezzi, scarti, appare trasfigurata come in una metamorfosi continua e dunque Colavecchia fa un uso paradossale dei mezzi. Ogni tecnica va bene per

dire cose diverse, cose che non serve dire, ma vanno dette nel modo più efficace. Questo polimorfismo crea manufatti che non possono comunicare tra loro. Ognuno ha una sua vita, un suo percorso di gestazione, come se l'artefice fosse ogni volta un artista diverso. A mio parere questa mancata comunicazione interna, questa completa sconnessione, indica non solo lo smarrimento, che considero uno stadio nobile del pensiero, ma propone lo smarrimento come metodo: sciogliere la propria esistenza, dileguarla in un'entropia esistenziale che scivola via in rivoli sempre più piccoli. Una realtà liquida alla Baumann senza contenitore e perciò senza forma.

Non resta che osservare a lungo questa disfatta, il disfarsi e trovare, qui e lì, dettagli in cui avviene l'inciampo. Diventa interessante e di vitale importanza il difetto, il tic che scardina l'ordine delle cose, che entra di straforo in quel main stream che rassicura e costruisce una struttura sociale; quest'ultima si rivela di sabbia e per non sciogliersi chiede a tutti di ripetere il malefico mantra della routine, comoda per molti, noiosa per altri, ma che non prevede di mettere mai in discussione gli schemi sociali e materiali dello status quo. Gli artisti come Colavecchia cercano il sabotaggio affinché ogni programma vada a monte; e questa slavina o minima crepa capillare è ciò che permette un modo creativo di vedere le cose. Apre un 'fra' come direbbe Cesare Pietroiusti, uno spazio di mezzo che può essere dilatato.

Il tipo di ricerca sopra descritto è a mio parere interessante, ma è un punto di non ritorno. Va forse verso il silenzio e la morte cosmica a cui è destinato l'universo: è sicuramente un vicolo cieco. Non porta, non costruisce, non accresce la conoscenza. Manca all'appello a cui l'arte è chiamata nel contribuire alla costruzione continua del pensiero.